domenica 31 gennaio 2016

PAINTING THE MODERN GARDEN: MONET TO MATISSE - ROYAL ACADEMY OF ARTS, LONDON




PAINTING THE MODERN GARDEN: MONET TO MATISSE
curated by Ann Dumas and William H. Robinson
Royal Academy of Arts
Burlington House
Piccadilly - London
30/1/2016 - 20/4/2016

In January 2016, the Royal Academy of Arts will present Painting the Modern Garden: Monet to Matisse, a major exhibition examining the role of gardens in the paintings of Claude Monet and his contemporaries. With Monet as the starting point, the exhibition will span the early 1860s to the 1920s, a period of tremendous social change and innovation in the arts, and will include Impressionist, PostImpressionist and Avant-Garde artists of the early twentieth century. It will bring together over 120 works, from public institutions and private collections across Europe and the USA, including 35 paintings by Monet alongside rarely seen masterpieces by Paul Klee, Emil Nolde, Gustav Klimt and Wassily Kandinsky.
Arguably the most important painter of gardens in the history of art, Monet was also an avid horticulturist who cultivated gardens wherever he lived. As early as the 1860s, a symbiotic relationship developed between his activities as a horticulturist and his paintings of gardens, a relationship that can be traced from his early years in Sainte-Adresse to his final months at Giverny. ‘I perhaps owe it to flowers’, he wrote, ‘that I became a painter’. A rich selection of documentary materials including horticultural books and journals, as well as receipts for purchases of plants and excerpts from letters, will be included in the exhibition.
Highlights of the exhibition will include a magnificent selection of Monet’s water lily paintings including the great Agapanthus Triptych of 1916 - 1919, (The Nelson-Atkins Museum of Art, Kansas City; The Cleveland Museum of Art, Cleveland; Saint Louis Art Museum, St Louis) works that are closely related to the great panorama that he donated to the French State in 1922 and that are now permanently housed in the Musée de l’Orangerie in Paris. It will be the first time this monumental triptych has been seen in the UK. This exhibition will be among the first to consider Monet’s Grandes Décorations as a response to the traumatic events of World War I, and the first to juxtapose the large Water Lilies with garden paintings by other artists reacting to this period of suffering and loss.
Other highlights will include Monet’s Lady in the Garden, 1867 (The State Hermitage Museum, St Petersburg); Auguste Renoir’s Monet Painting in His Garden at Argenteuil, 1873 (Wadsworth Atheneum Museum of Art, Hartford); Monet’s Le bassin aux nymphéas, harmonie verte, 1899 (Musée d'Orsay, Paris); Monet’s Le jardin de l'artiste à Giverny, 1900 (Musée d'Orsay, Paris); Monet’s Water
Lilies, 1904 (Musée Malraux, Le Havre); Wassily Kandinsky’s Murnau The Garden II, 1910 (Merzbacher Kunststiftung) and Pierre Bonnard’s Resting in the Garden, 1914 (The National Museum of Art, Architecture and Design, Oslo). Works by artists such as Edouard Manet, Mary Cassatt, Berthe Morisot, Camille Pissarro, Paul Cézanne, James-Jacques Tissot, John Singer Sargent, Joaquín Sorolla, Max Liebermann, Santiago Rusiňol, Henri Matisse, Paul Klee, Vincent van Gogh, Gustav Klimt, Emil Nolde and Edouard Vuillard will also feature.
As the nineteenth century drew to a close, Symbolists, Fauves, and German Expressionists embraced more subjective approaches by imagining gardens as visionary utopias; many turned to painting gardens to explore abstract colour theory and decorative design. In the early twentieth century, Monet emerges as a vanguard artist. The monumental canvases of his garden at Giverny anticipate major artistic movements that were to come such as American Abstract Expressionism.
The exhibition will be arranged thematically, leading visitors through the evolution of the garden theme, from Impressionist visions of light and atmosphere to retreats for reverie and dreams, sites for bold experimentation, sanctuaries of refuge and healing, and, ultimately, signifiers of a world restored to order – a paradise regained. Framing the paintings in the context of broad artistic movements, as well as social and political events, will offer unprecedented paths for understanding the garden as a multifaceted, universal theme in modern art.

Image: Henri Matisse, The Rose Marble Table, Issy-les-Moulineaux, spring-summer 1917 (Photo © 2015. Digital image, The Museum of Modern Art, New York/Scala, Florence / © Succession H. Matisse/ DACS 2015).

VINCENZO AGNETTI - SOTHEBY'S, MILANO




VINCENZO AGNETTI
a cura di Bruno Corà
Sotheby's
Palazzo Serbelloni
corso Venezia 16 - Milano
01/02/2016 - 05/02/2016

In collaborazione con l’Archivio Agnetti, Sotheby’s inaugura il 1 febbraio 2016 la mostra VINCENZO AGNETTI a cura di Bruno Corà.
Si tratta di un’occasione su cui Sotheby’s invita a soffermare l’attenzione perché si tratta della prima mostra nella nuova sede di Palazzo Serbelloni ed è un progetto mirato ad accrescere la conoscenza sull’opera di Vincenzo Agnetti, mettendo in luce gli aspetti essenziali della sua ricerca artistica.
Agnetti è stato un artista poliedrico che per tutta la vita ha ricercato, immaginato, costruito punti d’incrocio tra discipline diverse che appartengono a un universo mentale che non si lascia imprigionare da limiti.
Il suo campo di ricerca ha spaziato tra pittura, scultura, critica, epistemologia, tecnologia, letteratura, con un afflato politico e poetico che ne ha determinato il percorso.

La mostra di Sotheby’s costituisce uno spunto di riflessione sul suo percorso artistico attraverso alcuni momenti topici, in particolare tre, realizzati a cinque anni di distanza l’uno dall’altro: 1968 Macchina drogata, 1973 In allegato vi trasmetto un audiotape di 30 minuti e 1978 Riserva di caccia.
1968 Macchina drogata è un’operazione di teatro statico che si situa a cavallo tra tecnologia arte, critica del linguaggio e critica politica. Nella stessa stanza sono mostrate alcune opere prodotte dalla macchina che vivono vita propria, “sono”, indipendentemente dalla macchina che le ha create.
1973 In allegato vi trasmetto un audiotape di 30 minuti ci riporta, accompagnati dalla voce di Agnetti stesso, ai temi del TRADOTTO RIDOTTO DIMENTI CATO.
1978 Riserva di Caccia: un grande trittico in tela che appartiene a una serie di lavori sul tema del rapporto tra desiderio e accaparramento predatorio.

A seguire, dopo la mostra da Sotheby’s viene inaugurata a partire dal 5 febbraio, una nuova esposizione presso lo studio dell’artista e ora sede dell’Archivio, in via Macchiavelli 30 a Milano, che presenterà invece una serie di lavori prodotti tra il 1976 e il 1980.
Per questa duplice occasione, L’Archivio Vincenzo Agnetti presenta Archivio 01, il primo di una serie di piccoli libri che hanno la finalità di documentare il lavoro di Agnetti nella sua dimensione storica e mettere in luce gli aspetti più visionari e contemporanei della sua ricerca.
L’Archivio Vincenzo Agnetti con queste pubblicazioni si prefigge di divulgare il percorso dell’artista, presentando di volta in volta alcune sue opere e invitando il lettore non solo a guardarle ma a entrare nell’universo concettuale che le ha prodotte e le fa vivere a cavallo tra contesto storico di origine, contemporaneità e futuro.
Come diceva Vincenzo “acento anni da adesso”.
In questo primo libro, una sorta d’introduzione, sono presentati i due allestimenti: la mostra di Sotheby’s e quella che verrà ospitata nella sede dell’Archivio dal 5 febbraio 2016.
Alcune tra le Inserzioni Anonime, pubblicate da Agnetti sulla rivista Data negli anni 1972-73, aprono e chiudono le parti di questa pubblicazione facendoci assaporare il senso visionario di quegli anni.

Vincenzo Agnetti nasce a Milano nel 1926, si diploma a Brera e si iscrive alla scuola del Piccolo Teatro. Le sue esperienze artistiche avvengono nell’ambito della pittura informale e della poesia. Dei primi anni Cinquanta sono gli inizi come pittore informale, ma ben presto abbandona la pittura e fra la fine degli anni Cinquanta e primi anni Sessanta è ormai lanciato verso ricerche sperimentali e frequenta Manzoni e Castellani.
Nel 1962 si colloca il suo viaggio sudamericano: rimane in Argentina fino al 1967, lavorando nel campo dell’automazione elettronica e in questi anni compone il romanzo Obsoleto.
Tornato a Milano, intensifica l’amicizia con l’editore Scheiwiller e frequenta il gruppo legato ad Azimuth. La sua produzione è incessante e riconosciuta.
Nel 1975 a New York, centro nevralgico dell’Arte Concettuale, apre uno studio a Manhattan e riprende la collaborazione con Robert Feldman – nella cui galleria tiene la sua prima esposizione americana Immagine di una mostra (1975). Nello stesso anno espone alla Sonnabend di Parigi opere sul concetto di equivalenza, Gli eventi precipitano.
Vincenzo Agnetti muore nel 1981; si spegne uno dei maggiori esponenti della neoavanguardia italiana, protagonista indiscusso dell’Arte Concettuale.

STEFANO PIVATO: NOVERAR LE STELLE - DONZELLI 2016




STEFANO PIVATO
NOVERAR LE STELLE
Che cosa hanno in comune scienziati e poeti
Donzelli (29 ottobre 2015)
Collana: Virgola

Aristotele sostiene, nella Metafisica, che la meraviglia suscitata dall'universo sia all'origine del nostro desiderio di conoscere, vale a dire la caratteristica più nobile dell'animo umano e ciò che ci differenzia dalle bestie. È la meraviglia a spingerci ad alzare gli occhi verso il cielo e a porci domande, ed è da lì che, agli albori dell'umanità, germogliarono le domande che portarono alla nascita della scienza e della poesia. E tuttavia, se un tempo Sumeri ed Egizi annotavano in versi i moti dei pianeti, Esiodo mostrava in esametri quali fossero i giorni migliori per la semina e Lucrezio divulgava in poesia la scienza di Epicuro, le due discipline nel corso dei secoli si sono allontanate sempre più. Nel Novecento però qualcosa cambia: da una parte, sempre più frequentemente si levano voci sulla necessità, per la poesia, di abbeverarsi alla fonte della scienza; dall'altra parte, quest'ultima conosce una vera e propria rivoluzione: innanzitutto nel campo della fisica e poi in quello della tecnologia, della genetica e delle neuroscienze, che la portano sempre più spesso a porsi le grandi domande originarie della filosofia e della poesia.

FRANCO FERRAROTTI: AL SANTUARIO CON PAVESE - EDB 2016




FRANCO FERRAROTTI
AL SANTUARIO CON PAVESE
Storia di un'amicizia
EDB (8 gennaio 2016)
Collana: Lapislazzuli

La guerra e la resistenza, le notti nelle piòle per celebrare la "frase giusta" nelle traduzioni per Einaudi, i consigli e le domande che viaggiano tra Torino e Londra, i discorsi sulla fede. Un'amicizia che si alimenta di ammirazione intellettuale e concretezza, di dialoghi e di silenzi, ma anche di insolite proposte: convincere il regista di "Riso amaro" ad assegnare a Ferrarotti e non a Gassman la parte del "cattivo" nel film con Silvana Mangano.
  

CARLA BENVENUTO: IL TESORO DI SANT'AGOSTINO E LE STORIE DEL TEMPO - MUSEO DI SANT'AGOSTINO, GENOVA




CARLA BENVENUTO
IL TESORO DI SANT'AGOSTINO E LE STORIE DEL TEMPO
Museo di Sant'Agostino - Depositi
piazza Sarzano 35R - Genova
30/1/2016 - 27/2/2016

La mostra personale di Carla Benvenuto avrà luogo nei depositi del Museo di Sant'Agostino, dove l'artista ha allestito il proprio atelier nel corso del 2015 per dipingere una serie di lavori ispirati dal luogo e, in particolare, una tela che ha dato titolo all'evento e che resterà di proprietà del Museo.
Il titolo ideato da Carla Benvenuto nasce da un insieme di fattori:
- la scoperta di una vecchia tela di grande formato (cm. 200x300), trovata dall'artista in un magazzino del Museo, proprio come un tesoro abbandonato. Su questa tela Carla Benvenuto ha realizzato un dipinto che, dopo la mostra, rimarrà al Museo, esposto nel deposito
- i depositi museali sono ricchi di reperti scultorei, provenienti da tutta Genova, che fanno pensare a un tesoro. Grazie al lavoro della Benvenuto, si prevede la programmazione (sperimentalmente, per febbraio, ogni mercoledì dalle 16.00 alle 18.00) di visite guidate - su prenotazione e chiedendo un contributo di almeno 5 Euro per il Pallio - condotte sia dal Conservatore del Museo, sia dall'artista stessa.
Il tema si è arricchito con Le storie del tempo, proseguendo la narrazione di storie, dopo Storie che viaggiano (Palazzo Rosso, Genova), Histoire, una storia dentro l'altra (Museo di Sant'Agostino, Genova), Storie, pilastri del tempo, (Nhow, Milano).

Carla Benvenuto vive e lavora tra Genova, Fréjus e Parigi. Formazione artistica (liceo, architettura, accademia e stages di litografia in Francia). La pittura è la sua prima occupazione, ma realizza anche oggetti di tipo scultoreo e installazioni.

Mostra in collaborazione con Galleria San Lorenzo al Ducale e presentata da Adelmo Taddei, direttore del Museo di Sant'Agostino.
  

SIMONE FORTI: HERE IT COMES - VLEESHAL MARKT, MIDDELBURG




SIMONE FORTI
HERE IT COMES
curated by Roos Gortzak
Vleeshal Markt
Zusterstraat 7 - Middelburg
31/1/2016 - 3/4/2016

From January 31 until April 3, Vleeshal presents a comprehensive solo exhibition by artist, choreographer, dancer and writer Simone Forti (1935, Italy) at both of its locations. Although Simone Forti has performed in the Netherlands in the 1980s, this is the first solo show of her seminal oeuvre here.

Simone Forti came to prominence in the 1960s, in a historical moment of rich dialogue between visual artists, musicians, poets and dancers. Despite being a key figure in the Minimal Art movement, she remains relatively unknown in the visual arts world. As Sabine Weingartner writes in a 2014 frieze review of Forti’s large retrospective in Museum der Moderne, Salzburg: “Her exclusion from Minimalism’s generally male canon was reinforced by dance’s longstanding reputation as an uncritical, ‘feminized’ art form rooted more in physical gesture than intellectual rigour.” Over the last years, Simone Forti’s work has received the attention and recognition that it deserves, culminating in the recent acquisition of the “Dance Constructions” (1960–61) by the Museum of Modern Art in New York.
Forti’s work has made a major contribution to the intersection of sculpture and performance and helped to create a sensibility for “what we know about things through our bodies.” As early as 1960, at Reuben Gallery in New York, she created the object-centred happenings See Saw and Rollers. A year later, she presented Five Dance Constructions and Some Other Things as part of a series organised by composer La Monte Young at Yoko Ono’s studio in New York; radically new dances made up of everyday movements, performed in interaction with sculptures and objects.
From January 30 until March 28, this legendary series of “Dance Constructions” will be performed at Vleeshal Markt by a group of “movers.” Choreographer Sarah Swenson, authorised representative of Simone Forti, will teach the “Dance Constructions” to them, except for See Saw which follows a different scheme: artists Mie Frederikke Christensen (Denmark, 1989) and Margaux Parillaud (France, 1989) have been invited to develop a new version of this work, which Forti once described as a “domestic drama.” Nominated for the Gerrit Rietveld Award 2015 with their performance Well Now, it Looks as if You are Armed for Battle, the artist duo is free to direct See Saw in whatever way they feel is fitting.

From March 28 until April 2, Simone Forti and long-time collaborator Charlemagne Palestine will use Vleeshal Markt as a rehearsal space to work on a new version of their “Illuminations” series, to be performed there on April 2 and 3. Asked in an interview by Astrid Kaminski whether she is continuing to do new work, Forti replied: “You could just as well ask: what about breakfast—will you still have breakfast in the morning?”
Both Simone Forti and Charlemagne Palestine, who have collaborated since 1971, have been to Middelburg before: Forti in 1980, when she performed during the interdisciplinary arts festival Forum, and Palestine on several occasions, including a solo show at Vleeshal in 1979 and various concerts for Stichting Nieuwe Muziek (Foundation for New Music).

At Vleeshal Zusterstraat a selection of Forti’s works from different periods will be exhibited—with drawings, photographs, videos, and documentation of performances.
An earlier version of Simone Forti’s exhibition Here It Comes (curated by Axel Wieder) was on view at Index – The Swedish Contemporary Art Foundation in Stockholm, from September 4 until November 15, 2015.

Image: Simone Forti, Sleepwalkers, 1968/2010. Photo: Jason Underhill.

ALFREDO BORTOLUZZI: DAL BAUHAUS AL MARE - FONDAZIONE BANCA DEL MONTE DI FOGGIA




ALFREDO BORTOLUZZI
DAL BAUHAUS AL MARE
a cura di Gaetano Cristino e Guido Pensato
Fondazione Banca del Monte di Foggia
via Arpi 152 - Foggia
30/01/2016 - 27/10/2016

Si è inaugurata ieri, sabato 30 gennaio 2016, la mostra antologica “Dal Bauhaus al mare. Opere su carta (1924-1995)”, dedicata al Maestro italo-tedesco Alfredo Bortoluzzi, vissuto per oltre quarant’anni a Peschici dopo essersi formato al Bauhaus di Dessau ed aver svolto l’attività di ballerino e coreografo nei principali centri europei.
«Con questa mostra - ha dichiarato il presidente della Fondazione Banca del Monte, prof. Saverio Russo - si completa la prima fase di un percorso di ricerca dedicato ad Alfredo Bortoluzzi, iniziato nel 2009 pochi mesi dopo l’acquisizione del fondo costituito dalle opere su carta dell’Artista. Ma sarebbe ora delittuoso chiudere a chiave in qualche deposito questo lavoro, le opere su carta, le copie del catalogo e l’archivio di Bortoluzzi, ritenendoci soddisfatti di quanto abbiamo realizzato -crediamo di poterlo dire– con lungimiranza in questi anni. Ora è bene che Bortoluzzi riprenda a viaggiare. Lo faranno le opere, accompagnate dal catalogo di questa mostra, verso le città, le sedi museali e gli spazi espositivi che decideranno di ospitare la nostra proposta, riportando Bortoluzzi –ce lo auguriamo- lungo le strade che ha percorso, i luoghi del sapere e della creatività che l’hanno formato, a reincontrare gli artisti che ha conosciuto e l’hanno ispirato».
Alla serata inaugurale è intervenuto l’architetto svizzero Mario Botta, una delle maggiori figure dell’architettura contemporanea, che di Alfredo Bortoluzzi fu amico e che qualche anno dopo la sua morte riportò alla ribalta internazionale le opere dell’Artista con una grande mostra organizzata presso il Museo di Mendrisio, nel Canton Ticino.
Mario Botta ha anche firmato l’introduzione al catalogo che accompagna la mostra, dove, dopo aver sottolineato che l’impegno intrapreso dalla Fondazione Banca del Monte di Foggia in questi anni, con mostre e pubblicazioni del “Fondo Bortoluzzi”, è stato anche un modo per conoscere e valorizzare, oltre che l’Artista, il territorio che lo ha ospitato per quasi quarant’anni, si è soffermato anche sui registri espressivi e sulla poeticità e profondità del linguaggio pittorico di Alfredo Bortoluzzi: «La molteplicità dei temi affrontati –la danza, il corpo umano, le maschere, i ritratti o l’astrazione geometrica (che lo riporta periodicamente ai primi amori compositivi del Bauhaus)– per l’artista diviene pretesto per interpretare lo svolgersi della storia e della sensibilità cresciuta nel tempo, confrontarsi con il mistero della pittura e penetrare i misteri del vivere».
Le opere esposte sono oltre cento, «in un percorso - dicono i curatori del Fondo e della mostra, Gaetano Cristino e Guido Pensato - che riconduce sinteticamente ad unità i segmenti fino ad oggi esplorati, raccogliendoli attorno ad un nucleo consistente di lavori che l’Artista teneva riservati per sé, alle pareti della sua casa: il Bortoluzzi di Bortoluzzi».

Alfredo Bortoluzzi (Karlsrhue, Germania, 1905 – Peschici, Foggia, 1995), pittore, ballerino e coreografo, nasce in Germania da genitori italiani. Frequenta dapprima l’Accademia di Karlsrhue e quindi, dal 1927 al 1930, il Bauhaus, a Dessau, dove ha come maestri Wassilii Kandinskij, Joseph Albers, Oskar Schlemmer e soprattutto Paul Klee, di cui diviene molto amico e che influenza particolarmente la sua concezione della pittura come “gioco con le cose ultime”.
Tiene la sua prima mostra a Berlino, nel 1930. Nel 1933 partecipa alla Mostra degli artisti del Bauhaus a Düsseldorf, ma la collettiva viene vietata e sequestrata dai nazisti.
Esule a Parigi, si dedica prevalentemente al balletto classico, occupandosi anche delle coreografie e delle scenografie. Apprezzato per questa sua attività dapprima in Francia e, nel dopoguerra, anche nei maggiori teatri della Germania di Bonn, Bortoluzzi ritorna comunque alla pittura.
E’ protagonista tra l’altro della rassegna 50 Jahre Bauhaus itinerante per il mondo.
Nel 1946 espone ad Heidelberg alla Mostra degli artisti proibiti dai nazisti (con Klee, Kandinskij ed altri).
Nel 1958, a seguito di un incidente, lascia la vita teatrale e, benché come pittore abbia già un mercato internazionale al più alto livello, con la consacrazione dei maggiori critici europei, sceglie di vivere sulla Montagna del Sole, il Gargano, a Peschici, trovando nello scenario del promontorio non solo una fonte inesauribile di ispirazione ma soprattutto “un approdo determinante ai fini della elaborazione del suo linguaggio maturo”.


JOHANN J. BACHOFEN: IL MATRIARCATO - EINAUDI 2016




JOHANN J. BACHOFEN
IL MATRIARCATO
Ricerca sulla ginecocrazia nel mondo antico nei suoi aspetti religiosi e giuridici
Einaudi (26 gennaio 2016)
Collana: Piccola biblioteca Einaudi. Nuova serie

Apprezzata da Marx e Engels (che vi ravvedevano la transitorietà della vita borghese), finita al centro di un vivace dibattito antropologico, amata da poeti come Rilke e Hofmannsthal o da narratori come Broch, Hesse e Thomas Mann, difesa da pensatori come Benjamin, Adorno e Fromm, sovente ripresa dalla letteratura femminista, l'opera di Bachofen resta, pur con tutte le sue ambivalenze, un seducente filo di Arianna teso attraverso i regni del maschile e del femminile. Anche se alcuni suoi dati possono risultare oggi superati o inesatti, essa continua a restare l'esempio di un incontro straordinario con una figura mitica, la mater, con cui ogni generazione si incontra e si misura, come rileva Furio Jesi, iniziatore di questa traduzione, nel saggio che accompagna il volume.

MARC AUGÉ: IL DIO OGGETTO - MIMESIS 2016




MARC AUGÉ
IL DIO OGGETTO
Mimesis (28 gennaio 2016)
Collana: Antropologia oggi

"Ma come si possono adorare il legno e la pietra?" si chiedevano i missionari cristiani - e alcuni etnologi - di fronte al mistero delle religioni africane. Quale sia il senso del feticismo, cosa significhi (e implichi) attribuire forza vitale e potenza di senso a quelli che a noi appaiono solo degli oggetti, ce lo spiega Marc Auge in queste pagine, mostrandoci come nel "feticcio" trovi in realtà espressione un'affascinante concezione del rapporto tra cose e persone. Tra materia e vita, tra uomini e divinità, tra morti e viventi, sostiene un sacerdote del Benin, non c'è soluzione di continuità, come non c'è tra un individuo e un altro. Il feticismo, quindi, come chiave paradossalmente attuale per comprendere non solo un sistema di pensiero apparentemente molto lontano dal nostro, ma per intuire anche molte questioni al centro della riflessione delle scienze umane sulla surmodernità: la crisi del soggetto, la frammentazione dei confini tra categorie e relazioni. Nella postfazione Nicola Gasbarro - che ha tradotto e curato il volume ricostruisce il quadro teorico della riflessione di Auge, tracciando le coordinate dell'incrocio inevitabile tra antropologia e storia delle religioni.


FRANCESCO VACCARONE: GENOVA 1965 - MUSEO DI VILLA CROCE, GENOVA




FRANCESCO VACCARONE
GENOVA 1965
a cura di Valerio Dehò
Museo d'Arte Contemporanea di Villa Croce
via Jacopo Ruffini 3 - Genova
20/1/2016 - 6/3/2016

Ritagli di parole, composizioni di immagini e oggetti, ritratti e dipinti, un’opera a metà strada tra Pop Art e Nouveau Réalisme, nella personale di Francesco Vaccarone, pittore e sperimentatore che oscilla tra figurazione e astrazione.
Dopo un primo periodo figurativo, in cui esprime una sua personale versione dell’Espressionismo tedesco, Vaccarone, nei primi anni sessanta, si unisce al gruppo genovese Studio, intorno alla galleria La Carabaga, in contatto con i poeti del Gruppo 63 e gli artisti dell’avanguardia sperimentale italiana, Trerosso di Genova, ’70 di Firenze, LineaSud di Napoli.

In quegli anni, abbandonata la pittura espressionista, elabora opere che lavorano sul mondo della parola e degli oggetti, utilizzando ritagli di giornali, parole, fotografie, frasi estratte da riviste e montate sulla tela con accostamenti forti, spesso carichi di messaggi politici e poetici.
Nel 1970 si trasferisce a Roma e alla stamperia “Il Cigno” conosce artisti come Marini, Raphael Mafai, Guttuso, Fieschi e approfondisce la tecnica calcografica, realizzando stampe e incisioni. Sono di questi anni due dei suoi più importanti cicli: i “Gabbiani” e i “Clochards”. E’ del 1973 la prima monografia a lui dedicata a cura della Galleria d’Arte Macchi di Pisa, con prefazione di Enzo Carli e di Dino Carlesi.
Successivamente sono numerose le sue mostre allestite in Italia e all’estero, arricchite anche dei risultati delle sue sperimentazioni nella scultura, come i due grandi bassorilievi in marmo dedicati a Papa Giovanni Paolo realizzati a Noceto, in Emilia Romagna.

Le opere di Vaccarone offrono uno sguardo su uno speciale momento creativo che investì l’Italia e Genova in particolare, con vivaci collegamenti tra arte figurativa, poesia e musica e un approccio multidisciplinare di sperimentazione dei linguaggi dei media classici, in una ricerca definitivamente pop. 

sabato 30 gennaio 2016

JEAN DUBUFFET: METAMORFOSI DEL PAESAGGIO - FONDATION BEYELER. RIEHEN




JEAN DUBUFFET
METAMORFOSI DEL PAESAGGIO
Fondation Beyeler
Baselstrasse 101 - Riehen
30/01/2016 - 08/05/2016

La Fondation Beyeler inaugura il 2016 con la prima retrospettiva in Svizzera dedicata all’opera multiforme, fantasmagorica e variopinta di Jean Dubuffet. La mostra “Jean Dubuffet – Metamorfosi del paesaggio” si tiene dal 31 gennaio all’8 maggio 2016 e propone un centinaio di lavori del pittore e scultore francese che, da indiscusso maestro della sperimentazione, ha dato nuovi impulsi alla scena artistica del secondo dopoguerra. La rassegna presenta anche la spettacolare opera globale Coucou Bazar, un’installazione ambientale composta in parte da costumi animati.
Jean Dubuffet (1901–1985) viene annoverato tra gli artisti che maggiormente hanno inciso sull’arte del secondo dopoguerra. Ispirato dalle opere di autori allo stato di emarginazione, è riuscito a sovvertire le tradizioni e a reinventare l’arte. L’influenza di Dubuffet risuona tuttora nell’arte contemporanea e nella street art (arte di strada), per esempio in David Hockney, Jean-Michel Basquiat o Keith Haring.
Con un centinaio di opere che rendono merito alla complessa varietà della produzione di Jean Dubuffet, la Fondation Beyeler presenta la prima grande retrospettiva a lui dedicata in Svizzera nel XIX secolo. Punto di partenza della mostra è la visione affascinante che l’artista ha del paesaggio, suscettibile di trasformarsi anche in corpo, viso, oggetto. Nei suoi lavori egli sperimenta tecniche e materiali inediti, come sabbia, ali di farfalla, spugne e scorie, sviluppando un universo figurativo personalissimo e unico nel suo genere.
Accanto a importanti dipinti e sculture dei momenti creativi salienti di Dubuffet, la mostra propone anche la sua spettacolare opera d’arte totale Coucou Bazar, in cui convergono pittura, scultura, teatro, danza e musica.
L’esposizione è stata resa possibile grazie al sostegno della Fondation Dubuffet di Parigi. Si avvale di generosi prestiti di musei internazionali quali il MoMA e il Guggenheim di New York; il Centre Pompidou, la Fondation Louis Vuitton e il Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris di Parigi; la National Gallery e lo Hirshhorn Museum and Sculpture Garden di Washington; il Detroit Institute of Arts; il Moderna Museet di Stoccolma; il Museum Ludwig di Colonia; la Staatliche Kunsthalle Karlsruhe; il Kunsthaus Zürich e molti altri. Inoltre, si è potuto attingere a importanti collezioni private.

AFFINITÀ ELETTE: LA COLLEZIONE NANDA VIGO - RACCOLTA LERCARO, BOLOGNA




AFFINITÀ ELETTE
Collezione Nanda Vigo
Raccolta Lercaro
Riva di Reno 57 - Bologna
29/01/2016 - 08/05/2016

Il 29 gennaio 2016 inaugura presso la Raccolta Lercaro di Bologna un’importante mostra composta da un centinaio di opere, dal titolo Affinità elette, a cura di Andrea Dall’Asta SJ, con testi storico critici di Marco Meneguzzo. Le “Affinità elette” infatti sono quelle personalità che la Vigo ha incontrato e appunto “eletto” a interlocutori del proprio lavoro e delle sue preferenze in campo artistico e, di converso, sono anche gli artisti che a loro volta hanno scelto Nanda Vigo come riferimento.
È per questo che in mostra verranno esposte, accanto alle opere della Vigo, parte delle sue “icone” che l’artista e designer ha raccolto nel corso di quei favolosi anni Sessanta, interfacciati con i maggiori movimenti artistici dell’epoca come il Movimento Zero.
Oltre alle numerose opere degli artisti in elenco saranno esposti alcuni lavori di una piccola cooperativa d’arte, appunto “cooperarte” fondata nel 1976 – e di cui Vigo è stata promotrice –, e alcune testimonianze particolari del lavoro di Piero Manzoni come uno dei rari quadri “nucleari” (occorre ricordare che Manzoni espose presso la galleria San Fedele di Milano “Movimento Arte Nucleare”, nel 1957, e fu anche firmatario del Manifesto “Contro lo stile”).
Infatti, il lavoro di Nanda Vigo è perfettamente coerente con l’atmosfera sperimentale che si respirava anche a Milano, in certi ambienti, e che di lì a poco avrebbe trovato tante consonanze con il Gruppo ZERO: nel ’59 progetta le Torri Cimiteriali per il Cimitero di Rozzano (coll. Ing. Giovanardi) e la Zero House, primo ambiente abitabile ZERO, completamente bianco, se non per l’uso di effetti di luce verde o rosso, appunto in mutazione dal bianco/neon, e nel quale saranno integrate opere di Enrico Castellani e Lucio Fontana.
Tutto si fonda sull’assenza del colore, sostituito della luce naturale o artificiale, visibile nelle opere storiche, che affrontano il rapporto spazio-tempo, luce-trasparenza, da cui il nome dei lavori: Cronotopo (Chronos-Topos). Nanda Vigo sarà dunque presente con una selezione di importanti opere relative alla sua ricerca sulla luce.
Per tutto ciò dalla mostra emergono i legami personali e lavorativi di Vigo, ma soprattutto il carattere del tutto innovativo e di ricerca di quel gruppo di artisti europei, legati da vincoli di amicizia e di comune sentimento dell’arte, con una curiosità animata da «un’energia liquida», che li spinge ad alcune indagini tra le più interessanti degli anni ’50 e ’60: una mostra corale, che testimonia un momento estremamente fecondo dell’arte continentale, da quella dimensione artistica che per quasi un decennio si è posta sempre nuovi problemi, per giungere a sempre nuove possibilità espressive.
La Raccolta Lercaro e l’Archivio Nanda Vigo ringraziano il broker assicurativo Willis Towers Watson

Accardi, Agnetti, Alviani, Armando, Aubertin, Beuys, Bischoffshausen, Brindisi, Bruno, Cappello, Carrega, Chin, Colombo, Corona, Dadamaino, Dangelo, Fabbri, Fabre, Fontana, Goepfert, Gruppo Ton Fan, Holweck, Isgrò, Leblanc, Mack, Manzoni, Megert, Mendini, Mesens, Nangeroni, Nigro, Oste, Patella, Peeters, Piene, Giò Pomodoro, Lisa Ponti, Radice, Rickey, Rotella, Sabatelli, Schifano, Schoonhoven, Sordini, Stefanoni, Tadini, Talman, Turcato, Uecker, Uriburu, Van den Branden, Vandercam, Verheyen, Vigo, Volpini, Yan

JENNIFER KING: MICHAEL ASHER - THE MIT PRESS 2016




JENNIFER KING
MICHAEL ASHER
The MIT Press (January 29, 2016)
Series: October Files

During a career that spanned more than forty years, from the late 1960s until his death in 2012, Michael Asher created site-specific installations and institutional interventions that examined the conditions of art's production, display, and reception. At the Art Institute of Chicago, for example, he famously relocated a bronze replica of an eighteenth-century sculpture of George Washington from the museum's entrance to an interior gallery, thereby highlighting the disjunction between the statue's symbolic function as a public monument and its aesthetic origins as an artwork. Today, Asher is celebrated as one of the forerunners of institutional critique. Yet because of Asher's situation-based method of working, and his resistance to making objects that could circulate in the art market, few of his works survive in physical form. What does survive is writing by scholars and critics about his diverse practice. The essays in this volume document projects that range from Asher's environmental works and museum displacements to his research-based presentations and reflections on urban space.

Jennifer King is Associate Curator at the Los Angeles County Museum of Art.

Contributors: Michael Asher, Sandy Ballatore, Benjamin H. D. Buchloh, Jennifer King, Miwon Kwon, Barbara Munger, Stephan Pascher, Birgit Pelzer, Anne Rorimer, Allan Sekula

AMY R. BLOCH: LORENZO GHIBERTI'S GATES OF PARADISE - CAMBRIDGER UNIVERSITY PRESS 2016




AMY R. BLOCH
LORENZO GHIBERTI'S GATES OF PARADISE
Humanism, History, and Artistic Philosophy in the Italian Renaissance
Cambridge University Press (January 29, 2016)

This book examines the heretofore unsuspected complexity of Lorenzo Ghiberti's sculpted representations of Old Testament narratives in his Gates of Paradise (1425-1452), the second set of doors he made for the Florence Baptistery and a masterpiece of Italian Renaissance sculpture. One of the most intellectually engaged and well-read artists of his age, Ghiberti found inspiration in ancient and medieval texts, many of which he and his contacts in Florence's humanist community shared, read, and discussed. He was fascinated by the science of vision, by the functioning of nature, and, above all, by the origins and history of art. These unusually well-defined intellectual interests, reflected in his famous Commentaries, shaped his approach in the Gates. Through the selection, imaginative interpretation, and arrangement of biblical episodes, Ghiberti fashioned multi-textured narratives that explore the human condition and express his ideas on a range of social, political, artistic, and philosophical issues.

Amy R. Bloch is Associate Professor of Art History at the University at Albany, State University of New York. Her research focuses on Italian Renaissance sculpture, and she has published articles and essays on Ghiberti, Donatello, Michelangelo, and on the art and ritual of baptism in Florence. Her work has been supported by fellowships and grants from the Villa I Tatti (the Harvard University Center for Italian Renaissance Studies), the Renaissance Society of America, and the College Art Association.

ENZO FERREA: ... MA SOLO UNA GALLINA LO ASCOLTA - SATURA, GENOVA




ENZO FERREA
... MA SOLO UNA GALLINA LO ASCOLTA
Satura
Piazza Stella 5 - Genova
30/1/2016 - 17/2/2016

Si inaugura sabato 30 gennaio 2016 alle ore 17:00 nelle sale di Palazzo Stella a Genova, la mostra “… Ma solo una gallina lo ascolta” di Enzo Ferrea a cura di Sandro Ricaldone.
La mostra resterà aperta fino al 17 febbraio 2016 con orario 15:00 – 19:00 dal martedì al sabato.

La camera delle apparizioni
Si debbono salire cento e cento gradini, di quell’ardesia scura, scavata dai passi, di cui sono fatte le scale degli antichi palazzi, per approdare alla Camera delle Apparizioni. È in tutto simile, questa camera incantata, a quella stanza che Giorgio De Chirico pigliava ad esempio per descrivere quel meccanismo del pensiero che svela l’aspetto metafisico delle cose. “Vedo un uomo seduto sopra una seggiola, sul muro scorgo dei quadri, in una biblioteca dei libri …” ma non mi è necessario che la collana dei ricordi, per cause inspiegabili, si spezzi per entrare nello stato di stupore, di sgomento misto a dolcezza che la sospensione della logica riesce a determinare. Mi è sufficiente, in questa casa alta sul porto, fermare lo sguardo sui quadri alle pareti per trovare un varco che, senza del tutto sottrarmi alla realtà dell’ambiente e degli oggetti, mi introduce - dentro e persino al di là di essi - nell’idea che qualcosa di imponderabile è accaduto e traspare serenamente dalla superficie pittorica.
L’uomo che si scorge seduto in questa stanza, che ora viene trasferita, senza perdere nulla della sua identità enigmatica, nella grande sala di Satura nel Palazzo di Piazza Stella è un signore dalle personalità molteplici, che si diramano fra le arti drammatiche, coltivate in gioventù, e gli scenari inquietanti del romanzo noir, che lo ha visto emergere con il premio Tedeschi ottenuto nel 1981. Sinora rimasto nascosto, consegnato alle mura domestiche, il suo segreto raccolto entra nel mondo per sorprendere con la sua antica novità, attraverso immagini che – come scriveva Carrà – “esistono quando l’anima si inarca e le cose non sono più delle cose” e con una scarica magnetica viene a crearsi “una rete di luce su di esse” .
Lo stupore che proviamo di fronte a questi infanti radiosi e alle insolite, floride fanciulle fasciate in vesti di colore acceso, è ciò che ci permette di riconoscere che, paradossalmente, le cose non sono (soltanto) quello che sono o quel che si può credere che siano . È – ancora - ciò che ci consente di distinguere le figure, le forme, dalla loro natura profonda di apparizioni e di permetterci d’intuire quest’ultima nella sua ampiezza; che ci dà modo, insomma, di oltrepassare la barriera del visibile per accedere ad una quieta, ma intensa, visione.
Non risiede nell’immediatezza e nella veemenza espressiva la carta di cui si vale Ferrea nel suo operare; l’artista si affida invece alla misura dell’esattezza e della grazia, a quel “potere prezioso” che per l’Eupalino di Valery risiede nell’unione “di un’analisi a un’estasi” .
Non per caso, i personaggi che primariamente animano i suoi dipinti sono bambini, dai cui profili traluce una sorta di gloriosa innocenza, o adulti che mantengono i tratti del tempo giovanile: appropriatamente poiché “il vero prodigio è lo stato d’infanzia”

venerdì 29 gennaio 2016

EDOARDO BIZZARRO: IN UN MODO O NELL'ALTRO SARÒ SEMPRE NELLA VITA - ENTR'ACTE, GENOVA



EDOARDO BIZZARRO
IN UN MODO O NELL'ALTRO SARÒ SEMPRE NELLA VITA
Entr'acte
via sant'Agnese 19R – Genova
29 gennaio – 12 febbraio 2016

Venerdì 29 gennaio alle ore 17 e 30 si inaugura nello spazio Entr’acte la mostra personale di Edoardo Bizzarro “In un modo o nell’altro sarò sempre nella vita”.
Pittore e scrittore outsider, Bizzarro, che negli anni novanta aveva collaborato con Claudio Costa nell’ambito dell’Istituto per le materie e le forme inconsapevoli, propone in questa occasione una serie dei suoi disegni affiancati da una scelta di testi, tra l’aforistico e il poetico, che dialogano con le figure di un bestiario al tempo stesso onirico e decorativo.
Da questo incontro/scontro emerge un originale immaginario in cui convivono levità e profonde inquietudini.

Così l’artista parla del suo lavoro: “Sono una piccola mente con dentro un grande spazio. Sono una persona semplice contenta di quello che vede dentro di sé. Con questi disegni e queste frasi mi piacerebbe dare agli altri pezzi di me. Più di questo non saprei dire, perché il dire richiede un luogo speciale, un incontro. Un silenzio”.

Come ha scritto la psicologa Daniela Morando che conosce e segue il 64enne Bizzarro fin da quando, trentenne, ”era attraversato da una grande sofferenza, che si manifestava nella forma comunemente chiamata delirio”.“Il silenzio era pesante e faticoso” racconta Morando “rappresentazione corposa di ciò che Edoardo chiamava ‘un cervello pietrificato’”. Poi lentamente, quasi miracolosamente, Bizzarro comincia a far emergere, da quel silenzio, pensieri e immagini “Edoardo teneva veri e propri discorsi” - spiega ancora Morando - “che richiamavano alla mia memoria quelli ascoltati da maestri spiritualmente molto evoluti, riecheggiando misteriosamente testi sapienziali. Il mio rispetto si mescolava allo stupore di veder germinare quella conoscenza dall’interno, da un terreno non coltivato, senza ombra di mediazione culturale. Una conferma del detto gnostico panta eiso ‘tutto è dentro’ ”.


mercoledì 27 gennaio 2016

ERWIN WURM: ONE MINUTE SCULPTURES - MAK AT SCHINDLER HOUSE, WEST HOLLYWOOD




ERWIN WURM
ONE MINUTE SCULPTURES
MAK Center for Art and Architecture
at the Schindler House
835 North Kings Road - West Hollywood
28/1/2016 - 27/3/2016

Austrian artist Erwin Wurm’s One Minute Sculptures have influenced a generation of sculptors, though this body of work has never been shown at a major institution in Los Angeles. These inclusive and interactive works act simultaneously as off-the-cuff quips and radical reconsiderations of the major questions key to both sculpture and art viewing: how figures relate to their ground, how one inhabits space, and how simple acts of re-framing can alter perceptions. 
For his exhibition at the Schindler House, Wurm will source props ranging from banal to blatantly comedic, and then produce a set of instructions for visitors to perform the various sculptures for sixty seconds at a time, consisting of balancing acts, mild contortions, and altered uses of everyday physical objects. 
By soliciting visitors to complete the artworks themselves, Wurm invites them to ask questions about the differences between artwork and art work, the activity of art alongside the display object. Generally first encountered as a written description of a suggestive drawing, the sculpture instructions at the Schindler House will leave the completion of the idea up to the willingness of visitors. The transitory and ephemeral nature of the project cannot be overstated—at core the works are an exercise in the effects of context and perception—and visitors are activated as artists themselves to point out how those exercises resonate within the Schindler House. 

Erwin Wurm’s practice has been celebrated and exhibited internationally. His work has most recently been shown in solo shows at the Indianapolis Museum of Art; Städel Museum, Frankfurt/Main; Stiftung Wilhelm Lehmbruck Museum, Duisburg, Germany; Lehmann Maupin Gallery, New York; Anna Schwartz Gallery, Sydney; Galleri Bo Bjerggaard, Copenhagen; Dom Umenia / Kunsthalle Bratislava, Bratislava, Slovakia; Halle Verrière, Meisenthal, Lorraine, France; Büro Weltausstellung, Vienna; and Greith-Haus, St. Ulrich im Greith, Austria. He has work in permanent collections around the world, including the Walker Art Center, Minneapolis; Solomon R. Guggenheim Museum, New York; Centre Pompidou, Paris; Musée d’Art Contemporain de Lyon; Städel Museum, Frankfurt/Main; Museum Ludwig, Cologne; mumok–museum moderner kunst stiftung Ludwig wein; MAK–Austrian Museum of Applied Arts / Contemporary Art, Vienna; and Centro de Arte Contemporáneo, Málaga, Spain. 

Image: Erwin Wurm, One Minute Sculpture, 1997. C-print, 45 x 30 cm. Courtesy the artist and Lehmann Maupin, New York and Hong Kong. © Erwin Wurm


MKAYEL OHANJANYAN: DURK - UNIVERSITÀ STATALE DI MILANO




MKAYEL OHANJANYAN
DURK
Università Statale di Milano
via Festa del Perdono 7 - Milano
28/1/2016 - 19/3/2016

Dal 28 gennaio al 19 marzo si potranno ammirare nel Cortile grande e nel Loggiato superiore di via Festa del Perdono le opere che Mikayel Ohanjanyan espone per "Durk", la sua prima personale milanese.

Leone d'Oro con il Padiglione Armeno alla 56. Biennale di Venezia, Ohanjanyan inaugura "La Statale arte", progetto che propone la scena degli spazi seicenteschi realizzati dal Richini come luogo di scultura a cielo aperto.
Sarà la conferenza stampa ufficiale di lancio - in programma per il 28 gennaio – a raccontare in dettaglio il progetto "La Statale arte", che prevede l'allestimento di mostre personali di scultori sia italiani che internazionali, e la realizzazione di opere site specific.
Nel sito dedicato all’iniziativa (http://www.lastatalearte.unimi.it/) saranno presto disponibili tutte le informazionisull'opera, sull'artista e sulla possibilità di partecipare a visite guidate.
Con "La Statale arte" l’Ateneo conferma la sua vocazione a essere un luogo pubblico aperto alla città, uno spazio dialogico attivo per la riflessione sulla contemporaneità.

SAMUEL DUTHUIT: ALAIN JOUFFROY PASSE SANS PORTE - LES ÉDITIONS DU LITTÉRAIRE 2015




SAMUEL DUTHUIT
ALAIN JOUFFROY PASSE SANS PORTE
Les éditions du Littéraire (1 décembre 2015)
Collection: La bibliothèque d'Alexandrie

Le nom d’Alain Jouffroy n’encombre les bavardages des contemporains : faut-il y voir la rançon méritée d’une vie passée à se déprendre de toutes les servitudes volontaires ? Sans doute. Ses livres sont pourtant de ceux dont l’époque aurait le plus grand besoin si elle était capable de se regarder de temps en temps en face et de faire l’épreuve de sa folie.
Il serait présomptueux de prétendre donner ici une lecture complète de son œuvre écrite, riche de plus d'une centaine d'ouvrages qui vont de la poésie à l'essai en passant par le roman, la nouvelle, la critique d'art et la critique littéraire. Alain Jouffroy est cependant d'abord poète et c'est en poète qu'il traverse et détourne formes et figures imposées pour ouvrir, par la poésie, l'être et son langage à l'aventure qui commence avec elle et que rien ne peut enfermer dans une définition.
Ce livre est une introduction à son univers dont le caractère premier est sans doute de se montrer rétif à tout enfermement dans les cadres habituels des genres littéraires, et de tenter de cerner le ou les moteurs essentiels de cette traversée ininterrompue des signes et de la vie, de cette liberté en acte que devient toute poésie véritablement pratiquée.
Si le lecteur sortait ne serait-ce qu’un peu moins fou du livre qu’il tient dans ses mains, le pari serait gagné. Dans un de ses derniers ouvrages, un écrivain de ses amis écrivait ces lignes qui dessinent, sans pourtant le viser sans doute, la trajectoire inachevée et inachevable d’un poète véritable dans cette basse époque sans souveraineté :
« Il y a des noms gênants qu’il vaut mieux oublier ou qui, si on les mentionnait, prendraient trop de place. Tiens, une absence flagrante : un coup de gomme a été donné. Ce blanc attire l’attention du spécialiste en contre-folie, qui n’a aucun mal à en déchiffrer une trace fantomatique, puisqu’il sait lire entre les lignes et plus loin que les lignes. En principe, compte tenu du sujet traité, ce nom devrait être là. Avec un peu d’attention, on remarque sa disparition. Il n’avait pas bonne réputation, c’est entendu, mais enfin il a été un acteur incontournable du secteur. Il n’était donc pas fou du tout ? C’est probable». (Sollers, Medium, p.111)

GILBERT DURAND: DE L'ENRACINEMENT AU RAYONNEMENT - UNIVERSITÉ DE SAVOIE MONT BLANC 2016




GILBERT DURAND
DE L'ENRACINEMENT AU RAYONNEMENT
sous la direction de Pascal Bouvier et Arlette Chemain-Degrange
Université Savoie Mont Blanc (1 janvier 2016)
collection "Écriture et représentation"

L’œuvre de Gilbert Durand a marqué une génération de chercheurs et d’universitaires. Si elle a cette importance c’est sans aucun doute parce qu’elle a été bâtie par une personnalité hors du commun. Gilbert Durand est d’abord un homme courageux tant par ses engagements dans la résistance que par son audace conceptuelle dans le domaine des sciences de l’homme.
Alors que pour beaucoup tout semblait perdu, il prend le risque de dire non à l’occupation nazie en citant Joseph de Maistre pour lequel « le plus dur est de voir son pays occupé par une armée étrangère ». Cet héroïsme modeste du jeune homme qui affronte les plus grandes difficultés avec une insouciance est fort bien rendu dans le témoignage émouvant que nous publions et qui ouvre ce volume. «Savoir dire non» montre que la culture et le monde ne tenaient debout, en ces temps sombres, que grâce à la volonté de quelques-uns.
Dans le vaste domaine de la philosophie et des sciences humaines les risques étaient certes moindres. Mais l’audace n’en existait pas moins. Alors que triomphait une certaine phénoménologie sartrienne, alors que d’autres annonçaient la mort de l’homme, Gilbert Durand sans crainte, proposait une nouvelle définition du symbole (le symbole comme épiphanie d’un sens), montrait que schèmes et mythes s’organisaient de façon systématique et élaborait une fantastique transcendantale. Avec calme et détermination une œuvre se construisait hors des modes et hors d’une médiatisation qui marquaient la vie intellectuelle des années 70.

PAOLO VANOLI: PITTURA LOMBARDA E PITTURA GENOVESE - PALAZZO LOMELLINO, GENOVA 28/1/2016




PAOLO VANOLI
PITTURA LOMBARDA E PITTURA GENOVESE
Scambi e relazioni nel Seicento
Palazzo Lomellino
via Garibaldi 7 - Genova
giovedì 28 gennaio 2016. ore 17,30

Giovedì 28 gennaio 2016, alle ore 17.30 a Palazzo Lomellino – via Garibaldi 7 - l’Associazione Palazzo Lomellino di Strada Nuova Onlus propone la conferenza Pittura lombarda e pittura genovese: scambi e relazioni nel Seicento: lo storico dell’arte Paolo Vanoli racconterà i profondi e proficui rapporti figurativi e pittorici che legarono la scuola lombarda e quella genovese.
L’incontro si inserisce all’interno delle attività organizzate intorno alla mostra Luciano Borzone. Pittore vivacissimo della Genova di primo Seicento ed è la prima di tre Conversazioni, in programma a Palazzo Lomellino tra gennaio e febbraio, dedicate all’approfondimento del contesto pittorico e della poetica figurativa del primo Seicento genovese, con particolare attenzione per quegli artisti e quei linguaggi che si rivelarono fondamentali per l’esperienza di Luciano Borzone.
La conferenza sarà preceduta da una visita guidata condotta da Anna Manzitti, curatrice della mostra, con partenza alle ore 16.00, e aperta, su prenotazione, a tutti gli interessati.
La conferenza è a ingresso libero e dà diritto all’acquisto di un biglietto ridotto della mostra.
La mostra, ospitata a Palazzo Lomellino fino al 28 gennaio 2016, dà conto del valore pittorico delle opere di Luciano Borzone a cui, per la prima volta, è dedicata una specifica occasione monografica. I venti dipinti esposti, quasi tutti provenienti da collezioni private, permetteranno di conoscere molto del suo animo e di immaginare facilmente le sue passioni, riversate poi, nelle sue invenzioni pittoriche.
Il costo del biglietto intero è di 7 Euro.
Il biglietto ridotto per chi partecipa alla conferenza è di 5 Euro.

Per informazioni e prenotazioni: 393 8246228, lomellino@studiobc.it.
Immagine: Quadri di Luciano Borzone in mostra a Palazzo Lomellino (© Andrea Carozzi).
  

martedì 26 gennaio 2016

BIG BANG DATA - SOMERSET HOUSE, LONDON




BIG BANG DATA
curated by Olga Subirós and José Luis de Vicente
Somerset House
Strand - London
3/12/2015 - 20/3/2016

In December 2015, Somerset House presents Big Bang Data, a major landmark exhibition about the big data explosion of the 21st century, which is radically transforming our lives.
The exhibition features specially commissioned and rarely seen pieces from a variety of international new media artists, including Ryoji Ikeda, James Bridle and Eva and Franco Mattes, all of which draw upon data to explore this most important issue of our time.
The works follow the origins of data, reveal its industrial infrastructure, visualise hotlydiscussed data sets, from migration patterns and artificial intelligence to the global population of cats and trends in selfies, and consider the advantages and dangers of data in our modernday society. The artists have sourced sets of data not only from research centres, but also the public – possibly even visitors to the exhibition – themselves.
Today the world contains an unimaginably vast amount of data which is getting ever bigger, ever more quickly. We are all endlessly producing and releasing data, whether passively as our daily lives are recorded by cameras, telephone calls and card payments, or by actively engaging in social media and searching the internet. As a result, data stories are increasingly at the forefront of the global news agenda, from WikiLeaks founder Julian Assange and whistleblower Edward Snowden to the recent celebrity iCloud and Ashley Madison hacking scandals.
Data is now engrained in 21st century culture, yet the ways that data is organised, used and interpreted are still often unfathomable or almost invisible to the general public, and the issues raised by data for individuals, businesses and governments alike are conflicting and complex to comprehend.
Big Bang Data discloses the hidden truths of the data deluge through an interesting and varied collection of artworks and projects.

Exhibition overview

London Wall (WC2)
As visitors arrive at the exhibition, they will be faced with Thomson & Craighead’s London Wall (WC2). Specially commissioned for Big Bang Data, the London-based artists have intercepted publicly-available tweets and status updates posted within a one mile radius of Somerset House and re-published them as posters. Visitors could unwittingly find their own social media musings on the gallery walls.

The Weight of the Cloud
The introductory section of the exhibition uncovers the concept of the cloud and shows how our digital information still has a very physical presence somewhere in the world. The cloud is a network of servers, operated from industrial-scale data centres and connected by a series of submarine cables, onto which users store and access data, such as Instagram or Dropbox.
Works include Timo Arnall’s immersive film Internet Machine, which takes viewers inside the closely-guarded infrastructure of data storage centres; the TeleGeography map redesigned by Morag Myerscough, detailing the world’s submarine cable systems and their landing stations (the UK has more than double of any other European country), and examples of the submarine communications cables used by one of the world’s largest telecommunications companies Telefónica, dating from 1896 to the present day.

Data Universe
The next section studies the history of data and highlights the landmarks of the ‘big bang’ of data. In 2002, digital technology surpassed demand for analogue systems, and within one year in 2009, we produced the same quantity of data as in the entire history of humanity up to that point. By 2012, it was estimated that 2.5 quintillion bytes of data is created every day. The evolution of data storage devices, from punch cards and floppy disks to CD-Rs and USBs, will be showcased.
Data Universe will also introduce the discipline of data visualisation. With the ‘big bang’ of big data, the use of data visualisation – visual representations of these large and complex sets of data to communicate the information more effectively – has become increasingly important. Early experiments made during the big data breakout will be exhibited, including Lisa Jevbratt’s 1:1, one of the first known visualisations of the World Wide Web from 1999.

We Are Data
Despite the streams of news stories about data privacy and security, many still leave a digital footprint which is publicly and easily traceable. In this section, a number of artists shine a spotlight on the dark side of data by accessing the public’s personal photographs and appropriating them in their works.
In I Know Where Your Cat Lives, Owen Mundy maps the locations of cats across the world, based on metadata embedded into publicly-available photographs tagged with the word ‘cat’. If the image-makers increase their privacy settings, the pictures of their furry feline friends will be removed.
Specially created for Somerset House, selfiecity London analyses the style of selfies. Moritz Stefaner, Lev Manovich and their team of art historians, designers and data scientists have assembled thousands of Instagram selfies taken in London and turned them into rich interactive media visualisations. Visitors can discover interesting patterns in the London snaps and compare them to other global cities, such as New York, Berlin and Bangkok.
Other artists have chosen to create visualisation works around their own personal data, such as Stefanie Posavec and Giorgia Lupi in Dear Data. Each week over one year, London-based Posavec and New York-based Lupi collected and measured data about their lives, from tracking the number of times they had a negative thought to how often they laughed or caused a chuckle. They then illustrated the findings onto postcards and sent them to one another.

London Situation Room
One of the exhibition highlights will be the London Situation Room. London is considered to be the most closely-watched city in the world and real-time data collected from the capital will be screened with visitors contributing and affecting change to the data displays in the lair-style studio.
Collaborating with Future Cities Catapult and Tekja, the new interactive works will transform numbers into narratives: the data generated and gathered around the city will tell the stories of Londoners and their daily lives both today and in the future.
For the here and now, Tekja will visualise the pulse and frequency of live data streams from Twitter, Instagram and TfL to show what everyday Londoners are feeling, seeing and how they are moving around the capital. Future Cities Catapult’s innovative, interactive exhibit will envisage London in 2035 and demonstrate how data can help to plan for the future. Based on real data about London, it introduces visitors to the world of data modelling, allowing them create their own city simulations as they tackle the big decisions about London’s future.

Data for the Common Good
While Big Bang Data lifts the lid on practices employed by the political and business sphere and delves into data security and privacy, it also champions the creative possibilities of data and shows how citizens, communities and institutions are shaping the future form of our data society for the common good. Though some argue data is the ammunition for an industry of mass surveillance, there is also a very strong case that it is a democratic tool for efficacy and transparency and an invaluable instrument for knowledge, which is made in this section.
Works will centre around data journalism, citizen empowerment and collective intelligence through the ages, including original copies of the ground-breaking data visualisations by Florence Nightingale and Jon Snow, both of which changed the course of healthcare history.
We Need Us by artist Julie Freeman is a real-time, animated work powered by people using Zooniverse – the largest crowd-sourcing citizen science website in the world. Exploring both ‘life data’ and the life of data, We Need Us takes Zooniverse current projects, from NASA’s mission to spot stars in the early stages of forming planetary systems to Cancer Research’s call to target cancer cells from microscopic slides, and transforms the labour behind the live research into art. Each time a volunteer helps to classify data, the shapes and sounds of the work change in accordance to the trail of metadata they produce, reminding visitors of the humanity in technology – data needs us, as much as we need it. The work was originally commissioned by the Open Data Institute and The Space.

Black Shoals: Dark Matter
Occupying the double height space of the gallery, Joshua Portway and Lise Autogena’s Black Shoals: Dark Matter is a planetarium that is also a live representation of the world’s stock markets, with each star representing a traded company. Fed by massive streams of live financial information, the stars in the planetarium slowly move across the sky, forming constellations, galaxies or even black holes in response to the movements on the markets, for another of the show’s spectacular data visualisation works.

What Data Can’t Tell
The exhibition will end with works to reflect that society’s issues cannot simply be resolved through strict data analysis alone. Subjects such as education, healthcare or war will inevitably illicit emotional and moral arguments as well as data-applied logic.
Jonathan Harris’ manifesto Data Will Help Us questions if the world’s decision-makers have abandoned timeless tools like wisdom, morality and personal experience for something which simply says “show me the data”, and whether this is really the best way forward.

The Data Store
The Data Store brings together products that draw on data with the aim of enhancing of our everyday lives. Items include personal fitness wearables, DNA testing kits and even a Prayer Companion – a device that delivers the latest news to cloistered nuns to suggest possible prayers – some of which are available to buy in the exhibition.

Glasgow-based artist Ellie Harrison’s Vending Machine will also dispense snacks in The Data Store when search terms relating to the recession make the headlines on the BBC News RSS feed, which visitors will be free to take.

Image: World Processor, Ingo Günther 1989-2012.

FRANCO GRIGNANI - 10 A.M. ART, MILANO




FRANCO GRIGNANI
10 A.M. Art
Via A.G. Barrili 31 - Milano
23/1/2014 - 3/54/2014

10 A.M. ART dedica una retrospettiva a Franco Grignani, genio indiscusso, innovativo, e assoluto precursore dell’arte ottico-visiva.
“Il rigore dell’ambiguità”, titolo della mostra, esprime i fondamenti della ricerca dell’artista atta a trovare dei valori costanti per l’individuazione di un metodo operativo critico, attraverso l’uso di matematiche alterate.
Grignani dice in una sua intervista “ciò che mi fa paura è l’ovvio, la banalità, il già fatto, il non senso”.
Indirizza, perciò, la sua vita alla continua analisi della visione e alla sperimentazione di materiali scientifici strumentalizzati per strutturare la forma ed ottenere, come scrive Dorfles, “un tipo di comunicazione intersoggettiva di elementi altamente espressivi; diciamo pure: drammaticamente espressivi”.
Le opere esposte ricostruiscono il percorso artistico di Franco Grignani; dagli sperimentali di subpercezione ai vetri industriali, dai moirè alle vibrazioni, dalle permutazioni ai radiali, dagli operativi numerici alle diacroniche, per poi continuare con le periodiche, le dissociazioni, le psicoplastiche, le psicostrutture, le isoplastiche, le diagonali nascoste e, infine, le strutture iperboliche.
La mostra è accompagnata da un libro monografico bilingue italiano ed inglese a cura di Marco Meneguzzo, edito da 10 A.M. ART, con testi esclusivi di Marco Meneguzzo e Bruno D’Amore e una significativa selezione di lavori dell’artista curata da Manuela Grignani.

OMAR KHOLEIF: ELECTRONIC SUPERHIGHWAY - WHITECHAPEL GALLERY 2016




OMAR KHOLEIF
ELECTRONIC SUPERHIGHWAY
Whitechapel Gallery (January 27, 2016)

Beginning with US artists Robert Rauschenberg and Robert Whitman's 1966 Experiments in Art and Technology (E.A.T.) with Bell Laboratories engineers (followed the first network experiment linking two computers in 1965), and including new and rarely seen multimedia works, film, painting, sculpture, photography and drawings by over 30 artists such as Cory Arcangel, Roy Ascott, Jeremy Bailey, Judith Barry, James Bridle, Constant Dullaart, Lynn Hershman Leeson, Oliver Laric, Vera Molnar, Trevor Paglen, Nam June Paik, Ryan Trecartin and Ulla Wiggen, this timely publication tells the story of an interconnected global visual culture marked by mass social and political change. Fully illustrated in colour, the book will include essays by curator Omar Kholeif, Ed Halter (Director at Light Industry, New York) and Erika Balsom (Senior Lecturer at Kings College London); conversations between pioneering video artist Judith Barry and Sarah Perks (Artistic Director: Visual Art at HOME, Manchester), and between musician and media artist Dragan Espenschied and Heather Corcoran (Executive Director of Rhizome); and newly commissioned artist interviews with Ulla Wiggen and Jonas Lund by Seamus McCormack (Assistant Curator, Whitechapel). The catalogue will also feature a sequence of artist interventions from Douglas Coupland.
  

FLANNERY BURKE: FROM GREENWICH VILLAGE TO TAOS - UNIVERSITY PRESS OF KANSAS 2016




FLANNERY BURKE
FROM GREENWICH VILLAGE TO TAOS
Primitivism and Place at Mabel Dodge Luhan's
University Press of Kansas (January 22, 2016)

They all came to Taos: Georgia O'Keefe, D. H. Lawrence, Carl Van Vechten, and other expatriates of New York City. Fleeing urban ugliness, they moved west between 1917 and 1929 to join the community that art patron Mabel Dodge created in her Taos salon and to draw inspiration from New Mexico's mountain desert and "primitive" peoples. As they settled, their quest for the primitive forged a link between "authentic" places and those who called them home.
In this first book to consider Dodge and her visitors from a New Mexican perspective, Flannery Burke shows how these cultural mavens drew on modernist concepts of primitivism to construct their personal visions and cultural agendas. In each chapter she presents a place as it took shape for a different individual within Dodge's orbit. From this kaleidoscope of places emerges a vision of what place meant to modernist artists—as well as a narrative of what happened in the real place of New Mexico when visitors decided it was where they belonged. Expanding the picture of early American modernism beyond New York's dominance, she shows that these newcomers believed Taos was the place they had set out to find—and that when Taos failed to meet their expectations, they changed Taos.
Throughout, Burke examines the ways notions of primitivism unfolded as Dodge's salon attracted artists of varying ethnicities and the ways that patronage was perceived-by African American writers seeking publication, Anglos seeking "authentic" material, Native American artists seeking patronage, or Nuevomexicanos simply seeking respect. She considers the notion of "competitive primitivism," especially regarding Carl Van Vechten, and offers nuanced analyses of divisions within northern New Mexico's arts communities over land issues and of the ways in which Pueblo Indians spoke on their own behalf.
Burke's book offers a portrait of a place as it took shape both aesthetically in the imaginations of Dodge's visitors and materially in the lives of everyday New Mexicans. It clearly shows that no people or places stand outside the modern world—and that when we pretend otherwise, those people and places inevitably suffer. 

FRANCESCO CENTO: GLI AQUILONI DI POSILLIPO - MUSEO DEL RISORGIMENTO, GENOVA 27/1/2015




FRANCESCO CENTO
GLI AQUILONI DI POSILLIPO
Epopea quotidiana per musica presentazione del volume edito da Città del Sole
Museo del Risorgimento
via Lomellini 11 - Genova
mercoledì 27 gennaio 2016, ore 17,00

Mercoledì 27 gennaio 2016 alle ore 17.00, al Museo del Risorgimento, presentazione del volume Gli aquiloni di Posillipo di Francesco Cento.
Con Gli aquiloni di Posillipo, Francesco Cento offre ai lettori una raccolta di storie che portano alla luce aneddoti sconosciuti del mondo dell’opera italiana ottocentesca. Centrale, nei suoi racconti, è la figura del compositore Gaetano Donizetti, attorno al quale ruotano le vicende di una serie di personaggi: impresari, attori, cantanti e compositori. Filo conduttore di tutta la narrazione è Napoli – culla del teatro e del melodramma – e il suo gergo colorito che regala momenti di genuina comicità.
L’autore conduce il lettore dall’Ottocento al Novecento, mostrando il lento declino del mondo teatrale con la fine silenziosa di alcuni grandi compositori appartenenti alla scuola napoletana. E lo farà anche attraverso la figura di Francesco Cilea, che da bambino prodigio si troverà direttore del Conservatorio di Napoli.
Interverrà, insieme all’autore, Stefano Verdino.
  

lunedì 25 gennaio 2016

SOL LEWITT - CARDI GALLERY MILANO




SOL LEWITT
Cardi Gallery Milano
Corso di Porta Nuova 38 - Milano
26/1/2016 - 15/4/2016

La galleria Cardi di Milano è lieta di presentare Sol LeWitt. In mostra una selezione di 13 opere del maestro, dagli anni 60 agli anni 2000.
Sol LeWitt (Hartford 1928 – New York 2007) è uno dei massimi esponenti del movimento minimalista sorto negli Stati Uniti agli inizi degli anni ’60. Il lavoro dell’artista si sviluppa attraverso strutture mentali e strutture visuali concrete ed è caratterizzato da una costante ricerca che gli permette di collocarsi nell’ambito di un continuo rinnovamento rilevando la sua inequivocabile unicità. Nel suo lungo percorso artistico, Sol LeWitt è riuscito a trovare il giusto compromesso fra qualità percettiva e concettuale, fra la semplicità dell’ordine geometrico e la ricerca di bellezza e creazione intuitiva.
La prima parte della produzione artistica del maestro, risalente agli anni Sessanta, è Minimalista e incentrata sulla figura geometrica del cubo che l’artista ritiene, essere “mancante di aggressività, base per ogni funzione più complessa”, quindi modulo perfetto per sviluppare una trama infinita di possibilità e combinazioni. Nel 1967, dopo aver partecipato alla mostra tenuta al Jewish Museum di New York, stila il manifesto “Paragraphs on Conceptual Art” nel quale dichiara che il compito dell’artista è quello di formulare unicamente il progetto, mentre l’attuazione dell’opera è un’attività minore che può essere delegata ad altri. “Nell’arte concettuale l’idea o il concetto rappresentano l’aspetto più importante dell’opera.(…)Se l’artista porta avanti la sua idea e la trasforma in una forma visibile, allora tutti gli stadi del processo sono importanti. L’idea in sé, anche se non resa visibile, è un oggetto artistico quanto il prodotto finito. Tutti i passaggi che intervengono — scritti, schizzi, disegni, lavori errati, modelli, studi, pensieri, conversazioni — sono interessanti. Quelli che mostrano il processo del pensiero dell’artista sono a volte più interessanti del prodotto finale.” (Sol LeWitt, “Paragraphs on Conceptual Art” in Artforum, giugno 1967).
A partire dagli anni Settanta l’artista inizia a creare i Wall Drawings, muri dipinti costituiti da moduli geometrici disposti l’uno accanto all’altro a sviluppare un disegno progettuale capace di mutare o adattarsi in base alla struttura che li accoglie. Caratterizzano gli anni Ottanta e i decenni successivi, invece, le cosiddette Strutture Modulari e Forme Complesse, che dimostrano lo stretto legame che unisce il disegno e le forme tridimensionali e la loro natura di strumenti di misurazione dell’ambiente. In conclusione possiamo dire che il principio strutturale della produzione artistica di Sol LeWitt è l’ars combinatoria: cubi, cerchi, triangoli, piramidi, linee, o rettangoli e parallelogrammi vengono destrutturati, reiterati, modulati secondo proporzioni spaziali standardizzate e combinati in modo inedito. L’artista reinventa il processo artistico giocando sulla variabilità e l’intermittenza delle strutture geometriche che sottendono l’idea di spazio secondo il pensiero occidentale.

Sol LeWitt nasce nel 1928 ad Hartford (Connecticut, USA) da una famiglia di ebrei russi. Dopo le scuole superiori, nel 1949, si diploma in Arte alla Syracuse University. Nel 1953 si trasferisce a New York, dove frequenta una nota scuola per illustratori e in seguito lavora come grafico presso l’architetto cino-americano I.M. Pei.′Dopo essersi occupato per alcuni anni di editoria d’arte illustrata, inizia ad insegnare presso importanti scuole d’arte, diviene collaboratore al MoMa di New York e verso la fine degli anni Sessanta insegna alla New York University e alla School of Visual Arts.
I lavori di Sol LeWitt sono stati esposti presso i più prestigiosi musei, spazi pubblici e privati del mondo: al Museum of Modern Art di New York, alla Tate Gallery di Londra, alla Kunsthalle di Berna, allo Stedelijk Museum di Amsterdam, al Geementemuseum dell’Aja, alla Kunsthalle di Berna, presso l’Ateneo di Wadsworth (Hartford), al Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea di Torino, a Palazzo delle Esposizioni di Roma e presso Documenta 4 e Documenta 5, oltre che alla Biennale di Venezia e alla Rassegna Minimal Art I al Musèe d’Art Contemporain di Bordeaux.
Nel 2000 il San Francisco Museum of Modern Art gli dedica una delle più importanti e complete retrospettive, mostra itinerante ospitata in seguito al Museum of Contemporary Art di Chicago e al Whitney Museum of American Art di New York.

L'EPAIS RÉEL - LA CRIÉE, RENNES




L'EPAIS RÉEL
Commissariat: Ariane Michel et Sophie Kaplan
La Criée
Place Honoré Commeurec - Rennes
11/12/2015 - 21/2/2016

Bas Jan Ader, Dominique Blais, Katinka Bock, Simon Faithfull, Nicolas Floc'h, Ellie Ga, Giovanni Giaretta et Renato Leotta, Julius Koller, Helen Mirra, Abraham Poincheval, Thomas Salvador, Jessica Warboys, Guido van der Werve

Plonger ou ne pas plonger? Comment l'artiste entre en contact avec les choses, avec quelle énergie, quel courage? En quoi la volonté est-elle un moyen artistique et comment l'expérience est-elle porteuse de forme? Quelle est la place de l'épreuve, du danger? Bas Jan Ader est un point d'ancrage et d'inspiration de l'exposition. Artiste emblématique, disparu en mer dans l'accomplissement de son œuvre, sa manière de chercher une forme dans la confrontation de son corps avec la matérialité du monde trouve dans les œuvres présentées des échos différenciés.
Deux pôles aimantent les travaux présentés, qui mettent graduellement en question la présence de l'artiste. Le premier est constitué d'œuvres dans lesquelles l'artiste met directement son corps à l'épreuve des éléments. En dépit de leur paradoxale et apparente fluidité, les œuvres de Thomas Salvador et Guido Van der Werve relèvent d'un vrai défi, sinon d'un danger. Le film de Giovanni Giaretta et Renato Leotta joue de la disparition; ceux de Nicolas Floc'h et de Bas Jan Ader de la résistance. D'autres artistes, comme Abraham Poincheval ou Simon Faithfull, repoussent les frontières de l'impossible pour aller marcher au-dessus des nuages ou au fond des mers. Július Koller est un centre de gravité de l'exposition. Par ses anti-performances, il provoque des situations minimales. La photographie qui en résulte propose des énigmes irrésolues qui replacent le geste artistique et la présence de l'artiste à une sorte de point de départ.
Le second pôle est constitué d'œuvres-traces ou résultant d'un processus. On y trouve les sténopés d'Ellie Ga, qui a résidé sur un navire pris dans les glaces et la nuit polaire. Ceux-ci introduisent dans l'exposition un présent silencieux où les noirs donnent à voir l'épaisseur de l'air autour d'elle. Les empreintes d'Helen Mirra, artiste qui marche, attestent d'une relation cherchée avec le fil des heures. Les toiles maritimes et processuelles de Jessica Warboys éprouvent la picturalité de la mer. Le film de Katinka Bock sonde la densité de l'eau et questionne la disparition de l'objet. La pièce sonore de Dominique Blais, parti au Svalbard pour récolter des fréquences radio naturelles gomme en quelque sorte le souvenir de sa présence, passeur inaudible d'un au-delà en-deçà de notre écoute.
L'expérience du réel imprime ici, littéralement autant que métaphoriquement les artistes et les œuvres rapportées. C'est en tous ces endroits que l'exposition se pose: dans la fragilité d'une renverse, sur le fil d'une incertitude qui devient geste, là où le centre de gravité dérape et marque le réel, volontairement et pour faire sens.

Image: Helen Mirra, Hourly directional field recordings, Aquacheta, 5 May 2011, 2011. Courtesy de la galerie Nordenhake, Stockholm. Photo: Gerhard Kassner.