mercoledì 30 settembre 2015

STÉPHANE MOSÈS: APPROCHES DE PAUL CELAN - VERDIER 2015




STÉPHANE MOSÈS
APPROCHES DE PAUL CELAN
Édition établie et présentée par Jean-Yves Masson
Verdier (8 octobre 2015)
Collection sciences humaines

Universellement reconnue comme une œuvre majeure du xxe siècle, la poésie de Paul Celan est d’une redoutable difficulté. Les énigmes dont elle est peuplée font partie de la fascination qu’elle exerce sur les lecteurs, mais ont aussi suscité des interprétations éminemment contradictoires. Comment faut-il la lire ?
Le présent volume réunit l’ensemble des essais critiques que Stéphane Mosès a consacrés au fil du temps à l’œuvre de Celan, dont bon nombre sont des lectures minutieuses de quelques-uns de ses poèmes les plus importants. Mis bout à bout, ils suivent le poète de son premier recueil (Pavot et mémoire, 1952) jusqu’au dernier (Enclos du temps, posthume, 1976), et frappent par la cohérence de l’interprétation qu’ils dessinent. Pour Stéphane Mosès, la poésie de Celan est une réponse à une vision du monde où les concepts fondamentaux de Création, de Révélation et de Rédemption, hérités de la tradition juive, sont devenus inintelligibles sans pour autant s’effacer. Face à ce que Gershom Scholem a nommé « le néant de la Révélation », cette poésie n’est pas un processus conceptuel mais l’accomplissement, dans l’espace sensible des mots du poème, de « l’opération par laquelle le souffle se transforme en voix ».

UNE NOUVELLE PRATIQUE LITTÉRAIRE EN FRANCE: HISTOIRE DU GROUPE OULIPO - MELLEN PRESS 2014




UNE NOUVELLE PRATIQUE LITTÉRAIRE EN FRANCE / CREATING A NEW FRENCH LITERARY STYLE
Histoire du Groupe Oulipo de 1960 à nos jours / a History of the Oulipo Group of 1960
Edwin Mellen Pr (December 15, 2014)

The Oulipo's evolution towards the status of a literary group was gradual. Constraints were key to defining specific collaborative practices. They put language and literature into play. They are based on intertextuality and therefore on erudition. Oulipian literature is open to all forms of written expression, whether literary or not.

Cecile De Bary is Associate Professor in the Department of Literature, Arts and Cinema, at the Université Paris Diderot (Paris VII). She has published numerous articles on Oulipo, Georges Perce, Raymond Queneau and contemporary French literature. She is member of the editorial board of Cahiers Georges Perec.

START 2015 - GENOVA 1/10/2015




START 2015
16 Gallerie di Genova
giovedì 1 ottobre 2015, ore 18-24

Compie dieci anni START, l’appuntamento che dfal 2005 promuove e diffonde l’arte contemporanea a Genova.
Sedici le gallerie che dalle 18 alle 24 inaugureranno assieme la stagione artistica in un vernissage cittadino che animerà il centro della città. Pittura, scultura, installazioni e fotografia protagoniste di questo opening collettivo che da XI edizioni stimola e avvicina i genovesi all’arte. Visite guidate, una web app dedicata e la collaborazione con La Feltrinelli arricchiranno questa serata speciale.
Un excursus nell’arte contemporanea, che spazierà dall’astrattismo e la pittura immediata di Esonerare il mondo, la personale di Giorgio Griffa ospite di ABC-Arte, ai supereroi di Fabio Moro, rivisitati in maniera ironica e proposti da Arte Studio. Dalle immagini di Guido Ziveri, protagonisti il corpo e lo sguardo di Bruna Solinas, in mostra da Artrè Gallery, al neo pointillism di Hidden in plain sight la personale dell’artista sudafricano Gavin Rain in mostra da Cerruti Arte. Dalle sperimentazioni dei maestri dell’Arte Cinetica e Programmata, mostra di apertura della Galleria Guidi con opere di, tra gli altri, A. Biasi, J. Le Parc, B. Munari e V. Vasarely, a Trenteccetera, la personale di André Parodi che Ellequadro Documenti ha realizzato per festeggiare i suoi 80 anni.
Dalla collettiva Sculpt! a cura di Luca Beatrice, una ricognizione sulla scultura contemporanea dagli anni ’70 in poi, per Guidi&Schoen, con opere di Nunzio, A. Mondino, G. Piacentino, F. Viale e altri artisti, ai volti noti e alle icone vintage di Recycle, la personale di Salvatore Masciullo che animerà la Galleria Il Basilisco. Stampa al platino per le immagini di Timeless in mostra da Incantations, la personale di Takeshi Shikama dedicata al ciclo vitale della natura; pietre e alberi che guardano le stelle, strade che si perdono in un punto lontano, tetti sotto cieli senza nuvole nelle fotografie di Gianalberto Righetti in mostra alla Galleria Il Punto. Un viaggio nella storia dell’Arte Italiana del Novecento attraverso le opere dei suoi grandi maestri, tra cui Schifano, Rotella e Sironi, nella collettiva della Galleria d’Arte Merighi; sonorità e interazione per Habitat S44, un’installazione e, soprattutto, la personale di Angelo Petronella in mostra da Studio44.
L’immaginario, le fiabe e i non luoghi protagonisti di Niente di + Niente di - Oltre, la mostra di Luciana Lanzarotti e Guia Barbarossa per Le Tracce; colori diffusi, sfumature e luce soffusa per rievocare le Emozioni nei quadri di Renzo Crociara ospiti della Galleria San Lorenzo. Due le mostre della Galleria d’Arte il Vicolo: Il Novecento di Flavio Costantini, una personale lettura del nostro “secolo buio”, e Food Icons, una collettiva sul tema del cibo organizzata in occasione di Expo Milano 2015 per la sede milanese della galleria. Una collaborazione unica tra le giovani donne pigmee, il loro clan, un etnomusicologo e un fotografo, questo è I am walé respect me / Forever walé il reportage fotografico di Patrick Willocq per Visionquest Contemporary Photography.
Tra le novità di quest’anno si segnalano: la collaborazione con La Feltrinelli che sarà presente con un proprio corner nelle gallerie con una proposta di titoli in linea con le singole mostre; la web app GenovaStart2015, per organizzare il proprio tour tra le gallerie, realizzata da ETT S.p.A., azienda digitale e creativa genovese che offre soluzioni tecnologiche per valorizzare e divulgare il patrimonio culturale; i quattro punti ristoro– Cambi Cafè, Mentelocale Bistrò, Osteria del sole e N10 – che proporranno dei menù a tema. Come nella passata edizione sono previste le visite guidate gratuite organizzate dall’associazione culturale Luoghi d’Arte.
L’iniziativa, promossa dall’Associazione Start che raggruppa alcune delle più importanti gallerie d’arte genovesi, è diventata ormai un appuntamento fisso nell’agenda culturale genovese che coinvolge addetti ai lavori, appassionati e semplici curiosi.

martedì 29 settembre 2015

FIONA TAN: DEPOT - BALTIC CENTER, GATESHEAD




FIONA TAN
DEPOT
Baltic Center for Contemporary Art
Gateshead Quays, South Shore Road - Gateshead
10/7/2015 - 1/11/2015

BALTIC presents a survey exhibition and a major new commission by the Dutch artist and filmmaker Fiona Tan. Born in 1966 in Pekan Baru, Indonesia, Tan works within the contested territory of representation: how we represent ourselves and the mechanisms that determine how we interpret the representation of others.
Photography and film – made by herself, by others, or a combination of both – are her media; research, classification and the archive, her strategies. Her skilfully crafted and intensely human film and video installations explore history, time and our place within them.
The spectacular new commission DEPOT, made especially for our Level 4 gallery, re-imagines ‘Jonah the Giant Whale’, a preserved whale exhibited inside a lorry which toured across Europe from the 1950s to the mid-1970s. Tan will rebuild the 76-foot-long vehicle; however, it will now contain a cabinet of curiosities, inviting the viewer to climb aboard. Drawing on Newcastle’s forgotten history as a major whaling port, DEPOT is an exhibition within an exhibition, an immersive presentation that will also include a new film installation incorporating footage from the depots of natural history museums internationally.
The exhibition on Level 4 also includes Leviathan 2015, a new, monumental projection based on archival footage of the stripping of a whale. The title of the work makes reference to the sea monster Leviathan in the Old Testament. The word has since become synonymous with any large sea creature, in particular the whale. This can be seen three times each day at 12.00, 14.00 and 16.00.
The exhibition continues on Level 3 with two further significant film installations from Tan’s career. Disorient 2009 juxtaposes fantasy and the reality of the trade route between Venice and Asia, with a voiceover comprised solely of evocative quotes from Marco Polo’s 700-year-old book The Travels. Inventory 2012 was filmed at Sir John Soane’s Museum in London and presents intimate details of the celebrated architect’s personal collection, which is housed in one of the most extraordinary public museums in the world. A contemplative visual essay, Inventory explores Tan’s preoccupation with time, memory and place, and is as much a meditation on the human impulse to collect as a reflection on Tan’s artistic practice to date.
DEPOT is supported by Sfumato Foundation in association with the Art Fund, the Mondriaan Fund and the Embassy of the Netherlands and will result in a significant commission legacy in the form of a new acquisition of work by Fiona Tan into the collection of the Laing Art Gallery, Newcastle

Image: installation view, BALTIC Centre for Contemporary Art 2015. Photo: Jonty Wilde

ALFREDO PIRRI: ALL'ORIZZONTE - EDUARDO SECCI CONTEMPORARY, FIRENZE




ALFREDO PIRRI
ALL'ORIZZONTE
Eduardo Secci Contemporary
via Fra' Giovanni Angelico 5r - Firenze
24/9/2015 - 15/1/2016

La Galleria Eduardo Secci Contemporary è lieta di annunciare la nuova personale di Alfredo Pirri, secondo appuntamento del progetto All’Orizzonte.
La mostra, che aprirà il 24 settembre negli spazi di Via Maggio 51R, segue l’esposizione tenutasi nella nostra sede di Pietrasanta e precede la personale alla galleria Il Ponte del 15 Gennaio 2016, che chiuderà il ciclo espositivo. In questa occasione verrà presentato il catalogo che documenterà le diverse fasi del progetto.
A partire dall’11 settembre inoltre, grazie anche al contributo delle gallerie Eduardo Secci Contemporary e Il Ponte, sarà visitabile in città la grande installazione Passi Museo Nove- cento 2015, realizzata dall’artista - in collaborazione col musicista Alvin Curran - apposita- mente per il cortile del Museo Novecento in occasione del Festival “Firenze suona contemporanea”.
Nella sede fiorentina di Eduardo Secci, Alfredo Pirri presenta opere difformi per cronologia e dimensioni: accomunate dal costante interesse dell’artista per lo spazio di confine tra arte e architettura, dall’attenzione ai materiali, al colore, alla luce e alla sua rifrazione, il loro insieme “riconfigura” la galleria in un luogo onirico in continuo slittamento.
Apre la mostra l’installazione che dà il titolo al progetto, All’Orizzonte: sette grandi teche che raccolgono al loro interno stratificazioni di “cartone museale” lacerato e illuminato da forme circolari specchianti; la sua composizione, ulteriormente segnata dalla rifrazione luminosa delle vernici acriliche retrostanti, rievoca paesaggi sospesi, “campioni lunari” venati di cromatismo sfuggente.
Nella stanza successiva, due Arie accennano a una narrazione elusiva. Realizzate su un supporto di plexiglas colorato in pasta, su cui vengono applicate piume spolverate con pigmenti in polvere e, successivamente, dipinte sul retro con colore acrilico, il loro paziente processo di esecuzione genera “un fluire cromatico e materiale indistinto, come portato dal vento”.
Nella stessa sala, un’opera della recente serie Kindertotenlieder; poggiata su un piccolo tavolino, la lastra in cristallo, con i suoi fori cromatici e germinativi, crea un’ulteriore superficie astratta popolata da forme biomorfiche, possibili nascite che si contrappongono alla morte evocata dal titolo mahleriano.
Se la superficie viene assiduamente trattata da Pirri come elemento prettamente spaziale, i lavori tridimensionali hanno sempre una forte matrice pittorica, anche quando, come accade in Canto n.1. Progetto per un film - l’installazione esposta al piano inferiore della galleria - l’elemento di partenza è una pellicola cinematografica. Una teca trasparente racchiude il calco conico della pellicola originaria, con il vertice rivolto verso il basso. Illuminata da sotto, la sua forma si irradia e si sdoppia, divenendo “l’immagine di una proiezione luminosa nello spazio e anche di un’espansione all’infinito della sua matrice originale”.
La sensibilità pittorica dell’artista si sviluppa spesso in una creazione di architetture - reali o immaginifiche – dando vita a spazi accomunati da una continua dialettica tra fisicità e immaterialità, tra visione ed esperienza, tra raccoglimento e condivisione.′L’architettura, per Alfredo Pirri, è infatti da intendersi “come spazio, ma anche luogo di relazione archetipale”, votata da sempre a una funzione pubblica e, allo stesso tempo, tesa a favorire momenti di riflessione personale che concorrano ad alimentare il pensiero e ogni forma di attività creativa. 

Alfredo Pirri (Cosenza, 1957) è uno dei più noti artisti attivi a Roma. Pittore e scultore, ha esposto i suoi lavori in numerose mostre nazionali e internazionali, tra cui: Museo Novecento, Firenze (2015), Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma (2013), Palazzo Te, Mantova (2013) e Project Biennial D-0 ARK Underground Konjic in Bosnia Herzegovina (2013), dove la sua istallazione Passi è in esposizione permanente; Museo Archeologico Nazionale Reggio Calabria, con l’opera permanente Piazza (2011); Come in Terra così in Cielo, Centro Arti Visive Pescheria, Pesaro (2007); Un été italien, Mai- son Européenne de la Photographie, Parigi (2006); Biennale dell’Avana (2001); La Ville / Le Jardin / La Mémoire, Accademia di Francia a Roma -Villa Medici (2000); Minimalia, MoMa PS1, New York (1999); Korrespondenzen, Walter Gropius Bau, Berlino (1992); Biennale d’Arte di Venezia (1988). Recentemente ha lavorato con architetti quali: Nicola di Battista, ABDR, Efisio Pitzalis, Studio Labics, Studio PROAP Lisbona. Ha insegnato alla Bezalel Academy of Arts and Design di Gerusalemme, all’Università La Sapienza d Roma, all’Accademia di Belle Arti di Urbino, e attualmente insegna Pittura all’Accademia di Belle Arti di Palermo. 

FRANCESCO BENIGNO: LA MALA SETTA - EINAUDI 2015




FRANCESCO BENIGNO
LA MALA SETTA
Alle origini di mafia e camorra 1859-1878
Einaudi (1 settembre 2015)
Collana: Einaudi Storia

Questo libro si propone di affrontare in modo nuovo la questione del crimine organizzato italiano nella seconda metà del XIX secolo, utilizzando la categoria di «classi pericolose». Questa impostazione è diversa dalla prospettiva, comunemente adottata, che punta viceversa a studiare il crimine organizzato ottocentesco ex post, per cosí dire, «dall'oggi», e cioè a partire dalle forme e dalle strutture che la criminalità organizzata si è data durante il secondo dopoguerra. Vi è al fondo di questa prospettiva un residuo di un pregiudizio di stampo romantico, l'idea per cui vi siano dei soggetti separati, «i criminali», intesi come un popolo a parte, portatore di inequivocabili stigmate comportamentali e attitudinali che li rendono sempre uguali a sé stessi malgrado il tempo trascorso. L'adozione del modello delle «classi pericolose» consente invece di muoversi in direzione opposta, basandosi sulla concezione del crimine condivisa nell'Ottocento. Tutto ciò ha conseguenze importanti. Piuttosto che considerare, ad esempio, l'analisi della mafia delle origini come una sorta di premessa utile a sceverare le radici lunghe di pratiche criminali che daranno poi luogo nel XX secolo a «Cosa nostra», esso invita invece a immergersi nella confusione dei discorsi e delle pratiche di quell'epoca. Inoltre, una prospettiva del genere obbliga a riunire ciò che è stato artificialmente separato, vale a dire l'indagine sulla camorra a quella sulla mafia. Vi è infine il bisogno di uscire da una certa concezione ristretta della storia del crimine come storia sociale intesa alla vecchia maniera, reintroducendovi le urgenze della politica e le forme dell'immaginario collettivo. 
Lo sviluppo del crimine organizzato nei primi due decenni dell'Italia unita, e in particolare la crescente popolarità di mafia e camorra considerate alla stregua di sette segrete, è strettamente legato alla lotta dello Stato contro gli eversori, repubblicani prima e socialisti internazionalisti poi. In questo dirompente e innovativo libro, Francesco Benigno illustra il rapporto tra il neonato Stato italiano e la criminalità organizzata, avvalendosi di fonti d'epoca poliziesche e giudiziarie oltre che delle fonti giornalistiche coeve. Il risultato dell'indagine mostra come attorno al nodo dell'ordine pubblico la società italiana si divida e si ricomponga lungo linee di frattura che oppongono - a Nord come a Sud - svariate opzioni ideali e politiche e differenti concezioni della pubblica sicurezza. Il libro mostra anche la genesi di pratiche poliziesche di manipolazione, infiltrazione e diversione comuni in epoca liberale e che, attraverso il fascismo, sono poi transitate nell'Italia repubblicana.


RENE PFEILSCHIFTER: IL TARDOANTICO - EINAUDI 2015




RENE PFEILSCHIFTER
IL TARDOANTICO
Il Dio unico e i molti sovrani
Einaudi (29 settembre 2015)
Collana: Piccola biblioteca Einaudi. Mappe

Questo libro offre una ricostruzione d'insieme del periodo compreso tra il III e il VII secolo, dall'ascesa al trono di Diocleziano alla nascita dell'Islam. Si tratta di una delle epoche piú complesse e decisive per le sorti dell'Europa e del bacino del Mediterraneo, nel corso della quale avvengono fenomeni fondamentali, come la definitiva consacrazione della Chiesa romana in quanto istituzione avviata a dare il cambio, sul piano del governo delle popolazioni, allo stesso Impero romano, le grandi crisi politico-economiche, le invasioni barbariche con le loro devastanti conseguenze demografiche e sociali, l'affermazione del diritto dal codice teodosiano a quello di Giustiniano, la nascita dei regni romano-barbarici, preludio dell'età medievale. Epoca dunque di convulsioni, sconvolgimenti, trasformazioni e crisi, nel corso della quale, avvengono, o almeno cominciano a impiantarsi, fenomeni e processi religiosi, culturali, intellettuali, artistici ed economico sociali, che risulteranno decisivi per il mondo che verrà poi. L'autore non trascura infatti pagine solitamente collocate in secondo piano, come il tentativo di restaurazione del paganesimo in veste filosofica a opera di Giuliano l'Apostata, le varie risorgenze intermittenti dei culti orientali e il lavoro di sintesi svolto dalle correnti gnostiche, o la diffusione delle scuole filosofiche di matrice ellenistica in tutto il bacino del Mediterraneo, fino alla definitiva chiusura della scuola di Atene.
  

LORENZO PENCO: TELE E CARTE RECENTI - LOCANDA DEGLI ADORNO, GENOVA




LORENZO PENCO
Locanda degli Adorno
vico degli Adorno 50r - Genova
26/9/2015 - 30/11/2015

In mostra tele e carte recenti dell'artista, animatore dell'atelier di pittura di San Marcellino.

“I segni, le lettere, i frammenti, i campioni di materiali, organizzati, formano un universo” annotava Gastone Novelli in un testo (Pittura procedente da segni) pubblicato su Grammatica nel 1964. “Ogni universo – prosegue l’artista – è un possibile linguaggio e qui intendo “linguaggio magico” e non “linguaggio accademico” … il linguaggio magico elabora un sistema strutturato utilizzando residui e frammenti, ‘testimoni fossili della storia di un individuo o della società’ in modo del tutto astorico”.
È un simile universo, squisitamente individuale e però intellegibile a ciascuno, che Lorenzo Penco ricompone negli ultimi lavori, dove l’attenuata ma densa materia pittorica cela e disvela, mostra e cancella, ad un tempo, i frammenti delle sue scritture infantili, componendo – come ancora, in altra sede, ha scritto Novelli – quel “catalogo di cose perdute” di cui “ognuno ritrova un pezzo e lo appiccica al muro, costruendo un mondo che forse è possibile”.

lunedì 28 settembre 2015

WIFREDO LAM - CENTRE POMPIDOU, PARIS




WIFREDO LAM
Commissaire : Catherine David
Centre Pompidou
place Georges Pompidou - Paris
30 septembre 2015 - 15 février 2016

Le Centre Pompidou consacre, pour la première fois, une rétrospective à l’oeuvre de Wifredo Lam, à travers un parcours de près de trois cents oeuvres – peintures, dessins, gravures, céramiques – enrichi d’archives, de documents et de photographies témoins d'une vie engagée dans un siècle bouleversé.
L’oeuvre de Wifredo Lam occupe une place singulière et paradoxale dans l’art du 20ème siècle, exemplaire des circulations plurielles des formes et des idées dans le contexte des avant-gardes, échanges et mouvements culturels inter et transnationaux qui ont constitué le « modernisme élargi » décrit par Andreas Huyssen autrement et bien avant que la question de la globalisation ne soit posée dans les années 1990.
Reconnue et présente à partir des années 1940 dans les collections privées et muséales, célébrée internationalement, l’oeuvre de Wifredo Lam est encore l’objet de malentendus et d'enthousiasmes réducteurs. Si elle a en effet reçu l’attention, les encouragements et les commentaires d’auteurs essentiels rencontrés dès la fin des années 1930 à Paris (Picasso, Michel Leiris, André Breton), puis aux Antilles, à Cuba et en Haïti dans les années 1940 (Aimé Césaire, Fernando Ortiz, Alejo Carpentier, Lydia Cabrera, Pierre Mabille…), certaines approches culturalistes ont altéré la perception d’une oeuvre complexe qui s'invente et s'articule entre divers espaces géographiques et culturels, et en tension entre centre(s) et périphéries supposés de la modernité. Cette exposition revient sur la genèse du travail mais aussi sur les diverses étapes et conditions de la réception et de l’intégration progressives d'une oeuvre patiemment construite entre Espagne, Paris-Marseille et Cuba, dans le corpus de l'art moderne canonique.

Retrouvées en Espagne après la mort de l'artiste, les oeuvres réalisées dans les villes où il a vécu ou séjourné, et abandonnées à des amis lors de son départ précipité vers la France après la victoire des armées franquistes pendant la guerre civile, témoignent d’un long et difficile apprentissage (1923-1938) dans l’ex-métropole coloniale où le jeune Cubain est envoyé avec une bourse. Il étudie les oeuvres des maîtres exposées au musée du Prado et les peintres espagnols contemporains, académiques ou plus novateurs. Ses choix formels sont éclectiques et empruntent aux esthétiques fin de siècle et expressionniste, puis au cubisme tardif, une « syntaxe » transnationale adoptée à partir des années 1920-1930 par les artistes du monde entier pour contester ou transformer les formes et les ordres dominants, dans une démarche où l’acte critique n’est pas forcément solidaire d’une révolution formelle, au moins dans les termes d'un canon moderne prétendu « universel ».
Les sujets des oeuvres de ces années sont classiques (portraits de commande, paysages et natures mortes) et les oeuvres de Gris, Miró et Picasso que Lam découvre en mars 1929, à Madrid, autant que les images des tableaux de Gauguin, des expressionnistes allemands et de Matisse qu'il consulte dans catalogues et revues l'aident à simplifier les formes et à travailler la touche en larges aplats de couleurs. La mort brutale de sa femme Eva Piris et de son jeune fils, emportés par la tuberculose en 1931, puis les épreuves de la guerre civile inspirent une série de maternités et de personnages implorants, et une grande scène de guerre. Nombre des oeuvres de cette époque sont réalisées sur papier pour des raisons économiques et pratiques, mais ce support restera par la suite le médium de prédilection de l'artiste dont un grand nombre d'oeuvres sont marouflées sur toile. Dans bien des figures exécutées au tournant des années 1937-1938, à la fin du séjour espagnol et dans les premiers mois parisiens, les visages sont remplacés par des masques (ovales vides et monochromes ou traits réduits à quelques lignes géométriques) qui renvoient plus au refus de la psychologie et à des formes de dramatisation expressionniste qu’aux arts de l’Afrique qu’il découvrira à Paris dans l’atelier de Picasso et au musée de l’Homme, inauguré en 1938. Deux autoportraits font exception : l’un figure le buste d’un homme mulâtre torse nu (Autoportrait II, 1938), l’autre (Autoportrait I, 1937 – non exposé et reproduit dans le catalogue page 57) le visage et la silhouette au sexe ambigu d’un personnage aux traits métisses et vêtu d’un kimono fleuri. Bien que simplifiés, les traits du visage renvoient aux portraits photographiques de l’artiste réalisés à la même époque. Ces jeux de rôles et d’images photographiques apparaissent comme les premiers éléments de la construction d’une représentation de soi et de ses transformations successives au cours de sa vie et de sa carrière, qu'il se mette en scène lui-même ou à travers l’objectif de photographes amis (Jesse Fernandez) ou célèbres (John Miller ou Man Ray). Ces images participeront de la construction d’une figure d’artiste moderne – cubain, latino-américain et international – au gré des époques, des regards et des circonstances.

Né d’un père chinois originaire de Canton et d’une mère mulâtre descendante d’esclaves et d'Espagnols, Wifredo Lam est très tôt conscient de la question raciale et de ses implications sociales et politiques – à Cuba, en Europe et plus tard aux États-Unis. Dans ses lettres d'Espagne à sa famille et à son amie Balbina Barrera, il exprime, au-delà des soucis quotidiens d'une vie souvent très précaire, une inquiétude face à la montée des périls mais aussi un malaise récurrent et diffus qu'il identifiera bientôt directement, à travers l'amitié et les échanges avec Aimé Césaire notamment, qui publie son Cahier d'un retour au pays natal – illustré par Lam – en 1940, à la condition coloniale. Cependant, ses lectures et convictions marxistes forgées dans la lutte espagnole et l'antifascisme européen, autant sans doute que ses origines sino-hispano-africaines, concentrent son attention sur les rapports de classe et de domination, plus que sur les pensées raciales et la « Négritude ». S'inscrivant non sans frictions dans divers espaces nationaux, sociaux et culturels, il tiendra toujours une posture de distance, sans être jamais dupe des rôles et des projections identitaires que lui imposent amis et admirateurs au demeurant bien intentionnés. Ainsi de la fameuse boutade de Picasso s'exclamant, en examinant les tableaux que Lam lui présente dès son arrivée à Paris – « Il a le droit, il est nègre, lui ! » –, qui inscrivait d’emblée son travail dans une équation primitivisme/authenticité et un supposé héritage « africain » hâtivement associé à la couleur de sa peau.
Tout comme l’amitié et le soutien de Picasso, dont il n’a jamais été l'« élève », l'amitié d'André Breton et l’aventure surréaliste ont été l'objet d'interprétations réductrices de l'oeuvre de Lam. Lorsqu'il rencontre André Breton et Benjamin Péret, fin 1939, la grande époque – héroïque et théorique – du surréalisme est passée, le mouvement fatigué par les polémiques et les scissions, et à la recherche d'un second souffle qu’il trouvera aux Amériques (Mexique, Antilles, New York) et dans les arts d’Océanie. C'est l'entrée des troupes allemandes à Paris et l’exode du groupe à Marseille qui favorise le resserrement des liens amicaux et la reprise des activités collectives (cadavres exquis, réalisation des cartes du Jeu de Marseille). Lam participe à ces séances et réalise de nombreux dessins à l’encre de Chine sur des cahiers démembrés ultérieurement. Ces dessins au trait empruntent aux mondes humain, animal et végétal des éléments divers recomposés en figures hybrides qui annoncent les oeuvres du retour à Cuba.
Dans ce moment d’incertitude et d'inquiétude qui met brutalement fin au « nouveau départ » parisien, dans l'attente d'un visa et d’un bateau vers l’exil, les pratiques automatiques libèrent aussi les énergies psychiques et formelles. Après vingt années passées en Europe et deux exodes, Wifredo Lam vit son retour forcé au « pays natal » comme un exil et une douloureuse frustration. Il redécouvre un pays qu'il avait quitté très jeune et où la corruption, le racisme et la misère règnent sous la terreur policière organisée par le régime de Gerardo Machado. C'est le Cuba d'Hemingway, le paradis du jeu, de la prostitution et du cigare. L'île est indépendante depuis 1902 mais des siècles d'exploitation coloniale ont « saccagé » une culture qui tente de résister sous le folklore de pacotille encouragé par un pouvoir cynique.
L'année 1942 est une année de travail intense et La Jungle, achevée en janvier 1943, est exposée en juin 1944 dans la seconde exposition consacrée à Lam par la Pierre Matisse Gallery à New York, puis achetée par James Johnson Sweeney pour le Museum of Modern Art (MoMA). L'accrochage du tableau dans le couloir qui mène au vestiaire du musée pendant de longues années avant qu'il ne rejoigne les Demoiselles d’Avignon dans les salles, témoigne des résistances du canon moderne énoncé par et dans les grandes institutions occidentales. En effet, même si La Jungle a été immédiatement reconnue comme une oeuvre majeure, elle ne pouvait trouver sa place dans le discours linéaire d'un « art moderne » restreint aux productions des métropoles euro-américaines. En revanche, la réception cubaine de l'oeuvre est immédiate et exceptionnelle, dans un moment politiquement tendu mais d'effervescence intellectuelle et culturelle. De retour dans l’île, Lam vit dans un relatif « insilio » (« exil intérieur ») dans la maison-atelier de Marianao où le retrouvent ses amis Pierre Loeb et Pierre Mabille, mais aussi Alejo Carpentier, Lydia Cabrera, Fernando Ortiz, Virgilio Piñera et José Lezama Lima. Le long séjour européen l'a tenu éloigné des groupes et des enjeux des avant-gardes insulaires des années 1920-1930, mais l'enseignement amical de Lydia Cabrera, qui poursuit sa collecte des traditions et rituels de santeria qu'elle publiera dans El Monte en 1954, et la lecture de Fernando Ortiz qui vient de publier Contrepoint cubain du tabac et du sucre (1940) en inventant, bien avant les « tout monde » et autres approximations multiculturelles, le concept essentiel de « transculturation », l'accompagnent dans sa (re)découverte de la culture afro-cubaine et de l'extraordinaire flore tropicale. Ces recherches s'inscrivent dans un contexte plus large de résistance culturelle aux stratégies de domination interne (la dictature) et externe (l'américanisation) et la quête d'une « cubanité », essentielle mais dénuée d'essentialisme car sans « origine » (après la destruction des populations aborigènes lors de la conquête) est alors une question sociologique, historique et politique autant qu’esthétique.

Fernando Ortiz propose, dans la première monographie consacrée à l'artiste, une lecture iconographique de La Jungle et des oeuvres des années 1940 explicitant les références formelles et symboliques aux croyances afro-cubaines et à la végétation réfétropicale exubérante mais aussi les symboles empruntés à la tradition occultiste dont il partageait l'intérêt avec sa femme Helena Holzer et Pierre Mabille. Il pointe aussi une « manière hermétique » et un certain commerce avec l’invisible et ce qui se tient en veille sous les apparences. Dans un texte écrit à Rome en 1954, María Zambrano évoque le « secret » et le silence inquiet qui émanent des luminosités presque cinétiques et si particulières des oeuvres des années 1940 : « Car dans la nature tropicale tout se meut sous une quiétude apparente et, seule, la nuit révèle la fête occulte, la danse qui semble être la vie intime de toutes les créatures. Le monde du tropique n’est pas plastique, il est musical, orphique. La peinture de Lam a révélé ce secret ; ses tableaux ont une distribution musicale, rythmique ; l’espace est le vide que les corps subtils déplacent dans leur tournoiement. »
Wifredo Lam savait qu'il n'y a pas de jungle à Cuba, mais la manigua (maquis dense et épineux). Et les figures qui veillent à l'orée de ce bois obscur appartiennent au monte, l'espace symbolique et sacré qui condense la mémoire historique des « Cimarrones » (Nègres Marrons) échappés des plantations à l'époque de l'esclavage et dont il était le refuge, le séjour éternel des esprits autant que l’avenir de la révolte. Par expérience politique autant que par intuition poétique, il savait qu'il « faudrait du temps » pour que son oeuvre circule et atteigne (dans tous les sens du terme) tous ceux auxquels il la destinait.

- Catherine David

Image: Wifredo Lam, Figure, 1939 (Collection Jacques et Thessa Herold - Photo : Courtesy Valérie Thessa Herold © Adagp, Paris 2015)

MINO DELLE SITE - LA TARTARUGA, ROMA




MINO DELLE SITE
La Tartaruga
via Sistina 85/A - Roma
23/9/2015 - 6/10/2015

“Sento un poco di me in ogni uomo che vola, in ogni satellite che naviga nello spazio, in ogni frontiera celeste conquistata.” Così Mino Delle Site si dipinge per l’eternità. Le sue parole sintetizzano il suo percorso artistico-spirituale che fin dall’inizio lo porta ad essere aeropittore e aeroscultore ma anche grafico, scenografo, poeta ed esteta; pienamente uomo del suo tempo. Un esploratore dei confini della forma, del movimento, del colore, dell’armonia, dell’ebrezza delle emozioni, delle profondità dello spirito. In una parola un “Futurista”. 


Nato a Lecce nel 1914 quest’anno avrebbe compiuto 101 anni. Ancora echeggiano le sentite parole di Beatrice Buscaroli, Lorenzo Canova, Antonio Lucio Giannone e del Presidente Jas Gawronski che hanno appena celebrato il suo Centenario alla Quadriennale di Roma, dove lo hanno indagato, ricordato, dipinto, quale artista e quale uomo.
Ma bisogna vederlo Mino Delle Site, oltre che parlarne e questa Antologica ricca di evocazioni e di richiami alla sua evoluzione artistica, ci svela, contemporaneamente, la quasi totalità dei suoi periodi creativi, attraverso 30 tra le più significative opere che li hanno caratterizzati.
Le sue opere ci pervadono della sua “Weltanschauung”, della sua visione del mondo: la Visione Futurista dell’Universo. “Volevamo ricostruire l’Universo partendo da ogni suo più piccolo frammento – (…) - I Futuristi devono toccare tutti i campi della visualizzazione, e questo tanto sul piano pienamente poetico, della pittura e della scultura, quanto su quello della vita quotidiana” affermava in un’intervista rilasciata ad I. Madia (Terzocchio n. 80 Bologna 1996). Una visione totale e totalizzante che si sintetizza in intervento artistico mirato ed efficace, penetrante ogni aspetto dell’esistere, tale che il mondo si trasforma in pura bellezza ed al contempo in funzionalità futurista.
Questa visione, che si materializza in quadri e sculture, ci guida nel percorso espositivo, immergendoci in un clima sinergico di arte + futurpensiero e ci fa percepire l’autentico “intimo d’artista”. Un colpo di fulmine, un’illuminazione: il Futurismo.

ANNA MARIA RICCOMINI: ARCHEOLOGIA CLASSICA: IL RITRATTO - CAROCCI 2015




ANNA MARIA RICCOMINI
ARCHEOLOGIA CLASSICA: IL RITRATTO
Carocci (24 settembre 2015)
Collana: Manuali universitari

Il volume è dedicato al ritratto greco, etrusco e romano nel periodo compreso tra il VII secolo a. C. e il IV d. C. Le tipologie elaborate dalle diverse civiltà sono presentate in modo sincronico, per favorire il confronto tra modelli coevi. Dei ritratti di pensatori, politici, dinasti del mondo greco e degli imperatori romani, compresi quelli di recente scoperta, si discutono i problemi di identificazione e cronologia, le scelte stilistiche e iconografiche, le simbologie. I ritratti sono presentati anche alla luce della committenza e dei contesti di provenienza, sia pubblici che privati.

SERENA MONTESARCHIO: VIDEOGAMES ART - STAMEN 2015




SERENA MONTESARCHIO
VIDEOGAMES ART
Nuove forme dell'arte contemporanea
Stamen (15 settembre 2015)
Collana: Dissertazioni

L'idea del videogioco inteso come opera d'arte a tutti gli effetti è materia ancora controversa. Sebbene, almeno negli Stati Uniti, i videogames siano protetti legalmente come "prodotti creativi" dalla Corte Suprema, resta ancora da domandarsi se ci troviamo di fronte ad autentici prodotti artistici oppure no. Se teniamo conto che persino i cosiddetti "art games", ovvero videogiochi realizzati appositamente allo scopo di superare la barriera del semplice "oggetto d'intrattenimento" per diventare "prodotti d'arte", siano tutt'ora un argomento di discussione estremamente controverso, ci rendiamo conto di quanto sia difficile, allo stato dei fatti, trovare un riscontro favorevole nella critica e nell'estetica tradizionali. Tuttavia l'esperienza "antropologica" del gioco contiene da sempre elementi tipici della performance artistica. Questo breve profilo svela come in realtà, oltrepassata la diffidenza iniziale, arte e videogioco sembrino attualmente co-evolvere inarrestabilmente verso un fecondo sodalizio: per l'arte contemporanea il videogioco può infatti rappresentare uno medium unico in cui si intrecciano in forme inedite linguaggi, tecnologie e modalità espressive differenti.

UNA COLLEZIONE - UNIMEDIAMODERN, GENOVA




UNA COLLEZIONE
UnimediaModern
Piazza Invrea 5B - Genova
29/9/2015 - 5/12/2015

"L'essenza dell'anarchia: la condizione in cui ognuno può scegliere nella vita qualsiasi ruolo e rappresentarlo fino in fondo."
- Julian Beck

La collezione inizia nel 1977 ed è tuttora in fase di acquisizioni.
Nasce come un gioco, dal regalo di un artista, e prosegue come gioco di arte e vita. Presentarla oggi è uno spunto per parlare di collezionismo, di questa malattia, talvolta contagiosa, dalla quale non si guarisce mai. Ma il collezionismo è anche il veicolo più veloce ed efficace per mezzo del quale le opere vengono conosciute dal mondo.
In questo caso le opere sono piccole, paradossali, sono scatole che non contengono se non se stesse, in cui contenitore e contenuto sono la stessa cosa. Sono tante, mai contate, probabilmente più di trecento, tante minuscole Wunderkammern che insieme formano come un’opera unica. Sono bellissime!!!
Una ragione ulteriore per presentare la mostra è che in molti casi i ruoli sono alterati, e tra gli autori, oltre alla maggioranza di artisti che hanno fatto la storia dell’arte di questi cinquant’anni, ci sono collezionisti, critici, galleristi, bambini. Inoltre ci sarà, come presentazione, il testo di un artista, e l’allestimento verrà curato da un altro artista. Ecco l’anarchia!
Non vogliamo dire di più, desideriamo vivamente che sia una sorpresa. Siamo certi che tutti coloro che seguono il nostro lavoro parteciperanno con curiosità ed entusiasmo.

LA SCOMPARSA DI ANNA RAMENGHI




Si legge nel manoscritto del Trattato d'amore di Guittone d'Arezzo, conservato a Madrid nella Biblioteca del Escorial, "Quy de'essere la figura de l'amore pincta sì ch'el sia garçone nudo, ciecho, cum due ale su le spale e cum un turbaschio a la centura, entrambi di color di porpora, cum un archo en man, ch'el abia ferio d'una sayta un çovene enamorao" (1). 
Ma l'immagine di Eros, saettante alla cieca il dardo d'amore, non compare sulla pagina, quasi a sottolineare l'inafferrabilità del dio cui la stessa mitologia antica attribuisce personificazioni diverse e contraddittorie. 
Identificandolo dapprima come la potenza primigenia che muove Gea, la Terra, emersa dal Caos a unirsi ad Urano, il Cielo, ed a Ponto, il Mare, per generare gli dei; poi legandolo ad Afrodite di cui lo si ritiene, alternativamente, il padre o - nella versione più nota - il figlio. 
A concepire l'impresa di rappresentarne pittoricamente le storie, suddivise in quattro "stanze", qui riunite per la prima volta in un allestimento che ricorda le gallerie fittamente ornate dei palazzi secenteschi, è stata, nell'ultimo scorcio del '900, un'autrice appartata e ardimentosa: Anna Ramenghi, che a questo ciclo, ospitato nei suoi diversi momenti da Rosa Leonardi nelle sale di cui disponeva al primo piano nobile del Palazzo Imperiale di Campetto (dove, per singolare coincidenza, si trova un affresco attribuito a Luca Cambiaso sul tema delle Nozze di Psiche) e attivamente seguito sul piano critico da Giorgio Di Genova, ha dedicato oltre un decennio di lavoro assiduo e appassionato. A dar avvio alla sequenza, nel 1993, l'incontro con la Venere allo specchio di Velázquez di cui realizza, nel primo episodio, non una copia ma una splendida asseverazione giustapposta ad un dipinto (Eros a ...) dal quale, in compiuta antitesi, Venere - e con lei Eros - scompare, abbandonando sul letto i suoi emblemi: lo specchio ed il velo. 
È dunque sotto il segno dell'assenza (della perdita) che si scioglie il primo atto della vicenda, mentre nel successivo protagonista è l'imprudente trasgressione, da parte di Psiche, del divieto di ravvisare le sembianze di Eros, che le è compagno nell'oscurità della notte. 
Se l'involarsi di Eros non precluderà a Psiche (Anima, in greco), a conclusione di una serie di prove imposte da una gelosa Afrodite, il ricongiungimento con l'amato e l'acquisto dell'immortalità, ben diversa è la sorte di Orfeo e Euridice, che il medesimo, umano impulso a contemplare il volto dell'essere amato, dopo la prova estrema della discesa nel regno dei morti, condanna ad una nuova crudele separazione. 
In ultimo è Pandora, fatale dono di Zeus agli uomini, ad occupare la scena con l'incantesimo della sua bellezza che fa schermo alla vecchiaia, alla malattia ed alla morte. 
Privazione, prova, pericolo si accompagnano dunque all'estasi d'amore, che pure si realizza a dispetto di ogni azzardo e di ogni incrinatura, come la "rete gettata sull'eternità" cui accenna Zygmunt Bauman, e però non si dà in una dimensione inalterabile, ma, proprio a motivo delle negatività da cui non può trovar riparo, si rispecchia (o addirittura si converte) nella sofferenza. 
Questa matura consapevolezza della natura insieme divina e umana (troppo umana) dell'eros, che ci fa comprendere come agli artisti sia dato condensare nelle immagini depositi di pensiero e di passione, si riflette negli esiti pittorici che l'autrice modula su sfondi costruiti nell'alternarsi di oscuramenti e trasparenze, in andamenti nebulosi e vorticanti. Il colore, steso con le mani, vi si raccoglie come in tessere incurvate, oblunghe, dai toni viola e rosso cupi, simili ai petali delle rose che formano il tema prediletto dei quadri più recenti di Anna Ramenghi. Questo aspetto assume particolare evidenza in opere quali Piume e petali e Ultima fioritura, entrambe realizzate nel 1993 e destinate ad affiancare la tela ov'è ritratta Psiche che regge nel buio una lanterna sul volto ancora indistinto di Eros. 
Ma l'aspetto cruciale, quello dove meglio si coglie la simbiosi fra il senso del mito e la sua emotiva rappresentazione pittorica, risiede nella raffigurazione dei corpi, volutamente acefali per essere insieme effigie dell'uno e dei molti, avvolti in una luce sgranata e vibrante, che li rende (in Come Venere o nel Sonno di Eros, del 2000) emblemi assoluti della fisicità nel momento stesso in cui li trasfigura in una dimensione che si può ben dire metafisica, facendone così immagini dell'anima incarnata. 
Così l'appuntarsi dell'attenzione dell'autrice sulle tracce di Eros (desiderio), di Psiche (anima) e Venere (sensualità), diviene altra cosa dalla semplice rilettura del mito greco o del calco erudito della grande pittura rinascimentale e secentesca, che pure - ma attraverso la seduzione della pittura - ha fornito il pretesto iniziale della ricerca. Non solo per il distacco formale da subito instaurato rispetto a questi modelli (una qualche consonanza su questo piano dovremo semmai cercarla nell'opera dei grandi visionari francesi del secondo Ottocento, Gustave Moreau e Odilon Redon) ma per "l'affettività profonda e smisurata" che vi lega il soggetto desiderante all'oggetto d'amore, in una volontà di comunione che trascende le singole individualità. 
Così nella nudità non astratta ma casta dei corpi si realizza, secondo l'opinione di Lévinas, "una significativa irradiazione etica all'interno dell'erotismo e della libido" (2), di cui la "tenerezza com-mossa" che Anna Ramenghi dispiega nelle sue tele costituisce la forma visibile.
[Sandro Ricaldone, 18/4/2011]

(1) Qui deve essere la figura d'Amore dipinto come un giovane nudo, cieco, con due ali sulle spalle ed un turcasso alla cintura, ambedue di color por-pora, con un arco in mano con il quale trafigga d'una freccia un giovane innamorato 
(2) Emmanuel Lévinas, citato da Marco Vozza ne Le Maschere di Eros, Bollati Boringhieri, Torino 2011, pag. 76.

domenica 27 settembre 2015

HARIS EPAMINONDA: VOL. XVI - LE PLATEAU, PARIS




HARIS EPAMINONDA
VOL. XVI
Le Plateau
Place Hannah Arendt - Paris
23/9/2015 - 6/12/2015

Le FRAC Île-de-France présente au Plateau la première exposition personnelle en France d’Haris Epaminonda, artiste chypriote vivant actuellement à Berlin.
Son travail intègre films, sculptures et installations, qui incluent images et objets de diverses époques et origines, suscitant ainsi de multiples rencontres et confrontations tout en entretenant un rapport explicite au passé.
Pages de livres anciens, vases, statuettes, etc., se trouvent mis en relation par le biais d’associations visuelles qui dessinent un espace fictionnel.
Haris Epaminonda conçoit pour Le Plateau un environnement global, investissant l’espace totalement dépouillé du lieu avec une série d’habitacles, de plateformes et d’écrans, à la fois sculptures et dispositifs de présentation d’œuvres.
Incluant d’autres éléments, films ou pièce sonore, le projet s’affranchit du cadre de l’exposition via une série d’actions parallèles et ponctuelles reliant l’intérieur et l’extérieur du plateau et formant ainsi une sorte d’archipel habité en perpétuel devenir.
L’ensemble, condensant toutes les différentes perspectives de la démarche de l’artiste où l’idée de voyage, de déplacement – dans le temps, dans l’espace – apparait fondamentale, offrira une expérience unique pour une perception tant sculpturale, spatiale que cinématographique de l’exposition.

DIEGO MARCON: FRANTI, FUORI! - CAREOF/DOCVA, MILANO




DIEGO MARCON
FRANTI, FUORI!
a cura di Martina Angelotti
Careof - DOCVA
via Procaccini 4 - Milano
22/9/2015 - 6/11/2015

Nell'arco di sei mesi di residenza a Careof, Diego Marcon ha intrapreso un percorso erratico all'interno dell'archivio video di Careof, rispondendo così all'invito di Performing Archive. FRANTI, FUORI! è la mostra che conclude questa esperienza.
L'archivio si è svelato gradualmente, mostrando ogni sua piega. Diego Marcon ha ripercorso le tracce visive lasciate dagli artisti che quarant'anni fa hanno fatto la storia del cinema sperimentale italiano e da quelli che, successivamente, hanno contribuito all'evoluzione di quel linguaggio. Non si è trattato solo di un incontro ravvicinato con un materiale -in alcuni casi sconosciuto all'artista, in altri famigliare, in altri ancora complice- ma di assorbirlo per poi abdicarvi a favore di una personale operazione speculativa. Lasciare che qualcosa si staccasse da uno sfondo per farlo affiorare su una superficie fatta perlopiù di celluloide, colla, inchiostri, graffi.
Franti non ha un corpo, non ha un volto. É semmai un carattere, tosto e tristo (Edmondo De Amicis cit.) il cui vizio o virtù si stabiliscono “fuori luogo” e “fuori campo”. Cuore della mostra, cinque film pensati come un unico emisfero cerebrale, cinque cedimenti, cinque colpi di testa dipinti su minuscoli centimetri di pellicola rossastri. (Untitled 01;02;03;04;05 – head falling, 2015). Altri elementi fanno da satellite ai film, contribuendo a formare un succedersi di richiami visivi e sonori.
Una scultura da esterno, simile a un nano da giardino, ma in formato extralarge, segna lo spazio-tempo di una scena in cui siamo invitati a muoverci senza il soccorso di cartelli, mappe, bussole, stelle polari.

"Questa mostra è particolarmente dedicata ai ragazzi delle scuole elementari, i quali sono tra i nove e i tredici anni, e si potrebbe intitolare: Mostra d'un anno, fatta da un alunno di terza d'una scuola municipale d'Italia. Ora guardate questa mostra, ragazzi: io spero che ne sarete contenti e che vi farà del bene". 


FUTURE PUBLICS - BAK/VALIZ 20'15




FUTURE PUBLICS
(The Rest Can and Should Be Done by the People)
A Critical Reader in Contemporary Art
Edited by Maria Hlavajova and Ranjit Hoskote
BAK - Valiz, 2015

BAK, basis voor actuele kunst and Valiz are proud to announce the release of Future Publics (The Rest Can and Should Be Done by the People): A Critical Reader in Contemporary Art.
Future Publics (The Rest Can and Should Be Done by the People): A Critical Reader in Contemporary Art, edited by Maria Hlavajova (artistic director of BAK, Utrecht) and Ranjit Hoskote (cultural theorist, poet, and curator, Mumbai), brings together contributions by artists, theorists, and activists to reflect on radically new publics—forward-looking yet pre-figurative, situated yet nomadic—as they emerge from the experiences of social crisis and political uncertainty that characterize our present. These future publics are provisional assemblies that question existing mechanisms of collective organization and constructions of social value and cultural meaning, recognizing that the institutions of public life cannot continue with a “business-as-usual” attitude as late capital’s certitudes collapse and entrenched regimes are being challenged across the globe. Resisting conscription into formal definitions of citizenship, these publics shape new solidarities that cut across conventional lines of class, region, ethnicity, and ideological affiliation. In the field of art, they demonstrate a renewed, insurgent, and self-critical capacity for engagement, rejecting the passive observation of the “viewer,” the commodifying gaze of the “consumer,” and the stylized participation of the “spectator.” Through these accounts, the contributors assemble a vocabulary relevant to artistic practices and civic conclaves mobilized outside the ossified institutions: among propositions such as rebel citizenry, orgnets, cultural users, stateless states, and devolutionary platforms, they articulate and address ways of being and doing beyond those that have been established within the neoliberal paradigm of “the contemporary.”

With contributions by: Nancy Adajania (cultural theorist and curator, Bombay); Ariella Azoulay (theorist, curator, and filmmaker, Providence); Amelia Barikin (art historian and writer, Brisbane) and Nikos Papastergiadis (theorist, Melbourne); Bassam El Baroni (curator and writer, Alexandria); Manuel Beltrán (artist, activist, and designer, The Hague); David Graeber (anthropologist, London) and Michelle Kuo (writer and editor, New York); Tom Holert (art historian and critic, Berlin); Brian Holmes (art and cultural critic, Chicago); Geert Lovink (media theorist, Amsterdam); Elżbieta Matynia (sociologist, New York) and Joanna Warsza (researcher, writer, and curator, Berlin and Warsaw); Simon Sheikh (curator and writer, Berlin and London); Jonas Staal (artist, Rotterdam); and Stephen Wright (theorist, writer, and curator, Paris).

Future Publics (The Rest Can and Should Be Done by the People): A Critical Reader in Contemporary Art is the sixth publication in BAK’s Critical Reader Series. The series comprises select collections of new and anthologized propositional writings by a rich array of artists, art historians, philosophers, theorists, activists, and other thinkers grappling—with, from, and through the prism of contemporary art—with what we believe to be the critical matters of our time. Other publications in the series include We Roma (2013), On Horizons (2011), The Return of Religion and other Myths (2009), On Knowledge Production (2008), and Concerning War (2006/2010). These publications are paralleled by a series of BAK Critical Readers in Artists’ Practice, within which a compendium of writings appeared in 2012 on the practice of artist, actor, director, and playwright Rabih Mroué. A forthcoming reader on the practice of Berlin-based artist and cultural researcher Marion von Osten will be released in 2016.
  

HARRIET HAWKINS: FOR CREATIVE GEOGRAPHIES - ROUTLEDGE 2015




HARRIET HAWKINS
FOR CREATIVE GEOGRAPHIES
Geography, Visual Arts and the Making of Worlds
Routledge (22 Sept. 2015)

This book provides the first sustained critical exploration, and celebration, of the relationship between Geography and the contemporary Visual Arts. With the growth of research in the Geohumanities and the Spatial Humanities, there is an imperative to extend and deepen considerations of the form and import of geography-art relations. Such reflections are increasingly important as geography-art intersections come to encompass not only relationships built through interpretation, but also those built through shared practices, wherein geographers work as and with artists, curators and other creative practitioners.
For Creative Geographies features seven diverse case studies of artists’ works and exhibitions made towards the end of the twentieth and the beginning of the twentieth-first century. Organized into three analytic sections, the volume explores the role of art in the making of geographical knowledge; the growth of geographical perspectives as art world analytics; and shared explorations of the territory of the body, In doing so, Hawkins proposes an analytic framework for exploring questions of the geographical “work” art does, the value of geographical analytics in exploring the production and consumption of art, and the different forms of encounter that artworks develop, whether this be with their audiences, or their makers.

CAMILLA SALVAGO RAGGI: NON SOLO FINESTRE - IL CANNETO 2015




CAMILLA SALVAGO RAGGI
NON SOLO FINESTRE
Il Canneto (22 luglio 2015)
Collana: Aptamì

Riaprire una casa - una vecchia casa - per l'estate, significa (anche) ritrovare, riconoscere, affrontare (e, perché no, fotografare) e risolvere i mille piccoli inciampi che il tempo e un po' di sana incuria hanno accumulato... E così un chiavistello che non funziona un granché, una serratura da manovrare a rovescio, una persiana da forzare in un certo particolare modo, un gradino diverso dagli altri, e quindi pericoloso, diventano occasioni, per Camilla Salvago Raggi, per raccontare la storia di una casa. E la propria storia dentro una casa.
  

sabato 26 settembre 2015

YAYOI KUSAMA: IN INFINITY - LOUISIANA MUSEUM, HUMLEBAEK




YAYOI KUSAMA
IN INFINITY
Louisiana Museum of Modern Art
Gl. Strandvej 13 - Humlebaek
17.9.2015 - 24.1.2016

Within a few years, Yayoi Kusama (born 1929) has become a favourite of Louisiana’s guests because of her Gleaming Lights of the Souls installation at the museum – a mirror-lined room with hundreds of lamps in various colours that give the viewer a cosmic sensation of being in an infinite space.
But with a career spanning six decades, Kusama is much more than this. She came onto the art scene almost as a woman counterpart to Andy Warhol in New York in the 1960s, where she expressed herself in a mixture of art, fashion and happenings. Since then, her striking visual language and constant artistic innovation have rightfully earned her a position as one of today’s most prominent artists. Louisiana’s exhibition of Kusama tells the full story of this Japanese artist who with prodigious productivity has created an entire world unto itself, in which color, patterns and movement together bear witness to her fascination with the infinite.
The Louisiana exhibition unfurls the whole of Kusama’s life’s work: from early watercolours and pastels to her ground-breaking paintings and sculptures from the 1960s, psychedelic films, performances, installations and political happenings in the 1960s and the early 1970s, as well as shedding new light on works from the 1980s, after the artist’s return to Tokyo. Also on show exhibition are several of Kusama’s recent installations, and a series of new paintnings by the 86-year-old Kusama, created especially for Louisiana’s exhibition. The exhibition is the first Kusama retrospective to take into account the artist’s interest in fashion and design but also includes several important works from her early period that have never before been exhibited.

AGENORE FABBRI: DIPINTI E SCULTURE 1957-1968 - OPEN ART, PRATO




AGENORE FABBRI
DIPINTI E SCULTURE 1957-1968
a cura di Mauro Stefanini
Open Art
viale della Repubblica 24 - Prato
26/9/2015 - 21/11/2015

Artista dalla straordinaria verve creativa, Agenore Fabbri (1911-1998) è stato scultore, ceramista e pittore. L'intera opera di Fabbri nato a Barba, un piccolo centro del pistoiese, e formatosi ad Albisola, patria della ceramica artistica, è caratterizzata da una esasperata drammaticità espressiva, retaggio delle sofferenze del secondo conflitto mondiale che segnarono, in maniera evidente, la sua sensibilità artistica. Questo espressionismo emozionalmente amplificato si manifesta nelle lacerazioni che contraddistinguono le sculture figurative così come i suoi dipinti, "ferite" che assimilano Fabbri, se lette in maniera semplicistica, al suo amico di una vita Lucio Fontana ma, diversamente dai tagli del Maestro italo-argentino, rappresentano il punto di arrivo di un percorso che partiva da assunti teorici del tutto differenti. 
La mostra curata da Mauro Stefanini, che comprende circa trenta tra sculture e dipinti per lo più informali, intende offrire una panoramica parziale ma particolarmente significativa della produzione artistica di Fabbri, con lavori realizzati tra il 1957 ed il 1965. Considerato a buon diritto un protagonista del panorama artistico italiano del Novecento, Agenore Fabbri ha esposto nelle principali gallerie italiane (Galleria del Milione, Galleria del Naviglio, Studio Marconi) ed internazionali, ed ha partecipato alle più importanti rassegne di scultura (quattro biennali di Venezia, numerose edizioni della Quadriennale di Roma e mostre a Madrid, Parigi, Monaco di Baviera, Londra, New York, Boston, Tokyo, S. Paolo e Cittá del Messico). 
Negli anni ottanta la sua opera viene consacrata soprattutto in Germania con mostre personali al Wilhelm Lehmbruck Museum di Duisburg, al Museo Ludwig di Colonia e allo Sprengel Museum di Hannover. Nel 2011 un'importante mostra antologica è organizzata dalla Vaf Stiftung in collaborazione con il MART di Rovereto presso gli spazi espositivi del Museo della Permanente di Milano. Sue opere sono conservate presso i principali musei italiani ed internazionali: MART, Rovereto; GAM, Bologna; Museo del Novecento, Milano; Uffizi, Firenze; Institute of Contemporary Art, Boston; Kunst Museum, Bonn; Brooklyn Museum e MOMA, New York City ed i musei d'arte moderna di Copenaghen, Graz, Monaco, Pechino, San Paolo.

NICOLAS BOURRIAUD: FORME DI VITA - POSTMEDIA 2015



NICOLAS BOURRIAUD
FORME DI VITA
L'arte moderna e l'invenzione di sé
Postmedia (27 settembre 2015)

La tesi principale di Bourriaud in Formes de Vie è che la preoccupazione fondamentale della creazione del XX secolo è stata fondamentalmente egocentrica: "Rendi la tua vita un'opera d'arte". Il titolo si rifà al celebre saggio di Henri Focillon, Vie des formes, abbracciando così la necessità di cogliere la forma come un preliminare fondamentale nella creazione dell'arte.

L'arte moderna, è la sua virtù primaria, rifiuta di considerare separati il prodotto finito e l'esistenza da condurre. Praxis uguale poiesis. Creare è crearsi. Le opere d'arte, contrariamente ai prodotti dell'industria, si rivelano inseparabili dal vissuto del loro autore e questo legame si afferma ancora più vigorosamente nel sistema capitalista.


JERRY THOMPSON: COME FUNZIONA LA FOTOGRAFIA - POSTMEDIA 2015




JERRY THOMPSON
COME FUNZIONA LA FOTOGRAFIA
Postmedia (22 settembre 2015)

La fotografia, scrive Jerry Thompson, è importante per il modo in cui funziona, non solo come medium ma anche come strumento di conoscenza. Infatti, se comprendiamo cosa sia la fotografia e come essa operi, ci potranno essere insegnate le modalità con cui concepiamo le cose e il mondo in generale. A partire da queste premesse, Thompson introduce e sviluppa una lucida meditazione sul medium fotografico e su come esso riesca a descrivere il mondo in maniera concreta e profonda.

"Come funziona la fotografia": ecco il tema del brillante libro di Jerry Thompson. Se un tempo le fotografie venivano considerate rivoluzionarie per la loro capacità di illuminare il mondo, oggi sono diventate prestigiosi oggetti estetici. In opposizione a questa svolta, Thompson riflette filosoficamente indirizzandosi verso un nuovo senso di necessità e finalità. Questo libro è uno splendido recupero dell'originale ragion d'essere - di rivelazione e conoscenza - del lavoro della macchina fotografica. ~ Alan Trachtenberg, Yale University Con la fotografia il contenuto viene spesso confuso con l'estetica. All'occhio d'artista e alla mente filosofica di Jerry L. Thompson bastano pochi esempi – da Atget a Evans – per illustrare ciò che rimane quando tutte le narrative svaniscono: la vera essenza che trasforma un'immagine fotografica in opera d'arte. ~Heinz Liesbrock, Josef Albers Museum, Bottrop Il vero fotografo-artista non è quell'autore che produce quella specie di "decorazione auto-appagante" che oggi troviamo in troppi musei e gallerie d'arte. Si tratta, invece, di una persona che con le proprie abilità tecniche e la propria "ricettività" porta avanti un particolare tema nel tempo. Infatti, per Thompson il fotografo non è solo un maestro della tecnica, ma soprattutto un maestro narratore e un sociologo.

- Catherine Allerton, The London School of Economics


ANNA MANZITTI: LUCIANO BORZONE 1590-1645 - SAGEP 2015




ANNA MANZITTI
LUCIANO BORZONE 1590-1645
SAGEP 2015

La monografia di Luciano Borzone riporta l’attenzione su uno dei grandi interpreti del barocco genovese. Scorrendo i vari capitoli si scopre un pittore che amava tirar di scherma, suonare la tiorba, comporre versi, leggere con passione “sacre e profane historie”, estremamente duttile ai piaceri intellettuali, amico di Giovan Battista Marino e Gabriello Chiabrera, molto stimato da Orazio Gentileschi e Guido Reni e in contatto con alcuni dei più facoltosi committenti del tempo. L’opera pittorica è puntualmente indagata grazie a un ricco catalogo ragionato, che conta oltre un centinaio di dipinti e che specifica diversi punti fermi, indispensabili per ricostruire la sua personalità e l’evoluzione delle sue capacità. Esponente di un intenso naturalismo, Borzone si confronta con la lezione lombarda, in particolare trae ispirazione dalla conoscenza dell’opera procaccinesca, con le suggestioni di ascendenza vandyckiana e con sensibilità di matrice caravaggesca, seppur declinate con personalità e autonomia compositiva. Ne emerge la figura di un pittore capace di realizzare opere di gran qualità, di dipingere con appassionata trascrizione emotiva, facendosi narratore, per immagini, di iconografie erudite e colte, non sempre prescelte dalle arti visive.

Anna Manzitti è autrice di diversi contributi dedicati a svariati aspetti delle vicende pittoriche che hanno attraversato il primo Seicento, con particolare interesse per gli aspetti assimilabili ai tagli differenti che il caravaggismo ha assunto in area ligure. Dopo la laurea in Lettere Moderne con indirizzo storico-artistico presso l’Università degli Studi di Genova, ha conseguito nel 2005 presso lo stesso Ateneo la Specializzazione in Storia dell’Arte Medioevale e Moderna e nel 2009 il Dottorato in Storia delle Arti Visive presso l’Università degli Studi di Pisa. Oltre al costante impegno universitario, vanta prestigiose collaborazioni con Palazzo Ducale – Fondazione per la Cultura e con la Soprintendenza ai Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici della Liguria.

venerdì 25 settembre 2015

LOUISE BOURGEOIS - GARAGE MUSEUM, MOSCOW




LOUISE BOURGEOIS
CCC Garage Museum of Contemporary Art
9/45 Krymsky Val st. - Moscow
25/9/2015 - 7/2/2016

Garage Museum of Contemporary Art presents the first comprehensive survey of Louise Bourgeois’ work in Moscow as part of the special program of the 6th Moscow Biennale. Structures of Existence: The Cells focuses on the extraordinary series of sculptural environments Bourgeois created in the last two decades of her life. Also included in the exhibition are the early sculptures, paintings, and drawings which led to the development of this monumental and innovative body of work. Coinciding with the show, Garage will present two large-scale sculptures: the monumental bronze spider Maman (1999) on the square in front of the Museum; and the international debut of Has the Day Invaded the Night or Has the Night Invaded the Day? (2007) as part of Garage's Atrium Commission series.
With a prolific career spanning seven decades—starting in the late 1930s in Paris and culminating in New York—Louise Bourgeois (1911–2010) is one of the few artists associated with both “modern” and “contemporary” sensibilities. Bourgeois began producing her first sculptural forms in the mid-1940s, and in 1949 she pioneered the concept of environmental installation in a solo exhibition at the Peridot Gallery in New York. Thirty-three years later, in 1982, Bourgeois had her first retrospective at the Museum of Modern Art in New York. She was 70. Around this time she also moved to a large studio space (in Brooklyn, New York), having used her Chelsea townhouse as a workplace for many years. This enabled Bourgeois to change the scale of her practice, giving rise to the Cell series, as well her spider sculptures, the first of which was made in 1994.
Each Cell is a unique, individual microcosm encompassing a range of emotions and associations. Bourgeois produced approximately 60 works in the series, assembling found objects, artifacts from her daily life (clothing, fabric, and furniture), and sculptures within distinctive architectural enclosures. She often referenced her own childhood and its complexity to encapsulate the many motifs and interests that she explored throughout her career, such as architecture, the body, memory, and the five senses. In describing the way that Bourgeois developed the Cells, Jerry Gorovoy, Bourgeois' long-time assistant, said: “Louise’s creative process was very open-ended. The objects inside might interest her for what they were; their function; what the words to describe them sounded like; what the words sounded like in French; what their shapes were, or their colors. She could equate an ironing board with the arch of the hysterical figure. It was this kind of process, with connections emerging from her unconscious.”
The term “Cell” originated during the preparations for Bourgeois’ participation in the Carnegie International exhibition in Pittsburgh in 1991, where she presented the first six of these works. For Bourgeois, the word had many connotations, from the biological cell of a living organism to the isolation of a prison cell or monastic chamber. As she described: “The Cells represent different types of pain: the physical, the emotional and psychological, and the mental and intellectual […] Each Cell deals with the pleasure of the voyeur, the thrill of looking and being looked at. The Cells either attract or repulse each other. There is this urge to integrate, merge, or disintegrate."
To complement and expand on themes in the exhibition, Garage has collaborated with the Louise Bourgeois Trust and The Easton Foundation to present two large-scale installations:
Maman (1999), a giant bronze spider towering more than 9 meters above the ground, will greet visitors in Gorky Park’s Garage Square before entering the Museum. Originally conceived as the inaugural commission for Tate Modern's Turbine Hall in May 2000, Maman is one of the artist's most ambitious and recognizable works to take the spider as its subject. First depicted in two of the artist's drawings from the 1940s, the spider took on an even more dominant role in the artist's practice during the 1990s. The largest in a series of spectacular sculptures created during the second half of the decade, Maman balances perilously above the ground on eight spindly legs, shielding a mesh sac containing ten marble eggs below her abdomen. Vulnerable yet predatory, the figure of the spider is a tribute to Bourgeois' beloved mother. The artist explained, "Like spiders, my mother was very clever. Spiders are friendly presences that eat mosquitos. We know that mosquitos spread diseases and are therefore unwanted. So, spiders are helpful and protective, just like my mother."
Has the Day Invaded the Night or Has the Night Invaded the Day? (2007) is comprised of a giant, pivoting mirror standing over 6 meters high. The work’s title—taken from the artist’s diary entry on February 7, 1995—is projected onto the glass. Fascinated by mirrors as symbols of truth and self-knowledge, Bourgeois used them frequently in the Cell installations to bring the viewer directly into an environment. Placed in the Museum’s Entrance Hall, this larger-than-life mirror incorporates the visitor and the surrounding building into the world of the artist, while the reflected question introduces the perceptual nuances inherent to Bourgeois’ work.
The exhibition and installations mark the first presentation of Bourgeois' work in Moscow, but it is not the artist’s first exposure in (or with) Russia. She was twenty when she first visited Moscow in the summer of 1932. Her second trip was in spring 1934, when she attended the Moscow Theater Festival and experienced the May Day celebrations. This was also the year she started studying art intensively. Nearly 70 years later, in 2001, Bourgeois’ retrospective opened at the State Hermitage Museum in St. Petersburg. It was the institution’s first major exhibition of a living American artist.
A Russian-language edition of the catalog for Louise Bourgeois. Structures of Existence: The Cells, published in English by Haus der Kunst and Prestel, will be produced to coincide with the exhibition at Garage.

Image: Louise Bourgeois

FORUM DELL'ARTE CONTEMPORANEA - PRATO 25-27/9/2015




FORUM DELL'ARTE CONTEMPORANEA
Sedi varie - Prato
25-26-2y settembre 2015

Ha avuto inizio ieri il tanto atteso Forum dell’Arte Contemporanea di Prato. Tra domande, aspettative, dubbi e entusiasmo si è tenuta la presentazione al Teatro Metastasio nel centro storico di Prato, in cui sono intervenuti il direttore del Museo Pecci Fabio Cavallucci e altre personalità di spicco del sistema dell’arte italiano.
A seguire, sono iniziate le discussioni intorno ai “tavoli” tematici, oggi dedicati alla “Formazione” e alla “Proposta di riforme politiche”.
Di seguito un estratto deell'intervento di Fabio Cavallucci, Direttore Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci, promotore - con Ilaria Bonacossa e Anna Daneri - del Forum.
“Il primo pensiero va ad un fatto doloroso: una persona che ha fondato e seguito il Museo Pecci è scomparsa pochi giorni fa. E’ stata parte fondamentale dei vari consigli di amministrazioni e supporter sia finanziaria che dal punto di vista delle parole, dell’impegno e dell’attenzione del Museo. Per questo il Forum Viene Dedicato ad Elena Pecci. (…) Vi presento ora i temi e le ragioni di questo forum, che hanno una gestazione di alcuni mesi. Io sono rientrato dall’estero dopo alcuni anni di assenza e ho avuto la percezione che l’Italia fosse una sorta di esercito dopo Caporetto, uno senza una gamba, uno senza un braccio, un altro senza un occhio. Nell’arte contemporanea sono come tutti feriti, senza contare i morti! Tutto per la crisi economica e l’assenza di fondi e quindi musei chiusi, assenza di direttori… La cosa che mi ha colpito di più è una situazione di malessere diffuso. Se poi andiamo a vedere i dati, nelle biennali internazionali gli italiani sono davvero pochi: Istanbul 2014 0, Sidney 1, Berlino 2014 1, Manifesta 2014 0, San Paolo 2014 0, Venezia 4, Istanbul 2015 5 (con curatrice italiana però). E’ chiaro che quando si parla di cultura non si dovrebbero guardare i numeri, ma è significativo che il sistema dell’arte internazionale non riconosca particolare valore all’arte italiana. E non è colpa dei grandi curatori internazionali, di Enwezor che non ha visitato gli studi italiani. Lui ha risposto che non ne ha scelti perché non sono in grado di rappresentare la contemporaneità. Senza dubbio abbiamo tantissimi artisti che potenzialmente potrebbero avere grande qualità, ma il sistema non dà loro occasione di emergere. Dobbiamo riconoscere che abbiamo un sistema che non è in grado di consentire di svilupparsi in modo adeguato per dialogare in ambito internazionale.
Scusate se sarò un po’ feroce, ma bisogna essere determinati e chiari. Ecco i nostri temi. La formazione: le accademie italiane sono molto inferiori di tante accademie straniere, perché non vogliono mostrare quello che succede fuori dall’accademia. In Italia per esempio manca del tutto la possibilità di consentire agli artisti di formarsi e svilupparsi dopo l’accademia, cose che gli altri paesi hanno affrontato con sistemi post accademia. C’è poi un altro problema, di mancanza di dibattito critico. Si va alle inaugurazione il più delle volte per il brindisi finale, spesso non si guardano le opere e comunque non sono discusse e approfondite né nel bene né nel male. Purtroppo dobbiamo ammettere che c’è una generalizzata melassa che coinvolge il sistema dell’arte, i media. C’è un problema di censura e di autocensura. L’artista italiano, ma anche il direttore e curatore, sa benissimo che non può toccare certi temi, fare certi movimenti: sesso no, religione no, politica no. Come si fa a produrre arte di qualità se l’artista deve muoversi come una gincana che ha dentro di sé e di cui non se ne rende neanche più conto. Poi ci sono sistemi, come la Gran Bretagna, che hanno attuato la distanza della politica e dell’istituzione dall’arte, dalla cultura. Tutto questo vorrei che fosse discusso guardandosi negli occhi, cercando di trovare delle soluzioni. Ma se tanti di noi decidessero di cambiare da domani e decidessero di essere più forti e decisi un segno si vedrebbe. Ci sono situazioni che non dipendono da noi stessi, ma dal governo, dal ministero. In Italia manca quel tipo di istituzione che esiste in tutti i paesi minimamente evoluti (Gran Bretagna, Svizzera, Polonia, Romania), un sistema che promuove l’arte nazionale e fa sì che quando un artista sia invitato in mostre internazionali abbia un piccolo finanziamento per produzione, catalogo, trasporto. (…) Non ho organizzato il forum da solo, ma ho incontrato vecchi e nuovi amici con cui organizzare questo lavoro. Un passo in più lo possiamo fare tutti insieme, in caso contrario non lo facciamo più, o non troveremo la soluzione finale. Il forum siete voi, sono quei tanti giovani collaboratori che hanno organizzato, con forza, volontà e impegno economico, i tavoli dove i relatori partecipanti si espongono. Ma sono anche le generazioni precedenti, che hanno fatto la storia dell’arte.

Report di Marco Arrigoni
http://atpdiary.com/forumdellartecontemporaneo-1giorno/

Immagine: Da sinistra Achille Bonito Oliva, Fabio Cavallucci, Direttore del Centro Pecci - credits Nicol Claroni - Forum Arte Contemporanea, Prato

WALTER BENJAMIN'S ARCHIVE - VERSO BOOKS 2015




WALTER BENJAMIN'S ARCHIVE
Edited by Ursula Marx, Gudrun Schwarz, Michael Schwarz, and Erdmut Wizisla
Verso Books
August 2015

An absorbing selection of Walter Benjamin’s personal manuscripts, images, and documents.
The work of the great literary and cultural critic Walter Benjamin is an audacious plotting of history, art, and thought; a reservoir of texts, commentaries, scraps, and fragments of everyday life, art, and dreams. Throughout his life, Benjamin gathered together all kinds of artifacts, assortments of images, texts, and signs, themselves representing experiences, ideas, and hopes, each of which was enthusiastically logged, systematized, and analyzed by their author. In this way, Benjamin laid the groundwork for the salvaging of his own legacy.
Intricate and intimate, Walter Benjamin’s Archive leads readers to the heart of his intellectual world, yielding a rich and detailed portrait of its author.