lunedì 22 giugno 2015

CARLA CERATI - GIANNI BERENGO GARDIN: MORIRE DI CLASSE PALAZZO DUCALE, GENOVA




Quarto Pianeta
CARLA CERATI - GIANNI BERENGO GARDIN
MORIRE DI CLASSE
a cura di Fabrizio Boggiano
Ducale Spazio Aperto
Palazzo Ducale
piazza Matteotti 9 - Genova
23/6/2015 - 5/7/2015

Anno 1968. Franco Basaglia già dal 1961 aveva iniziato, a Gorizia, la sua opera di smantellamento dall’interno dell’istituzione psichiatrica. Il suo lavoro iniziava a conseguire i primi risultati nonostante fosse pesantemente osteggiato dalla comunità terapeutica tradizionale e da una parte della società stessa.
Franco Basaglia, Antonio Slavich e un piccolo, almeno inizialmente, gruppo di operatori del settore avevano iniziato a scardinare la realtà manicomiale sostituendo la prassi dell’isolamento con quella della libertà e del rispetto, ma la società del tempo poco ne sapeva e ancora meno ne voleva sapere.
Nacque così l’idea di “Morire di classe”, progetto voluto da Franco e Franca Basaglia, appoggiato da Einaudi e Bollati e che coinvolse due grandi fotografi, Carla Cerati e Gianni Berengo Gardin, i quali furono invitati, non senza difficoltà, a recarsi all’interno di alcuni manicomi per fotografare, per la prima volta, i pazienti internati.
Come loro stessi testimoniarono in seguito, l’esperienza fu terribile dal punto di vista umano ed emozionale ma la loro abilità e professionalità permise di creare un documento straordinario che con forza spalancava gli occhi a una società che, da quel momento, non poté più rimanere indifferente. Solo partendo da queste immagini si poteva cogliere la durezza e la difficoltà della battaglia intrapresa contro un’istituzione che la psichiatria tradizionale avallava e contro una società che ne richiedeva l’esistenza per mantenere l’ordine. Le norme basate sul controllo e sull’esclusione degli elementi di disturbo e di scarto avevano generato mostri monolitici all’interno dei quali si perpetrava un vergognoso e continuo annullamento dell’uomo.
Le atrocità del nazismo bruciavano ancora sulla pelle e nelle menti degli uomini ma queste torri d’avorio, incredibilmente, continuavano a grondare sangue e dolore. Furono queste fotografie a mostrare chiaramente una situazione che non fu più possibile ignorare contribuendo, nel frattempo, alla crescita di quel movimento di opinione che si propose la chiusura dei manicomi e che condusse alla legge 180 del 1978.
Uomini e donne trasformati in fantasmi iniziarono così, lentamente, a ritornare esseri umani.
Lo scopo di questo libro denuncia era stato ottenuto: una parte della storia italiana che da troppo tempo copriva un intollerabile stato di cose era finalmente emersa ed era sotto gli occhi di tutti; non si poteva più fare finta di non sapere né, tantomeno, girarsi dall’altra parte anche se qualcuno, vergognosamente, continuò a farlo.
Le immagini della Cerati e di Berengo Gardin rafforzarono le parole e le azioni di Basaglia e dei suoi collaboratori; il muro era stato squarciato e ora si trattava di abbatterlo definitivamente.

Anno 2015.
Riproporre queste testimonianze è particolarmente importante sia per raccontare il passato a chi non lo ha vissuto, sia per riflettere su come la storia a volte, purtroppo, si ripeta anche se mutando volto e obiettivi.
Soltanto continuando a lottare contro istituzioni corrotte o troppo interessate, contro stupidi pregiudizi e contro quella parte di società che si disinteressa degli accadimenti ingiusti e negativi o, peggio ancora, gli avvalla, potremo riportare altri fantasmi alla condizione di esseri umani.

Vorrei cogliere quest’occasione per ricordare con grande affetto il professor Antonio Slavich il quale, dopo aver lottato insieme a Franco Basaglia, giunse a Genova nel 1978 per dirigere l’ex Ospedale psichiatrico di Quarto portando al suo interno, non senza difficoltà, quel rinnovamento democratico che molti, tuttavia, anche in ambito genovese continuavano a osteggiare. Figura controversa, spigoloso e determinato nelle azioni ma affabile e generoso nell’aiutare il prossimo, Slavich ha lasciato a Quarto un ricordo indelebile in tutte le persone oneste che ebbero la fortuna e il privilegio di conoscerlo.

- Fabrizio Boggiano