giovedì 30 aprile 2015

FIONA TAN: INVENTORY / GHOST DWELLING - FRITH STREET GALLERY, LONDON




FIONA TAN
INVENTORY
Frith Street Gallery Golden Square
17-18 Golden Square - London
1/5/2015 - 26/6/2015
GHOST DWELLING
Frith Stret Gallery Soho Square
60 Frith Street - London
1/5/2015 - 31/7/2015

Frith Street Gallery is delighted to announce an exhibition of two major installations by Fiona Tan. The exhibition will take place at the gallery’s spaces on Golden Square (Inventory) and Soho Square (Ghost Dwellings).

Inventory
On view in London for the first time, this multi-projection installation invites viewers to consider museum collections as well as the human compulsion to capture the transience of time and lived experience. Filmed at Sir John Soane’s Museum in London, Inventory presents intimate details of the celebrated architect’s personal collection housed in one of the most unique public museums in the world. This multi-channel video installation is structured as a large-scale montage of six projections simultaneously displayed on one wall in an uneven grid. Each individual projection shows details of the crammed interiors of the museum containing a multiplicity of ancient architectural fragments and sculptures.
A contemplative visual essay, Inventory explores Tan’s preoccupation with time, memory, and place, and is as much a meditation on the human impulse to collect as a reflection on Tan’s artistic practice to date. In recording the idiosyncratic collection of Sir John Soane using a variety of mediums (Super 8, 16, and 35 millimeter film, and analog, digital, and high-definition video), the artist challenges the viewer to reconsider ideas such as representation, perception, and history while contemplating the resilience of a medium associated with a contemporary artistic production. With its synchronized presentation, the installation engenders a sense of disorientation and déjà vu – a playful mimesis of the experience a visitor might have wandering the crowded rooms of Soane’s Museum itself. Simultaneously Tan’s sustained reflection on the carrier of the image alludes to the fleetingness inherent in these filmed registrations.

Ghost Dwellings
Fiona Tan has transformed the gallery at Soho Square into something resembling a lived-in space. It might be the home of a rather eccentric recluse, or even a squat. The absent inhabitant seems to be a hoarder who is both obsessive and neat, messy and chaotic. This highly personal place would appear to be both shelter and laboratory. The presence of its unknown protagonist surrounds the viewer, creating a slippage from filmic to material space.
Within this environment Tan has placed three new film pieces, originally commissioned by the Kunstzone of the Rabobank Nederlands for her exhibition Options and Futures and shot in locations in the USA, The Republic of Ireland, and Japan. At a time which historians have described as an age of ‘rolling catastrophe,’ each film examines our epoch from a certain standpoint. In these places decay and devastation are painfully visible; Detroit, a flourishing city that slowly slid into bankruptcy, Cork, where, as a result of the financial crash of 2008, vast complexes of ‘luxury’ housing were abandoned sometimes even before completion, and Fukushima, where the fast and merciless devastation by both earthquake and tsunami, was compounded by radioactive fall-out. Whilst the visitor is invited to choose a path and narrative within these particular rooms, Tan’s camera searches among the piles of rubble for the building blocks of something new, for some kind of aftermath.

Image: Inventory, 2012, HD and video installation, 6 screens, Edition of 4

JOÃO FREITAS: TO BE TITLED - FUORICAMPO, SIENA




JOÃO FREITAS
TO BE TITLED
FuoriCampo
via Salicotto, 1/3 (angolo piazza del Campo) - Siena
1/5/2015 - 25/6/2015

La Galleria FuoriCampo è lieta di presentare venerdì 1 maggio la mostra “To be titled” la prima personale di João Freitas (Coimbra, 1989) in Italia. L'esposizione propone le ultime produzioni dell'artista che vive e lavora a Bruxelles realizzate con tecniche e materiali poveri sui quali conduce una ricerca sul limite fra la realtà fisica e spirituale. Curiosità, pratica ed esperienza, quasi un esercizio di meditazione, un'ascesi che conduce però alla corporalità della fattura e alla realtà effettuale dell'elemento, alla composta scomposizione dei costituenti, dalla piega al brandello, dallo strappo all'assemblaggio, dalla figura all'immagine.
Un'analisi che non contempla dove si conduce, e agita se stessa sulle potenzialità ed i confini del materiale. Una cieca e ostinata disciplina quotidiana che esalta la versatilità della carta come luogo d'origine e di approdo, come argomento sviscerato e mai esaurito.
Il fatto, l'oggetto, diventa mutamento e trasfigurazione, tensione obbligata al non se('); il suo completamento in opera d'arte è la decisione di un termine - limite, luogo e verbo - che appaga.
Oltre alle opere realizzate appositamente per la mostra di Siena, frutto di una residenza condotta nella città lo scorso autunno e nei quali è possibile rinvenire alcuni tòpoi della cultura figurativa senese, saranno esposti i lavori che sintetizzano la metodologia propria e la tensione espressiva dell'artista.

ORSON WELLES, HENRY JAGLOM: A PRANZO CON ORSON - ADELPHI 2015




A PRANZO CON ORSON
Conversazioni fra Henry Jaglom e Orson Welles
Adelphi (23 aprile 2015)
Collana: La collana dei casi

"A me non piacciono, i film. Mi piace farli". Una delle battute più celebri di Orson Welles sembrerebbe un paradosso, se si considera che di film propriamente intesi questo puro genio ne ha girato uno solo, a 24 anni, nel 1939, e che da quel momento fino alla sua morte i film li ha più che altro raccontati, immaginati, cominciati, interrotti, perduti, ritrovati - o se li è fatti massacrare. Ma per chi conosce bene la sua storia il paradosso è un altro, e cioè che proprio quella specie di fantasticheria permanente in 35 millimetri, che Welles sottoponeva a chiunque avesse voglia di ascoltarlo, ha finito nell'immaginario di tutti per diventare il cinema - una sostanza quasi alchemica che i film in sala contengono spesso solo in tracce. Per tutti gli altri, che magari di Welles conoscono solo l'immagine, o il frammento di una delle innumerevoli leggende da lui stesso messe in circolo, queste conversazioni settimanali con Harry Jaglom a un tavolo del Ma Maison di Los Angeles costituiscono la migliore introduzione possibile a una biografia per definizione più grande del vero, raccontata quasi dalla stessa voce che aveva tanti anni prima reso celebre, alla radio, il suo protagonista.

TATTI SANGUINETI: IL CERVELLO DI ALBERTO SORDI - ADELPHI 2015




TATTI SANGUINETI
IL CERVELLO DI ALBERTO SORDI
Rodolfo Sonego e il suo cinema
Adelphi (24 marzo 2015)
Collana: La collana dei casi

"Questo è un libro sul cinema come abitualmente non se ne leggono, per la semplice ragione che non ne vengono scritti. Parte da lunghe conversazioni fra Tatti Sanguineti e uno dei personaggi forse meno noti, ma più singolari e influenti del cinema italiano nel periodo d'oro: Rodolfo Sonego, sceneggiatore di tutti i film maggiori di Alberto Sordi, dal 'Vedovo' a 'Una vita difficile' allo 'Scopone scientifico'. Ricostruisce, attraverso la rievocazione di volta in volta malinconica, sorridente, abrasiva, feroce di Sonego, molte delle vicende accadute in quell'immane circo le cui attrazioni erano la Mangano, la Lollo o Laura Antonelli, i cui domatori potevano chiamarsi Carlo Ponti o Federico Fellini, e il cui impresario occulto, ben nascosto dietro le quinte, era il suo primo censore: Giulio Andreotti. Lascia intendere come, di qualsiasi viaggio in Italia, una lunga sosta nel cervello di Alberto Sordi continui a essere una tappa estremamente formativa. Ma soprattutto, una battuta dopo l'altra, ci racconta un cinema molto diverso, e molto più sontuoso, di quello che vediamo in sala: una colossale fantasmagoria di aneddoti, chiacchiere a notte fonda in stadi decrescenti di lucidità, fantasticherie su film da fare, sceneggiature per film mai fatti, rulli perduti e fortunosamente ritrovati, scene tagliate e poi, miracolosamente, ricomparse."
  

MARCO LOCCI: PERSO PER MARE - GALLERIA CRISTINA BUSI, CHIAVARI




MARCO LOCCI
PERSO PER MARE
Galleria Cristina Busi
via Martiri della Liberazione 195/2 - Chiavari
18/4/2015 - 17/5/2015

Marco Locci non sa nuotare molto bene ma i suoi occhi si. Galleggiando tra le barbe grigie di Capo Horn e i suoi dolci flutti del mediterraneo osservano.
Le albe e i tramonti si rincorrono e gli occhi cercano di mettere ordine nella sequenza delle immagini testimonianza dell’eternità del tempo.
Sono le onde, gli spruzzi nel loro continuo inseguirsi che scandiscono il sapere che l’acqua ci trasmette. Così come i porti ci fanno riposare finché non riprendiamo il vagabondare e vediamo il sole, la luna, le navi volanti, i mostri, i promontori, le balene, le vele all’orizzonte come bianchi icebergs sino a che il mare torna a stendersi come si stendeva cinquemila anni fa.
Mare, cielo e navi sono i personaggi principali di racconti fantastici, metafore di una memoria storica personale.

Questa mostra è una raccolta di immagini che vanno dal 1992 ad oggi. Vari periodi e vari modi di affrontare la narrazione, varie idee collegate dal filo blu del mare, che diventa interprete e testimone silenzioso delle nostre azioni e col suo ipnotico movimento ci riflette e fa riflettere.

Marco Locci nasce a Genova nel 1951, vive e lavora a Rapallo.
Allievo della facoltà di architettura di Genova, inizia l’attività artistica aderendo ai fermenti della cultura visiva e non, dei primi anni ’70.


mercoledì 29 aprile 2015

ANNA MARIA MAIOLINO: CIOÈ - GALLERIA RAFFAELLA CORTESE, MILANO




ANNA MARIA MAIOLINO
CIOÈ
Galleria Raffaella Cortese
via A. Stradella 7 - Milano
30/4/2015 - 7/8/2015

In occasione dei suoi vent’anni di attività, Raffaella Cortese è lieta di presentare Cioè, seconda personale dell'artista Anna Maria Maiolino, riconosciuta a livello internazionale come una delle figure più influenti dell'arte sudamericana oggi.
Traendo ispirazione dall’immaginario quotidiano femminile e dall’esperienza di una dittatura oppressiva e censoria – quella del Brasile negli anni ’70-’80 – Anna Maria Maiolino, italiana d’origine e brasiliana di adozione, realizza lungo il suo percorso opere ricche di energia vitale, abbracciando differenti linguaggi e media, dalla performance alla scultura, dal video alla fotografia, al disegno.
In mostra opere inedite recentemente realizzate dall’artista, che sceglie come titolo una congiunzione discorsiva per rappresentare il suo desiderio di incuriosire il pubblico senza esplicitare le proprie intenzioni. Solamente nell'esperienza diretta con l'opera e attraverso la diversità di un alfabeto di segni il pubblico troverà risposte e significati.
Secondo Maiolino nell’idea di scultura è insito il concetto di processo: l’artista è interessata a ciò che accade prima che il lavoro sia concluso e a una soluzione formale che sia testimone dell’azione creativa.
I lavori esposti sono realizzati con diversi media. Alcune sculture della serie Cobrinhas in ceramica raku e della serie Entre o Dentro e o Fora riflettono sulla contrapposizione di pieno e vuoto, sull’assenza o presenza di materia: tutti temi cui alludono anche i titoli delle opere. I disegni sono realizzati con tecniche differenti: dalle Interações agli Hierárquicos, in cui l'inchiostro, mosso dalla forza di gravità e dalla casualità del movimento apportato dall'artista, scorre sulla carta e diviene agente trasformante della superficie; ai Filogenéticos realizzati a pennello, che ricordano degli organismi cellulari in continua metamorfosi; infine ai Pré-indefinidos e De Volta, che presentano un uso più tradizionale del vocabolario del disegno. Saranno infine in mostra un video di recente produzione João & Maria [Hansel and Gretel], 2009/2015 e un video storico degli anni ‘70 rieditato recentemente Um dia [One Day], 1976/2015.

L’inaugurazione della mostra sarà per Anna Maria Maiolino l’occasione speciale, dopo diversi anni dall’ultima performance, per presentare una nuova azione intitolata in ATTO, con la partecipazione straordinaria dell'artista Sandra Lessa.
La performance nasce e si sviluppa dai legami che intercorrono tra le due donne, una giovane e l'altra più anziana. Sandra evoca un paesaggio sonoro e corporeo, in cui molto è lasciato all’improvvisazione. Anna, la donna più anziana, le è vicina, attenta e sollecita: la sua presenza funge metaforicamente da maestra e induce la giovane al suo ritorno alla vita.

Anna Maria Maiollino (1942, Scalea, Italia) ha partecipato a numerose Biennali come la recente 10° Biennale di Gwangju, Gwangju e la Documenta 13, Kassel. Sue mostre personali hanno avuto luogo in importanti istituzioni quali: Berkeley Art Museum and Pacific Film Archive nel 2014; Malmo Kunsthalle nel 2011; Centro Galego de Arte Contemporanea de Compostela nel 2011; Fundació Antoní Tàpies, Barcellona, nel 2010; Camden Arts Center, Londra nel 2010; Pharos Center for Contemporary Art, Cipro, nel 2007; Miami Art Center, Florida, nel 2006; Drawing Center, New York, nel 2001. Il lavoro di Anna Maria Maiolino ha fatto anche parte di numerose esposizioni collettive tra le quali si ricordano: WACK! Art and the feminist revolution al MOCA, Los Angeles e P.S.1, New York nel 2007, Tropicalia, Museum of Contemporary Art, Chicago, nel 2005; 15 artists, MAM, Sao Paulo, Brazil, AMERICAbride of the Sun; Royal Museum of Fine Art, Antwerpen, Belgio, nel 1992.

TOMÁS SARACENO: 14 BILLIONS (WORKING TITLE) - SORLANDETS KUNSTMUSEUM, KRISTIANSAND




TOMÁS SARACENO
14 BILLIONS (WORKING TITLE)
Sorlandets Kunstmuseum
Skippergata 24B - Kristiansand
30/4/2015 al 23/8/2015

Tomás Saraceno is both an architect and an artist. He is noted for making utopian installations that combine science, art and architecture. Saraceno is interested in how scientific inventions can lead to a more sustainable society, and he allows art to have a central role in visualizing and testing out different visions of the future.
14 Billions (Working Title) (2010) is an enormous model of the web of a black widow – a poisonous spider. The public are invited to walk around and through this installation, which consists of 8,000 black elastic bands stretching from floor to ceiling and held together with 23,000 individual knots.
Saraceno was initially curious about how scientists use the spider web as a metaphor to describe the universe’s origin and structure. To make the work, he collaborated for two years with arachnologists, strophysicists, architects and engineers. The project’s research material is also on show.
This installation is one of several of Saraceno’s works dealing with spider webs and their relation to architecture and cosmology – the web’s social and symbolic value is also elucidated.

Tomás Saraceno was born in Argentina in 1973 and lives and works in Frankfurt, Germany. Sørlandets Kunstmuseum is grateful to Bonniers Konsthall for loaning the work and for assistance in planning the exhibition project.

Image: Tomás Saraceno, 14 Billions (Working Title), 2010. Elastic black rope, hooks, 8,330 x 7,630 x 5,000 mm. Courtesy of Bonniers Konsthall, Stockholm, Sweden.

CAMILLO ARCURI: IL SANGUE DEGLI EINSTEIN ITALIANI - MURSIA 2015




CAMILLO ARCURI
IL SANGUE DEGLI EINSTEIN ITALIANI
Il silenzio sulla strage dei famigliari del grande scienziato
Ugo Mursia Editore (24 aprile 2015)
Collana: Testimonianze fra cronaca e storia

3 agosto 1944. Gli Alleati sono alle porte di Firenze, i combattimenti sono violenti, i nazisti si ritirano lasciando dietro di sé una scia di morti sulla quale per decenni scenderà un colpevole silenzio. Sulle colline di Rignano sull'Arno si consuma una strage a lungo rimossa e per la quale non si sono mai cercati i colpevoli: la moglie e le due figlie di Robert Einstein, cugino italiano del celebre premio Nobel, vengono uccise nella loro villa sui colli fiorentini. Robert si salva dalla furia nazista, ma non dalla disperazione: morirà suicida un anno dopo. L'inchiesta avviata dagli Alleati subito dopo i fatti viene poi censurata, nessuno cercherà i responsabili di quella che appare come una vendetta trasversale per colpire Albert Einstein, il genio ebreo che con le sue ricerche ha aperto la strada all'atomica. Sette decenni dopo l'eccidio, qualcosa si muove. La memoria chiede giustizia.
  

AGOSTINO MASCARDI: LA CONGIURA DEL CONTE GIO. LUIGI DE' FIESCHI - GAMMARO' 2015





AGOSTINO MASCARDI
LA CONGIURA DEL CONTE GIO. LUIGI DE' FIESCHI
a cura di Cesare De Marchi
Gammarò (20 aprile 2015)
Collana: Diogene

La congiura del conte Gio. Luigi de' Fieschi fu pubblicata ad Anversa nel 1629 e l'anno stesso ristampata a Milano e a Venezia. L'autore non vi si proponeva solo di offrire "una autentica testimonianza delle cose passate", ma anche di dare "una compita azione con le sue parti", ossia una narrazione drammatica: quest'ultimo aspetto è la chiave della grande fortuna dell'opera, piccolo capolavoro letterario in effetti, che non ha, in un secolo tanto sospetto, niente di concettoso. Mascardi non è certo, in questo, figlio del suo tempo; è scrittore positivo, robusto ed essenziale, dal tratto ampio e sicuro, erede semmai della lingua classica del Cinquecento.
  

FIRST FESTIVAL: JEFF MILLS - BEN KLOCK - 105 STADIUM, GENOVA 30/4/2015




FIRST FESTIVAL
JEFF MILLS - BEN KLOCK
105 Stadium
Lungomare Canepa 155 - Genova
giovedì 30 aprile 2015, ore 20,00

First Festival a Genova, Jeff Mills e Ben Klock infiammano il 105 Stadium per una Genova techno. Da quasi 3 anni Genova è tornata ad essere protagonista della club culture nazionale con un evento mai realizzato in precedenza, un festival all’interno del 105 Stadium in cui migliaia di appassionati provenienti da tutta Italia hanno ballato e si sono divertiti sotto una pioggia di musica techno e spettacoli di luce.

Il 30 Aprile 2015 la leggenda di un intero movimento atterrerà a Genova e salirà sul palco del First Festival. Quando si parla di personaggi come Jeff Mills si ferma la storia e appare il futuro. Grande innovatore del sound techno, storico fondatore del collettivo Underground Resistance, icona di Detroit: Jeff Mills è uno dei personaggi più influenti nel sistema “dance” di sempre. Un nome che possiamo trovare accostato ad orchestre filamorniche, o maestri del cinema come Fritz Lang, così come a location prestigiose quali la Royal Albert Hall.

Per la prima volta a Genova direttamente dal tempio della musica Techno, Berlino, il boss del Berghain. First Festival presenta Ben Klock. La sua musica è libera dall’opprimente nostalgia, ti persuade con consistenza, tensione, dinamicità e più e più volte con l’emotività che ci si aspetterebbe dalla house music. In questo modo Klock segue una non rigorosa fusione tra salto quantico e tradizione, includendo semplici e coinvolgenti melodie. La capacità di accordare l’austerità dell’industrial, la musicalità naturale e la fisicità espressiva è la sua grande arte ed il suo talento. E, certamente, le sue maratone mensili al Berghain accompagnano il tutto con puro sound e motivano consistentemente Ben Klock a saltare la botola chiamata routine.

martedì 28 aprile 2015

NUOVA OGGETTIVITÀ - MUSEO CORRER, VENEZIA




NUOVA OGGETTIVITÀ
Arte in Germania al tempo della Repubblica di Weimar, 1919-1933 a cura di Stephanie Barron
Museo Correr
piazza San Marco - Venezia
29/4/2015 - 30/8/2015

Con Nuova Oggettività. Arte in Germania al tempo della Repubblica di Weimar, 1919-1933 s’inaugura per la prima volta in Italia e negli Stati Uniti una mostra di grande respiro dedicata ai temi più rappresentativi delle tendenze artistiche dominanti della Repubblica di Weimar. Organizzata dal Los Angeles County Museum of Art (LACMA) in collaborazione con la Fondazione Musei Civici di Venezia e con il supporto di 24 ORE Cultura - Gruppo 24 ORE, la mostra è composta da circa centoquaranta opere tra dipinti, fotografie, disegni e incisioni di oltre quaranta artisti, molte delle quali poco conosciute sia in Italia che negli Stati Uniti.
Accanto a figure di primo piano come Otto Dix, George Grosz, Christian Schad, August Sander e Max Beckmann, i cui percorsi eterogenei sono essenziali per comprendere la modernità dell’arte tedesca, l’esposizione consente di scoprire nomi meno noti al grande pubblico, tra cui Hans Finsler, Georg Schrimpf, Heinrich Maria Davringhausen, Carl Grossberg e Aenne Biermann. L’allestimento riserva una particolare attenzione al confronto tra pittura e fotografia, offrendo la rara opportunità di esaminare le analogie e le differenze tra i diversi ambiti espressivi del movimento.
Nei quattordici anni della Repubblica di Weimar (1919-1933), gli artisti tedeschi si confrontano con le devastanti conseguenze della Prima Guerra Mondiale; con gli effetti sociali, culturali ed economici del rapido processo di modernizzazione e urbanizzazione che muta il volto della Germania; con la piaga della disoccupazione dilagante e la disperazione di vasti strati della società; con i mutamenti delle identità di genere e gli sviluppi della tecnologia e dell’industria. Negli anni che vanno dalla fine della guerra all’avvento del nazismo, la prima democrazia tedesca è un fertile laboratorio di esperienze culturali che vede il tramonto dell’espressionismo, le esuberanti attività antiartistiche dei dadaisti, la fondazione del Bauhaus e l’emergere di un nuovo realismo.
A sancire nel modo più efficace l’emergere di questo nuovo realismo – variamente definito postespressionismo, neonaturalismo, verismo o realismo magico – è la mostra che si tiene a Mannheim nel 1925 dal titolo Neue Sachlichkeit (Nuova Oggettività). I diversi artisti associati a questa nuova figurazione formano un gruppo eterogeneo e non sono uniti da un manifesto programmatico, una tendenza politica o un’unica provenienza geografica: ciò che li accomuna è lo scetticismo per la direzione intrapresa dalla società tedesca e la consapevolezza dell’isolamento umano che questi cambiamenti comportano.
La sconfitta nella Prima Guerra Mondiale comporta per la Germania costi altissimi sul piano finanziario, sociopolitico ed emotivo. E diversamente dai predecessori espressionisti – che avevano accolto con entusiasmo lo scoppio del conflitto prima di confrontarsi con la terribile realtà dei campi di battaglia – gli artisti della Nuova Oggettività guardano con disincanto alla complessa situazione della nuova Germania. Allontanandosi dalla soggettività esasperata e dalle distorsioni formali dell’espressionismo, questi artisti scelgono il realismo, la precisione, la sobrietà oggettività, e rivisitano tecniche e generi della grande tradizione pittorica, con un nostalgico ritorno al ritratto e una spiccata attenzione per la resa delle superfici.
Nuova Oggettività. Arte in Germania al tempo della Repubblica di Weimar, 1919-1933 è suddivisa in cinque sezioni tematiche: La vita nella democrazia e le conseguenze della guerra evidenzia la disparità tra la borghesia in ascesa e le categorie sociali più colpite dal conflitto: reduci di guerra, disoccupati, prostitute, vittime della violenza e della corruzione politica; La città e la natura del paesaggio indaga il divario crescente tra uno scenario urbano sempre più industrializzato e un mondo rurale rievocato con nostalgia; Natura morta e beni di consumo si concentra su un nuovo tipo di natura morta, in cui gli oggetti della vita quotidiana, spesso prodotti in serie, sono allestiti in composizioni che si presentano come “ritratti di oggetti”; L’uomo e la macchina esplora i diversi approcci adottati dagli artisti verso gli effetti di trasformazione e al contempo di disumanizzazione che il rapido processo di industrializzazione produce; infine, Nuove identità: tipi umani e ritrattistica illustra una nuova tendenza della ritrattistica che trascende l’individualità del soggetto per enfatizzarne l’appartenenza a una categoria sociale.
Stephanie Barron, curatrice della mostra e capo curatrice della sezione di arte moderna al LACMA, spiega: “Un’attenta analisi di questo periodo permette di comprendere più a fondo un capitolo complesso della modernità artistica tedesca. Provenienti da retroterra diversi, questi artisti – alcuni dei quali sono tra i protagonisti più noti dell’arte del Novecento, mentre altri sono quasi sconosciuti al di fuori della Germania – hanno abolito l’emotività, l’enfasi espressiva e lo slancio estatico per impegnarsi a registrare e smascherare la realtà immediata, osservandola con uno sguardo sobrio e impersonale. Nel complesso, gli artisti di questa tendenza hanno creato il ritratto collettivo di una società alle prese con una difficile transizione, in immagini che, oggi come allora, appaiono stupefacenti.” “Indubbiamente la Nuova Oggettività, con i suoi diversi approcci al realismo – talvolta critici o satirici, talvolta freddi e imperturbabili o ammalianti e magici; talvolta dediti a una resa minuziosa della realtà o a uno scrutinio della realtà attraverso le distorsioni dell’obiettivo fotografico – hanno risposto alle difficoltà di un’epoca tumultuosa con soluzioni artistiche incisive”, spiega Gabriella Belli, direttrice della Fondazione Musei Civici di Venezia. “In questo breve periodo gli artisti erano liberi di esprimere il loro anelito alla verità in immagini di grande suggestione.”
Nuova Oggettività. Arte in Germania al tempo della Repubblica di Weimar, 1919-1933 è presentata in anteprima al Museo Correr (1 maggio - 30 agosto 2015), in concomitanza con la Biennale di Venezia - a cura di Stephanie Barron, con la collaborazione di Gabriella Belli e il progetto di allestimento di Daniela Ferretti - e nell’autunno 2015 sarà trasferita al LACMA con una altrettanto ampia selezione di opere.
La mostra è accompagnata da un catalogo riccamente illustrato e di alto valore scientifico – curato da Stephanie Barron e Sabine Eckmann – disponibile in italiano e in inglese.

Immagine: Otto Dix Portrait of the Lawyer Hugo Simons (Porträt des Rechtsanwalts Hugo Simons), 1925 olio e tempera su tavola, cm 100,3 x 70,3 Montreal Museum of Fine Arts ©Otto Dix, by SIAE 2015– The Montreal Museum of Fine Arts

FRANCESCO CLEMENTE - BLAIN | SOUTHERN, LONDON




FRANCESCO CLEMENTE
Blain | Southern
4 Hanover Square - London
29/4/2015 - 27/6/2015

Blain|Southern is delighted to present an exhibition of new watercolours by Francesco Clemente. Bringing together 108 works on paper, all of which are delicately and intimately scaled, Emblems of Transformation continues the artist’s long-standing relationship with the medium of watercolour, and also with India.
Clemente first travelled to India in 1973, and has lived and worked there at different phases of his life. Drawing from the contemplative traditions and urban visual culture of India, his practice is characterised by a syncretic approach and the constant revitalisation of sources, mediums and formats. The featured paintings include miniature elements chosen and suggested by Clemente, and executed by a family of Indian miniaturist painters from a workshop from Rajasthan. This continues the artist’s long-history of working with Indian craftspeople.
The 108 paintings in the suite reference the number of beads in the japa mala, commonly used by Hindus and Buddhists during prayer. Like the beads of the mala the paintings are linked and flow seamlessly from one to the next. Each is like a fragment of a whole and yet presents a space or context in its own right; they drift through the worlds of waking and sleeping, becoming fluid and interchangeable as symbols and images of love, war, landscape and personal mythology recur and interact.
Alongside the often sumptuous colours of these watercolours – where at times rainbows fill the picture plane, offset by gold and silver fragments – a small group of works are notably muted, a monotone mood of rich sepia or ochre tones recalling faded photographs. Here, again, one form flows into another and ambiguity surrounds the subjects. Fish and humans might be kissing or devouring one another; a woman either penetrates the jaws of a monster or possibly explores the cavity within its body.
Francesco Clemente aims to reconcile all apparent oppositions - life and death, earth and water, light and dark, internal and external - and in doing so he looks at timeless questions of the self. He is interested in the objectivity of imagination, as opposed to sentimental fantasy, and he takes a descriptive stance rather than a prescriptive one. His stories therefore stand as reminders of the transformative power of art making and of the imagination.

The exhibition is accompanied by a full-colour exhibition catalogue including essays by the Man Booker Prize winning author Kiran Desai.

Image: Francesco Clemente, Emblems of Transformation 27 (detail), 2014, Watercolor on paper, 29.6 x 20.9 cm / (11⅝ x 8¼ in) Photo: John Berens
  

SARAH J. MONTROSS: PAST FUTURES - THE MIT PRESS 2015




PAST FUTURES
Science Fiction, Space Travel, and Postwar Art of the Americas
Edited by Sarah J. Montross
The MIT Press
(March 2015)

From the 1940s to the 1970s, visionary artists from across the Americas reimagined themes from science fiction and space travel. They mapped extraterrestrial terrain, created dystopian scenarios amid fears of nuclear annihilation, and ingeniously deployed scientific and technological subjects and motifs. This book offers a sumptuously illustrated exploration of how artists from the United States and Latin America visualized the future. Inspired variously by the “golden age” of science fiction, the Cold War, the space race, and the counterculture, these artists expressed both optimism and pessimism about humanity’s prospects.
Past Futures showcases work by more than a dozen artists, including the biomorphic cosmic spaces and hybrid alien-totemic figures painted by the Chilean artist Roberto Matta (1911–2002); the utopian Hydrospatial City envisioned by Argentine Gyula Kosice (1924–); and Incidents of Mirror-Travel in the Yucatan, in which Robert Smithson (1938–1973) layered tropes of time travel atop Mayan ruins. The artists respond to science fiction in film and literature and the media coverage of the space race; link myths of Europeans’ first encounters with the New World to contemporary space exploration; and project futures both idealized and dystopian.
The book, which accompanies an exhibition at the Bowdoin College Museum of Art, also includes an essay by the editor and curator mapping central themes; an exploration of how Latin American artists have depicted astronomic phenomena, utopian projects, and the modern machine; an essay on space-age art in Argentina during the 1960s; and a study of Smithson and science fiction.

Essays by Sarah Montross, Rodrigo Alonso, Rory O’Dea, Miguel Ángel Fernández Delgado

Artists include: Rudy Ayoroa, Luis Benedit, Marcelo Bonevardi, Enrique Careaga, Enrique Castro-Cid, Vija Celmins, Carlos Colombino, Juan Downey, Fred Eversley, Mario Gallardo, Dan Graham, Nancy Graves, Raquel Forner, Peter Hutchinson, Alejandro Jodorowsky, Gyula Kosice, Roberto Matta, Emilio Renart, Robert Smithson, Michelle Stuart, Rufino Tamayo, Horacio Zabala

Sarah J. Montross is Andrew W. Mellon Postdoctoral Curatorial Fellow at the Bowdoin College Museum of Art, where she has curated a number of exhibitions, including the exhibition that this publication accompanies.
  

CRAIG DWORKIN: NO MEDIUM - THE MIT PRESS 2013




CRAIG DWORKIN
NO MEDIUM
The MIT Press
(February 2013)

In No Medium, Craig Dworkin looks at works that are blank, erased, clear, or silent, writing critically and substantively about works for which there would seem to be not only nothing to see but nothing to say. Examined closely, these ostensibly contentless works of art, literature, and music point to a new understanding of media and the limits of the artistic object.
Dworkin considers works predicated on blank sheets of paper, from a fictional collection of poems in Jean Cocteau’s Orphée to the actual publication of a ream of typing paper as a book of poetry; he compares Robert Rauschenberg’s Erased De Kooning Drawing to the artist Nick Thurston’s erased copy of Maurice Blanchot’s The Space of Literature (in which only Thurston’s marginalia were visible); and he scrutinizes the sexual politics of photographic representation and the implications of obscured or obliterated subjects of photographs. Reexamining the famous case of John Cage’s 4’33”, Dworkin links Cage’s composition to Rauschenberg’s White Paintings, Ken Friedman’s Zen for Record (and Nam June Paik’s Zen for Film), and other works, offering also a “guide to further listening” that surveys more than 100 scores and recordings of “silent” music.
Dworkin argues that we should understand media not as blank, base things but as social events, and that there is no medium, understood in isolation, but only and always a plurality of media: interpretive activities taking place in socially inscribed space.

Craig Dworkin, Professor in the English Department at the University of Utah, is the author of Reading the Illegible and the editor of Language to Cover a Page: The Early Writings of Vito Acconci (MIT Press).

CARLO ACCERBONI, MARINA SALUCCI: LA CITTÀ E IL SOGNO - BIBLIOTECA BERIO, GENOVA




LA CITTÀ E IL SOGNO
Biblioteca Berio
via del Seminario 16 - Genova
20/4/2015 - 2/5/2015

Fotografie di Carlo Accerboni e racconti di Marina Salucci.
Scatti che colgono l'aspetto insolito, sognante di Genova e racconti scritti appositamente per queste immagini. Il percorso parla di Genova ma rimanda anche ad altre citta', reali o immaginarie.
La mostra e' visitabile presso il Tunnel della biblioteca.

lunedì 27 aprile 2015

DUCHAMP AND SWEDEN - MODERNA MUSEET, STOCKHOLM 28-30/4/2015




DUCHAMP AND SWEDEN
International Symposium
Moderna Museet
Island of Skeppsholmen - Stockholm
28/4/2015 - 30/4/2015

This upcoming symposium gathers leading researchers, experts and curators on the legacy of Marcel Duchamp and his works after World War II in talks and discussions on new research during three days at Moderna Museet, Stockholm. This will be a unique opportunity for researchers, art historians, curators, students and others interested in Duchamp to meet and connect.
Among the speakers are Cécile Debray, Curator, Musée national d’art moderne, Centre Pompidou, Paris, Paul B. Franklin, Freelance researcher and editor of Étant donné, Paris, Dr. Gerhard Graulich, Director of the Department of Painting and Associate Director of the Staatliches Museum Schwerin, Marcel Duchamp Research Center Schwerin, Adina Kamien-Kazhdan, David Rockefeller Curator, Department of Modern Art, Israel Museum, Jerusalem, Derek Pullen, Director, SculpConsLtd, former Head of Sculpture Conservation, Tate, London, Kornelia Röder, Curator of the Marcel Duchamp collection at the Staatliches Museum Schwerin Marcel Duchamp Research Center, Schwerin, Michel R. Taylor, Director at Hood Museum of Art, Dartmouth College, Ann Temkin, Chief Curator of Painting and Sculpture, The Museum of Moderna Art, New York.

Image: Marcel Duchamp, Roue de bicyclette (Bicycle Wheel), 1913/1960/1976. © Succession Marcel Duchamp/BUS 2015.

CESARE PIETROIUSTI: LAVORI DA VERGOGNARSI OVVERO IL RISCATTO DELLE OPERE NEGLETTE - ZOO ZONE ART FORUM, ROMA




CESARE PIETROIUSTI
LAVORI DA VERGOGNARSI OVVERO IL RISCATTO DELLE OPERE NEGLETTE
Zoo Zone Art Forum
via del Viminale 39 - Roma
28/4/2015 - 28/6/2015

Ho spesso pensato alla possibilità di fare della “retrospettiva” - l’occasione in cui si rivisitano, si ri-vedono, le proprie opere fatte nel passato - non una ripetizione, bensì una situazione inedita o, in altre parole, una nuova opera.
E’ acclarato il fatto che ogni nuovo allestimento – anche della stessa opera – rappresenta inevitabilmente una diversa lettura, una diversa attribuzione di senso e, come notoriamente dice Boris Groys, finanche la copia “può acquisire, attraverso l’allestimento, l’aura, la vivente attualità e la dimensione storica dell’originale”(*). Secondo me tale attribuzione di senso non è assicurata poiché ogni ricontestualizzazione retrospettiva richiede comunque una forma e un’idea, e resta la possibilità (che esiste sempre, per ogni gesto di un artista) che in una determinata mostra non si crei alcuna aura, alcuna energia vitale, alcuno spessore storico. Insomma il problema della mostra è sempre là, fortunatamente, e chiama l’artista a uno sforzo – di pensiero, di lavoro materiale, di organizzazione – perché un “nuovo” allestimento, seppure di opere “vecchie”, raggiunga, magari non l’“illuminazione profana” (di cui parla lo stesso Groys), ma almeno un qualche significato critico.
Io sono pigro e, probabilmente anche in virtù di spinte motivazionali inconsce, trovo in genere il modo di realizzare opere o mostre facendo il minimo sforzo (di pensiero, di lavoro etc.). Una strategia del pigro è quella di creare corto-circuiti logici, a volte definiti “paradossi”, per far sì che l’analisi di un determinato problema si blocchi di fronte ad una situazione di indecidibilità, ovvero che il senso si produca, un po’ surrettiziamente, da sé, per una supposta vertigine conseguente alla mise en abyme, all’infinito rimbalzo speculare, di due termini contraddittori, e non ci sia, di conseguenza, lavoro aggiuntivo da fare.
Per questa mostra ho pensato al paradosso di fare una retrospettiva-di-opere-mai-esposte e, dopo avere ipotizzato di esporre opere non fatte o non finite, opere che avrei voluto fare e non ho fatto, oggetti che potrebbero essere opere (o anche no), aggiustamenti di opere contenenti qualche errore, mi sono venuti in mente alcuni lavori che, effettivamente realizzati in passato per una certa mostra, non ho mai utilizzato perché, dopo averli fatti, mi sembrarono inadeguati, brutti, fuori contesto, oppure copie pedisseque di lavori di altri artisti. Lavori, insomma, di cui mi sono vergognato e che ho nascosto, e che oggi, per vari motivi, possono aspirare a un riscatto. Un riscatto che potrebbe essere anche di quella parte del sé dell’artista che all’epoca ha dovuto comunque subire una censura – spesso sotto la forma dell’impietoso giudizio di qualche altra persona, intervenuta all’ultimo momento a smascherare l’inadeguatezza o la stupidità di un’opera o la imbarazzante somiglianza con un’opera già esistente.
Lavori da vergognarsi, ovvero Il riscatto delle opere neglette, pur partendo da un assunto semplice, può porre questioni a loro modo indecidibili.
Si tratta di una mostra presa “sotto gamba”? Forse sì, visto che l’artista non fa altro che tirar fuori qualcosa dai suoi sgabuzzini. Si tratta di una forma di dimostrazione che l’ “inedito” è una categoria che ha più valore del “valido”? Forse, visto che opere sbagliate, cioè già giudicate prive di valore, potrebbero acquisirlo proprio in virtù del fatto di essere state, una volta, scartate e accantonate. Si tratta del tentativo di dimostrare che l’opera in assoluto “bella” o “giusta” non esiste? Forse, visto che io sospetto che l’artista qui in questione (sempre io) abbia, in fondo, basato la sua ricerca artistica, e trovato l’energia che la muove e la determina, in un irrisolto conflitto contro l’opera d’arte, contro la sua ingombrante e parassitaria oggettualità, contro la sua esibita pretesa di sintetizzare l’assoluto. Un astio che, probabilmente, è il frutto distorto di un desiderio inibito di presenza dell’opera. Questa mostra afferma quel vergognoso desiderio, soddisfacendolo (ma anche ingannandolo) proprio con la presentazione delle meno legittimate fra tutte le opere, i lavori da vergognarsi.(C. P. )
  

JEAN-NOËL LIAUT: ELSA TRIOLET ET LILI BRIK - ROBERT LAFFONT 2015




JEAN-NOËL LIAUT
ELSA TRIOLET ET LILI BRIK
Les soeurs insoumises
Robert Laffont (19/3/2015)

Lili Brik et Elsa Triolet sont nées à Moscou à la fin du XIXe siècle. Fameuses pour leur beauté comme pour leur intelligence, elles formèrent un quatuor célèbre avec deux des plus grands poètes du XXe siècle, Vladimir Maïakovski et Louis Aragon. Lili collectionna les génies avec un oeil infaillible : l'écrivain Pasternak, les peintres Rodtchenko et Malevitch, le compositeur Chostakovitch, le cinéaste Eisenstein ou la danseuse Maïa Plissetskaïa.
Elsa, la cadette, fascinée par son aînée, dut livrer bataille pour exister et quitter son ombre. Mais Maxime Gorki l'encouragea à écrire et lorsqu'elle devint la première femme à recevoir le prix Goncourt, après s'être illustrée dans la Résistance, elle comprit qu'elle avait supplanté sa soeur, confinée au rôle d'inspiratrice et d'égérie. Cette rivalité n'altéra cependant jamais l'amour qui les unissait.
Ces figures légendaires de la mythologie communiste surmontèrent tous les soubresauts de l'histoire, en Union soviétique ou en France. Confrontées aux réalités les plus cruelles, Elsa et Lili étaient prêtes à tout sacrifier pour protéger leur idéal artistique. Lili fut toute sa vie la figure centrale de l'avant-garde russe avec une originalité et des exigences très hautes. Elsa défendit sans relâche sa position d'écrivain.
Elles ne furent jamais des femmes du juste milieu. Ces deux forces de la nature, que Pablo Neruda appelait l'une - Lili - «l'indomptable Lili» et l'autre - Elsa - «une épée aux yeux bleus», traversèrent le XXe siècle comme deux véritables icônes.

Jean-Noël Liaut est écrivain et traducteur. Biographe de Karen Blixen et de Madeleine Castaing, il a également publié Les Anges du bizarre (Grasset, 2001), Férocement vôtre (Ramsay, 2005), La Javanaise (Robert Laffont, 2011) et Eloge des garces (Payot, 2013).

PAUL MORAND, ROGER NIMIER: CORRESPONDANCE (1950-1962) - GALLIMARD 2015




PAUL MORAND, ROGER NIMIER
CORRESPONDANCE (1950-1962)
Édition de Marc Dambre
Gallimard (24-04-2015)
Collection Blanche

Ces 485 missives entre Paul Morand et Roger Nimier vont au galop des Hussards : pastiches littéraires, menus gastronomiques, programmes de journées et de nuits fantaisistes, analyse technique des nouveaux bolides, commentaires sur les exploits des rugbymen français et le génie de Joyce ou de Talleyrand. De 1950 au drame de septembre 1962, la connivence et l’admiration s’installent vite entre un «père» qui semble rajeunir et un «fils» qui trouve, aussi, un camarade de jeu. Dans le ton sec à l’humour insolent, c’est le guide du parfait Hussard.
Leur correspondance montre également Nimier au travail, dans la presse puis chez Gallimard. Délaissant son œuvre, il défend un Morand négligé depuis la guerre et une certaine idée de la littérature. Puis il prépare secrètement son retour avec un roman de l’amitié, D’Artagnan amoureux, qui paraîtra un mois après sa mort. Entre-temps, Paul Morand est devenu le quatrième mousquetaire de la bande de Roger Nimier, avec Antoine Blondin et Kléber Haedens, qui sont les fidèles protagonistes de ces lettres. Sans compter bien sûr Jacques Chardonne, surnommé «le Solitaire», avec lequel tous deux correspondent en parallèle.

GENOVA PORTO DEL MONDO - PALAZZO SAN GIORGIO, GENOVA




GENOVA PORTO DEL MONDO
Palazzo San Giorgio
via della Mercanzia 2 - Genova
dal 28/4/2015

Agli occhi del mondo quello di Genova è sempre stato considerato il porto d'Italia, il vero accesso all'Europa per chi arriva da sud. Oggi Genova è pronta a proporsi come "Porto del mondo". In questa chiave lo scalo ha deciso in occasione di Expo di presentare se stesso agli altri Paesi. Lo fa con una mostra a Palazzo san Giorgio che racconta passato, presente e futuro unendo idealmente due "genovesi del mondo": Cristoforo Colombo e Renzo Piano. 
La mostra è in collaborazione con ANSA

Immagine: Il progetto di Renzo Piano per la nuova torre piloti.
  

LUIGI SQUARZINA - MUSEO BIBLIOTECA DELL'ATTORE, GENOVA 27/4/2015





domenica 26 aprile 2015

ZOE LEONARD: ANALOGUE - MOMA, NEW YORK




ZOE LEONARD
ANALOGUE
curated by: Roxana Marcoci, Drew Sawyer, Nancy Newhall
The Museum of Modern Art MoMA
11 West 53 Street - New York
27/4/2015 - 30/8/2015

The Museum of Modern Art presents Zoe Leonard: Analogue —a landmark photographic installation, which was acquired by the Museum in 2013— in the Donald B. and Catherine C. Marron Atrium from June 27 to August 30, 2015. In 412 color and black-and- white photographs, Analogue (1998–2009) documents the changing landscape of 20th-century urban life as seen in vanishing mom-and-pop stores with decaying facades and quirky hand- written signs and the simultaneous emergence of secondary global markets like the rag trade. Zoe Leonard: Analogue is organized by Roxana Marcoci, Senior Curator, with Drew Sawyer, Beaumont and Nancy Newhall Curatorial Fellow, Department of Photography.
Exploring the two-fold tradition of documentary and conceptual photography, Leonard’s project is positioned within the tradition of the grand visual archives that extend from Eugène Atget’s Paris and Walker Evans’s America, to Ed Ruscha’s Los Angeles and Martha Rosler’s Bowery. The artist began photographing shops in her neighborhood on New York’s Lower East Side in the late 1990s. Over the course of a decade, the project grew to include hundreds of photographs, displayed in serial grids organized into 25 chapters, that follow the global circulation of recycled merchandise—used T-shirts, old-fashioned shoes, discarded Coke advertisements, and old technology like Kodak camera equipment—to far-flung places in Eastern Europe, Africa, Cuba, and Mexico.
Roxana Marcoci says, “Analogue is an urgent document and poetic allegory of globalization and the push for technological innovation, revealing the movement of goods and the homogenization of diverse geographical locations in the 21st century.”
The disappearing storefronts and neglected products are echoed in the obsolete technology the artist used to reproduce them: a vintage 1940s Rolleiflex camera, along with the gelatin silver, chromogenic, and dye-transfer printing processes. Leonard underscores the analog process by not cropping the black frame of the negative from the final 11-by-11” prints, reminding the viewer of the materiality of celluloid film, a format becoming increasingly obsolete in an age of digital technology. The embrace of photography as an analog medium is reinforced in the work's recurrent references to Kodak, photo studios, and graffiti. Analogue is a testament to the loss of both locally owned shops and straight photography.
To date, Analogue has been presented in various formats since it premiered at the Wexner Center for the Arts and Documenta 12 in 2007: as a set of 40 dye-transfer prints, as a book, and as a room-size installation. MoMA is the only institution outside of Europe to own the final installation, completed in 2009 and presented here for the first time.

Zoe Leonard was born in 1961 in Liberty, New York, and lives and works in New York. She has exhibited internationally since the late 1980s and has recently been the subject of solo exhibitions at Chinati Foundation, Marfa, Texas; Dia:Beacon, New York; Fotomuseum Winterthur, Switzerland; Museo Nacional Reina Sofia, Madrid; and the Wexner Center for the Arts, Columbus, Ohio. Her work was included in the 1993, 1997, and 2014 Whitney Biennials and in Documenta 9 (1992) and Documenta 12 (2007).

GIUSEPPE UNCINI: CEMENTO E CEMENTO DISEGNATO - GALLERIA CARDI, MILANO




GIUSEPPE UNCINI
CEMENTO E CEMENTO DISEGNATO
Opere dal 1958 al 2008
a cura di Annamaria Maggi
Galleria Cardi
corso di Porta Nuova 38 - Milano
27/4/2015 - 15/9/2015

Galleria Cardi, galleria d’arte moderna e contemporanea, presenta da martedì 28 aprile a martedì 15 settembre 2015, in coincidenza con Expo Milano 2015, una retrospettiva del grande artista italiano Giuseppe Uncini (Fabriano 1929 – Trevi 2008) realizzata in collaborazione con l’Archivio Giuseppe Uncini.
Curata da Annamaria Maggi, la mostra è pensata per proporre al pubblico un excursus sintetico ma al contempo esaustivo, in grado di offrire una panoramica sulla produzione dell’artista: dai primi “Cementarmati” della fine degli anni ’50, agli ultimi “Artifici” del 2007-2008, passando per i “Ferrocementi”, i “Mattoni”, le “Ombre”, le “Dimore”, i “Muri d’ombra”, gli “Spazi di ferro” e le “Architetture”.
Nella pratica artistica di Giuseppe Uncini è fondamentale e determinante l’idea del 'costruire'.
Gli elementi che Uncini utilizza per le sue opere sono principalmente il cemento e il ferro, materiali che gli permettono di elaborare 'oggetti', che seguono il principio della costruzione architettonica e in cui si fondono magistralmente la forma, il disegno, il progetto e lo spazio, e cioè: pittura, scultura e architettura.
L’artista osserva con attenzione le caratteristiche del processo del costruire, soprattutto negli edifici in calcestruzzo e allo stesso modo realizza le sue opere lasciando a vista le matrici costruttive del cemento, del tondino di ferro, della rete metallica strutturale, nonché le impronte del legno sulla superficie della cassaforma di gettata.
È interessante notare quanto fu corretta l’intuizione critica di Emilio Villa che vide in Giuseppe Uncini un precursore di esperienze poveriste e minimaliste.

Dopo le recenti e importanti esposizioni nei Musei Italiani ed esteri, come l’ultima mostra tenutasi nel 2011 al Centro Italiano Arte Contemporanea di Foligno, a cura di Bruno Corà e Italo Tomassoni, e le importanti antologiche effettuate allo ZKM di Karlsruhe (2008), al MART di Rovereto (2008-2009) e alla Neue Galerie am Landesmuseum Johanneum di Graz (2009), il lavoro di Uncini viene presentato a Milano, alla Galleria Cardi.

VIVIANO DOMENICI: UOMINI NELLE GABBIE - IL SAGGIATORE 2015




VIVIANO DOMENICI
UOMINI NELLE GABBIE
Dagli zoo umani delle Expo al razzismo della vacanza etnica
Il Saggiatore (23 aprile 2015)
Collana: La piccola cultura

Dal 1870 al 1940 l'Europa e gli Stati Uniti celebrarono le magnifiche sorti del mondo occidentale sul palcoscenico delle Esposizioni universali. Poco distante, nei villaggi etnici ricreati accanto ai padiglioni, andava in scena uno spettacolo angosciante: neri armati di lance, donne con i bambini al collo, pigmei, eschimesi, indios, tutti esposti perché i bianchi, i colonizzatori, potessero ammirarli o schernirli, sicuri come erano - come, forse, ancora siamo - del primato della razza bianca, del suo diritto a conquistare e dominare le altre razze.
C'è Sarah, l'ottentotta dalle forme inusualmente pronunciate, esibita come una pruriginosa eccentricità biologica e poi studiata e sezionata come una cavia da laboratorio.
C'è il pigmeo Ota Benga che, nel recinto degli animali, non può sorridere a meno che i visitatori non paghino qualche dollaro per vederne i denti aguzzi.
C'è capo Geronimo, mostrato vinto e sconfitto perché nessuno dimentichi mai l'inferiorità degli indiani d'America.
E ci sono le altre migliaia di esseri umani i cui nomi non sono mai stati registrati, tanta era la considerazione riservata alla loro dignità personale.
A una prima, superficiale analisi può sembrare un fenomeno lontano nel tempo, da cui la nostra società ha ormai preso le doverose distanze, ma l'ultimo zoo umano risale al 2005, e il turismo della povertà che tanto successo riscuote in questi ultimi anni ripropone la medesima logica.

Prefazione di Gian Antonio Stella.

MARCO ROMANO: LA PIAZZA EUROPEA - MARSILIO 2015




MARCO ROMANO
LA PIAZZA EUROPEA
Marsilio (16 aprile 2015)
Collana: I nodi

Le strade e le piazze costituiscono la sfera collettiva del nostro vivere la città, piccola o capitale che sia. Di queste strade, e soprattutto di queste piazze, è urgente riesumare la nozione, sia per tentare di porre rimedio alle "malefatte" del passato sia per non riprodurle in avvenire. Tassello fondamentale di questo programma è una precisa cognizione del significato delle piazze nella dimensione simbolica della città. Se oggi si tende a riconoscere una piazza soltanto nel suo aspetto materiale - uno spazio racchiuso da una cortina di case -, in realtà ogni singola piazza progettata e costruita nel passato aveva un suo significato, e proprio la familiarità con tale significato le rendeva riconoscibili a tutti i cittadini. In questo saggio Marco Romano si propone di evocare il senso originario delle varie piazze comparse nel corso del tempo: la piazza principale, quella del mercato, il prato della fiera, la piazza conventuale, quella della chiesa, quella dello Stato, la piazza monumentale, lo square, la piazza nazionale. Un compito non facile, perché a quello iniziale si sovrappongono nei secoli molti altri significati. Pertanto il libro non segue il filo rigoroso di una storia, ma diventa un dialogo incessante tra presente e passato, tra testo e immagini, alle quali è affidato il compito di evocare, come semplice traccia, ciascuno di questi sensi stratificati.

LORENZO BAGNARA: 1926, LA NASCITA DELLA GRANDE GENOVA - PALAZZO DUCALE, GENOVA 27/4/2015




La città stratificata
LORENZO BAGNARA
1926, ANNESSIONE DEI 19 COMUNI DELLA 'CINTURA' CITTADINA
Nascita della Grande Genova
Palazzo Ducale - Sala del Maggior Consiglio
piazza Matteotti 9 - Genova
lunedì 27 aprile 2015, ore 17,45

sabato 25 aprile 2015

ABRAHAM CRUZVILLEGAS: AUTODESTRUCCIÓN 8: SINBYEONG - ART SONJE CENTER, SEOUL




ABRAHAM CRUZVILLEGAS
AUTODESTRUCCIÓN 8: SINBYEONG
curated by Samuso
Art Sonje Center
87 Yulgok-ro 3-gil, Jongno-gu - Seoul
11/4/2015 – 26/7/2015

Art Sonje Center presents Autodestrucción8: Sinbyeong, the first solo exhibition of Abraham Cruzvillegas to be held in Korea and also the commemorating show of his being awarded the fifth Yanghyun Prize in 2012.
Autodestrucción8: Sinbyeong is the eighth episode of the artist’s “autodestrucción” series, an ongoing project of Cruzvillegas since 2012 that combines various languages of literature, philosophy, and music in various localities around the world. For this exhibition, Cruzvillegas presents new works in which he reuses waste and daily objects collected from redevelopment areas in Seoul. It is through such recycling that the artist generates new possibilities and novel images for the seemingly useless objects that have lost their original functionality. It is in this context of transformation that sinbyeong, a particular spiritual experience, has been added as the subtitle of this show. The artist employs as the ground metaphor of his exhibition this space of a rite of passage, or space of mediation, that one has to pass through in order to metamorphose from one being to another.
In the artist’s note for Autodestrucción8: Sinbyeong, Cruzvillegas introduces the eminent avant-garde Mexican poet Jorge Cuesta and his posthumously published poem Song to a Mineral God. In this representative piece of a poet that had pursued radical transformation and alteration of chemistry using his own body, Cuesta pronounces the autonomy of language by taking on the perspective of animism to liberate the language from the sentiments of the poet and allowing room for it to reveal the feelings of its own. It is through the artist’s note that Cruzvillegas borrows such stance of Cuesta and seeks a liberation and transformation of language.
For Autodestrucción8: Sinbyeong, Art Sonje Center has held on to the leftover debris from its past exhibitions throughout the year, and also collected detritus from redevelopment neighborhoods around Seoul. The artist used such materials to create new works during his two-week stay in Seoul, with the help of artists and art students in Korea. Furthermore, upon a barren space of Art Sonje Center that has torn down parts of its walls to portend its upcoming renovation, Cruzvillegas uses video, sound, performance, and traces to reconstruct the memory of his parents’ house in Ajusco, Mexico. In the meanwhile, Art Sonje Center has hosted a series of “Monday Workshops” consisting of interviews and lectures of curators, sociologists, and artists. A documentation of such pre-events and the making process of the exhibition is to be published within the exhibition period.

Abraham Cruzvillegas is a member of The International Taoist Tai Chi Society, studied Pedagogy in the National University of Mexico, and was a member of Gabriel Orozco’s workshop from 1987 to 1991. He also participated in diverse artist run projects, like Temístocles 44, La Panadería and he is also the founder of La Galería de Comercio in 2010. His work has been exhibited in solo exhibitions worldwide, including a major exhibition Abraham Cruzvillegas: The Autoconstrucción Suites at the Walker Art Center in 2013 which traveled to the Haus der Kunst, Münich (2014); Fundación colección Jumex, Mexico City (2014) and Museo Amparo, Puebla, Mexico (2014). He has also participated in Documenta 13, Kassel, Germany in 2012; Gwangju Biennial also in 2012; 10th Havana Biennial in 2009; and the 50th Venice Biennial in 2003. Cruzvillegas was awarded the Yanghyu

TAUBA AUERBACH - CHARLOTTE POSENENSKE: RECIPROCAL SCORE - INDIPENDENZA STUDIO, ROMA




TAUBA AUERBACH - CHARLOTTE POSENENSKE
RECIPROCAL SCORE
Indipendenza Studio
via dei Mille 6 - Roma
23/4/2015 - 11/7/2015
Indipendenza, STANDARD (OSLO) e Mehdi Chouakri sono lieti di annunciare l’inaugurazione di Reciprocal Score, la doppia mostra personale di Tauba Auerbach e Charlotte Posenenske.
Ispirandosi alla nozione di autentica co-autorialità proposta dalla serie Square Tubes DeDW di Posenenske (ogni volta che queste opere vengono esposte i vari componenti sono assemblati in configurazioni determinate di volta in volta dal curatore, dal collezionista, dal pubblico o, come in questo caso, da un artista) Auerbach ha tentato di realizzare una mostra che prendesse la forma di un dialogo, ma senza un reale iniziatore. Ogni singolo lavoro è allo stesso tempo richiesta e risposta – una partitura che l’altro è invitato a suonare.
Dopo vari soggiorni preparatori a Roma, Auerbach ha voluto accogliere nella mostra le strutture architettoniche e gli elementi ornamentali colti durante le sue visite della città. Movimenti serpeggianti, circolari ed elicoidali emergono dalla geometria di angoli retti delle opere intessute di Auerbach e dal profilo quadrato dei componenti industriali di Posenenske.

La mostra Reciprocal Score sarà accompagnata da un libro con lo stesso titolo, realizzato con plotter da taglio, timbrato in gomma e pubblicato da Diagonal Press, la casa editrice di Tauba Auerbach.

Tauba Auerbach (nata nel 1981) vive e lavora a New York. Nelle sue opere più recenti ha indagato questioni relative alla topologia, alle dimensioni spaziali superiori e alla chiralità. Opere di Tauba Auerbach sono presenti in prestigiose collezioni museali tra cui ricordiamo quella del MoMA, del Whitney Museum of American Art, del Walker Art Center e del Centre Pompidou. La sua mostra personale più recente ha avuto luogo presso l’ICA a Londra. L’artista è rappresentata da STANDARD (OSLO) e Paula Cooper Gallery, New York.
Charlotte Posenenske (1930 Wiesbaden – 1985 Francoforte), attiva in Germania negli anni ‘50 e ‘60, è considerata una figura chiave a cavallo tra l’Arte Minimalista e l’Arte Concettuale.
Nel 1967 l’artista creò la serie Vierkantrohre, sculture modulari realizzate in acciaio galvanizzato o cartone ondulato, basate sulla manifattura industriale e sulla produzione di massa, i cui elementi possono essere combinati liberamente senza alcuna istruzione specifica.
Un anno dopo decise di porre termine alla sua carriera artistica, nel pieno del clima politico e sociale del 1968, affermando che l’arte non avrebbe mai avuto un adeguato impatto sociale. 

JOSEPH ROTH: L'AVVENTURIERA DI MONTECARLO - ADELPHI 2015




JOSEPH ROTH
L'AVVENTURIERA DI MONTECARLO
Scritti sul cinema (1919 - 1935)
Adelphi (16 aprile 2015)
Collana: Piccola biblioteca Adelphi

Il cinema è non solo presenza ricorrente nella narrativa di Roth, ma anche oggetto di splendidi feuilleton e recensioni - nell'insieme un centinaio di interventi, compresi per lo più fra il 1919 e l'inizio degli anni Trenta, di cui si offre qui una ampia e rappresentativa scelta. Appassionato di Buster Keaton, capace di liquidare il sentimentalismo di un'epoca intera, cultore di documentari e film etnologici, Roth sa essere sferzante come pochi e non risparmia perfidi strali a osannati registi, si chiamino Lang o Ejzenstejn né, ovviamente, ai più turgidi colossal: come "Messalina", contraddistinto da "una noia colossale", sicché, egli confessa, "abbiamo il nostro bel daffare a tenerci svegli. Ci sentiamo stanchi come dopo una festa di matrimonio o un banchetto funebre durati giorni e giorni". Quando visita i set, poi, è un grandioso, rutilante bestiario che si offre al suo sguardo implacabile: registi onnipotenti, operatori pedanti, comici presenzialisti, ricchi produttori, dive irresistibili e tiranniche che si scelgono ruoli cuciti sul loro corpo: senza che di quel corpo "il povero sceneggiatore abbia potuto cogliere anche un solo barlume". Ma quel che più conta è forse l'attenzione, acutissima e preveggente, rivolta sin dai primi testi alla capacità del cinema di creare simulacri: i meravigliosi prodigi dello schermo significano per Roth che la realtà, così ingannevolmente imitata, non era poi tanto difficile da imitare...

NICOLA CHIAROMONTE, IGNAZIO SILONE: L'EREDITÀ DI TEMPO PRESENTE - FAHRENHEIT 451 2015




NICOLA CHIAROMONTE
IGNAZIO SILONE
L'EREDITÀ DI TEMPO PRESENTE
a cura di Goffredo Fofi
Fahrenheit 451 (15 aprile 2015)
Collana: Roma/Incontri

1956: nasce la rivista "Tempo Presente". Fondata e diretta da Chiaromonte e Silone, è stata una delle esperienze più interessanti, coraggiose, deliberatamente eretiche della cultura italiana del periodo. Il loro pensiero appare oggi attualissimo, nella tenace difesa della ragione democratica contro ogni forma di dittatura, di malafede o di autoritarismo. Interventi di: Federica Bellincata, Nicola De Cilia, Francesco De Core, Bruno Falcetto, Marcello Flores, Goffredo Fofi, Giancarlo Gaeta, Vittorio Giacopini, Gustaw Herling, Filippo La Porta, Michael Lswy, Marino Sinibaldi.

MARINA FIRPO: I FIESCHI. FEUDALITÀ E ISTITUZIONI - SAGEP 2015




MARINA FIRPO
I FIESCHI
Feudalità e istituzioni Il Liber privilegiorum (1227-1465) - volume I
SAGEP (16 febbraio 2015)
Collana: Fondazione Conservatorio Fieschi

Questa raccolta di documenti, pubblicati per la prima volta, rappresenta un unicum nella storia genovese. Si tratta di un manoscritto conservato in un archivio privato che raccoglie diplomi imperiali e bolle pontificie emanati fra XIII e XV secolo in favore dei conti di Lavagna e, particolarmente, dei Fieschi, famiglia tra le più eminenti appartenente al clan, oltre ad accordi tra questi e il comune di Genova e il ducato di Milano, sentenze di arbitri e giuristi per il riconoscimento dei privilegi goduti da questo antico casato.
Un viaggio attraverso i secoli che porta il lettore a seguire il complesso rapporto di incontro/scontro tra le nascenti istituzioni comunali genovesi e le signorie territoriali pronte a difendere i loro diritti e privilegi, in quella differenziata dialettica che mette a confronto le autonomie fiscali di prerogativa signorile con l’affermarsi delle autonomie locali.

Marina Firpo, laureata presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Genova con una tesi di ricerca in Storia dell’Arte Medievale, nel 1996 ha conseguito il titolo di dottore di ricerca in Storia Medievale presso la Scuola Superiore di Studi Storici dell’Università di San Marino con una tesi diretta dal prof. Jacques Le Goff dell’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales di Parigi.

venerdì 24 aprile 2015

ANTHONY GORMLEY: HUMAN - FORTE BELVEDERE, FIRENZE




ANTHONY GORMLEY
HUMAN
a cura di Sergio Risaliti e Arabella Natalini
Forte di Belvedere
via S. Leonardo - Firenze
25/4/2015 - 27/9/2015

Dal 25 aprile Firenze ospita le opere di Antony Gormley, uno dei più apprezzati scultori viventi. La mostra dal titolo Human, segue i grandi successi delle esposizioni di Zhang Huan (2013) e Giuseppe Penone (2014), dopo la riapertura del Forte di Belvedere nel 2013. Curata da Sergio Risaliti e Arabella Natalini, Human vede riunite più di cento opere di Gormley nelle sale interne della palazzina, sui bastioni, sulle scalinate e le terrazze, occupando ogni lato della fortezza cinquecentesca con le sue straordinarie viste sulla città e le colline circostanti. Tra le opere in mostra l’importante installazione Critical Mass, un “anti-monumento che evoca tutte le vittime del XX secolo”. L’opera fu ideata originariamente nel 1995, per un vecchio deposito di tram a Vienna, per “attivare l’intero edificio e farne un punto di riflessione su un momento buio della storia della Germania”. Visibile sulla terrazza inferiore del Forte, Critical Mass, acquisisce una nuova forza nel confronto con la città rinascimentale, la storia dell’umanesimo e la continua e onnipresente relazione tra denaro e potere militare.

Spiega l'autore: “Sul terrazzo più basso del Forte le 12 figure sono installate in senso lineare e progressivo dalla posizione fetale a quella per osservare le stelle richiamando l’ “ascesa dell’uomo”. All’estremo opposto, occidentale, del terrazzo più basso si trova un ammasso confuso degli stessi corpi. Qui oggetti industriali in ferro sembrano abbandonati, ognuno dieci volte la densità relativa di un corpo umano vivente, riflette la zona d’ombra che inevitabilmente accompagna ogni concetto del progresso umano, mettendo lo spettatore davanti ad un’immagine evocativa del conflitto del secolo scorso. Questa dialettica tra desiderio e inettitudine è la tensione che sottende in modo capillare tutta la mostra.”
Le figure più naturalistiche di Critical Mass, derivate da modelli presi direttamente dal corpo dell’artista, sono in dialogo con le recenti opere conosciute come Blockworks, che restituiscono l’anatomia umana attraverso volumi architettonici mentre ogni scultura è posizionata per entrare in risonanza con la struttura del Forte.
Dice l’artista: “Il Forte è un esemplare straordinario di trasformazione: una collina naturale trasformata in manufatto da Ferdinando de’ Medici. Per lungo tempo è stato associato all’arte contemporanea, spesso usato come contesto monumentale per opere monumentali. Piuttosto che inserire altre opere il cui intento è di misurarsi con la spazialità del luogo, ho scelto di esporre opere a misura d’uomo che permettano alla forma e alla sostanza di questa notevole costruzione di esprimersi …”. E ancora: “[…] HUMAN fa aprire il Forte di Belvedere attraverso l’agopuntura scultorea: le opere sono dislocate in modo diffuso e capillare al fine di catalizzare le masse interiori, le costrizioni ed il panorama che si gode da questo luogo. Nel trovare i luoghi adatti a creare questi confronti e allusioni, a creare ostacoli ed occasioni per fermare i visitatori nel loro peregrinare, cerco di incoraggiarli a ripensarsi e di ripensare il modo in cui si misurano con gli spazi che hanno intorno”.
La grande esposizione che vede la ridefinizione della figura umana, trova la sua collocazione “naturale” a Firenze, città nella quale, tra Quattrocento e Cinquecento, artisti come Donatello, Michelangelo, Bandinelli e Cellini si sono dedicati allo studio della rappresentazione dell’uomo “ideale” in rapporto all’architettura. Human rinnova e conferma la determinazione della città a promuovere la cultura contemporanea, cercando una cruciale interazione tra la Firenze del Rinascimento e la città attuale in uno stretto dialogo tra scultura e una nuova concezione dell’ambiente antropico.

Antony Gormley è ampiamente acclamato per le sue sculture, installazioni e opere d’arte pubblica che indagano il rapporto tra il corpo umano e lo spazio. Il suo lavoro ha sviluppato il potenziale aperto dalla scultura a partire dagli anni sessanta del secolo scorso attraverso un impegno critico sia con il proprio corpo che con quello degli altri affrontando questioni fondamentali relative alla posizione degli esseri umani in rapporto con la natura e il cosmo. Gormley cerca continuamente di identificare lo spazio dell’arte come luogo del divenire in cui possono nascere nuovi comportamenti, pensieri e sentimenti. I lavori di Gormley sono stati ampiamente esposti in tutto il Regno Unito e a livello internazionale con mostre: Zentrum Paul Klee, Berna (2014); Centro Cultural Banco do Brasil, São Paulo, Rio de Janeiro e Brasilia (2012); Deichtorhallen, Hamburg (2012); museo dell’eremo, St Petersburg (2011); Kunsthaus Bregenz, Austria (2010); Hayward Gallery, Londra (2007); Malmö Konsthall, Svezia (1993) e Louisiana Museum of Modern Art, Humlebæk, Danimarca (1989). Ha inoltre partecipato a importanti mostre collettive come la Biennale di Venezia (1982 e 1986) e Documenta 8, Kassel, Germania (1987). Opere pubbliche permanenti includono l’Angel of the North (Gateshead, Inghilterra), Another Place (Crosby Beach, Inghilterra), Dentro Australia (Lake Ballard, Western Australia) e Exposure (Lelystad, Olanda). Gormley è stato insignito del Turner Prize nel 1994, il South Bank Prize for Visual Art nel 1999, la Bernhard Heiliger Premio per la Scultura nel 2007, il Premio Obayashi nel 2012 e il Praemium Imperiale nel 2013. Nel 1997 è stato nominato Ufficiale dell’Iimpero Britannico (OBE) e Cavaliere [Sir] dalla Regina Elisabetta II nel 2014 nella tradizionale carrellata di nuovi titoli nobiliari erogati a capodanno. E’ membro onorario del Royal Institute of British Architects, nonché dottore honoris causa dell’Università di Cambridge e Fellow di Trinity College e Jesus College della stessa Università. E’ Accademico Reale dal 2003 e membro fiduciario del consiglio di amministrazione del British Museum dal 2007. Antony Gormley è nato a Londra nel 1950.

Immagine: Antony Gormley, Critical Mass 

VALIE EXPORT: METANOIA - TANJA GRUNERT GALLERY, NEW YORK




VALIE EXPORT
METANOIA
Tanja Grunert Gallery
33A Orchard Street - New York
25/4/2015 - 31/5/2015

Tanja Grunert Gallery is pleased to present METANOIA a solo installation of 29 video performances by Austrian artist VALIE EXPORT. Composed by EXPORT, the collection includes avant-garde films, structural movies, performance videos, video poems, video body actions and experimental films from 1968–2010. METANOIA represents the artist’s most important work in film and video and demonstrates the wide range of her media oeuvre.
The title of the exhibition comes from the Greek word Metanoia, which has various meanings: meta (=after/post or beyond) + noia, which comes from the Greek nous (=mind) and refers to something post-logical, beyond reason. In modern Greek the word has come to mean “redemption”, which implies a religious meaning. Included in this exhibition will be one of EXPORT’s early performance videos, “Man & Woman & Animal” (1970-73) which looks into the religious and historical construction of gender, its dualisms and ecclesiastical power mechanisms. Noted video works such as “Cuts/Elements of Observation” (1973), “Hyperbulia” (1973) and “Syntagma” (1983) alongside some video poems accentuate EXPORT’S experimental language of video and performance art.
Being a pioneer of conceptual media art, EXPORT's work explores feminist theories and challenges social and political topics. Working across media in body performances, video installations, and expanded cinema, her early guerilla performances have attained an iconic status in feminist art history. She provoked thought about the passive role of women in cinema and confrontation of the private nature of sexuality with the public venues of her performances. METANOIA is an extension of EXPORT’s active engagement with feminism and her desire to experiment in different languages, incorporating body language, structuralism and sexual politics.

Valie Export is an Austrian-based artist working on video installations, body performances, expanded cinema, computer animations, photography, and sculptures since 1968. Before her political and artistic revolution, Export was a mother and a wife. In 1967, she changed her name to VALIE EXPORT, shedding her father’s and husband’s names and appropriating her new surname from a popular brand of cigarettes. With this gesture of self-determination, EXPORT emphatically asserted her identity within the Viennese art scene, which was then dominated by the taboo-breaking performance art of the Vienna Actionists such as Hermann Nitsch, Otto Mühl, and Rudolf Schwarzkogler. Like her male contemporaries, she subjected her body to pain and danger in actions designed to confront the growing complacency and conformism of postwar Austrian culture. But her examination of the ways in which the power relations inherent in media representations inscribe women’s bodies and consciousness distinguishes VALIE EXPORT’s project as unequivocally feminist. Since 1995/1996 she has held a professorship for multimedia performance at the Academy of Media Arts Cologne.
Valie Export has participated in solo and group exhibitions at museums internationally including Centre Georges Pompidou, Paris; The Museum of Modern Art, New York; Institute of Contemporary Art, London; Venice Biennale, Venezia; documenta, Kassel; MoCA, Los Angeles; Stedelijk Museum, Amsterdam; MUMOK, Vienna; Generali Foundation, Vienna; P.S.1 Contemporary Art Center, New York; Shanghai Art Museum, Shanghai;Palais des Beaux-Arts, Bruxelles; Tate Modern, London; Metropolitan Museum of Art, Seoul, Korea; Metropolitan Museum, New York; Ars electronica, Linz/Austria. Her works are included in collections such as Centro Pompidou, Paris, Tate Modern, London, Reine Sophia, Madrid, MOMA, New York, MOCA, Los Angeles.

Image: Valie Export METANOIA , 2011 DVD - Edition 29 DVDs of various performances and films.