martedì 30 settembre 2014

HOKUSAI - GRAND PALAIS, PARIS




HOKUSAI
commissaires : Seiji Nagata en collaboration avec Laure Dalon
Galeries Nationales du Grand Palais
3, avenue du Général Eisenhower - Paris
1er octobre 2014 - 18 janvier 2015

Grâce à la série des Trente-six vues du Mont Fuji et en particulier à la Grande Vague, Katsushika Hokusai (1760 – 1849) est sans doute aujourd’hui l’artiste japonais le plus célèbre dans le monde. S’il a déjà eu les faveurs de nombreuses expositions, c’est néanmoins une monographie d’une ampleur tout à fait inédite que propose le Grand Palais.

Hokusai et la France
De Félix Bracquemond à Émile Gallé, en passant par Edmond de Goncourt, les artistes et écrivains français jouèrent un rôle déterminant dans la redécouverte de l’art de Hokusai à la fin du XIXe siècle ; leur intérêt pour cet artiste alors peu considéré dans son Japon natal contribua fortement à la diffusion du japonisme dans les arts européens. Nombreux furent notamment les artistes qui puisèrent des motifs dans les 15 volumes de Hokusai Manga, ainsi qu’en témoignent de nombreux dessins, estampes et objets d’art.

Hokusai Manga
OEuvre-phare dans le travail de Hokusai, cette anthologie de croquis fera l’objet d’une présentation inédite et tout à fait exceptionnelle, à l’occasion du bicentenaire de la publication du premier de ses quinze volumes. Conçus comme des manuels à l’usage des jeunes artistes, ces mangas constituent une sorte d’encyclopédie du vivant et de la vie quotidienne du Japon de l’époque d’Edo.

Hokusai, le « fou de dessin »
Dépassant les clichés et les images les plus emblématiques, l’exposition met en lumière la vie et l’oeuvre de cet artiste extrêmement prolifique, qui changea d’identité artistique à de multiples reprises au cours de sa longue carrière. Peintre, dessinateur, graveur, Hokusai produit durant sa longue vie des milliers d’oeuvres dont la qualité n’a d’égale que la diversité : portraits de courtisanes ou d’acteurs de kabuki, scènes de la vie quotidienne, cartes de voeux raffinées, illustrations de récits et de mythes populaires… C’est néanmoins avec la publication de ses grandes séries de paysages qu’il marque le plus profondément l’art de l’estampe japonaise : il réalise alors une synthèse originale entre les principes traditionnels de l’art japonais et l’assimilation des influences occidentales pour composer des paysages d’une beauté saisissante.

Hokusai au Grand Palais
Les six périodes de la vie de Hokusai sont traversées, illustrées par des séries d’estampes (dont les prêts exceptionnels de la collection des Musées royaux d’Art et d’Histoire de Bruxelles), des livres, mais aussi de nombreuses peintures pour partie inédites, ainsi que de précieux dessins préparatoires. Au total plus de 500 pièces exceptionnelles sont présentées.

Image: Katsushika Hokusai (1760 -1849), « Chōshi dans la province de Sōshū » (détail), Série : Mille images de la mer, vers le début de l’ère Tempō (vers 1830-1834) Estampe nishiki-e, format chūban,18,2 x 25,6 cm,Signature : Saki no Hokusai Iitsu hitsu, Éditeur : Mori-ya Jihei, Paris, Musée national des arts asiatiques - Guimet © Rmn-Grand Palais (musée Guimet, Paris) / Thierry Olivier

HENRI CARTIER-BRESSON - MUSEO DELL'ARA PACIS, ROMA




HENRI CARTIER-BRESSON
a cura di Clément Chéroux
Museo dell'Ara Pacis
Lungotevere in Augusta - Roma
dal 26/9/2014 al 25/1/2015

Dal 26 settembre 2014 al 25 gennaio 2015, presso il Museo dell’Ara Pacis, la mostra retrospettiva Henri Cartier-Bresson a cura di Clément Chéroux. La grande esposizione, realizzata dal Centre Pompidou di Parigi in collaborazione con la Fondazione Henri Cartier-Bresson, è promossa da Roma Capitale Assessorato alla Cultura, Creatività e Promozione Artistica - Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e prodotta da Contrasto e Zètema Progetto Cultura e viene presentata a dieci anni esatti dalla morte di Henri Cartier-Bresson. Clément Chéroux è storico della fotografia e curatore presso il Centre Pompidou, Musée national d’art moderne.
Il genio per la composizione, la straordinaria intuizione visiva, la capacità di cogliere al volo i momenti più fugaci come i più insignificanti, fanno di Henri Cartier-Bresson (1908 – 2004) uno dei più grandi fotografi del ventesimo secolo. Nel corso della sua lunga carriera, percorrendo il mondo e posando lo sguardo sui grandi momenti della storia, Cartier-Bresson è riuscito a unire alla potenza della testimonianza la poesia.
Questa retrospettiva ripercorre cronologicamente il suo percorso, con l’ambizione di mostrare che non c’è stato un solo Cartier-Bresson ma diversi.
La mostra propone, infatti, una nuova lettura dell'immenso corpus d’immagini di Cartier-Bresson, coprendo l’intera vita professionale del fotografo. Saranno esposti oltre 500 opere tra fotografie, disegni, dipinti, film e documenti, riunendo le più importanti icone ma anche le immagini meno conosciute del grande maestro: 350 stampe vintage d’epoca, 100 documenti tra cui quotidiani, ritagli di giornali, riviste, libri manoscritti, film, dipinti e disegni. L’itinerario espositivo offre una doppia visione: rintraccia la storia dei lavori di Cartier-Bresson, per mostrare l’evoluzione del suo cammino artistico in tutta la sua complessità e varietà, e, al tempo stesso, raccoglie e ”rappresenta” la storia del Ventesimo secolo attraverso il suo sguardo di fotografo.
La mostra è accompagnata da un ampio ed esaustivo catalogo (pubblicato da Contrasto) con saggi di studiosi, esperti e testi inediti di Cartier-Bresson. Oltre al catalogo, sarà disponibile anche un’agile guida alla mostra.

Immagine: Henri Cartier-Bresson, Hyères, France 1932 © Henri Cartier-Bresson

PAUL RICOEUR: I MITI DELLA RAGIONE E DELLA SALVEZZA - CASTELVECCHI 2014




PAUL RICOEUR
I MITI DELLA RAGIONE E DELLA SALVEZZA
Castelvecchi (24 settembre 2014)
collana: Etcetera

Il mito, quale espressione narrativa di un evento fondatore, assolve una funzione basilare per l'identità di ogni comunità umana, raccontandone l'origine. Ma che valore ha tale concetto per la riflessione filosofica? Che rapporto ha con la storia e il tempo storico? Come s'intreccia con la Heilsgeschichte, la nozione biblica di "storia della salvezza"? E perché all'interno della tradizione giudaico-cristiana si parla di "miti della salvezza" solo passando attraverso il problema del male? Di certo, spiega Ricoeur, la liberazione dal male non può assumere esclusivamente la forma di un grande racconto; al contrario, la salvezza è una polifonia di modi e generi letterari, perché non esiste una via razionale per denunciare e comprendere la sofferenza. Dunque, l'indagine scientifica non farà che rilanciare l'importanza del mito, mentre il mythos promuoverà sempre una nuova fase del logos. Scritto in occasione del "Quarto Colloquio su Filosofia e Religione", tenuto a Macerata nel 1988, "I miti della ragione e della salvezza" offre una lettura ermeneutica di questioni etiche e teologiche cruciali.

L'ETÀ SOFFICE - QUODLIBET 2014




L'ETÀ SOFFICE
Teoria e pratica dell’arte nell’epoca dei new media
a cura di Pierfrancesco Giannangeli e Antonello Tolve
Quodlibet (1 ottobre 2014)
collana: Quaderni dell’Accademia di Belle Arti di Macerata

Con questo secondo volume dei Quaderni dell’Accademia di Belle Arti di Macerata abbiamo voluto restituire – e il piu fedelmente possibile – i risultati degli incontri organizzati dal 18 al 21 marzo 2013 in occasione del Quarantennale dell’Accademia ed evidenziare dunque lo sforzo di fare ricerca, di unire gli spazi della tecnica con quelli della teoria (Paola Taddei).
Con testi di Renato Barilli, Loretta Fabrizi, Pierfrancesco Giannangeli, Jannis Kounellis, Antonello Tolve e Angelo Trimarco.
  

PIETRO GERMI - PALAZZO DUCALE, GENOVA




PIETRO GERMI 1914-1974
mostra organizzata dal Gruppo Ligure Critici Cinematografici (S.N.C.C.I.)
allestita da Claudio Bertieri
con materiali della Fondazione Mario Novaro Genova
Palazzo Ducale - Sala Liguria
piazza Matteotti 9 - Genova

1-29 ottobre 2014

Gli anniversari, si sa, sono sempre dei pretesti anche quando sono doppi come nel caso di Pietro Germi, di cui cadono ne! 2014 i 100 anni dalla nascita e i 40 dalla morte. Così è anche per la massima gloria cinematografica genovese, genovese solo per l’anagrafe, perché, come tutti quelli che intendono fare cinema, ha trascorso nella città d’origine poco più dell’adolescenza prima dell’approdo romano; il che non ha impedito a Germi di conservare comunque memorie genovesi, sparse qua e là nei film fatti. 
L’omaggio che gli rende il Gruppo Ligure Critici Cinematografici, con la fattiva collaborazione di quanti figurano nel colophon qui accanto, non ha però una semplice motivazione occasionale. Al contrario è l’opportunità per una riflessione su un autore tanto celebrato – e contrastato – da vivo quanto sovente rimosso dopo la scomparsa. Una certa discontinuità della sua produzione, la singolarità individualista dei suoi soggetti e del suo tono, e ancora l’aver condiviso i tempi di neorealismo, nuovecorrenti e commedia italiana – sposando però modi e maniere del cinema di genere in un ‘epoca in cui cominciava affacciarsi il cinema d’autore – fanno tuttavia di Germi un punto ftrmo: il regista genovese rappresenta infatti una sorta di test per la riflessione libera da preconcetti su chi fa cinema senza facili riferimenti a quanto è esterno alle immagini sullo schermo.
Ricordare oggi Germi con una mostra ha quindi un valore che va al di là della sua persona, il valore dello sguardo verso il senso del passato, che è la vera password per accedere al senso (eventuale) del presente.
Nell’anno in cui il Gruppo Ligure Critici Cinematografici ha appena avviato la quindicesima stagione della “Stanza del Cinema” – l’appuntamento mensile che guarda e medita sul presente della settima arte – si realizza così la Pienezza della sua “missione” di affrontare il cinema in maniera criticamente articolata, cioè senza l’esclusiva attenz!one verso ifamosi, i diversi, gli schierati, gli strani di turno. E insomma come l’applicazione di quell’ ‘!Assalto al cinema” che quattro annifa comPilò !’inventario storico del gusto, della passione, della cultura cinematografiche, ripetutamente alimentate nella nostra città e nella nostra regione da generazioni.
E che speriamo lo saranno ancora in futuro.
Massimo Marchelli
Presidente Gruppo Ligure Critici Cinematografici (S.N.C.C.L)

si ringraziano l’Archivio Museo Nazionale del Cinema per le pagine di sceneggiature dei film
e Walter Di Giusto per la collaborazione all’allestimento della Mostra


IL CINEMA DI PIETRO GERMI
La passione di Pietro Germi per il cinema nasce nel centro storico di Genova – dove il 14 settembre 1914 egli viene alla luce in via Ponte Calvi, figlio di Giovanni, portiere d’albergo, e della sarta Armellina Castiglione – e si alimenta poi negli anni in cui frequenta l’Istituto Nautico dopo di essersi trasferito con la famiglia, allargata ore a tre sorelle, in via Santa Croce a Sarzano.
Più tardi dirà che tra i tanti film visti quelli che più lo avevano emozionato erano stati A me la libertà (1932) di René Clair e Il traditore (1936) di John Ford.
Intanto, Germi faceva le prime esperienze d’attore (nella filodrammatica del teatrino di Santa Maria di Castello), di scrittore (alcuni racconti editi su “Il Lavoro”) e di soggettista cinematografico (la rivista “Cinema” gli pubblica il soggetto Piano regolatore). Era il 1937, lo stesso anno in cui Germi, abbandonato l’impiego da spedizioniere, si trasferisce per breve tempo a Milano e presenta domanda d’ammissione al Centro Sperimentale di Cinematografia.
Convocato a Roma in autunno, s’iscrive dapprima ai corsi di recitazione e poi anche a quelli di regia, tenuti da Alessandro Blasetti. Il suo battesimo dietro la cinepresa avviene con il saggio ambientato in un manicomio e girando con il compagno di studi Dino De Laurenilis il mediometraggio Pantaloni corti.
L’esordio di Germi nel professionismo avviene nel 1939, quando Blasetti lo chiama come co-sceneggiatore e assistente alla regia di Retroscena. Conseguito il diploma al Centro Sperimentale, seguono le collaborazioni con Palermi (La peccatrice, 1940), Elter (II figlio del Corsaro Rosso e Gli ultimi fillibustieri, 1941) e ancora, pur non accreditato, con Blasetti sui set di La corona di ferro (1941) e Nessuno torna indietro (1943).
Intanto, nel 1942, Germi si sposa con Anna Maria Bancio, che gli darà la figlia Maria Linda. Il passaggio alla regia, grazie anche all’appoggio di Blasetti (supervisore) e dell’amico Monicelli (aiuto regista) avviene nel 1945 con Il testimone. È l’inizio della prima fase della sua attività di autore cinematografico, che si muove su un crinale nel quale convergono l’esempio neo realista e il dichiarato amore per il cinema di “genere”. Seguono infatti Gioventù perduta (1947, “noir” d’ambientazione romana sulla criminalità giovanile nel dopoguerra), In nome della legge (1949, “western” siciliano SlÙ tema del rapporto tra la mafia e la giustizia), Il cammino della speranza (1950, epico viaggio dalla Sicilia alla Francia di un gruppo di emigranti: con tante citazioni cinematografiche interne, da Ejzenstein a Renoir, passando per Ford) e La città si difende (1951, “poliziesco” hollywoodiano ambientato a Roma).
Dopo un film su commissione (La presidentessa, 1952), un “western” risorgimentale (II brigante di Tacca de! Lupo, 1952), il ritorno in Sicilia con il letterario Gelosia (1953) da Capuana e un episodio di Amori di mezzo secolo (1953, Guerra 1915-1918), la filmografia di Germi sterza verso il melodramma d’ambiente quotidiano con il “dittico familiare” che segna la sua definitiva rottura con la critica ufficiale: Il ferroviere (1956) e L’uomo di paglia (1958), entrambi con lui stesso protagonista, a testimonianza del suo amore per la recitazione già evidenziato in Montecassino (1946) di Gemmiti, in Fuga in Francia (1948) di Soldati e ribadito nel seguente Un maledetto imbroglio (1959, da Gadda).
Attore essenziale e molto amato dal pubblico, Germi dà ottima prova di sé anche in Jovanka e le altre (1959) di Ritt, Il rossetto (1960) e Il sicario (1961) di Damiani, La viaccia (1961) di Bolognini; ma la sua carriera d’interprete è bruscamente interrotta dalla paresi facciale che lo colpisce durante le riprese di Divorzio all’italiana (1961).
Questo film apre la stagione del “grottesco sociale”, cui appartengono anche Sedotta e abbandonata (1963), ancora la Sicilia, e Signore e signori (1965), ambientato a Treviso.
È per Germi il momento di massimo successo (Cannes, Oscar, Nastri d’argento, David di Donatello, ecc.), l’apice di una filmografia che da allora in poi sbanda da L’immorale (1966) ritratto di un poligamo per vocazione, alla favola agreste Serafino (1968); dall’apologo anti-contestazione di Le castagne sono buone (1970) alla paradossale misoginia di Alfredo Alfredo (1972). L’anno dopo, Germi viene stroncato dalla cirrosi epatica, mentre lavora al progetto di Amici miei, da lui lasciato in eredità a Mario Monicelli. Quel 5 dicembre 1974, al suo capezzale, c’erano la seconda moglie Olga D’Ajello, la figlia Maria Linda e i gemelli, Francesco e Francesca, avuti con la D’Ajello.
Molte indubbiamente a disposizione sono le scelte che si possono operare volendo raccontare in una mostra espositiva il percorso creativo di un personaggio. In questo caso, di un regista come Pietro Germi, il cui iter quasi trentennale vissuto a Cinecittà ha svoltato più volte tra i generi del racconto cinematografico.
Per ovviare all’influenza di possibili adesioni personali, di opzioni privilegianti, si è preferito pertanto un percorso per così dire “uniforme”, volutamente asettico, assegnando eguale spazio testimoniale alle diciannove tappe del percorso, quanti sono stati appunto i film diretti dal regista genovese tra il 1945 e il 1972.
Una rilettura affidata dunque a foto di scena e ai materiali pubblicitari, e di promozione, realizzati per ciascuna pellicola, cercando di sottolinearne l’eventuale diffusione internazionale. Con una presenza accomunante: il francobollo con cui le poste italiane hanno ricordato l’attività di Germi nel 1997.

Germi alla stanza del cinema
Il 13 ottobre la “Stanza” monografica avrà per tema il regista-attore in mostra.
Parteciperanno alcuni soci del Gruppo Ligure Cinematografici.

Germi in convegno
Il 10 dicembre, alle ore 10.30, nell’Aula Magna di Via Balbi 2, si terrà un convegno promosso dall’Università di Genova, l’Università di Torino e CSC-Cineteca Nazionale con la collaborazione del Gruppo Ligure Critici Cinematografici.  

lunedì 29 settembre 2014

JOAN JONAS: LIGHT TIME TALES - HANGAR BICOCCA, MILANO




JOAN JONAS
LIGHT TIME TALES
a cura di Andrea Lissoni
Hangar Bicocca
via Chiese 2 - Milano
dal 30/9/2014 all'1/2/2015

Pirelli HangarBicocca inaugura Light Time Tales, la prima grande mostra personale di Joan Jonas (New York, 1936) ospitata presso un’istituzione italiana, che riunirà, tra opere storiche e più recenti, dieci installazioni e nove video monocanale, tra cui un nuovo video concepito appositamente per Pirelli HangarBicocca.
Tra le opere in mostra Reanimation, simbolo dell’evoluzione delle sperimentazioni di Joan Jonas, è punto di partenza dell’omonima performance in collaborazione con il musicista e compositore jazz Jason Moran che sarà presentata il 21 ottobre 2014.

Joan Jonas è una delle più rispettate e riconosciute artiste viventi. Considerata la massima autorità in campo di storia e teoria della performance, si è affermata negli anni 60 e 70 grazie alla sua pionieristica pratica performativa e video.
Il suo lavoro ha reinterpretato in modo assolutamente originale la relazione tra l’arte e le forme della narrazione, includendo nelle sue opere, accanto all’immagine video, alla scultura e alla performance, la presenza della parola come motore di immaginario.

Joan Jonas rappresenterà gli Stati Uniti alla 56° edizione della Biennale di Venezia, in apertura a maggio 2015, con una mostra presentata dal MIT List of Visual Arts Center. Attualmente è Professor Emerita presso il Massachusetts Institute of Technology (MIT) Program in Art, Culture and Technology di Boston, ed è autrice di testi di riferimento sul tema delle performing arts. Ha partecipato alle più importanti mostre collettive degli ultimi trent’anni, fra cui la Biennale di Venezia nel 2009 e varie edizioni di documenta di Kassel (1972, 1977, 1982, 1987, 2002, 2012).
  

MARTHA ROSLER: THE BOWERY IN TWO INADEQUATE DESCRIPTIVE SYSTEMS (1974-1975) - LETHABY GALLERY, LONDON




MARTHA ROSLER
THE BOWERY IN TWO INADEQUATE DESCRIPTIVE SYSTEMS (1974-1975)
Lethaby Gallery
Central Saint Martins - University of the Arts London - Granary Building
1 Granary Square - London 30/9/2014 - 25/10/2014

This Autumn, Afterall will present an exhibition of Martha Rosler’s The Bowery in two inadequate descriptive systems (1974-75) at the Lethaby Gallery, Central Saint Martins.
In The Bowery in two inadequate descriptive systems (1974–75) Martha Rosler bridged the concerns of art with those of political documentary. The work, a set of 24 black panels with 21 images of the Bowery, paired with 24 photos of texts and three blank spaces, embraces the photo-text experiments of the period and applies them to the social reality of New York’s Bowery district.
The images are of the open and shuttered stores, bank façades, doss houses, artists’ lofts, and debris of the Bowery, which was, at the time, an infamous haunt of alcoholics and vagrants. The accompanying photos of texts group together words associated with drunkenness in playful and poetic ways. By installing these panels together, Rosler questioned the role of representation in documentary photography, focusing instead on dichotomies of image and text, absence and emptiness, as well as on the political dimensions of both photography and habitation.
The exhibition of this work will be accompanied by archival material related to Martha Rosler: The Bowery in two inadequate descriptive systems, by Steve Edwards, a recent title in our One Work series.
Luminous Books will also be in the Lethaby Gallery for the duration of the exhibition selling a special selection of books – secondhand, rare and new – chosen in collaboration with Rosler.

Martha Rosler: The Bowery in two inadequate descriptive systems is part of the One Work series of books, each of which presents a single work of art considered in detail through a single text. Titles from our One Work and Exhibition Histories series will be available to purchase from Luminous Books as well as back issues of Afterall journal.

Image: Martha Rosler, The Bowery in two inadequate descriptive systems, 1974-75, detail. Courtesy the artist.

MONICA GALFRÉ: LA GUERRA È FINITA - LATERZA 2014




MONICA GALFRÉ
LA GUERRA È FINITA
Laterza (11 settembre 2014)
Collana: Quadrante Laterza

Attraverso una documentazione in gran parte inedita, Monica Galfré ricostruisce il lungo percorso con il quale l'Italia si è lasciata alle spalle la terribile stagione di sangue del terrorismo, restituendo il fenomeno armato alla storia del paese, come parte integrante e non separata. Nelle parole dei protagonisti di quegli anni troveremo il racconto del pentitismo e della realtà scottante del carcere speciale, i movimenti e la legge sulla dissociazione, il potere acquisito dalla magistratura nei confronti della politica, il ruolo svolto dalla Chiesa e dal mondo cattolico nella riconciliazione, il processo di autocritica con cui gli ex terroristi hanno delegittimato l'omicidio e la violenza. Una normalizzazione complessa e tormentata, dopo eventi che hanno trasformato nel profondo le coscienze dei singoli e della società, facendo dell'Italia un caso unico in Europa.

FEDERICO LAUDISA: NATURALISMO - LATERZA 2014




FEDERICO LAUDISA
NATURALISMO
Filosofia, scienza, mitologia
Laterza (11 settembre 2014)
Collana: Biblioteca di cultura moderna

Il naturalismo contemporaneo si fonda su una concezione filosofica e metodologica della conoscenza largamente diffusa, che tende ad assimilare la conoscenza umana a un processo naturale, in fondo non dissimile da una reazione chimica, un terremoto o una duplicazione cellulare. Questa visione della conoscenza determina una serie di profonde implicazioni concettuali sul rapporto tra filosofia e scienza, arrivando non di rado a influenzare l'immagine pubblica della scienza stessa in una direzione scientista e antifilosofica. Il volume rappresenta un'introduzione al naturalismo e un'analisi critica dei suoi fondamenti e delle assunzioni fondamentali, mettendone in luce anche le conseguenze fuorvianti e distorsive tanto sull'identità della filosofia e della scienza quanto sul significato culturale dei loro rapporti reciproci.

TESTIMONIANZE - UNIMEDIAMODERN, GENOVA




TESTIMONIANZE
Corale per voci contemporanee sotto le antiche volte
UnimediaModern
piazza Invrea 5B - Genova
dal 30/9/2014 al 15/11/2014

Questa mostra nasce da un’esigenza comune, mia e di alcuni artisti con cui lavoro da tempo. A tutti noi urge l’istanza di riprendere contatto con il “senso” del fare, interrogandosi – e tentando una risposta – su cosa l’arte sia, su dove vada, quale forza spirituale la sostenga, al di là dei giochi del mercato e del potere. Abbiamo lavorato e discusso a lungo e collegialmente ogni punto, dalla scelta dei nomi al titolo della mostra, dall’individuazione delle opere (che sono tutte speciali e bellissime), all’installazione delle stesse.E' un esperimento davvero "corale" che ci sta entusiasmando e riporta me, che ho aperto la galleria nel 1970, allo spirito di quegli anni '60 e '70, in cui gli artisti comunicavano tra loro (sicuramente discutendo animatamente, contrastandosi e sgomitando) ma in un'atmosfera in cui l'ARTE era veramente l'oggetto del loro interesse, e quindi non se ne andavano “... ciascuno per la propria via come l'uomo che attraversa la strada con il suo ombrello, e la donna che porta a passeggio il cane in un'altra direzione..." George Brecht
Siamo coscienti che il nostro è un tentativo, ma è un tentativo glorioso! E per dargli un senso di “eternità” anche quando la mostra sarà terminata, ho chiesto ai partecipanti di questa avventura di fare una dichiarazione sull’argomento.
Per Claudio Costa, mai abbastanza rimpianto e che siamo certi sarebbe stato “amorevolmente” con noi, abbiamo scelto una sua piccola poesia dal libro Materiale e Metaforico.
Da parte mia, parafrasando la celebre esortazione di Ippocrate “Il cibo sarà la vostra medicina”, dico “L’arte è la nostra medicina”.

Caterina Gualco
  

LE PÉRUGIN, MAÎTRE DE RAPHAËL - MUSÉE JACQUEMART-ANDRÉ, PARIS




LE PÉRUGIN, MAÎTRE DE RAPHAËL
Musée Jacquemart-André
158, boulevard Haussmann - Paris
12 septembre 2014 – 19 janvier 2015

Après le succès de l’exposition Fra Angelico et les Maîtres de la lumière en 2011, le Musée Jacquemart-André propose de redécouvrir un autre grand maître de la Renaissance italienne, le Pérugin (vers 1450-1523). Connu pour son influence sur le jeune Raphaël, le Pérugin est avant tout un peintre novateur dont la renommée, très importante dans toute l’Italie au début du XVIe siècle, aura un écho particulier en France jusqu’à l’époque contemporaine. Intitulée Le Pérugin, Maître de Raphaël, cette exposition rassemble une cinquantaine d’oeuvres.
Considéré par ses contemporains comme l’un des plus grands peintres d’Italie, le Pérugin (vers 1450-1523) a initié pendant les dernières décennies du XVe siècle et les premières du XVIe siècle une nouvelle manière de peindre, qui a profondément marqué son époque. Son art cristallin, fait de transparences et de lumières théâtrales, a suscité un très grand engouement et les effets inédits de grâce et de séduction qu’il a développés font de lui l’un des plus grands représentants de la Renaissance italienne. Le raffinement de ses oeuvres, l’attention portée à l’harmonie des couleurs et au modelé des corps témoignent de la grande maîtrise technique du Pérugin. Inventeur de nouvelles règles de composition, il a créé un langage pictural dont l’influence s’est étendue par-delà les frontières. Le Pérugin devient le chef de file d’un courant artistique de portée internationale qui va se diffuser dans l’Europe tout entière, par l’intermédiaire du jeune Raphaël (1483-1520), dont les oeuvres rencontrent à leur tour un vif succès.
Au-delà de l’étude chronologique du parcours du Pérugin, l’exposition permettra de mettre en lumière les apports essentiels de ce peintre à l’art et à la culture de son époque. Dans cette perspective, la cinquantaine d’oeuvres réunies à cette occasion retracera les grandes étapes de la carrière du Pérugin, de sa formation, marquée par la peinture florentine de la seconde moitié du XVe siècle, à ses grands succès à Rome et Pérouse.
Figure artistique aussi importante qu’originale, le Pérugin va exercer une influence majeure sur ses contemporains, en particulier sur Raphaël dont 10 oeuvres seront présentées à titre exceptionnel dans l’exposition. On montrera ainsi comment le Pérugin a élaboré et porté à sa perfection un langage artistique que le jeune Raphaël s’est ensuite réapproprié avec une grande sensibilité.

Réalisée en partenariat avec la Surintendance pour les Biens historiques, artistiques et ethno-anthropologiques de l’Ombrie qui prête 6 chefs-d’oeuvre de la Galleria Nazionale dell’Umbria, l’exposition bénéficie du parrainage de Son Excellence Monsieur Giandomenico Magliano, Ambassadeur d’Italie en France, et du soutien de l’Institut culturel italien. À titre exceptionnel, la Pinacoteca Comunale de Deruta a accordé le prêt d’une fresque détachée représentant Saint Romain, saint Roch et vue de Deruta. D’autres grandes institutions italiennes, parmi lesquelles les Surintendances de Florence, Rome, Pérouse, Naples et Urbino, ont également accordé des prêts exceptionnels pour l’exposition, ainsi que les plus grands musées français et internationaux, dont le Louvre, le Royal Collection Trust et la National Gallery au Royaume-Uni, la National Gallery of Art de Washington.

Image: Le Pérugin, La Résurrection (polyptyque de San Pietro), 1496-1500, Huile sur bois, 32 x 59,5 cm.
Rouen, Musée des Beaux-Arts, © C.Lancien, C.Loisel / Musées de la Ville de Rouen

MALICK SIDIBÉ: STUDIO MALICK, BAMAKO - GALLERIA DEL CEMBALO, ROMA




MALICK SIDIBÉ
STUDIO MALICK, BAMAKO
a cura di Laura Incardona e Laura Serani
Galleria del Cembalo
largo della Fontanella Borghese 19 - Roma
dal 26/9/2014 al 8/11/2014

L'esposizione, curata da Laura Incardona e Laura Serani, presenta circa 50 immagini del grande autore africano, datate tra i primi anni Sessanta e gli anni Settanta.
Si tratta di ritratti realizzati nel suo studio, specialità di Malick Sidibé, ma anche di immagini che il fotografo scattava in occasione delle feste che animavano le notti di Bamako, la capitale del Mali, dove si era trasferito da giovane per studiare.
In mostra anche alcune Chemises, le cartelle in cartoncino colorato su cui Malick incollava i provini a contatto selezionati delle immagini delle feste. Da lì, il giorno dopo, i clienti sceglievano le foto da acquistare.
'Gli Europei credevano che vivessimo nudi sugli alberi. Dalle mie foto si capisce invece che eravamo assolutamente à la page, proprio come gli Occidentali', racconta divertito l'autore.
Nelle sue immagini ragazze e ragazzi sono elegantissimi nei loro abiti occidentali, ma con la stessa classe si fanno ritrarre in abiti tradizionali.
Le fotografie di Malick Sidibé, attento alla composizione e capace di 'rubare l'anima' a chi sta davanti al suo obiettivo, hanno una forza narrativa coinvolgente.
'L'uomo ha sempre cercato l'immortalità nella pittura, nella poesia, nella scrittura, ma un tempo solo i re e i ricchi potevano farsi fare un ritratto', dice Sidibé.
'Mio padre ha visto la sua immagine riflessa in uno specchio o nell'acqua. La fotografia è un modo per vivere a lungo, anche dopo la propria morte. Io credo al potere dell'immagine: è per questo che ho passato tutta la vita a cercare di ritrarre le persone nel miglior modo possibile, di restituire loro tutta la bellezza che potevo'.

Immagine: Monsieur Simparas et ses camarades, 1971-2008.

RUTH BAUMEISTER: L'ARCHITECTURE SAUVAGE - NAI PUBLISHERS 2014




RUTH BAUMEISTER
L'ARCHITECTURE SAUVAGE
Asger Jorn's critique and concept of Archtecture NAI010 Rotterdam
April 2014

The Danish artist Asger Jorn (1914-1973) is internationally renowned for his activities within the CoBrA and the International Situationist groups. Quite apart from his paintings, prints, ceramics and sculptures, Jorn produced a remarkable amount of theoretical work. His ideas are still extremely relevant to contemporary discourse. However, in contrast to his artistic oeuvre, Jorn’s theoretical arguments have received much less attention from scholars of architecture, art history, or philosophy. This book for the first time reveals this largely ignored aspect of Jorn’s work.
Among the topics presented is Jorn’s intellectual relationship with Le Corbusier, which triggered his interest in the ‘synthesis of the arts’ as expressed in the 1930s and 1940s in Paris. His initial passionate admiration for the master architect gradually evolved into a strong critique of Le Corbusier’s concept of the ‘house as a machine for living’ which he confronted with the idea of a ‘house as a machine for expression’. This change in thought was prompted, on the one hand, by his Marxist convictions and, on the other, by his exposure to the arguments of the Swedish architectural historian Erik Lundberg. It led to Jorn’s investigation of non-classical artistic forms, the object ‘as found’ and the social aesthetic found in every-day life. Jorn was to eventually introduce these topics into the debates being held within groups like Cobra, Imaginist Bauhaus and the Situationist International.
Jorn’s opinions and motivations are subsequently contextualized within the theoretical debate of his time and are linked in the book to examples of built architecture, which influenced and informed his conception of architecture and urbanism. His position regarding the relationship between architecture and art encompasses a harsh critique of modern architecture. By developing the concept of an ‘Architecture Sauvage’, a notion that has been coined by Guy Debord many years later, Asger Jorn tries to map out a series of perspectives for the way modern architecture can help to create a pleasing and dynamic everyday environment for human beings. These perspectives are still remarkably important for contemporary architects today. 

MICHEL JARRETY: PAUL VALÉRY EN SES MIROIRS INTIMES - FATA MORGANA 2014




MICHEL JARRETY
PAUL VALÉRY EN SES MIROIRS INTIMES
Fata Morgana
Septembre 2014

Sous ce titre de «Valéry en miroir», mon ambition sera aujourd’hui de mettre un peu plus en lumière l’un des aspects peut-être les moins étudiés de son œuvre : je veux parler de la manière dont l’écrivain s’est construit, mais assez tardivement, nous le verrons, une image de soi — une image qui relève à la fois de l’autoportrait et de l’autobiographie et qu’il a offerte, de manière fragmentaire, aux lecteurs.
Michel Jarrety

Paul Valéry, enfant de Sète, a donné son nom au Musée des beaux-arts de la ville. Et chaque année le Musée lui rend hommage en conviant spécialistes et poètes héritiers de son œuvre : les Journées Paul Valéry 2013 ont réuni Martine Boivin-Champeaux, Jean Cortot, Michel Deguy, Paul Gifford, Kaiser Haq, Michel Jarrety, Jean-François Marchi, Abdewahab Meddeb, Imai Tsutomu, Maïthé Vallès-Bled, Sylvio Yeschua, et ce volume garantit la mémoire de ces précieuses études sur un poète désormais essentiel. 


ADRIANO SILINGARDI: GENOVA IN MOVIMENTO - PALAZZO DUCALE SPAZIO 46R, GENOVA




ADRIANO SILINGARDI
GENOVA IN MOVIMENTO
Immagini di un fotografo militante
Palazzo Ducale - Spazio 46 R
piazza Matteotti 9 - Genova
dal 26/9/2014 al 10/10/2014

Genova in Movimento, immagini di un fotografo militante: si è inaugurata il 26 settembre scorso a Palazzo Ducale, nel Cortile Maggiore, spazio 46 rosso, la mostra fotografica di Adriano Silingardi, un'esposizione che racconta Genova e i suoi movimenti politici, tra il 1970 e il 1980.
La mostra, che rimane visitabile fino a venerdì 10 ottobre, tutti i giorni dalle ore 15 alle ore 19 si compone di 45 scatti scelti dall’archivio di Silingardi, mentre molte altre immagini sono presenti nel catalogo in vendita (15 Euro). Durante la mostra, inoltre, si può assistere alla proiezione di un audiovisivo costruito con altre fotografie, manifesti, canzoni dell’epoca.
«Le fotografie di Adriano Silingardi ripropongono frammenti genovesi di quell’età. E credo sia stata un’operazione utile riproporli in un volume corredato da una cronologia da lui stesso curata. Valgono credo alcune avvertenze di lettura. La fotografia e ancor più la cinepresa o la telecamera televisiva non erano strumenti di autorappresentazione politica. Anzi nei loro confronti vigeva una sorta di sospetto, di possibile uso poliziesco. Siamo lontani dai giorni dell’amplificazione mediatica come surrogato dell’identità. Non a caso la memoria visiva di quegli anni è sostanzialmente concentrata nelle immagini di due soli grandi fotografi affini culturalmente ai movimenti: Uliano Lucas e Tano D’Amico.(…) La rappresentazione costruita da Adriano Silingardi rimanda non a caso soprattutto ai cortei e alle manifestazioni, spazio di visibilità per eccellenza dei movimenti e luogo simbolico e di centralità politica nella vita delle organizzazioni. Rimane anche attraverso queste immagini una dimensione forte di protagonismo collettivo e di straordinaria generosità sociale. A distanza di quasi quaranta anni difficile non leggere le occasioni mancate», si legge nella prefazione al catalogo di Luca Borzani.

La mostra è organizzata dall’Associazione per un Archivio dei movimenti. L'archivio, che ha sede nella Biblioteca Berio di Genova, conserva, organizza e mette a disposizione degli studiosi un patrimonio di documenti, riviste, libri e immagini relative ai movimenti, dagli anni ’60 in poi.

sabato 27 settembre 2014

LAWRENCE WEINER: ALL IN DUE COURSE - SOUTH LONDON GALLERY




LAWRENCE WEINER
ALL IN DUE COURSE
South London Gallery
65-67 Peckham Road - London
26/9/2014 - 23/11/2014

Having exhibited at the South London Gallery in the group shows Independence in 2003 and Nothing is Forever in 2010, acclaimed American artist and reluctant pioneer of conceptual art Lawrence Weiner returns to the gallery with a solo exhibition. ALL IN DUE COURSE presents a series of recent sculptures that can be seen across the main and first floor galleries, and continue outdoors, running along the expansive Victorian brick wall of the SLG’s Fox Garden. Visitors to the exhibition can venture further; beyond the gallery to an off-site work on the façade of the semi-derelict former Peckham Road Fire Station, located diagonally opposite the SLG. Continuing his practice over many years of challenging any hierarchy based on the material form in which his art exists, Weiner has devised a temporary tattoo and limited run poster as part of the exhibition, which are available in the gallery bookshop.
Though recognised as one of the central figures pioneering conceptual art in the 1960s, he identifies himself not as a conceptualist but as a sculptor whose medium is “language + the materials referred to”. Since the 1970s Weiner has been best known for his striking wall ‘sculptures’. Mainly using paint or vinyl, Weiner’s works carve walls with thought, presenting provocative texts that are open to interpretation by the viewer.
Born in 1942 in the Bronx, New York, Weiner lives and works in New York and Amsterdam. Internationally regarded, Weiner has an expansive following that reaches across several generations. Weiner has presented a number of projects and exhibitions across the UK since the early 1970s: at ICA, London; Pier Arts Centre, Orkney; The Fruitmarket Gallery, Edinburgh; The Henry Moore Sculpture Trust, Halifax; Art Transpennine, Hull; Inverleith House in Edinburgh; several engagements with Bury Art Gallery, including their Text Festivals; a solo show at the National Maritime Museum, London; and occasional shows in commercial galleries, the most recent at Lisson Gallery in 2013. Weiner’s work is also represented in the Tate collection, including as part of ARTIST ROOMS. Vitrines in the SLG’s entrance corridor contain documentation from some of these events from Weiner’s past, including his association with Factory Records in the 1980s.
The exhibition is supported by The Henry Moore Foundation, Vicky Hughes and John Smith, Lisson Gallery and Marian Goodman Gallery.

Image: Lawrence Weiner, Cat.#939, 2007. Installation view at the South London Gallery, Nothing is Forever, 2010. Image courtesy LAWRENCE WEINER, Yvon Lambert, Paris, ARS, NY and DACS. Photo: Andy Stagg.

FILIPPO SCROPPO - FONDAZIONE GIORGIO AMENDOLA, TORINO




FILIPPO SCROPPO
e le avanguardie artistiche del dopoguerra
a cura di Loris Dadam
Fondazione Giorgio Amendola
via Tollegno 52 - Torino
dal 25/9/2014 al 15/3/2015

La mostra segna l’inizio della collaborazione fra la Fondazione Giorgio Amendola e la Galleria Civica di Arte Contemporanea ‘Filippo Scroppo’ di Torre Pellice, allo scopo di estendere la conoscenza dell’ingente patrimonio artistico che, grazie al lascito dello Scroppo, si è accumulato a Torre Pellice, e conta oggi circa 500 opere.
Vuole inoltre essere un omaggio tributato all’artista a vent’anni dalla scomparsa (24.5.1993), che, come scrive Pino Mantovani nel suo partecipato ricordo, “fondava il suo impegno pubblico sulla convinzione di una responsabilità individuale senza deleghe o alibi: assumono così valore esemplare la fondazione dell’Art Club nel ’48, l’attività didattica in Accademia e presso associazioni culturali, l’impegno di giornalista, l’avvio delle mostre di Torre, nel ’49.”
Con questa mostra, inoltre, la Fondazione Giorgio Amendola prosegue nella sua opera di valorizzazione degli artisti torinesi la cui attività si pone temporalmente fra Casorati più i Sei di Torino e l’Arte Povera e che sono stati pesantemente sottovalutati sia dalla critica che dal mercato, malgrado si trattasse di artisti in gran parte migliori dei seguenti e dei precedenti. Galvano, Crippa, Saroni, Ramella, Gribaudo, Ruggeri, Soffiantino, Gorza, Surbone e Griffa sono alcuni di questi.
Nel saggio scritto per il catalogo, “Filippo Scroppo nella cultura artistica internazionale del dopoguerra (1945-1970)”, Loris Dadam mette a confronto le opere in mostra con quanto succedeva, negli stessi anni, in Europa e negli Stati Uniti, riscontrando una consonanza di ricerche e di temi: dal recupero dell’astrattismo classico delle avanguardie degli anni ’20 e ’30 nei primi anni del dopoguerra, le svolte informali, action painting ed espressionismo astratto, dei primi anni ’50, fino ad episodi di influenze Pop Art.
La straordinaria curiosità intellettuale di Scroppo lo ha tenuto al centro del dibattito sull’arte moderna e contemporanea dal 1949 al 1991, attraverso la sua infaticabile opera di organizzatore culturale, mediante le 41 edizioni delle Mostre d’arte contemporanea, affiancate da l’Autunno pittorico (1959-64) e dal Premio Nazionale del Disegno (1963-90), nelle quali hanno esposto le maggiori personalità del panorama artistico italiano e, per quanto riguarda l’informale, internazionale.
Dalle cronologie a confronto emerge con chiarezza come le ricerche pittoriche d’avanguardia condotte in Italia e sulle due sponde dell’Atlantico fossero di fatto contemporanee e si alimentassero le una dalle altre in rapporto sinergico. Solo la Pop Art, proprio perché scaturente da una realtà metropolitana, è fenomeno di sicure origini anglo-americane, poi ripresa da tutti gli altri. Ma nasce nel 1956. Fino allora, le ricerche d’avanguardia (Astrattismo ed Informale) si svolgono di conserva.
La mostra, incentrata sulla figura emblematica di Filippo Scroppo, vuole essere un primo stadio di una ricerca mirata a far emergere le figure artistiche di valore internazionale, oggi resa possibile dalla collaborazione con la Civica Galleria di Torre Pellice, che si configura come una delle più ricche e complete collezioni di arte moderna del Piemonte. 

TRANSMEDIA FRICTIONS - UNIVERSITY OF CALIFORNIA PRESS 2014




TRANSMEDIA FRICTIONS
The Digital, the Arts, and the Humanities
edited by Marsha Kinder and Tara McPherson
University of California Press
(July 25, 2014)

Editors Marsha Kinder and Tara McPherson present an authoritative collection of essays on the continuing debates over medium specificity and the politics of the digital arts. Comparing the term “transmedia” with “transnational,” they show that the movement beyond specific media or nations does not invalidate those entities but makes us look more closely at the cultural specificity of each combination. In two parts, the book stages debates across essays, creating dialogues that give different narrative accounts of what is historically and ideologically at stake in medium specificity and digital politics. Each part includes a substantive introduction by one of the editors.
Part 1 examines precursors, contemporary theorists, and artists who are protagonists in this discursive drama, focusing on how the transmedia frictions and continuities between old and new forms can be read most productively: N. Katherine Hayles and Lev Manovich redefine medium specificity, Edward Branigan and Yuri Tsivian explore nondigital precursors, Steve Anderson and Stephen Mamber assess contemporary archival histories, and Grahame Weinbren and Caroline Bassett defend the open-ended mobility of newly emergent media.
In part 2, trios of essays address various ideologies of the digital: John Hess and Patricia R. Zimmerman, Herman Gray, and David Wade Crane redraw contours of race, space, and the margins; Eric Gordon, Cristina Venegas, and John T. Caldwell unearth database cities, portable homelands, and virtual fieldwork; and Mark B.N. Hansen, Holly Willis, and Rafael Lozano-Hemmer and Guillermo Gómez-Peña examine interactive bodies transformed by shock, gender, and color.
An invaluable reference work in the field of visual media studies, Transmedia Frictions provides sound historical perspective on the social and political aspects of the interactive digital arts, demonstrating that they are never neutral or innocent.

THE FACTORY - FUNDACIÓN BANCO DE SANTANDER 2014




THE FACTORY
by Catherine Zuromskis
Fundación Banco Santander
(September 28, 2014)

It is a fascinating look at the evolution and influence of Andy Warhol's unique artistic community, "The Factory". Of the many ways in which Andy Warhol (1928-1987) influenced contemporary art, perhaps the most significant was the creation of his collaborative space, "The Factory". Established in 1962, "The Factory" was a studio space that also served as a focal point for social and cultural interactions between Warhol and a host of assistants, friends, lovers, artists and curious onlookers. "The Factory" generated not only paintings, but also films, sculpture, multimedia performances, and printed materials ranging from memories to movie star magazines. In the process, "The Factory" emerged as a vital community and a space for experimentation both cultural and social. "The Factory" examines the critical role that photography played in both documenting and realizing the flamboyant bohemian culture of this community. It includes the work of numerous professional and amateur photographers, "Factory" insiders and passing voyeurs, as well as the photographs of Warhol himself.

AQUA AURA: EPHEMERA - VISIONQUEST GALLERY, GENOVA




AQUA AURA
EPHEMERA: COLEI CHE VIVE UN SOLO GIORNO
a cura di Alessandro Trabucco
VisionQuesT gallery
piazza Invrea 4R - Genova
dal 25/9/2014 al 22/11/2014

L’Ephemera è un insetto che vive un solo giorno, la sua esistenza si svolge in sole 24 ore attraversando tutte le fasi e completando questo cammino in un brevissimo lasso di tempo. Il nome stesso, in italiano Effimera, è diventato nel linguaggio comune sinonimo di qualcosa di temporaneo ed evanescente, la cui inconsistenza ne dimostra la totale precarietà del suo stato fisico.
Aqua Aura ci illustra, con alcune delle opere presenti, la sua personale interpretazione della contemporaneità, sia da un punto di vista che potremmo definire sociologico, sia più specificatamente poetico. Nella sua visione oggettiva ed anche disincantata della nostra epoca, esse sono la metafora perfetta di una condizione che potrebbe avere due distinti, ma in qualche modo equivalenti, significati, a seconda dei presupposti sui quali basano le proprie effettive ragioni essenziali.
L’artista pone innanzitutto l’accento sulle qualità positive (ed esteticamente poetiche) di ciò che può apparire labile e rarefatto, come fossero caratteristiche indicative di una situazione di totale delicatezza e temporaneità, una sorta di omaggio alla fragilità delle cose, alla loro impossibilita di permanenza nel mondo e alla conseguente ed inesorabile decadenza.
L’altra accezione, se vogliamo dai risvolti negativi, prende spunto dalle teorie della “Modernità liquida” di Zygmunt Bauman per poi esprimere una Piuro approfondita e personale riflessione sulla produzione e sulla fruizione delle immagini nella nostra era cosiddetta “social”, dove la velocità di ricambio e la necessita di mantenere costante, se non sempre maggiore, la tensione visiva, può comprometterne la qualità intrinseca stessa, tanto da non permettere più la creazione di potenziali “icone”, dalla forza espressiva inalterabile e resistente al passare del tempo, ma una brodaglia indifferenziata di raffigurazioni mediocri che rivelano piuttosto tutta la loro inconsistenza di contenuti e di significati, non tanto nelle forme che propongono quanto nella mancanza di reali necessita espressive dalle quali prendono origine.
Aqua Aura sembra quindi manifestare, attraverso le proprie opere, questa tendenza alla dissoluzione ed alla fugacità, le sue opere rappresentano forme allo stesso tempo ben definite e morbide (sfere ed ovali) ed irregolari, come le bolle di sapone generate da un soffio leggero e che nella sua immaginazione racchiudono, come preziosi e fragilissimi scrigni trasparenti, delle nuvole spumose e soffici, la cui compattezza e resistenza dipendono solo da un alito di vento o da un lieve cambiamento energetico, da un’alterazione della pressione o anche solo da una semplice volontari di dissolvimento nell’atmosfera circostante, come a volersi annullare nell’aria per far parte di una realtà più grande ed invisibile, l’universo intero, quello reale e fisico ma soprattutto quello mentale della volontà creatrice dell’artista.
Questa esposizione personale, realizzata presso lo Studio Clelia Belgrado (VisionQuesT contemporary photography) di Genova, è l’esempio concreto dell’impermanenza della forma e della labilità delle cose immaginata dall’artista. Le figure ricercate da Aqua Aura diventano la metafora stessa della mutazione continua, sono oggetti impalpabili e molli, fluttuanti nel vuoto, paradossalmente leggeri, in quanto racchiudono mondi e realtà distinguibili ben definite, ma allo stesso tempo evanescenti, oceani solidi in perenne trasformazione. Lo stesso allestimento diventa prova pratica di questa precarietà fisica. La contrapposizione tra la staticità delle immagini fotografiche presentate dell’artista e la selva di palloncini galleggianti all’interno dello spazio espositivo rende visivamente esperibile la trasformazione, solo simbolica, rappresentata dalle opere. Il fattore temporale diventa determinante a questo proposito: con il passare dei giorni l’aria contenuta da queste forme volanti, più o meno sferiche, perderai la propria forza centrifuga modificando in continuazione la percezione complessiva della loro disposizione, divenendo traccia e memoria di una esperienza estetica che non esiste più. I palloncini si sgonfieranno completamente e perderanno la loro forma, giaceranno al suolo conservando solo il ricordo di un evento vissuto solo dai primi spettatori, lasciando all’immaginazione di ciascuno dei successivi la ricostruzione mentale di ciò che è stato e che ormai non è più.
Questo forte contrasto diventa, nell’economia dell’esposizione, l’elemento cardine sul quale ruota la peculiare poetica dell’artista espressa in questo progetto Ephémera, forse l’allegoria della vita, la fragilità dell’esistenza terrena, destinata a durare solo l’istante stesso in cui se ne prenda veramente una piena e consapevole coscienza.

Aqua Aura nasce a Vimercate – Milano dove vive e lavora. Nel 1988 si diploma al Liceo Artistico di Bergamo. Nel 1992 si laurea in pittura all’Accademia di Belle Arti di Brera con uno studio e una tesi su “Anselm Kiefer - l’altro barocco”, uno sguardo sull’arte espressionista tedesca contemporanea, successivamente... ha proseguito la sua formazione in giro per il mondo.

L’Aqua Aura è il frutto di un processo chimico-fisico, una preziosa trasformazione dovuta ad un trattamento termico con i vapori d’oro in grado di mutare l’aspetto esteriore cromatico di un cristallo naturale (il quarzo) senza intaccarne la forma ed appena impercettibilmente la consistenza. Nel leggerne il procedimento, così come viene presentato nelle descrizioni che si possono trovare in rete, l’operazione può ricordare da vicino un’antica pratica alchemica, valida forse più per le attività di una fumosa fucina quattrocentesca che per un laboratorio di produzione di immagini contemporanee. Il percorso sembra quello tracciato da uno pseudo scienziato nell’ambito della filosofia naturale, tutto intento a ricercare ed estrarre nuovi ordini della materia, fluttuanti tra la lettura fisica e metafisica delle cose. E’ da questo suggestivo artificio che Aqua Aura ha tratto ispirazione per descrivere e affermare la propria trasformazione artistica, avvenuta dopo un periodo di attività creativa ed espositiva compiuta sul campo negli anni novanta - operando a stretto contatto con gallerie d’arte italiane e curatori, partecipando a diverse mostre collettive e tenendo alcune personali - ed un successivo periodo, lungo circa dodici anni, trascorso a debita distanza dal mondo dell’arte, vissuto solo da ricercatore in proprio, spettatore e viaggiatore. Aqua Aura rappresenta quindi una (ri)nascita, avvenuta attraverso una lenta e consapevole metamorfosi che ha generato nuovi stimoli creativi ed un più incisivo tratto tematico.

venerdì 26 settembre 2014

ROY LICHTENSTEIN: L'OPERA PRIMA - GAM, TORINO




ROY LICHTENSTEIN
L'OPERA PRIMA
a cura di Danilo Eccher
GAM Galleria d'Arte Moderna
via Magenta 31 - Torino
dal 26/9/2014 al 25/1/2015

"Drawing is the basis of my art. It is where my thinking takes place. It is a big part of my painting. The paintings are always the same, only larger. But they may not get at all better. I am not thinking it up while I am actually doing the painting. A certain spontaneity is lost. Drawing has more interesting traces..."
Roy Lichtenstein

Roy Lichtenstein, una delle principali figure dell’arte Americana nel XX secolo, nasce a New York nel 1923. Nell’estate del 1940 studia presso la Art Students Legue di New York prima di iscriversi all’Università Statale dell’Ohio dove consegue la laurea di primo livello nel 1946 e di secondo livello nel 1949.
Qui Lichtenstein si interessa allo studio sulla percezione visiva che porterà avanti per tutta la sua carriera. Chiamato alle armi nel 1943, Lichtenstein serve l’esercito militare degli Stati Uniti e presta servizio attivo in Europa all’inizio del 1945. Nel 1951 si tiene la sua prima mostra personale a New York. Viene riconosciuto internazionalmente come caposcuola della Pop-Art Americana nel 1962 quando espone le tele raffiguranti immagini di serie di fumetti e di prodotti comuni con tecniche prese in prestito dai mass media come l’utilizzo di colori primari e ombreggiati con il puntinato Ben-Day. Nella decade successiva, si trasferisce a Southampton, New York, ed espande l’uso delle riproduzioni oltre alla pubblicità e alle riviste di fumetti per includere stili e movimenti della storia dell’arte, dell’architettura e delle arti decorative. Questa decade testimonia anche il compimento di un certo numero di lavori pubblici e privati di grande scala.
Le indagini di Lichtenstein intorno all’illusionismo, all’astrazione, alla serializzazione, alla stilizzazione e all’appropriazione continuano ininterrotte attraverso tutte le tecniche negli anni ’90. Nel 1994 completa un murales lungo più di 16 metri in seguito allestito nella stazione della metropolitana di Times Square a New York. Nel 1995, gli viene conferita la Medaglia Nazionale delle Arti, una delle onorificenze più prestigiose degli Stati Uniti. In aggiunta alla lista delle sue speculazioni visive, Lichtenstein inizia ad analizzare un’altra nuova realtà conquistata dagli anni ’90: i dipinti virtuali. Tuttavia le sue sperimentazioni sono presto stroncate dalla sua morte nel 1997.

GAM Torino presenta una importante esposizione dedicata ai lavori su carta e a grandi dipinti di Roy Lichtenstein, maestro indiscusso della Pop Art. La mostra è prodotta congiuntamente da Fondazione Torino Musei e Skira editore.
Per la prima volta arrivano in Italia 235 opere, grazie alla stretta collaborazione con l’Estate e la Roy Lichtenstein Foundation, oltre a importanti prestiti provenienti da prestigiosi musei internazionali come la National Gallery di Washington, il Museum of Modern Art e il Whitney Museum di New York, l’Art Institute di Chicago e da collezioni pubbliche e private europee e italiane.
Insieme ai disegni, che abbracciano un arco temporale che va dai primi anni Quaranta al 1997, GAM presenta anche alcuni strepitosi grandi dipinti e una documentazione fotografica, testimonianza dell’artista al lavoro.
Un’occasione imperdibile che GAM offre al pubblico perché è rara la possibilità di ammirare un tanto rilevante quanto ricco corpus di opere del maestro americano.
La mostra torinese, a cura di Danilo Eccher, direttore GAM, presenta la parte più intima e privata del lavoro di Roy Lichtenstein. L’esposizione si focalizza, infatti, sulle Prime Idee, ossia le idee primigenie, fonte di ispirazione di opere che in un secondo tempo sono divenute i grandi capolavori conosciuti nel mondo.

ANSELM KIEFER - ROYAL ACADEMY OF ARTS, LONDON




ANSELM KIEFER
Royal Academy of Arts
Burlington House, Piccadilly - London
27/9/2014 - 14/12/2014

In September 2014, the Royal Academy of Arts will present the first major retrospective of Anselm Kiefer’s work to be held in the UK. Considered to be one of the most important artists of his generation, the exhibition will span over forty years from Kiefer’s early career to the present time, bringing together artwork from international private and public collections. The exhibition will be arranged chronologically, presenting the epic scale of his artwork and the breadth of media he has used throughout his career, including painting, sculpture, photography and installation. Kiefer has also created a number of works conceived specifically for the Royal Academy’s Main Galleries, showcasing his continued interest in seeking new challenges and producing ever more ambitious artwork.
Kiefer’s fascination with history itself and with the work of past masters permeates his subject matter. From mythology, to the Old and New testaments, Kabbalah, alchemy, philosophy and the poetry of Paul Celan and Ingeborg Bachmann, Kiefer’s work wrestles with the darkness of German history and considers the complex relationship between art and spirituality. His technical use of materials such as clay, ash, earth, lead, fabric and dried flowers amongst others, adds further symbolism and depth to his work.
Highlights of the exhibition include photographs and paintings from the controversial Occupations and Heroic Symbols (Heroische Sinnbilder) series of the late 1960s and early 1970s. These images record Kiefer’s re-enactment of the Nazi salute in locations across Europe, made in the belief that one must confront rather than supress the experiences of history. A series of paintings from Kiefer’s Attic series will also be exhibited, including Father, Son and the Holy Ghost (Vater, Sohn, Heiliger Geist), 1973 and Notung, 1973 depicting powerful renderings of wooden interior spaces based on the studio space that Kiefer was occupying in Walldürn-Hornbach in south-west Germany, which he has referred to as “a place to teach myself history.” The exhibition will also feature his monumental architectural paintings, such as To the Unknown Painter (Dem unbekannten Maler), 1983 that reflecton the neo-classicist buildings of Albert Speer, Hitler’s architect, and the role of the artist in considering collective memory.
The exhibition will consider the key themes and the diverse, personal iconography that Kiefer has created in his work over the years and will look at the influence of place on his oeuvre. As he said in a recent interview, “Art is an attempt to get to the very centre of truth. It never can, but it can get quite close.”
Other paintings on display include Palette on a Rope (Palette am Seil), 1971 that uses the motif of the artist’s palette to represent Kiefer’s engagement with the facets of history, as well as a series of early watercolours including From Oscar Wilde (Von Oskar Wilde),1974 and Winter Landscape (Winterlandschaft), 1970.
Anselm Kiefer will also present his celebrated lead books, including the paintings For Paul Celan, Ash Flowers (Für Paul Celan, Aschenblume), 2006 and Black Flakes (Schwarze Flocken), 2006. Kiefer’s new works for the exhibition will incorporate a number of large-scale paintings and sculptures, including a major installation for the Royal Academy’s courtyard.

Kathleen Soriano, Director of Exhibitions says, “While particular segments of Kiefer’s oeuvre have been shown at galleries in this country at intervals over recent decades, never before has a comprehensive overview taken place in spaces befitting the monumental character of many of his pieces. This is an unprecedented opportunity to consider and re-evaluate the trajectory of Kiefer’s practice and the importance of his innovations and contributions to the history of art, whilst celebrating one of our own Honorary Royal Academicians.”

Anselm Kiefer was born in 1945 in Donaueschingen, Germany. After studying law, he began his art education in Karlsruhe and then Düsseldorf, representing Germany at the 39th Venice Biennale in 1980. His work has been collected by and shown at major museums throughout the world including MoMA, New York; The Art Institute of Chicago; Philadelphia Museum of Art (1987); Neue Nationalgalerie, Berlin (1991); The Metropolitan Museum, New York (1998); Fort Worth Museum of Art (2005); the San Francisco Museum of Modern Art (2006); Louisiana Museum of Art, Denmark (2010); Guggenheim Museum, Bilbao; Tel Aviv Museum of Art; the Grand Palais, Paris; The Rijksmuseum, Amsterdam (2011) and Mass MoCA, Massachusetts (2013). In 2007 Kiefer became the first living artist to be commissioned to install a permanent work in the Louvre, Paris since Georges Braque some 50 years earlier. In this same year he created the first Monumenta installation for the Grand Palais, Paris. Kiefer has lived and worked in France since 1993. He was elected an Honorary Member of the Royal Academy of Arts in 1996 and was awarded the Praemium Imperiale in 1999. In 2005 he was presented with the Federal Cross of Merit, First Class, and the Austrian Decoration for Science and Art; in 2008 the Peace Prize of the German Book Trade; in 2011 a Commandeur dans l’Ordre des Arts et des Lettres by the French Ministry of Culture. 2010 saw his appointment at the Chair of Artistic Creation at the renowned Collège de France, Paris where he delivered nine lectures entitled Art will survive its ruins (Die Kunst geht knapp nicht unter).Organisation Anselm Kiefer has been organised by the Royal Academy of Arts. The exhibition has been curated by Kathleen Soriano, Director of Exhibitions, Royal Academy of Arts, in close collaboration with Anselm Kiefer.

The exhibition is accompanied by a fully illustrated catalogue with contributions from Richard Davey, Kathleen Soriano and Christian Weikop.

Image: Anselm Kiefer, The Language of the Birds, 2013.

OTTOLINE MORRELL: I RICORDI DI UNA SIGNORA MERAVIGLIOSA - CASTELVECCHI 2014




OTTOLINE MORRELL
I RICORDI DI UNA SIGNORA MERAVIGLIOSA
Castelvecchi (24 settembre 2014)
Collana: Ritratti

Le memorie di lady Ottoline Morrell, qui tradotte per la prima volta in lingua italiana, ci portano nel cuore del celebre circolo di Bloomsbury, che ospitò alcuni tra i maggiori intellettuali e artisti inglesi del primo Novecento, da Aldous Huxley a Katherine Mansfield, da T.S. Eliot a Virginia Woolf. Attraverso la scrittura intima e personale di lady Ottoline, si assiste all'evolversi della sua intensa e complessa amicizia con Bertrand Russell, alle giornate trascorse con Joseph Conrad e Henry James, alle serate in compagnia dell'affezionatissimo Lytton Strachey. Colta protagonista dei salotti in un'epoca di profondi mutamenti sociali, lady Ottoline ha vissuto a contatto con i più importanti eventi storici della Belle Époque, culminati nella Grande Guerra, durante la quale, insieme al marito e deputato liberale Philip Morrell, è stata animatrice di un coraggioso movimento d'opinione pacifista. Il suo libro è il ritratto privato di un'epoca caotica e vitale in cui nasceva l'Europa moderna e alla quale non possiamo guardare senza nostalgia.

EWAN CLAYTON: IL FILO D'ORO - BOLLATI BORINGHIERI 2014




EWAN CLAYTON
IL FILO D'ORO
Storia della scrittura
Bollati Boringhieri (25 settembre 2014)
Collana: Saggi.Storia, filosofia e scienze sociali

"Questa, ha scritto Ewan Clayton, presentando il suo libro, è la storia degli uomini che hanno cambiato la scrittura; e siccome noi siamo gli eredi delle scelte che loro hanno fatto, questa è anche la nostra storia". Il filo d'oro della comunicazione scritta, la più antica e persistente delle tecnologie umane, si è dipanato lungo tutto il percorso dell'umanità per oltre tremila anni. Parte dalle pareti rocciose di Wadi el-Hol, nell'Alto Egitto, e da lì passa ai pezzi di coccio, al papiro, alle architravi marmoree, alla pergamena, alle tavolette di cera, alla carta cinese, fino ad arrivare allo schermo pixellato del computer e sui muri delle periferie metropolitane. Ogni parola, tracciata da chiunque, con qualsiasi mezzo e su qualsiasi superficie, ha mostrato chiaramente la storia che l'ha preceduta e dialogato in maniera serrata con il suo tempo e la sua società. Questo è "Il filo d'oro": l'epopea di quel miracolo culturale che è la parola scritta, da sempre strumento insuperabile di comunicazione e motore del progresso culturale, scientifico e politico dell'umanità. Stiamo vivendo un periodo di svolta e di grandi cambiamenti tecnologici. Eppure mai come ora gli uomini hanno scritto con tanta abbondanza, e in questo loro gesto, forse inconsapevolmente, continuano a tramandare, adeguandoli al loro tempo, segni che sono figli di una storia lunga e sfaccettata, che poi è la nostra storia.

ELENA CHERNYSHOVA: JOURS DE NUIT. NUITS DE JOUR - GALLERIA STUDIO 44, GENOVA




ELENA CHERNYSHOVA
JOURS DE NUIT. NUITS DE JOUR
Galleria Studio 44
vico Colalanza 12/r - Genova
dal 25/9/2014 al 15/11/2014

Elena Chernyshova è una giovane fotografa russa, con base in Francia, premiata al World Press Photo 2014 e conosciuta nel mondo per il suo progetto 'Jours de Nuit, Nuits de Jour'.
Le fotografie inquadrano momenti di vita quotidiana a Norilsk, importante centro minerario e metallurgico russo, la città più a Nord nel mondo fra quelle che contano più di 100.000 abitanti.
Paesaggi quasi surreali, persone, strade e palazzi circondati da un'atmosfera distaccata, sono i soggetti preferiti dalla fotografa che vuole e riesce a investigare la capacità dell'uomo di adattarsi a condizioni climatiche estreme, all'isolamento e all'inquinamento.
Due sale della galleria sono allestite per contenere le due parti della mostra: i Giorni di Notte, le Notti di Giorno.

Galleria Studio 44 e' una associazione culturale che opera dal 2005 nel campo dell'arte contemporanea e promuove scambi culturali con l'estero. Apre i suoi locali nel centro storico di Genova a mostre innovative e di ricerca, laboratori, performance, incontri tra il pubblico e gli artisti.
  

giovedì 25 settembre 2014

GIORGIO DE CHIRICO E L'OGGETTO MISTERIOSO - SERRONE DI VILLA REALE, MONZA




GIORGIO DE CHIRICO E L'OGGETTO MISTERIOSO
a cura di Victoria Noel-Johnson
Serrone della Villa Reale
viale Brianza 2 - Monza

Dopo uno straordinario lavoro di restauro, le splendide sale della Reggia di Monza sono pronte ad accogliere un ricco programma di attività culturali. Ad inaugurare la stagione delle grandi mostre sarà “Giorgio de Chirico e l’oggetto misterioso” ospitata nel Serrone della Villa Reale dal 27 settembre 2014 fino al 1 febbraio 2015. La mostra, promossa dal Consorzio Villa Reale e Parco di Monza in collaborazione con il Comune di Monza, è ideata, prodotta e organizzata da ViDi in collaborazione con la Fondazione Giorgio e Isa de Chirico.
Giorgio de Chirico è senza dubbio la figura artistica più importante e poliedrica del panorama italiano del Novecento. Pittore, scultore, scenografo, costumista, scrittore, illustratore di opere letterarie, dal racconto mitologico ai grandi classici moderni, grande conoscitore della filosofia antica e moderna e amante della cultura classica, riporta nelle sue opere elementi di questa sconfinata conoscenza. La sua pittura metafisica è carica di suggestione, ricca di atmosfere enigmatiche in cui dominano l’immobilità e il silenzio, dove la prospettiva ha un ruolo fondamentale all’interno della composizione. L’esposizione, a cura di Victoria Noel-Johnson con la collaborazione di Simona Bartolena, presenta oltre trenta opere della collezione della Fondazione Giorgio e Isa de Chirico dagli anni Quaranta fino alla metà degli anni Settanta, con l’obiettivo di illustrare il ruolo che l’oggetto misterioso gioca nella produzione artistica del Maestro.
Il percorso della mostra sarà iconografico, per meglio approfondire il rapporto del pittore con alcune tematiche della sua ricerca, in particolare con la presenza ricorrente di alcuni oggetti. Il microcosmo artistico di Giorgio de Chirico, fatto di visioni, fantasie e ricordi, ci offre un punto di vista inconsueto su oggetti comuni e molto famigliari che pensiamo di conoscere, ma che all’interno dell’opera assumono un significato diverso nel momento in cui vengono combinati tra loro in modo inaspettato o illogico. “[...] mi accorsi che ci sono moltissime cose strane, sconosciute, solitarie che possono essere tradotte in pittura [...]. Rappresentarsi tutto come enigma [...][incluso] l’enigma di cose considerate in genere insignificanti. Sentire il mistero di certi fenomeni dei sentimenti, dei caratteri di un popolo, immaginare anche i geni creatori come oggetti molto curiosi che possiamo rigirare da tutti i lati. Vivere nel mondo come in un immenso museo di stranezze, pieno di giocattoli bizzarri, variopinti, che cambiano aspetto, che a volte come bambini rompiamo per vedere come sono fatti dentro. – E, delusi, ci accorgiamo che sono vuoti” (Giorgio de Chirico, ca. 1912).
La riflessione ci rende partecipe all’indagine dell’artista sull’aspetto metafisico delle cose ordinarie, una ricerca che prenderà diverse forme, rimanendo però sempre fedele alle sue radici concettuali. Il pubblico potrà immergersi nei mondi metafisici del Maestro attraverso straordinarie tele come “Interno metafisico con pere”, “Sole sul cavalletto”, “La meditazione di Mercurio”, “Il poeta e il pittore” e molti altri.
“Il 1913, tuttavia, segnò un cambiamento fondamentale nel lessico iconografico dell’artista, un cambiamento che traduceva “in pittura [...] l’enigma di cose considerate in genere insignificanti” (G. de Chirico, Courbet, 1924). Il microcosmo artistico di de Chirico accolse ben presto oggetti comuni, i cui accostamenti illogici in contesti inaspettati servivano ad accentuare l’inconfondibile Stimmung (atmosfera) che pervadeva i suoi dipinti metafisici precedenti: il senso intrinseco dell’enigma, dello straordinario, del nonsenso. L’indagine dell’aspetto metafisico di cose ordinarie avrebbe svolto in seguito un ruolo centrale nell’opera dell’artista (compreso il periodo neometafisico del 1968-1976), mutando a tratti stile e forma ma restando fedele alle sue radici concettuali [...] Gli studi dedicati agli oggetti misteriosi spesso presenti nell’opera di de Chirico - un termine coniato da alcuni acquerelli degli anni Sessanta e Settanta - sono stati finora principalmente circoscritti all’analisi di determinati periodi o specifici lavori. In ogni caso, la complessità del Maestro e delle sue opere resistono ad ogni tipo di ‘risposta’ definitiva e completa e, pertanto, la finalità di questa mostra [...] evita consciamente di fornire spiegazioni precise e finali sulla materia. Tuttavia, vista la curiosità che destano tali singolari oggetti presenti nelle sue opere, si è cercato di offrire varie chiavi di lettura e interpretazioni generali che possano costituire strumenti utili al lettore non solo per svelare parzialmente il significato di tali enigmi, ma anche per incoraggiare nuove interpretazioni di opere più tradizionali come le sue nature morte o ‘vite silenti’ come l’artista le ribattezzò” dichiara Victoria Noel-Johnson, curatrice della mostra.
Lungo il percorso espositivo le opere saranno accompagnate da video, racconti suggestivi e suoni per un’immersione completa nella vita e nell’opera di Giorgio de Chirico. Attraverso i suoi ricordi, le sue fantasie e le sue visioni il pubblico avrà la possibilità di scoprire la straordinaria personalità artistica e umana del Grande Metafisico che ritroviamo in tutti i suoi lavori e che ha avuto un ruolo fondamentale nello scenario artistico internazionale del Novecento. La mostra, infatti, intende anche approfondire l’influenza che de Chirico ha avuto su buona parte dei linguaggi d’avanguardia del XX secolo.
“Quello di de Chirico con il proprio tempo è un rapporto complesso: ripercorrerne i momenti fondamentali, ricostruendo le relazioni intercorse tra il Pictor Optimus e la scena culturale europea a lui contemporanea, è un esercizio che offre spunti di riflessione straordinari sul vero ruolo di questo artista spesso frainteso o male interpretato e sull’importanza sostanziale della sua ricerca sugli sviluppi dell’arte di tutto il XX secolo. (...) È sorprendente realizzare quanti semi abbia gettato e fatto germogliare questo artista enigmatico e severo, creatore non di un nuovo stile ma di un nuovo pensiero, di un nuovo concetto, che ha saputo diffondersi silenziosamente e senza clamori nel tessuto più profondo dell’arte occidentale, spostandone sensibilmente l’andamento. Concordo con chi sostiene che de Chirico è uno degli artisti che hanno cambiato il corso dell’arte nel Novecento, e questi artisti – si badi bene – si contano sulle dita di una mano. È con tutta probabilità per l’imponenza e l’importanza della novità della sua arte che i Surrealisti prima lo eleggono a proprio nume tutelare e poi cercano disperatamente di ricacciarlo negli inferi; ed è proprio per questo che, di qualsiasi avanguardia si parli, ci troviamo a constatare come de Chirico vi abbia fatto sentire la sua presenza, pur non avendone fatto parte. In anticipo sul ritorno alla classicità, sul recupero dell’antico, sull’esigenza di un’arte che spenga i fuochi avanguardisti per ritrovare un silenzio meditativo, sulla fascinazione dell’ignoto e perfino su alcuni meccanismi psicologici cavalcati poi, sebbene con altre finalità, dal surrealismo, de Chirico è l’ombra che non si può evitare, un genio con cui occorre, prima o poi, confrontarsi”, scrive Simona Bartolena nel suo testo in catalogo. Per tutta la durata della mostra una serie di attività didattiche, laboratori creativi e visite guidate permetteranno anche ai più piccoli di avvicinarsi all’arte del Maestro metafisico.

MARCEL BROODTHAERS - AKBANK ART BEYOĞLU, İSTANBUL



MARCEL BROODTHAERS
WORDS,THINGS, CONOCEPTS
curated by Hasan Bülent Kahraman
Akbank Art Beyoğlu
İstiklal Cad. No:8 34435 Beyoğlu-İstanbul
25/9/2014 - 29/11/2014

Akbank Sanat opens the 2014-2015 season with a worldwide exhibition.
This will be the most comprehensive exhibition to date of works by one of the most prominent founders of the conceptual art of 20th century, conceptual artist and poet Marcel Broodthaers who is regarded to be an école in his own right.
Besides using writing, words and text as subjects in his wide-ranging conceptual works, Broodthaers has also situated ‘ready-mades’ at the center of his work. Moreover, after a while he started studying extensively at the conceptual level and built the backbone of his art from concepts. Due to these qualities of his, Broodthaers have been regarded as one of those artists whose works have given birth to contemporary art as a full-fledged field of art.
The exhibition has been organized in collaboration with the Stedelijk Museum van Actuele Kunst (SMAK) in Gent, which holds the largest collection of works by the artist. The exhibition will be accompanied by a series of additional events such as conferences and film screenings.


YVES BONNEFOY: POÉSIE ET PHOTOGRAPHIE - ÉDITIONS GALILÉE 2014




YVES BONNEFOY
POÉSIE ET PHOTOGRAPHIE
Editions Galilée
(11 septembre 2014)

C’est directement et parfois profondément que l’activité du photographe influe sur ce que la poésie cherche à être. Et, en retour, les poètes se doivent de comprendre en quoi cette activité consiste et même ne pas hésiter à exprimer des réserves, des inquiétudes ou d’ailleurs aussi leur approbation en présence des formes diverses et peut-être contradictoires que l’acte et les visées du photographe ont prises depuis le daguerréotype, puis Nadar préservant pour nous le regard de Nerval, de Marceline Desbordes-Valmore, de Baudelaire.
Ce petit essai s’attache à un des effets troublants de la première photographie, son introduction d’une pensée du non-être, si ce n’est pas du néant, dans l’univers des images. Mais aussi à un récit qui, de façon figurale, me semble avoir perçu cet effet et visité avec épouvante ses risques, l’extraordinaire La Nuit de Maupassant, une des œuvres hallucinées de ses dernières saisons conscientes.