sabato 31 maggio 2014

CARL ANDRE: SCULPTURE AS PLACE, 1958-2010 - DIA BEACON





CARL ANDRE
SCULPTURE AS PLACE, 1958-2010
curated by Yasmil Raymond and Philip Vergne
Dia:Beacon
3 Beekman Street - Beacon, NY
May 5, 2014–March 2, 2015

Tracing the full evolution over five decades of the thinking of Carl Andre, Dia Art Foundation will present Carl Andre: Sculpture as Place, 1958–2010 from May 5 to March 2 at Dia:Beacon. The retrospective will include 45 sculptures, over 160 poems and works on paper presented in wooden vitrines designed by the artist, a selection of rarely exhibited assemblages known as Dada Forgeries, and an unprecedented selection of photographs and ephemera. This will be the first museum survey of Andre’s entire oeuvre, and the first retrospective in North America since 1978–80.
After premiering at Dia:Beacon, it will travel to museums in Europe, including Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía, Madrid (May 7–October 12, 2015); Hamburger Bahnhof, Museum für Gegenwart, Berlin (May 7–September 25, 2016); and Musée d’Art moderne de la Ville de Paris (October 20, 2016–February 12, 2017).
The retrospective will represent all major historical and aesthetic shifts in Andre’s oeuvre, including his signature works made out of unaltered building and industrial materials such as brick stacks, metal squares, slabs, and timber blocks. One of Andre’s landmark ephemeral works will be refabricated and installed on the grounds of Dia:Beacon, and an unparalleled display of Andre’s poems and typewriter works will examine the role of language in his practice. Highlighting the richness of Andre’s work—from early exercises to latest productions—the exhibition will also offer an opportunity to examine concerns shared with artists in Dia’s collection, including Flavin, Judd, LeWitt, Smithson, and Serra.

“The simplicity of Andre’s work conveys a striking complexity; it reveals the multiple ‘conditions’ that determine not only the artwork as such, but also the material itself in relation to historical and economic conditions. Andre’s impact on contemporary art is often reduced to the realm of sculpture, when in fact his process is palpable across various disciplines and generations of artists. Working with Carl, we’ve had the privilege of experiencing his unique precision, his intense understanding of his vocation, and his courageous attempt to rewrite the status of a work of art,” said Yasmil Raymond, curator, Dia Art Foundation.

Co-curated by Dia curator Yasmil Raymond and Museum of Contemporary Art Los Angeles Director Philippe Vergne, in collaboration with the artist, the retrospective will bring together works from renowned collections, including the Museum of Modern Art, Solomon R. Guggenheim Museum, Whitney Museum of American Art, National Gallery of Canada, Dallas Museum of Art, Seattle Art Museum, Kunstmuseum Wolfsburg, Tate, Addison Gallery of American Art, and Wexner Center for the Arts.

A book with original essays by co-curators Yasmil Raymond and Philippe Vergne and contributions by internationally respected authors and scholars will accompany the retrospective. Co-edited by Michelle Piranio and Jeremy Sigler and coordinated by Manuel Cirauqui, it includes a comprehensive exhibition history, bibliography, and chronology. The book’s designer is the award-winning Purtill Family Business.

Image: Carl Andre, Uncarved Blocks, 1975. Red cedar, 47 blocks, 30 x 30 x 90 cm each, overall dimensions variable. Installation view; Ace Gallery, Vanvouver, 1975. Inv. 1994/03. Photo: Helge Mundt, Hamburg. © Kunstmuseum Wolfsburg. Art © Carl Andre/Licensed by VAGA, New York, NY.

PHILIP TAAFFE: RANGAVALLI 1989-2014 - STUDIO D'ARTE RAFFAELLI, TRENTO





PHILIP TAAFFE
RANGAVALLI 1989-2014
Studio d'Arte Raffaelli
Palazzo Wolkenstein
via Marchetti 17 - Trento
dal 29/5/2014 al 30/9/2014

Lo Studio d’Arte Raffaelli di Trento presenta “Rangavalli 1989/2014”, una personale dell’artista Philip Taaffe che raccoglie opere liberamente ispirate alla tradizione indiana, in mostra dal 29 maggio 2014.
Durante i suoi numerosi viaggi in Oriente, Philip Taaffe è venuto a contatto con l’arte locale, caratterizzata da geometrie complesse e da colori intensi. Affascinato dai disegni “mandala”, che rappresentano il cosmo nella simbologia buddhista, l’artista ha realizzato, a partire dalla fine degli anni Ottanta, una serie di lavori significativamente intitolati “Rangavalli” – nome dei mandala nell’India meridionale. Si tratta di pezzi unici, frutto di una tecnica raffinatissima, in grado di rievocare le stesse atmosfere a cui si ispirano.
Nelle sedi espositive di Palazzo Wolkenstein 17 opere inedite saranno accostate a una ventina di opere del 1989, già parte della collezione della Galleria.
Per l’occasione sarà pubblicato un catalogo con saggio critico di Peter Lamborn Wilson e un testo del poeta statunitense Jack Hirschman con traduzione a cura di Francesco Clemente.

HENRI BERGSON - WILLIAM JAMES: DURATA REALE E FLUSSO DI COSCIENZA - RAFFAELLO CORTINA 2014





HENRI BERGSON - WILLIAM JAMES
DURATA REALE E FLUSSO DI COSCIENZA
Lettere e altri scritti (1902-1939)
Raffaello Cortina, 21/5/2014
collana "Saggi"

Vengono qui presentate per la prima volta tutte le lettere disponibili dello scambio epistolare intercorso fra Henri Bergson e William James fra il 1902 e il 1910, anno della morte di James, integrate dai testi (lettere ad altri corrispondenti, saggi, articoli) che documentano la storia di una straordinaria amicizia filosofica. L'incontro fra il filosofo francese e lo psicologo e filosofo americano non fu dettato soltanto dalle affinità concettuali ed esistenziali, ma soprattutto dall'esigenza di ripensare su basi rinnovate il programma di ricerca della filosofia. A unirli con un legame profondo erano il rifiuto dell'intellettualismo, la critica della metafisica di scuola come dello scientismo positivista, ma anche l'idea che per la filosofia fosse venuto il tempo di ritornare a parlare la lingua viva dell'esperienza. Solo così la filosofia si sarebbe potuta mostrare all'altezza del secolo che si stava aprendo e delle nuove esigenze teoretiche che proprio la nuova scienza aveva posto sul tappeto. Il dialogo Bergson-James è una pietra miliare nella storia intellettuale del Novecento, di cui solo oggi si comincia ad apprezzare la straordinaria portata.

GIAN CARLO FERRETTI - GIULIA IANNUZZI: STORIE DI UOMINI E LIBRI - MINIMUM FAX 2014





GIAN CARLO FERRETTI - GIULIA IANNUZZI
STORIE DI UOMINI E LIBRI
L'editoria letteraria italiana attraverso le sue collane
Minimum Fax, 22 maggio 2014
collana "Filigrana"

In questo volume gli studiosi di editoria Gian Carlo Ferretti e Giulia Iannuzzi ricostruiscono attraverso 45 profili un esaustivo panorama delle collane che hanno espresso il meglio dell'offerta letteraria nel nostro paese, dal Novecento a oggi. Dalle collane più celebri e ormai storiche - come "Lo specchio" e i "Gialli di Mondadori", "I coralli" e "I gettoni" di Einaudi, "I Narratori" di Feltrinelli, la "Biblioteca Adelphi", la "BUR" di Rizzoli - fino alle tendenze più recenti e innovative dell'editoria, "Storie di uomini e libri" ci accompagna in un percorso affascinante e spesso sorprendente tra le politiche, le pratiche, gli orientamenti delle case editrici che maggiormente hanno contribuito a plasmare la nostra identità culturale e il nostro immaginario collettivo. Un prezioso strumento di lavoro per studenti e cultori della materia, ma anche una guida per chi desidera affacciarsi, da lettore curioso, nel "dietro le quinte" della letteratura, dove accanto a chi i libri li scrive c'è anche chi "li fa": progettandoli e curandoli, con passione, coraggio, talvolta persino con un po' di sana incoscienza.

RAZIONALISMO LIBICO - CHIOSTRO DI SAN MATTEO, GENOVA





RAZIONALISMO LIBICO
Il patrimonio culturale dell'architettura italiana nel Mediterraneo
a cura di Walter Baricchi e Fausto Bisi
Chiostro di San Matteo
piazza San Matteo - Genova
dal 31/5/2014 al 7/6/2014

L'esposizione, curata dagli architetti Walter Baricchi e Fausto Bisi, è stata allestita, in precedenza, a Tripoli (Libya) presso la sede degli Archivi Nazionali, in concomitanza con il seminario internazionale "Managing historical cities in contemporary Libya", svoltosi appunto a Tripoli dal 19 al 23 gennaio scorsi, secondo gli accordi e il programma definito con il Libyan Board of Architects e l'Istituto Italiano di Cultura di Tripoli, conclusosi con la firma del Protocollo d'Intesa tra CNAPPC e il Libyan Board of Architects.

DAN GRAHAM: TWO WAY MIRROR / HEDGE ARABESQUE - CASA ZEGNA, TRIVERO




DAN GRAHAM
TWO WAY MIRROR / HEDGE ARABESQUE
2014 - Installazione permanente
a cura di Andrea Zegna e Barbara Casavecchia
Casa e Fondazione Zegna
via Marconi 23 - Trivero
dal 31/5/2014 al 31/5/2014

All'Aperto
Un progetto d'arte contemporanea

Promosso dalla Fondazione Zegna, il progetto ALL’APERTO (a cura di Andrea Zegna e Barbara Casavecchia) nasce con l'intento di rendere più fruibile l'accesso all'arte contemporanea e ai suoi valori. Dal 2008 sviluppa nell’area attorno a Trivero una serie di opere permanenti realizzate “su misura” da autori di calibro internazionale, che si rivolgono alla collettività.
Per il debutto, Daniel Buren ha incorniciato le terrazze panoramiche del Lanificio Zegna con"Le banderuole colorate, lavoro in situ, 2007, Trivero": un arcobaleno di bandiere di sette tonalità diverse, che per effetto ottico sembrano fondersi in un unico colore. Nel 2009, Alberto Garutti ha mappato il territorio e ne ha coinvolto gli abitanti tramite un congegno inedito: i cani del paese. E’ nata così una serie di 12 panchine in cemento, collocate nelle diverse frazioni, significativamente intitolata: "Dedicato alle persone che sedendosi qui ne parleranno". Nel 2011, è stata la volta de "I Telepati" di Stefano Arienti, una "scultura da adoperare", composta da una rete di copertura Wi-Fi gratuita e dai gruppi di arcaiche “teste pensanti” in pietra che ne segnalano la presenza. A settembre 2012, Roman Signer ha inaugurato con un'affollata azione pirotecnica il suo "Horloge", una sorprendente “scultura-tempo” che scandisce il passaggio dei minuti senza ricorrere alle lancette. Una grande performance collettiva ha segnato anche l’opening del progetto di Marcello Maloberti "I baci più dolci del vino" (2013), un nuovo “giardino delle delizie” per la comunità.
L’edizione 2014 è affidata a Dan Graham. Con il suo “Two Way Mirror / Hedge Arabesque”, un grande padiglione in acciaio e vetro a riflessione differenziata collocato nella Conca dei Rododendri dell’Oasi Zegna, l’artista invita il pubblico ad attivare nuovi sguardi sul paesaggio.


THE ST. PETERSBURG PARADOX - SWISS INSTITUTE, NEW YORK





THE ST. PETERSBURG PARADOX
Swiss Institute
18 Wooster Street - New York
May 28–August 17, 2014

Giovanni Anselmo, Jean Arp, Ericka Beckman, Barbara Bloom, Alex Mackin Dolan, Marcel Duchamp, Cayetano Ferrer, Douglas Gordon, John Miller, Kaspar Müller, Sarah Ortmeyer, Tabor Robak, Amalia Ulman

“Gambling generates by way of experiment the lightning-quick process of stimulation at the moment of danger, the marginal case in which presence of mind becomes divination—that is to say, one of the highest, rarest moments in life.”
–Walter Benjamin, Notes on a Theory of Gambling, 1929

In the St. Petersburg gamble, the house offers to flip a coin until it comes up heads. The payoff doubles each time tails appears, with this compounding stopping and payment being given at the first heads. By conventional definitions, the St. Petersburg gamble has an infinite expected value; nonetheless, most people share the intuition that they should not offer more than a few dollars to play. Explaining why people offer such small sums to play a gamble with infinite expected value remains a contentious question in economics and philosophy.
Based upon the theory of the same name developed by 18th-century Swiss mathematicians brothers Nicolaus and Daniel Bernoulli, The St. Petersburg Paradox invites artists to consider notions of risk aversion, expected value, and gaming. An early experiment in the use of chance procedures as a means to suspend artistic agency, Jean Arp’s 1916 Collage géométrique is one in a series of collages drawn from the random composition of tossed pieces of paper. Eighty years later, Douglas Gordon’s Bad Faith gambles with the very creation of a new artwork by betting its entire production budget on the unlikely occurrence of snow on Christmas Day in Stuttgart. Furthering this conflation of artwork and monetary value is a group of Marcel Duchamp’s Monte Carlo Bonds (1924–1938), a playful attempt at bankrupting the Monaco casino through a flimsy financial scheme. With Remnant Recomposition (2014), artist Cayetano Ferrer has created a site-specific installation composed of dozens of different carpets specifically manufactured for casinos, where frenetic visual stimuli are designed to both obscure the wear and tear of 24-hour gambling palaces and to brighten up the cold mechanics of adverse probability.

Tabor Robak’s new video, A* (2014), which was commissioned for this exhibition, channels the intensity of the gamer’s ups and downs, ricocheting between the euphoria of an elusive win and resignation to inevitable loss. John Miller’s painting Labyrinth 1 (1999) renders a zoomed-in frame from the perennially popular TV game show “The Price is Right” at the height of mass media’s ubiquity. Ericka Beckman’s film You the Better (1983), drawing upon the adversarial nature of team sports, animates the absurdity of blithely entering into a game that cannot be won.
New works created by Alex Mackin Dolan, Kaspar Müller and Amalia Ulman engage with the internet’s refraction of aspirational consumption. Elements of Dolan’s painting are culled from disparate images and memes born out of financial anxieties, while Ulman’s large digital prints of found postcards revel in the romanticization of what American economist and sociologist Thorstein Veblen has described as “pecuniary canons of taste” (The Theory of the Leisure Class, 1899). Müller’s stack of prints, titled Tropic of Cancer (2014), exploits the rote vocabularies and unpredictable social dynamics of online peer-to-peer commerce, as the artist offers the entire contents of his Berlin apartment for sale via a dedicated phone line (T +4917690988107, 24/7). The Swiss Institute’s website will encourage bidding on a different item each day.
Barbara Bloom’s 1992 artist book Never Odd or Even (whose title itself is a palindrome), along with four works from her eponymous series of butterfly cases, illustrates the possibility of the zero-sum game conjectured by the Bernoullis’ famous paradox. Sarah Ortmeyer’s new sculpture series, SANKT PETERSBURG PARADOX (2014) scatters a miscellany of chessboards across the main gallery. The whole surface is strewn with 109 eggs of various sizes, types, and therefore, values, arranged in a precarious equilibrium.This sense of tension and an undercurrent of mortal jeopardy charges Giovanni Anselmo’s 1968 untitled sculptural installation, in which a pair of 250-pound stones maintain live wires in close proximity. This masterpiece of Arte Povera is an extreme testament to artists’ enduring interest in relinquishing authorial power, sustained across historical avant-gardes and guided to this day by what Georges Bataille calls, “the giddy seductiveness of chance.”

Image: Detail of SANKT PETERSBURG PARADOX, 2014 by Sarah Ortmeyer.

NICOLE MANUCU: DE TRISTAN TZARA À GHÉRASIM LUCA - HONORÉ CHAMPION 2014





NICOLE MANUCU
DE TRISTAN TZARA À GHÉRASIM LUCA
mpulsions des modernisés roumaines au sein de l'avant-garde européenne
Honoré Champion, 26/5/2014
collection "Bibliothèque de litterature generale et comparée"

C’est au travers des paradoxes les plus disparates que s’écrit l’histoire de la modernité roumaine. Généralement rangée dans la famille des «petites nations », et reléguée au second plan de la périphérie culturelle, la Roumanie parviendra, au début du XXe siècle, dans le contexte des avant-gardes littéraires et artistiques, à imposer des maîtres incontestables et incontestés : il suffit d’évoquer le nom du sculpteur Constantin Brancusi et son apport fondamental à l’instauration de formes plastiques nouvelles ou celui de Tristan Tzara, synonyme de dadaïsme. Les peintres Marcel Janco, Victor Brauner et Jacques Hérold ne manqueraient pas de s’inscrire tout aussi légitimement dans cette aventure éblouissante. Non plus que Ghérasim Luca, dont l’inventivité et l’originalité poétiques ne cessent de nous bouleverser. L’irruption foudroyante de l’avant-garde roumaine sur la scène internationale est à réinterpréter à la lecture d’une histoire culturelle riche et foisonnante qui, dès ses débuts, n’a jamais cessé d’intégrer l’art mondial et de le transformer par des apports remarquables.

Nicole MANUCU est née en 1975 en Roumanie. Elle s’est longtemps consacrée à l’étude des avant-gardes littéraires et artistiques européennes. Nombreuses publications en roumain et en français notamment sur Tristan Tzara et Ghérasim Luca.

DICTIONNAIRE JEAN GENET - HONORÉ CHAMPION 2014




DICTIONNAIRE JEAN GENET
sous la direction de Marie-Claude Hubert
Honoré Champion, 26/5/2014
collecion "Dictionnaires et références"

Rédigé par une équipe internationale de spécialistes, cet ouvrage consacré à Jean Genet permet de mieux mesurer l’importance de son oeuvre et de sa pensée dans son temps et dans le nôtre. Intégrant les travaux critiques les plus récents, il en appréhende toutes les dimensions, poétique, romanesque, théâtrale, cinématographique, politique, s’intéressant tant à l’écrivain, lu et joué dans le monde entier, qu’à l’homme engagé qui n’a cessé de susciter des polémiques.

Marie-Claude Hubert est professeur de littérature française à Aix-Marseille Université. Ses recherches portent sur le théâtre du XXe siècle : Vitrac, Montherlant, Beckett, Ionesco, Adamov, Genet.

Odette Aslan, Annick Asso, Marie-Christine Autant-Mathieu, Stéphane Baquey, Hélène Baty-Delalande, Benoît Barut, Myriam Bendhif-Syllas, Florence Bernard, Marjorie Bertin, Michel Bertrand, Alexandra Bouchet-F-Gout, Patrice Bougon, Catherine Brun, Claude Burgelin, Dominique Carlat, Clara Debard, Nicolas Diassinous, Sylvain Dreyer, Frieda Ekotto, Gilles Ernst, Fabrice Flahutez, Agnès Fontvieille-Cordani, Sophie Gaillard, Stefano Genetti, Karine Germoni, Rose-Marie Godier, Baorong Gong, Jeanyves Guérin, Diane Henneton, Pierre-Marie Héron, Ralph Heyndels, Yannick Hoffert, Marie-Claude Hubert, Carlo Jansiti, Véronique Lane, Hélène Laplace-Claverie, Audrey Lemesle, Jean-François Louette, Ian Magedera, Éric Marty, Suguru Minemura, Jean-Bernard Moraly, Nicola Pasqualicchio, Olivier Penot-Lacassagne, Emmanuel Reibel, Élisabeth Stephens, Urs Urban , Geir Uvslokk, Éden Viana-Martin, Pierre Vilar.
  

MIMMO PADOVANO: FRAGILE!? - ARTRÉ GALLERY BRUNA SOLINAS, GENOVA




MIMMO PADOVANO
FRAGILE!?
Artrè Gallery Bruna Solinas
vico dei Garibaldi 41R - Genova
dal 22 maggio al 7 giugno 2014

I lavori del ciclo FRAGILE!? cercano di evidenziare le contraddizioni tra contenuto e contenitore, di sottolineare l’ambiguità e il paradosso del messaggio; la messa in dubbio dell’informazione (dell'avvertenza stessa: fragile), creando un corto circuito tra mittente e destinatario.
Gli elementi principali delle opere sono frammenti di oggetti ( come pezzi di parti meccaniche e di ingranaggi, lastre metalliche, travi, putrelle, ecc.) – estrapolati da un insieme oggettuale che si contraddistingue per le sue caratteristiche di durezza, pesantezza e resistenza; questi elementi sono ora scolpiti o incisi, ora modellati e aggettanti dalla superficie della materia che li ingloba, li contiene o ne fa emergere qualche porzione.
In alcune opere il blocco di pietra e l’oggetto pietrificato, fossilizzato, ricercano un’improbabile ( inutile e superflua) protezione in un contenitore metallico o addirittura di vetro.
Tutte le opere sono caratterizzate dalla forte materialità pittorica, dalla resa plastica e dalla simulazione dei materiali.
Le superfici pittoriche si presentano come pezzi di terra, di mura, di roccia calcarea: fogli di pietra sui quali sono appuntati i segni, le tracce, le impronte del nostro passaggio, del nostro agire, del nostro pensiero.

Mimmo Padovano nasce a Pagani (SA) nel 1968, dopo la maturità artistica ha completato gli studi presso l'Accademia di belle arti di Napoli, corso di pittura; in seguito si è laureato in sociologia, area dei fenomeni culturali e comunicativi.
Ha partecipato a moltissime esposizioni, premi e concorsi in diverse città riscuotendo grandi consensi di critica e di pubblico.
Vive e lavora a Genova.

giovedì 29 maggio 2014

IMPERATORI ALLA VILLA DEL PRINCIPE - VILLA DEL PRINCIPE, GENOVA





IMPERATORI ALLA VILLA DEL PRINCIPE
Villa del Principe
piazza Principe, 4 - Genova
dal 30/5/2014 al 29/6/2014

La rinascita di Villa del Principe, l’antico palazzo-reggia dei Doria e poi dei Doria Pamphilj a Genova, è finalmente completa. Almeno per quanto attiene a tutti gli spazi e arredi all’interno della antica dimora e al meraviglioso giardino all’italiana. Resta ora da mettere mano alla cinta esterna, per altro di minore interesse architettonico.
Per completare un’opera così ciclopica sono stati necessari più di 20 anni di continui, rilevanti interventi che, sezione dopo sezione, hanno perfettamente ridato vita a decine di Gallerie, Saloni, Stanze, a centinaia di metri quadri di affreschi (tra essi primeggiano quelli di Perin del Vaga), a stucchi, preziosissimi parati, marmi e legni di pregio, oltre che a tutta la parte tecnologica e impiantistica.
Nelle sale restaurate sono tornati, anch’essi dopo restauro, gli arredi originali che in parte erano stati messi al sicuro nel Palazzo romano della famiglia. Quadri, specchiere, mobili, parati ma anche ceramiche, vetri, complementi sono tornati al loro posto dopo essere stati, a loro volta, restaurati. L’investimento richiesto da questa complessa e non facile impresa viene definito dai Principi come “evidentemente notevole”, anche se è loro scelta non indicare cifra alcuna.
La prima grande campagna di restauro e risanamento di tetti, muri e ambienti aveva portato, nel 1995, alla riapertura di buona parte della Villa ed in particolare del Salone dei Giganti e delle sale contigue. Poi nel 1997 era stata la volta della riapertura della Galleria; due anni dopo erano conclusi gli interventi maggiori sul Giardino, ricondotto alle sue linee rinascimentali dalla sterpaglia spontanea che era diventato. Altri anni di lavoro e nel 2003 venivamo restaurati gli affreschi di Perin del Vaga nella Loggia degli Eroi. Ancora tre anni di lavoro e anche gli affreschi dello stesso maestro nella Sala di Aracne erano messi in sicurezza. Intanto un laboratorio specializzato si prendeva cura dei preziosi arazzi fiamminghi con le storie di Alessandro Magno.
Più recentemente, nel 2010, venivano riallestite le Sale con preziosi velluti: il loro recupero consentiva il rientro da Roma delle preziose tappezzerie e suppellettili che le ornavano in origine. Poi è stata la volta della Sala di Amore e Psiche, anch’essa affrescata da Perin del Vaga.
Infine l’intervento di recupero e ripristino degli Appartamenti Settecenteschi ovvero dell’aggiunta alla Villa voluta da Giovanni Andrea Doria. Gli Appartamenti Settecenteschi rappresentano una perfetta, armonica sintesi del livello dell’arte e delle arti applicate in ambito genovese nei decenni che intercorrono tra la fine del Seicento e i primi tre decennio del secolo successivo. Qui hanno operato i migliori stuccatori, pittori, ebanisti, creando ambienti perfettamente armonici, di grande eleganza, appartamenti tutt’ora utilizzati dalla Famiglia in occasione delle visite alla Villa ma, di norma, aperti alla visita del pubblico.

Per festeggiare la conclusione di un lavoro ventennale i Principi hanno voluto dar vita a due interventi ad alto valore simbolico. Da un lato arricchire le collezioni d’arte di Villa del Principe con due capolavori delle raccolte romane di Famiglia. Si tratta di due preziosissime sculture: il Busto di Papa Innocenzo X di Alessandro Algardi e il Busto di Papa Gregorio XV di Gian Lorenzo Bernini. Provengono dai palazzi romani dei Doria Pamphilj e sono ora sono destinate, stabilmente, alla loro dimora genovese.
Il secondo dei “gesti” è l’allestimento temporaneo (sino al 29 giugno) nel Giardini di Villa del Principe di una mostra installazione di opere di Ria Lussi in vetro. Si tratta di una serie di 12 Imperatori commissionata all’artista come segno di continuità del gusto e dell’attenzione per il collezionismo, anche nel settore dell’arte contemporanea. Dopo l’esposizione a Genova, gli “Imperatori di luce” saranno trasferiti in Palazzo Doria Pamphilj a Roma dove saranno collocati nel giardino.

Era il 1521 quando Andrea Doria, valente ammiraglio e uomo d’armi leggendario, diede il via ai lavori che avrebbero portato alla costruzione della meravigliosa villa affacciata sul mare di Genova, che oggi si torna ad ammirare. Questo sarebbe divenuto il luogo di pace al rientro dai suoi innumerevoli viaggi e la dimora prescelta per i suoi successori: la famiglia Doria Pamphilj. In questa villa Andrea Doria diede vita ad una grande corte rinascimentale, di cui fecero parte artisti come il magnifico Perin del Vaga, che si occupò della decorazione e degli arredi di gran parte delle sale. La Villa venne poi ampliata dal successore di Andrea, Giovanni Andrea I Doria, con il quale raggiunse il suo massimo splendore.
Oggi Villa del Principe è un luogo monumentale pieno di tesori nascosti, cui venti anni di cure hanno ridato la perduta dignità. Per rivivere i suoi fasti oggi basta percorrerne le stanze, ammirare gli splendidi affreschi ed arazzi o passeggiare tra le fontane del meraviglioso giardino cinquecentesco. Per condividere con la città la realizzazione di questo progetto di recupero, la Villa verrà aperta gratuitamente in occasione dell’inaugurazione venerdì 30 maggio alle ore 19.00 .

Immagine: Andrea Doria nelle vesti di Nettuno di Bronzino

FÜSUN ONUR: THROUGH THE LOOKING GLASS - ARTER, ISTANBUL





FÜSUN ONUR
THROUGH THE LOOKING GLASS
ARTER – space for art
Istiklal Caddesi, 211 Beyoglu - Istanbul
28 May–17 August 2014

From 28 May on, ARTER will be hosting a comprehensive solo exhibition by Füsun Onur, one of Turkey’s pioneering contemporary artists. Curated by ARTER’s Exhibitions Director Emre Baykal, the exhibition borrows its title from Lewis Carroll’s book Through the Looking Glass.
Through the Looking Glass brings together more than 40 works spanning from the artist’s early career to her most recent production. The works in the exhibition cover an era of almost 50 years committed to an uninterrupted research on the potentials of space, time, rhythm and form that are inherent in simple, everyday materials. The exhibition thus aims to offer a survey of Füsun Onur’s body of work, from early abstract geometric drawings to the idea of sculpture as a linear drawing in space; from three-dimensional spatial objects to installations that employ ordinary materials such as furniture, textiles, beads, toys and so on.
Following a route that echoes the intuitive co-existence of individual pieces in Füsun Onur’s world, the exhibition focuses on the strategies the artist has developed in order to expand the boundaries of painting and sculpture as well as to break the borders between them. The exhibition also offers clues as to how the artist’s work has embraced, in the course of her production, quotidian, narrative and even autobiographical elements with the introduction of a gradually diversifying range of materials.
Through the Looking Glass also features a number of previously unrealised works produced especially for the exhibition and premiered at ARTER. One of these is a work Füsun Onur originally modelled in styrofoam for a competition in 1972. This model was revisited and transformed into a labyrinth/space that surrounds the viewers and multiplies their image on its walls of mirror. Another is a project conceived and drafted by Onur in 1993, yet remained unrealised until this day. In this eight-hour long video, a pink boat and three rectangular shapes following its tail are released into the waters of the Bosphorus from the artist’s house in Kuzguncuk and persistently maintain their position against the strong winds and ever-changing currents.
Complimentary to Füsun Onur’s exhibition, a new work by Ali Kazma, Home (2014), can also be seen at ARTER. Ali Kazma this time turns his camera to the house that became the stage of Füsun Onur’s artistic production. Installed on a separate floor to accompany the exhibition, Home parts open the doors of the small waterfront house in Kuzguncuk, where Füsun Onur was born, and still lives with her sister İlhan Onur. The work offers viewers clues about the magical and enchanting world that has been nourishing Onur’s artistic production, as well as a new direction in which Ali Kazma’s work may develop.
Füsun Onur was born in Istanbul in 1938. Following her studies at the Department of Sculpture, Istanbul State Academy of Fine Arts, she continued her education in the USA with a Fulbright scholarship. Her work has been shown in solo and group exhibitions at Istanbul Modern (2011), Augarten Contemporary, Vienna (2010), the Van Abbemuseum, Eindhoven (2005), ZKM, Karlsruhe (2004), and the Kunsthalle Baden-Baden (2001). She has participated in dOCUMENTA(12), the Istanbul Biennial (2011, 1999, 1995, 1987) and the Moscow Biennale (2007).
  

MARIA LETIZIA GUALANDI: L'ANTICHITÀ CLASSICA - CAROCCI 2014





MARIA LETIZIA GUALANDI
L'ANTICHITÀ CLASSICA
Fonti per lo studio della Storia dell'Arte
Carocci, 29 maggio 2014
collana "Frecce"

Il volume prende in esame l'età greca e romana, in cui furono gettate le fondamenta dell'arte occidentale e della moderna riflessione estetica. Nel naufragio che ha colpito gran parte della produzione letteraria antica, la letteratura artistica è stata fra i settori più penalizzati. Tuttavia, un'attenta ricognizione di ciò che è sopravvissuto degli antichi trattati sull'arte, ma anche di quanto emerge sull'argomento dai testi storici, filosofici, retorici, letterari consente di ricostruire un quadro d'insieme sulle convinzioni estetiche dei greci e dei romani e su temi di cruciale importanza, quali il ruolo sociale degli artisti, le forme del collezionismo ecc. Il libro consta di due sezioni - i Saggi e l'Antologia delle fonti - al tempo stesso autonome e interdipendenti. Ciascun saggio corrisponde a uno dei grandi temi in cui è stata suddivisa l'antologia delle fonti documentarie e ne offre un'interpretazione critica d'insieme. Il volume può quindi essere letto come un testo di storia della critica, le cui riflessioni trovano riscontro nei brani dell'antologia, oppure si può consultare direttamente quest'ultima, anche limitatamente a singoli temi e questioni.
  

MARINA PETRONIO: IL CASO WINCKELMANN - PALOMBI 2014





MARINA PETRONIO
IL CASO WINCKELMANN
Uno dei più famosi casi giudiziari d'Europa nella Trieste del Settecento
Palombi, 28 maggio 2014

Il giorno 8 giugno dell'anno 1768 fu assassinato a Trieste J. J. Winckelmann, "principe del classicismo", il più celebre storico dell'arte antica, conosciuto in tutta Europa. Il delitto, avvenuto nel principale albergo della città, la " Locanda Grande", alimentò molte fantasie e ipotesi, puntando l'attenzione soprattutto sull'omosessualità di Winckelmann e sulle sue frequentazioni. L'autore del delitto, Francesco Arcangeli che si trovava per caso alla "Locanda Grande" nello stesso periodo di Winckelmann, subì un'orribile pena di morte per il suo misfatto, esecuzione che ebbe luogo sulla pubblica piazza, di fronte alla "Locanda Grande", alla stessa ora in cui presumibilmente compì l'omicidio. Tutta questa vicenda, che ha affascinato a lungo scrittori e commediografi, suscita ancora molti interrogativi e dubbi che le pagine di questo libro intendono svelare e sciogliere.

ROBERTO ROSSINI: MAGNUM CHAOS - PALAZZO DUCALE, GENOVA 30/5/2014





ROBERTO ROSSINI
ZEITGEIST
episodio 15 - Magnum Chaos
azione estetico rituale
Palazzo Ducale - Cortile Maggiore
piazza Matteotti 9 - Genova
venerdì 30 maggio 2014, ore 21,00

Zeitgeist (spirito del tempo) è un progetto in progress, una riflessione sul tempo, il tempo che passa e il tempo che si vive, un rituale di riparazione alla peste spettacolare.
Il ciclo è iniziato nel 2006, organizzato in 15 stazioni (Crucis way) e vede ora la sua conclusione.
Zeitgeist rappresenta l’inquietudine derivata da un presente in cui i riti del quotidiano si dispiegano come processo coatto, ripetitivo e i suoni, gli spazi, gli oggetti, le parole, le azioni sono affrancati dal loro rapporto con lo spirito e con la vita diventando a loro volta solo 'cose' che sentono e che sono sentite.
È la presa di coscienza della materia come regno del frammentario, del parcellare, del discontinuo, una icona del tempo riciclato.
I materiali utilizzati sono schegge di segno, parti di senso, tracce di pensiero, ricomposte in quella che, con un’espressione di Walter Benjamin, potrebbe definirsi una 'costellazione', dove la tensione verso l’unità non cancella la molteplicità.
Zeitgeist persegue la realizzazione di un tempo mitico, cioè ciclico, un modello in cui il mito tenta di arrestare il flusso del tempo contemporaneo, è un lavoro sostanzialmente ‘emotivo’: è il gesto, la certezza di fare poesia a una velocità più prossima possibile a quella del pensiero.

Non abbiamo di nostro
che il tempo, in cui vive
chi non ha neppure dimora.
Baltasar Gracián

Performance realizzata in occasione della mostra INDIFFERENCE/REFERENCE
Galleria UnimediaModern, maggio-giugno 2014
  

mercoledì 28 maggio 2014

PICTURING THE GREAT WAR - GEMEENTEMUSEUM, DEN HAAG





PICTURING THE GREAT WAR
Gemeentemuseum
Stadhouderslaan 41 - Den Haag
29/5/2014 - 31/8/2014

‘I had to experience how it would be if someone beside me suddenly fell over and died from a direct hit. I needed to experience it directly. I wanted to. So I’m not a pacifist at all – or am I?’ German artist Otto Dix’s ambiguous attitude to the First World War is typical. Nothing about the ‘Great War’ was simple and straightforward. Every country had its own particular reasons for going to war (or, like the Netherlands, for remaining neutral). And each artist who recorded the experience of war took a different attitude to it. The ‘Picturing the Great War’ presentation in the Berlage Room at the Gemeentemuseum Den Haag uses work by German and Dutch artists like Otto Dix, Ludwig Meidner, Käthe Kollwitz, Jan Toorop, Leo Gestel, Jan Sluijters, Piet van de Hem and Willy Sluiter to reveal something of this diversity.

The assassination of Archduke Franz Ferdinand of Austria in 1914 is almost invariably identified as the key event that triggered the First World War. Assuming that Serbia was involved in the murder of the heir to the Austrian-Hungarian throne, the Austrians invaded and plundered the country. This attack produced a domino effect and soon all the major powers were at war. Within months, Otto Dix volunteered for the German army. He was 23 and wanted ‘to fight for a new and better world’. However, service as a machine-gunner on the Western Front soon opened his eyes to the less glorious realities of trench warfare. His 1924 cycle of prints entitled Der Krieg (‘The War’) gives such an intense and detailed picture of the horrors of war that it can easily be regarded as a powerful anti-war statement. But Dix’s own attitude was always equivocal. While he admitted to suffering from nightmares, he also said that he would not have wanted to miss the experience of war. It had shaped him both as an individual and as an artist.
German publisher Paul Cassirer was initially equally upbeat. In August 1914 he began issuing Kriegszeit (‘Time of war’), a weekly four-page ‘newspaper’ in which artists like Max Liebermann and Ernst Barlach responded to the events of the war. At first, their images were heroic but by March 1916, when the last issue appeared, the tone was completely different; nobody believed in the war any more. Cassirer replaced Kriegszeit by a pacifist magazine entitled Der Bildermann (‘The picture man’). Two years before the outbreak of war, German Expressionist painter Ludwig Meidner had been in a completely different mood when he produced his Apocalyptic Landscape – a painting that literally anticipates the course of events, predicting the devastation wreaked by the war with frightening accuracy. German printmaker Käthe Kollwitz was also quick to adopt the slogan ‘WAR – NEVER AGAIN’. She saw poverty and political turmoil all around her and in 1914 her son – a fusilier in the German army – was killed in an attack on the Flemish town of Diksmuide. Kollwitz responded by producing posters in support of humanitarian organisations and by drawing attention to the consequences of war in arresting drawings. The image of war that Kollwitz projects is that of the innocent civilian suffering the consequences of political decisions.
Although the Netherlands remained neutral throughout the First World War, it was not entirely unaffected. When the first Belgian fort fell into the hands of German occupying forces on 30 September 1914, the event prompted a mass exodus of Belgian refugees through Zeeland into the Netherlands. A number of artists – including Jan Toorop and Leo Gestel – were struck by the humanitarian disaster and produced works depicting it. Living in Domburg (Zeeland), Toorop witnessed it at first hand. Gestel was not living there but chose deliberately to go to the border area and produced over a hundred prints and drawings of the refugees. Other artists in the neutral Netherlands could take a more detached view of the war. Starting early in 1915, Jan Sluijters, Piet van de Hem and Willy Sluiter produced cartoons about events in the war for a periodical called De Nieuwe Amsterdammer (a forerunner of today’s Groene Amsterdammer). They criticized the conduct of the war by the major powers but did not spare the neutral Netherlands either.

DADAMAINO - STUDIO GUASTALLA., MILANO





DADAMAINO
Studio Guastalla Arte Moderna e Contemporanea
via Senato 24 - Milano
dal 29/5/2014 al 27/9/2014

La mostra presenta circa 20 Volumi di Dadamaino, realizzati tra il 1958 e il 1961. Con questo termine, che identifica le opere prodotte da Dadamaino a cavallo della fine degli anni Cinquanta e dell’inizio degli anni Sessanta del Novecento (le prime che la fanno conoscere al pubblico, e con le quali passa in modo improvviso dal figurativo alla sperimentazione sul supporto), l’artista chiarisce fin dal nome il suo intento. Che è quello di lavorare sulla tridimensionalità dello spazio fisico, sull'estensione: non tagli o buchi, come nel lavoro che Fontana porta avanti da almeno dieci anni, o superfici, come nell'opera di Castellani, ma figure, quasi sempre ovoidali, ritagliate a mano sulla tela, dai contorni imprecisi, che svuotano la tela fino a rivelarne il telaio, trasformando il quadro in struttura pura, in cui il vuoto ha più spazio della tela. "1. Posizione postinformale e protodadaista, con distruzione critica della tela, 1958-1959" scrive Dadamaino nella note sintetiche di una sinossi con cui si presenta.
"Naturalmente Fontana ha avuto un ruolo determinante nella mia pittura. Se non fosse stato Fontana a perforare la tela, probabilmente non avrei osato farlo neppure io. Sottrarre la materia, al punto da rendere visibili anche parti della tela (del telaio) per eliminare ogni elemento materiale, per privarla d'ogni retorica e ritornare così alla tabula rasa, alla purezza". È l'artista stessa a dichiarare esplicitamente a chi deve il coraggio di rompere con la pittura, che non è solo la figurazione, ma anche il matericismo dell'informale, degli epigoni dell'espressionismo astratto americano, con il suo nucleo di tragicità interiore. È una fuga dalla materialità verso l'immaterialità, la sottrazione, una tabula rasa per ricominciare su nuove basi. "Così sulle tele pulite operai grandi squarci ovoidali, a volte uno solo, grande come tutto il quadro. Dopo questo atto liberatorio rimasi perplessa, sul come proseguire. Il come lo trovai interessandomi al futurismo...I meravigliosi insegnamenti futuristi, chissà perché dimenticati, erano i più vivi e veri che si potessero raccogliere. Pensando a ciò guardai i miei lavori. Dietro i grandi buchi vedevo un muro pieno di luci e ombre che vibravano e si muovevano. Ecco la cosa da cercare e da seguire. L'arte era stata sinora statica, tranne che per pochi pionieri, bisognava farla ridiventare dinamica e con mezzi conseguenti alle più recenti esperienze tecnico scientifiche, stabilito che si può fare dell'arte con qualsiasi mezzo".
E tuttavia, nonostante il debito riconosciuto, i volumi di Dadamaino sono altra cosa dai tagli e dai buchi, non solo nelle dimensioni e nell'estensione, ma anche nell'eliminazione di qualsiasi aspetto pittorico, cromatico, sensibile, scegliendo invece un'assenza di colore, il nero o il bianco, che diventa sottrazione totale, assenza.
La mostra prosegue con opere del '60, l'anno di una prima svolta nel lavoro sui "volumi": non più una o due forme irregolari organizzate sulla tela in modo apparentemente casuale, ma una serie di cerchi precisi, probabilmente ottenuti con uno stampo appoggiato alla tela, ripartiti in modo omogeneo, con rigore formale, geometrico, come a rifiutare qualsiasi casualità, qualsiasi riferimento all'informale.
E subito dopo, sempre nel '60, un anno di svolta, Dadamaino trova nuovi sviluppi alla sua ricerca sulla geometria in un materiale nuovo, la plastica, e in particolare nei "fogli" di rhodoid delle tende da doccia, che sovrappone uno sull'altro a tre o a quattro, montati su un un telaio di carta millimetrata. Sono i volumi a moduli sfasati, in cui i buchi sembrano muoversi, vibrare dinamicamente, animare la trasparenza del foglio. È un movimento ottico interiore, un gioco di illusioni, un battito tachicardico, realizzato con un materiale che rivela potenzialità inedite: "mentre operavo il montaggio, bastava il calore della mano a sfasare la tramatura e a creare una serie di immagini sovrapposte ma sfumate". È la rottura definitiva con il "mondo antico" del pittore.

NANETTE VONNEGUT: KURT VONNEGUT DRAWINGS - THE MONACELLI PRESS 2014





NANETTE VONNEGUT
KURT VONNEGUT DRAWINGS
The Monacelli Press
(May 13, 2014)

Those who know Kurt Vonnegut as one of America's most beloved and influential writers will be surprised and delighted to discover that he was also a gifted graphic artist. This book brings together the finest examples of his funny, strange, and moving drawings in an inexpensive, beautifully produced gift volume for every Vonnegut fan.
Kurt Vonnegut's daughter Nanette introduces this volume of his never before published drawings with an intimate remembrance of her father. Vonnegut always drew, and many of his novels contain sketches. Breakfast of Champions (1973) included many felt-tip pen drawings, and he had a show in 1983 of his drawings at New York's Margo Feiden Gallery, but really got going in the early 1990s when he became acquainted with the screenprinter Joe Petro III, who became his partner in making his colorful drawings available as silkscreens.
With a touch of cubism, mixed with a Paul Klee gift for caricature, a Calder-like ability to balance color and line, and more than a touch of sixties psychedelic sensibility, Vonnegut's aesthetic is as idiosyncratic and defiant of tradition as his books. While writing came to be more onerous in his later years, making art became his joyful primary activity, and he made drawings up until his death in 2007. This volume, and a planned touring exhibition of the drawings, will introduce Vonnegut's legion of fans to an entirely new side of his irrepressible creative personality.

PAUL CHAN: SELECTED WRITINGS 2000-2014 - SCHAULAGER 2014





PAUL CHAN
SELECTED WRITINGS 2000-2014
Schaulager
(April 30, 2014)

The work of Paul Chan (born 1973) has charted a course in contemporary art as unpredictable and wide-ranging as the thinking that grounds his practice. Paul Chan: Selected Writings 2000-2014 collects the critical essays and artist's texts that first appeared in Artforum, October, Texte zur Kunst and Frieze, among other publications, as well as previously unpublished speeches and language-based works. From the comedy of artistic freedom in Duchamp to the contradictions that bind aesthetics and politics, Chan's writings revel in the paradoxes that make the experience of art both vexing and pleasurable. He lays bare the ideas and personalities that motivate his work by reflecting on artists as diverse as Henry Darger, Chris Marker, Sigmar Polke and Paul Sharits, and grapples with writers and thinkers who have played decisive roles in his practice, including Theodor Adorno, Samuel Beckett and the Marquis de Sade.

PHILIP CORNER: MORE THAN MUSIC - MUSEO DI VILLA CROCE, GENOVA





PHILIP CORNER
MORE THAN MUSIC
a cura di Grazia Previati
Museo d'Arte Contemporanea di Villa Croce
via Jacopo Ruffini 3 - Genova
dal 29/5/2014 al 29/6/2014

Torna dopo 12 anni a Villa Croce PHILIP CORNER (NY, 1933) compositore, pianista, teorico musicale, performer calligrafo e soprattutto artista che con i suoi interventi performativi e visivi è stato uno dei promotori della movimento Fluxus sulla scena dell’arte internazionale.

Il lavoro con il quale Corner partecipò al festival di Wiesbaden nel 1962, dove viene sancita la nascita di Fluxus, era “Piano Activities”, perfomance che consiste nella distruzione di un vecchio pianoforte che ha esaurito le sue possibilità come strumento sonoro: l’azione si svolse con la collaborazione di altri artisti e del pubblico, con l’uso di utensili come martelli, seghe, cacciaviti, e i suoni che derivavano da queste azioni diventano parte dell’opera come nuova manifestazione sonora.
In seguito l’artista interviene sui pezzi del piano distrutto, assemblandoli in modo da creare una scultura visiva e sonora. Nella mostra “The Fluxus Constellation”, (2002) curata da Sandra Solimano al Museo di Villa Croce, per celebrare il quarantesimo anniversario della nascita di Fluxus, Philip Corner presentò una riedizione della performance “Piano Activities”. Il vecchio pianoforte verticale su cui si svolse la performance e il video che documenta l’azione vennero acquisiti dall’Associazione Amici del Museo di Villa Croce e sono tutt’ora visibili come parte della collezione permanente.

L’attuale mostra prende spunto proprio da “Piano Activities”, e da altri due lavori dell’artista in collezione al Museo, per costruire con altre opere, datate dalla fine degli anni cinquanta a oggi un’indagine intima nel lavoro di questo grande artista.
Come compositore e pianista di formazione tradizionale, il percorso di Philip Corner è stato fortemente influenzato da due grandi musicisti, John Cage e Olivier Messiaen, che gli hanno aperto le porte al mondo del suono totale e alla tecnica della giustapposizione di elementi estremi. Verso la fine degli anni cinquanta le sue partiture erano si trasformano in disegni grafici, ma l’occasione di un viaggio in Corea come soldato di leva, gli offre l’opportunità di liberarsi definitivamente della scrittura musicale occidentale, attraverso l’ispirazione della calligrafia orientale.
I segni musicali diventano nel suo lavoro forme pure, dando vita a opere d’arte visiva autonoma. La musica è sempre sottintesa nella suggestione delle relazioni tra tempo e spazio anche quando i disegni non sono partiture per performance, creando una coerenza poetica tra i lavori visivi e quelli performativi. Molte opere presenti in mostra sono state realizzate, grazie al supporto di alcuni editori e collezionisti visionari come Francesco Conz, Rosanna Chiessi, Caterina Gualco e Carlo Cattelani. Poiché gli eventi performativi sono strettamente connessi alle opere visive, la collaborazione con la moglie, la danzatrice Phoebe Neville, è stata ed è ancora oggi fondamentale.

Philip Corner è nato il 10 aprile del 1933 a New York, nel Bronx.
Compie studi accademici alla Columbia University con Otto Leuning e Henry Cowell. A Parigi è nella classe di Olivier Messiaen. È compositore ed esecutore come pianista, trombonista, corpi vari e voce. È esponente storico di Fluxus (1962-1964), del Judson Dance Theatre (1962-1965), Tone Roads (anni sessanta), Gamelan Ensemble Son of Lion (1975-1992), Experimental Intermedia Foundation (1970-1980), Sounds Out of Silent Spaces (anni settanta).
Vive e lavora a Reggio Emilia con la moglie, la ballerina coreografa Phoebe Neville.
La mostra More Than Music è stata resa possibile grazie al supporto della galleria Unimedia Modern.
Villa Croce vuole ringraziare per l’aiuto e il supporto Caterina Gualco e tutti i collezionisti che con i loro prestiti hanno reso la mostra possibile.
  

MICHEL PARMENTIER: AVANT LES BANDES, 1962 - 1965 - GALERIE JEAN FOURNIER, PARIS





MICHEL PARMENTIER
AVANT LES BANDES, 1962 - 1965
Galerie Jean Fournier
22, rue du Bac - Paris
22 mai - 21 juin 2014

La galerie Jean Fournier est heureuse de présenter une exposition consacrée à Michel Parmentier et particulièrement la période dite « avant les bandes », des œuvres sur papier et des peintures des années 1962 à 1965.

Michel Parmentier commence sa vie de peintre à l’atelier d’André Chastel aux Beaux-arts. A cette époque, il fréquente régulièrement Simon Hantaï et leur amitié sera indéfectible jusqu’à leur mort. En 1966, Daniel Buren, Olivier Mosset, Michel Parmentier et Niele Toroni créent le groupe BMPT et présentent leur travail à l’occasion de quatre « Manifestations ». En décembre 1967, Michel Parmentier, en désaccord avec les artistes, quitte le groupe.
Dans les œuvres des années 1960, Michel Parmentier puise son inspiration dans son actualité, son quotidien. Jusqu’en 1965, l’artiste insère et colle sporadiquement des papiers d’emballages, de journaux sur ses toiles. Ces matériaux intéressent Parmentier pour leurs motifs et leurs couleurs. Parfois, il choisit d’arracher des morceaux de ses toiles, pour ensuite les recouvrir à nouveau, différemment.
Le noir et le blanc sont prédominants dans ces œuvres. Des formes géométriques peintes en noir ou gris sont recouvertes d’une couche de peinture blanche. Par recouvrement, Michel Parmentier se joue des transparences et des modulations colorées des diverses strates de papiers collés.
Cette action de dissimuler est très présente dans le travail de l’artiste. Le travail de Michel Parmentier correspond à une angoisse existentielle profonde qui le pousse à travailler en demi-teinte. Dans sa gestuelle, chaque intervention sur la toile est biffée par une autre. On peut voir des coulures, des traces de crayon, des couleurs qui en recouvrent d’autres. La peinture est fluide par endroit, plus compacte à d’autres. Cette juxtaposition de papiers et de couleurs laisse voir ce qui s’apparente à un repentir, traces des hésitations qui constituent justement ces œuvres. Cette démarche intentionnelle rend visibles les gestes de l’artiste.
Parmentier fait subir à son travail un processus délibéré et systématique de dégradation : une dégradation symbolique, par l’emploi des matériaux étrangers au monde des Beaux-arts (papier journaux, emballages, papiers d’argent) mais également une dégradation matérielle sur la toile (arrachage, recouvrement, collage). « A cette époque, Parmentier peint une peinture informelle, de grandes pages blanches. Il pose beaucoup de peinture sur sa toile puis revient dessus avec de grandes coulées blanches. Comme pour tout cacher ». (1)
Par la suite, sa recherche va s’orienter vers de grands méplats où la transparence affleure toujours. Ces œuvres annoncent l’évolution qui mènera au travail des bandes, vers une recherche de l’appauvrissement et de la dématérialisation de l’œuvre. Michel Parmentier passe de la toile au papier, pour finir, à la fin des années 1980 dans la translucidité du papier calque.

A l’occasion de l’exposition, édition d’un fascicule avec un texte de Karim Ghaddab.

ARNOLD HENRY SAVAGE LANDOR - PALAZZO PITTI, FIRENZE





ARNOLD HENRY SAVAGE LANDOR
Dipinti della Collezione Fusi
a cura di Simonella Condemi e Francesco Morena
Galleria d'arte moderna di Palazzo Pitti
piazza dei Pitti 1 - Firenze
dal 28/5/2014 al 29/6/2014

Nell’ambito del suo centenario (1914-2014) la Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti dedica interesse ad un variegato panorama di eventi che prende avvio con la presentazione di opere d’arte del pittore esploratore Arnold Henry Savage Landor della collezione Fusi.
Si tratta di un nucleo consistente capace di documentare l’intera esperienza dell’artista nel suo fecondo girovagare per il mondo narrando per immagini usi e costumi di quei popoli lontani. I dipinti si potrebbero definire una sorta di “compagni di viaggio” in quanto furono per lui fonte primaria di sostentamento divenendo merce di scambio per il cibo locale.
Arnold Henry Savage Landor, uomo dai mille interessi e dai numerosi talenti, fu pittore raffinato, prolifico scrittore, antropologo, fotografo, inventore e molto altro ancora. Ma, soprattutto, com'ebbe egli stesso a dire e scrivere in più occasioni, fu esploratore, e a questa passione dedicò gran parte delle sue energie nel corso di una vita che fu insieme avventurosa e ricca di successi.
Nipote di Walter Savage Landor (1775-1864), famoso poeta inglese che nel 1821 si era trasferito in Toscana, Arnold Henry nacque nel 1865 a Firenze, neocapitale del Regno d’Italia, dove si formò nell'arte della pittura. Dopo avere frequentato con profitto lo studio di Stefano Ussi (1822-1901), che in quel periodo era appena rientrato dai suoi viaggi in Nord Africa, ancora adolescente Savage Landor iniziò a viaggiare, e non si sarebbe più fermato se non per far ritorno nella sua amata Firenze. Qui visse gli ultimi anni di vita, coltivando multiformi interessi e ricucendo le trame dei suoi ricordi per comporre la sua autobiografia, pubblicata proprio nell'anno della morte.
Non c'è continente o territorio che questo artista non abbia visitato, dall'Europa all'Africa, dall'Asia alle Americhe e perfino l'Australia, a piedi in nave o a cavallo, sotto il sole del deserto o tra le nevi dell'Himalaya. Quest'illustre fiorentino aveva un'inesauribile curiosità e uno straordinario spirito di adattamento, doti che gli permisero di diventare giapponese nel Paese del Sol Levante e maghrebino in Egitto. Colto, acuto e reattivo dal punto di vista fisico, Arnold Henry fu in più cronista d'eccezione, autore di numerosi resoconti dei suoi viaggi. Il suo stile letterario fu scarno come si addiceva ad uno scienziato ma coinvolgente, come voleva il grande pubblico.
Non così la sua pittura. Matita, pennello e colori, tavolette e carta, furono compagni fidati dai quali non si separò mai nel corso delle sue avventure. Abile nel ritratto come nel paesaggio, Savage Landor aveva quella rara dote di riuscire nei suoi dipinti a fermare l'attimo. Come si trattasse di istantanee di vita, le sue tavolette brulicano di dettagli, scintillano di colori, diffondono emozioni, raccontano storie di un altrove che a fine Ottocento era per moltissimi ancora misterioso e perciò oltremodo affascinante.

ARCHIVIO LEO FERRERO - POLISTAMPA 2013





ARCHIVIO LEO FERRERO
Inventario
a cura di Caterina Guagni
Polistampa 17/7/2013
collana "Inventari della Fondazione Primo Conti"

Il Fondo Leo Ferrero è composto da due nuclei documentali separati e distinti, perché giunti all'Archivio della Fondazione in momenti diversi: parte del materiale fu donato nel 1983 da Nina Raditza, sorella di Leo, il resto da Bosilika Raditza, figlia di Nina, tra il 2005 e il 2007. La prima sezione contiene innanzitutto la Corrispondenza, indirizzata a Ferrero e di suo pugno, che annovera numerosi e importanti mittenti quali Aleramo, Alvaro, D'Amico, Bonsanti, Cecchi, Conti, Gide, Grasset, Prezzolini, Saba, Stuparich, Venturi, Vittorini, Zavattini e, tra i destinatari, Tilgher, Valery e il drammaturgo Jean Jacques Bernard di cui è conservato il carteggio con le lettere di entrambi gli scriventi. Ci sono quindi i Manoscritti con varie stesure delle opere teatrali, saggistiche, poetiche, numerose pagine di appunti, riflessioni, abbozzi di opere tutt'oggi inedite, taccuini e traduzioni dei testi teatrali. I Ritagli Stampa sono divisi in articoli di e su Ferrero, mentre tra le Varie troviamo materiale afferente alla "Società degli amici di Leo Ferrero". La Biblioteca raccoglie alcuni titoli dello scrittore e l'opera di Gina Lombroso L'éclosion d'un vie, dedicata al figlio.

ARCHIVIO ENRICO PEA - POLISTAMPA 2012





ARCHIVIO ENRICO PEA
Inventario
a cura di Maria Chiara Berni
Polistampa, 14/2/2012
collana "Inventari della Fondazione Primo Conti"

L'Inventario del Fondo Pea è il risultato di un progetto volto non solo a evidenziare il capillare lavoro condotto dagli archivisti nel corso di un trentennio, ma anche a esaltare i contatti fra l'archivio, il suo creatore e l'istituto conservatore. L'Inventario dell'Archivio Pea viene a costituire uno strumento di indagine e orientamento, "un valido punto di partenza - come sottolinea Gloria Manghetti nell'introduzione - da cui prendere le mosse per tornare a buon diritto a parlare di uno scrittore d'eccezione, esempio tra i più alti dei nostri classici contemporanei". I testi introduttivi descrivono la struttura del consistente archivio, organizzato nelle serie Corrispondenza, Minute, Manoscritti, Rassegna stampa e Varie. Sono poi elencati i criteri descrittivi seguiti e riprodotti una decina tra disegni, fotografie e documenti manoscritti. Il lungo inventario è seguito dal testo di Enrico Lorenzetti "Le carte di Pea", completato da un'appendice con l'inventario della Donazione Lorenzetti e arricchito da indici dei nomi e dei titoli.

JOHN HORNE: LA GRANDE GUERRA, QUALI RIFLESSIONI PER UN CENTENARIO? - PALAZZO DUCALE, GENOVA 28/5/2014





JOHN HORNE
LA GRANDE GUERRA: QUALI RIFLESSIONI PER UN CENTENARIO?
Palazzo Ducale - Sala del Minor Consiglio
piazza Matteotti 9 - Genova
mercoledì 28 maggio 2014, ore 17,45

Il grande storico John Horne i cui studi hanno profondamente rivoluzionato le conoscenze e l'interpretazione della Grande Guerra riflette sui cent'anni trascorsi dall'inizio del conflitto e sul mutare della memoria collettiva. John Horne e' docente di Modern European History al Trinity College di Dublino, dove e' anche direttore del Centre for War Studies, e fa parte del direttivo dell'Historial de la Grande Guerre di Peronne. Le sue opere hanno profondamente rivoluzionato le conoscenze e l'interpretazione della Grande Guerra.

lunedì 26 maggio 2014

TERESA MARGOLLES: LA BÚSQUEDA - MIGROS MUSEUM FÜR GEGENWARTSKUNST, ZÜRICH





TERESA MARGOLLES
LA BÚSQUEDA
curated by Raphael Gygax
Migros Museum für Gegenwartskunst
Limmatstrasse 270 - Zürich
24 May–17 August 2014

The works by Mexican artist Teresa Margolles (b. 1963, Culiacán) revolve around themes such as death, violence and social exclusion. Since the start of the 1990s, she has also worked in the forensic medicine department of an autopsy facility in Mexico City, where numerous, mostly anonymous, victims of violent crime are brought in on a daily basis. Her works, which adhere to a minimalist approach, are produced against this societal backdrop. Since 2005, this artist has mainly examined the extreme violence in the northern Mexican border city of Ciudad Juárez and the drug war that is raging there. Also, for her first institutional solo exhibition in Switzerland, Margolles is addressing Ciudad Juárez as a place of crime. At the center is a series of female homicides that has been ongoing since the start of the 1990s. Here, Margolles is primarily interested in the traces that the brutal crimes leave behind on architectures, and how these shape people’s everyday lives. By transposing such traces into an exhibition space, the artist generates a charged interplay between mundane presentation and grim realism.

Teresa Margolles’s works have been exhibited internationally, for instance at Kunsthalle Fridericianum, Kassel (solo exhibition, 2010/11), Venice Biennale (2009), Manifesta (2008), Museum für Moderne Kunst, Frankfurt (solo exhibition, 2004), Kunsthalle Wien (solo exhibition, 2003) and Lyon Biennale (2000). In 2010, the Migros Museum für Gegenwartskunst presented her work 37 cuerpos / 37 Bodies (2007) as part of the group exhibition Une Idée, une Forme, un Être – Poésie / Politique du corporel.
  

TATIANA TROUVÉ - MUSEION, BOLZANO





TATIANA TROUVÉ
a cura di Letizia Ragaglia
Museion
via Dante 6 - Bolzano
dal 23/5/2014 al 7/9/2014

Museion presenta la prima personale di Tatiana Trouvé in un museo italiano. Trouvé (Cosenza, 1968, vive e lavora a Parigi) ha all’attivo diverse mostre in istituzioni come il Kunsthaus di Graz, il Migros Museum di Zurigo o il Centre Pompidou di Parigi, oltre alle partecipazioni alla Biennale di São Paulo (2010) e alla Biennale di Venezia (2007).

Nelle installazioni di Tatiana Trouvé il visitatore è coinvolto fisicamente in situazioni cariche di fantasmi, che oscillano tra il reale, l’immaginario e l’illusorio. Nell’universo creato dall’artista lo spazio della materia e la forma fisica convergono con la dimensione temporale e con la memoria. Razionale e irrazionale sono connessi: come emerge dai complessi disegni scenografici - che testimoniano il suo particolare legame con l’architettura - il contesto concreto allude a dimensioni invisibili.

La mostra a Museion è costruita attorno alla grande installazione 350 Points towards Infinity (2009). 350 sottili pendoli calano dal soffitto e tracciano lo spazio fino al suolo, seguendo traiettorie diverse. La suggestione di un’esile pioggia metallica invade lo spazio, mentre al visitatore rimangono celate le forze invisibili che attirano i fili nelle diverse direzioni. L’opera modifica così l’assetto fisico del quarto piano, ne trasforma l’abituale percezione e apre all’immaginario e al fantastico.
In questa mostra concepita appositamente per Museion Bolzano, l’artista espone 12 opere – fra cui Refoldings, opere-frammento che rinviano agli imballaggi di opere d’arte, il gruppo di sculture I tempi doppi (2012) a cui è intitolata la mostra e I cento titoli, un’opera che cambia titolo ogni anno per cent’anni.

Data la spiccata predisposizione di Tatiana Trouvé a confrontarsi con situazioni spaziali specifiche, il riallestimento di opere preesistenti da collezioni pubbliche e private darà luogo anche alla creazione di nuovi lavori, nati dal dialogo con lo spazio espositivo.
La mostra è in collaborazione con il Kunstmuseum Bonn (30/01– 04/05/2014) e la Kunsthalle Nürnberg (13/11/2014 –8/02/2015).

Immagine: 350 Points Towards Infinity, 2009. Installation view: A Stay Between Enclosure and Space, Migros Museum fur Gegenwartskunst, Zurich, 2009. Photo: Stefan Altenburger, Courtesy: Johann König Gallery, Perrotin Gallery and Gagosian Gallery.

ARTURO MAZZARELLA: IL MALE NECESSARIO - BOLLATI BORINGHIERI 2014





ARTURO MAZZARELLA
IL MALE NECESSARIO
Etica ed estetica sulla scena contemporanea
Bollati Boringhieri, 22/5/2014 collana"Temi"

C'era una volta il male. Quello antico che straziava Giobbe e quello moderno, più multiforme perché scaturito dalla perfidia del cuore, o indotto dalla voluttà di dannazione, oppure amalgamato con il bene nella chimica dei sentimenti. Sotto qualsiasi aspetto si manifestasse, conservava un che di scandaloso, demoniaco, seduttivo. Baudelaire gli riconosceva addirittura "la grazia dell'orrore". Oggi è ancora così? L'acuta perizia critica condotta da Arturo Mazzarella produce un'altra risultanza: il male ha perso il proprio stigma maledetto - la trasgressività morale, contro cui era ancora possibile il titanismo della ribellione - per risolversi in una tonalità estetica, ossia percettiva, sensibile, che depotenzia e atrofizza, avvolgendo vittime e carnefici in un'unica spirale di irresponsabilità. È la molecolare insensatezza che intride magistralmente i romanzi di Michel Houellebecq, Bret Easton Ellis, Roberto Bolano ed Emmanuel Carrère, i film di Lars von Trier, Gus Van Sant e Michael Haneke, i fotodipinti di Gerhard Richter e le installazioni di Maurizio Cattelan. Fibre di parole e di immagini che rappresentano la nuova fenomenologia del male.

GIORGIO AGAMBEN: IL FUOCO E IL RACCONTO - NOTTETEMPO 2014





GIORGIO AGAMBEN
IL FUOCO E IL RACCONTO
Nottetempo, 15/5/2014
collana "Figure"

Che cos'è in gioco nella letteratura, qual è il "fuoco" che il "racconto" ha perduto e cerca a ogni costo di ritrovare? E che cos'è la pietra filosofale che gli scrittori, con altrettanto accanimento che gli alchimisti, si sforzano di produrre nella loro fornace di parole? E che cosa, in ogni atto di creazione, ostinatamente resiste alla creazione e conferisce in questo modo all'opera la sua forza e la sua grazia? E perché la parabola è il modello segreto di ogni narrazione? Come in "Profanazioni" e "Nudità", Giorgio Agamben ha raccolto qui in dieci saggi i motivi più urgenti e attuali della sua ricerca. Come sempre nei suoi scritti, l'ostinata interrogazione del "mistero" della letteratura, perseguita anche nei suoi aspetti più materiali (la trasformazione della lettura nel passaggio dal libro allo schermo), s'intreccia con una meditazione sull'altro, più oscuro, "mistero" della modernità, etico e politico, questa volta.

IN RICORDO DI FRANCO SBORGI - CIMITERO DI STAGLIENO, GENOVA





IN RICORDO DI FRANCO SBORGI
INCONTRO
Tempio Laico
Cimitero di Staglieno - Genova
martedì 27 maggio 2014, ore 11,00

Critico d’arte e titolare dal 1979 della cattedra di Storia dell’arte contemporanea presso la facoltà di Lettere dell’Università di Genova, scomparso nel 2013.
Intervengono:
- Elena Fiorini Assessore Servizi Cimiteriali
- Cinzia Vigneri Direttore Servizi Cimiteriali
- Rita Pizzone Soprintendenza BAP Liguria
- Caterina Olcese Soprintendenza BSAE Liguria
- Leo Lecci Università Genova
- Paola Valenti Università di Genova

Proiezione dell’intervista della giornalista Valeria Paniccia a Franco Sborgi.

Saranno presenti i congiunti.
  

domenica 25 maggio 2014

HAIM STEINBACH: ONCE AGAIN THE WORLD IS FLAT - KUNSTHALLE ZÜRICH




HAIM STEINBACH
ONCE AGAIN THE WORLD IS FLAT
Kunsthalle Zürich
Limmatstrasse 270 - Zürich
23/5/2014 - 17/8/2014

This expansive exhibition at Kunsthalle Zürich presents the work of Haim Steinbach (born in Israel in 1944, lives and works in New York) from the early 1970s to the present day. The show focuses on Haim Steinbach’s contextual work with objects. Beginning with the square frame of the paintings of the early 1970s, the work moves on to encompass architectural settings. Having incorporated objects from local collections in his exhibitions at the Center for Curatorial Studies Bard Hessel Museum in Annandale-on-Hudson, New York, in 2013, with which the Kunsthalle Zürich is collaborating for this exhibition, and at the Serpentine Galleries in London in Spring 2014, Haim Steinbach also integrates specific objects and art- works from Zürich art collections into his “Displays.” 

In a conversation between the curators of the exhibition and the artist, Haim Steinbach states: 
"Our perception of reality, objects included, changes with every period, time and context. We speak of a generational shift, or a generation gap. But the perception of objects also has to do with how we project our desires and ideological prejudices and beliefs onto them.“ 

Around 1975 Haim Steinbach came upon the idea of the shelf as a space for the play of objects. This led to the concept of “Display,” namely engaging the object and its context. In 1979, Display #7 was shown at Artists Space in New York. The shelf surrounds us in our everyday lives; at home, in shops, in the workplace. Wherever something material is stored or presented, the shelf structures the space – and becomes invisible itself in the process. Also no cultural and social institution devot- ed to the collection and presentation of objects can work without it. 

"The wall became the primary place for me to present physical, already existing objects. And in that sense it would be a shelf that would be put on the wall and then the objects arranged on it. But if the objects are arranged on the shelf on the wall, then the question is: What is a wall? What is a shelf? What culture does it come from? How do cultures differentiate be- tween walls?” 

Beyond its ordinary function, for Steinbach the shelf is a concept that registers the structure of objects. Like the level or the measuring stick, it is a device. It evolves from the minimal, standard, DIY-store board to the handmade shelf as it relates to different cultural traditions of vernacular and craft, and to historical periods and styles. And yet we always view it from different perspectives: as a sort of stage and prop for personal narratives and as an exhibition frame on the wall. It becomes the element of a bigger arrangement, integrating the walls and floors of the space, as well as the viewer. 

Haim Steinbach’s art plays a major role in the contemporary artistic discourse on the object. Start- ing with the practices of Minimalism and Pop Art, as well as Performance and Conceptual Art, Steinbach’s ideas evolve towards the formation of a new paradigm for the object and its place. It links important elements of these art forms and sets new focal points between art and the every- day, production and consumption, and the relationships between image, object and space. Engag- ing the architectural and cultural features of the exhibition space, Steinbach develops specific presentation formats. These formats incorporate existing, borrowed, or purchased objects of every- day use. And the inclusion of objects and artworks from private, public, art-historical, and everyday collections in the exhibition is central to Steinbach’s artistic practice. It relates rituals of collecting and collections with questions of collectivizing and collectivity and thus affirms the recent para- digm shift for art and its interdisciplinary frames of reference. While the objects themselves are presented unchanged, it is the arrangement and presentation that confirms their reality and hence points to their special histories and making, from the mass-produced object to the unique flea mar- ket find.“What’s most important is that all of these objects are part of our world; they are part of our language. And they overlap. And you may have a mass-produced object next to something that your child just made out of wood in first grade or second grade. Or you could have a mass-produced object next to a bowl of olives, which repeat, which are the same. Nature re- peats itself. And all these things are beginning to relate.” 
Our perception of the world has fundamentally changed. In a kind of reversal of the Copernican Revolution – the breakthrough of a spatial planetary model – the digital circulation of information, images, words and signs puts us into a new state of flatness. 

“In the beginning, painters painted on the walls of their cave, and later on they painted the walls of the cathedral. Even later they painted with oil paint on canvas, the painting was like a wall that could be removed and placed someplace else. So it’s about the projection of imagination into the social, cultural and architectural space.” 

It is no coincidence that painting provides a key reference here: by the early 1970s with Minimalist paintings, Steinbach tested the boundaries and codes of an abstract visual idiom. He envisioned a direct relationship between the calculated placement of coloured bars around monochrome squares and the everyday world of objects – from board games to floor coverings. This is so, just as the object is the actual raison d’être of the shelf, and just as background and foreground always inter- act. If painting can be understood as the extension of a wall, what is its status as an object? And if the shelf has a mediating function in the presentation of things as an arrangement in space, what consequences does it have for our understanding and appreciation of the play of objects? „It’s fascinating how an object is registered in our memory, how it becomes a ‘gestalt’, an image, or now digitalized in our brain. How do we see things, really? Didn’t Beethoven compose the 9th symphony when he was deaf? The screen is in fact an extension of our gut and brain. The object and the screen, the body and the pill, ‘strawberry fields.’“ 

A catalogue to accompany the exhibition will be published in collaboration with the Center for Curatorial Studies Bard Hessel Museum in Annandale-on-Hudson, New York, and the Serpentine Galleries, London. The catalogue includes contributions by Johanna Burton and Germano Celant, and a conversation between the artist, Tom Eccles, Hans Ulrich Obrist and Beatrix Ruf.