mercoledì 30 aprile 2014

MARINA ABRAMOVIC: COUNTING THE RICE - CENTRE D'ART CONTEMPORAIN, GENEVE




MARINA ABRAMOVIC
COUNTING THE RICE
Centre d'Art Contemporain
Rue des Vieux-Grenadiers 10 - Genève
1/5/2014 - 11/5/2014

En 1987, le Centre d’Art Contemporain de Genève accueillait die Mond, der Sonne, dernière collaboration entre Marina Abramovic et l’artiste allemand Ulay avant leur séparation sur la Grande Muraille de Chine (The Lovers: The Great Wall Walk).
À l’occasion des 40 ans du Centre, Marina Abramovic fait son retour à Genève et propose, du 1er au 11 mai 2014, un exercice destiné au public et sur un étage entier de l’institution.
Cette démarche propose au public de développer ses propres aptitudes à la performance de longue durée à travers une série d’exercices de mise en condition.

Figure majeure de l’art performatif, Marina Abramovic a utilisé son propre corps comme sujet, objet et médium de son travail tout au long de sa carrière, explorant la notion de limite physique et psychique.
Elle a ainsi, lors de ses performances, résisté à la douleur, à la fatigue et au danger dans la quête de transformation émotionnelle. La ritualisation des gestes simples de la vie quotidienne est également au cœur du propos de l’artiste serbe: être debout, couché, assis, rêver ou penser. Ces actes – lorsqu'ils sont incorporés dans une performance de longue durée – révèlent une dimension unique, tant pour l’artiste que le public.

Marina Abramovic développe actuellement le Marina Abramovic Institute (MAI) à Hudson, New York, un centre de performances et d'enseignement interdisciplinaire dédié à la présentation et à la conservation de performances de longue durée ainsi qu’à la collaboration entre l'art, la science, la technologie et la spiritualité. Avec MAI, l’artiste propose un environnement où chacun pourra acquérir les compétences pour réaliser et observer des performances de longue durée.
Pour l’exercice au Centre d’Art Contemporain Genève, Marina Abramovic proposera au public de réaliser un de ses exercices dans une structure in-situ créée par Daniel Libeskind et réalisée par Moroso. L’architecte fait également son retour à Genève, puisqu’il avait également exposé au Centre en 1987.
Counting the Rice (compter le riz), de la série de workshops intitulée Cleaning the house, aspire à aider au développement de l’endurance, de la concentration, de la perception, du contrôle de soi et de la volonté. Il poussera chacun à repousser ses limites physiques et mentales.

Née à Belgrade (Serbie) en 1946, Marina Abramovic vit et travaille à New York. Elle débuta sa carrière au début des années 1970, et fut contemporaine d’une génération de pionniers de la performance tels que Bruce Nauman, Vito Acconci ou Chris Burden.
Son travail performatif, photographique, vidéo et sculptural a été montré lors d’expositions personnelles dans des institutions majeures d’Europe et des États Unis. Son œuvre a également été présentée dans plusieurs expositions internationales telles que la Biennale de Venise (1976 et 1997, année où elle reçut le Lion d’or de la meilleure artiste) ainsi qu’à Documenta VI, VII et IX à Kassel (1977, 1982, 1992). Elle a également enseigné dans de nombreuses écoles à travers le monde.

TO CONTINUE - NOMAS FOUNDATION, ROMA





TO CONTINUE
Notes towards a Sculpture Cycle
Parte seconda: Sguardi
a cura di Cecilia Canziani e Ilaria Gianni
Nomas Foundation
viale Somalia 33 - Roma
dal 17/4/2014 al 27/5/2014

Michael Dean, Anna Franceschini, Ryan Gander, Hannah James, Heike Kabisch, Luigi Ontani, Erin Shirreff, Wolfang Tillmans

To continue. Notes towards a Sculpture Cycle prosegue il percorso di ricerca sui linguaggi nelle arti visive che Nomas Foundation ha intrapreso negli ultimi anni con A Theatre Cycle, 2013; A Painting Cycle, 2012; A Film Cycle, 2011; A Performance Cycle, 2010.
To continue. Notes towards a Sculpture Cycle è un’indagine sulla scultura che parte da un nucleo di opere della collezione di Nomas Foundation e affronta il racconto del medium in tre capitoli, ciascuno dedicato a uno specifico aspetto.

La lista di verbi che elenca possibili azioni su materiali non specificati, compilata da Richard Serra nel 1967, termina con la nota ‘da continuare’. Se il secolo appena trascorso ha ampliato le possibilità operative sul e del medium, è anche vero che la scultura ha mantenuto nella sua lunga storia una continuità con i suoi inizi, ritornando sulle sue ragioni e modalità di esecuzione in maniera ciclica.
Sguardi, secondo appuntamento di To continue. Notes towards a Sculpture Cycle, offre una riflessione sulla scultura attraverso la relazione tra occhio e oggetto capace di restituire la forza narrativa e l’inclinazione alla suggestione della scultura attraverso il tempo. La mostra intende investigare le modalità attraverso le quali lo sguardo sul soggetto scultoreo possa trasformarsi successivamente in oggetto tridimensionale e al contempo mette in discussione le condizioni di visione dell’opera. Lo studio e la rappresentazione della scultura, il modo in cui essa viene filtrata attraverso l’obiettivo, la diversa percezione del soggetto e del dettaglio nell’esperienza diretta e nella costruzione di un immaginario, diventano argomento di indagine di Sguardi. To continue. Notes towards a Sculpture Cycle. Le opere in mostra evidenziano come la fotografia e il video siano stati capaci di trasformarsi in scultura e come quest’ultima si possa fare immagine, sottolineando come l’opera d’arte viene costruita e restituita e come la direzione dello sguardo sia sempre in continua evoluzione.
To continue. Notes towards a Sculpture Cycle mette a confronto il presente con il passato, e Nomas Foundation con il tessuto narrativo della città. Il programma di approfondimento di Sguardi include un itinerario affidato ad Anna Franceschini, una visita allo studio di Luigi Ontani, una conferenza con i curatori Simone Menegoi e Francesco Stocchi e una conversazione tra Davide Servadei, Luisa Gardini e Luigi Ontani, organizzate in collaborazione con la Galleria Nazionale d’Arte Moderna.

POESIE CHE SANNO DI NAFTA - SENTIERI MERIDIANI 2014





POESIE CHE SANNO DI NAFTA
Antologia della poesia futurista uruguaiana (1925-1932)
Traduzione e cura di Riccardo Boglione e Georgina Torello
Sentieri meridiani, 04/2014
collana "Uni-versi"

Già da parecchio tempo, soprattutto in ambito accademico, si sta cercando di chiarire come la ripresa negli anni 20 e 30, da parte della quasi totalità dei paesi latinoamericani, dei meccanismi avanguardisti che avevano sconvolto l’Europa durante gli anni 10, non sia stata meramente epigonale, ma abbia avuto caratteristiche proprie.
Nel caso dell’Uruguay, che in quel momento stava vivendo un’epoca di notevole prosperità economica e di riforme progressiste – in seno alla politica di José Batlle y Ordoñez – non si creò un movimento di rottura vero e proprio (come ad esempio nel quasi contemporaneo Estridentismo messicano), ma si produsse comunque un forte rinnovamento poetico, in un clima ancora influenzato dal modernismo di Ruben Darío.
L’“inarticolata avanguardia uruguaiana” – come è stata definita dal critico Pablo Rocca –, portata avanti da una manciata di poeti che non formarono mai un gruppo (per quanto la rivista La Cruz de Sur li riunì quasi tutti nelle sue pagine), combinò alcuni degli strumenti formali rintracciabili nel futurismo italiano e nell’ultraismo spagnolo, con una fortissima attenzione a tutto ciò che rappresentava la novità del “moderno” (grattacieli, auto, aerei, traffico, musica jazz, ecc.).
L’avventura si consumò nel giro di pochi anni, fra il 1925 e il 1932, e fu solo preceduta, timidamente, dall’opera di Fernán Silva Valdés e Pedro Leandro Ipuche, creatori del “nativismo”, cioè composizioni legate tematicamente alla campagna (gauchismo) però trattate con una versificazione lontana dal classicismo, seppur non ancora definibile d’avanguardia.
L’impulso iniziale del cambiamento fu dato nella prima metà degli anni 20 da un peruviano residente a Montevideo, Juan Parra del Riego, che pubblicò alcune poesie chiamate polirritmos che rendevano omaggio ad “articoli” inconsueti per la lirica autoctona, come le moto, il calcio, ecc., agitando non poco i giovani scrittori del luogo: il suo libro Inni del cielo e dei treni [Himnos del cielo y de los ferrocarriles, Montevideo, tip. Morales, 1925] è solitamente considerato la miccia che farà esplodere, nel 1927, la bomba futurista uruguaiana.
È infatti in quell’anno che escono i tre libri simbolo di questa avanguardia, titillata anche, l’anno precedente, da una visita montevideana di Filippo Tommaso Marinetti. Nel giro di pochi mesi vedono la luce le raccolte poetiche d’esordio di tre poeti – Alfredo Mario Ferreiro, Juvenal Ortíz Saralegui ed Enrique Ricardo Garet – delle quali presentiamo alcune poesie, fra le più interessanti del fenomeno.
Si è voluto qui includere anche Idelfonso Pereda Valdés, autore nel 1928 di una fondamentale Antología de la moderna poesía uruguaya che raccoglie, soprattutto nella sezione “novísimos”, tutti i versificatori che, pur con differente impeto, sposarono la causa avanguardista e di cui bisogna nominare, almeno, Nicolás Fusco Sansone, Alvaro e Gervasio Guillot Muñoz (autori, tra l’altro, di un suggestivo studio su Lautreamont) e Alexis Delgado (cronologicamente il primo ultraista uruguaiano).
I lettori troveranno, poi, una poesia di Edgarda Cadenazzi la quale, pur non avendo pubblicato nessun volume né aver avuto una carriera letteraria prolungata, andava antologizzata sia per la qualità dei suoi versi, sia come testimonianza di un’apertura femminile alle inquietudini culturali del momento. Chiude la silloge un componimento tardo, datato 1932, tratto da un libro parodico, Aliverti liquida, scritto da un gruppo di teatranti che sancì di fatto la fine dell’esperienza futurista in Uruguay e che fornisce un bell’esempio di composizione verbovisuale. Naturalmente lo scopo di queste traduzioni è di minima introduzione a un fenomeno vasto e complesso, per quanto circoscritto a pochi autori. Ciononostante crediamo possa far intendere come la “coniugazione” uruguaiana del verbo delle avanguardie storiche sia ben lontana dall’essere mera imitazione e offra invece soluzioni e spunti ricchissimi.

ELISA BIAGINI: DA UNA CREPA - EINAUDI 2014





ELISA BIAGINI
DA UNA CREPA
Einaudi, 15/4/2014
"Collezione di Poesia"

Continua a essere il corpo - o la contiguità fra corpo e linguaggio - il centro dell'ossessione poetica di Elisa Biagini, un corpo femminile sezionato e reinventato attraverso figure che attingono a un immaginario quotidiano, domestico (il viso è una tazza, la schiena «un astuccio di semi», i lobi fazzoletti annodati), e lo trasformano in involucro di un'identità misteriosa. Ne risulta una poesia franta, spezzata, da ricomporre. Ma per Biagini il corpo è soprattutto mezzo e sede della relazione con l'altro: se in una delle sue precedenti raccolte, L'ospite, il «tu» si incarnava nella presenza concreta di una figura familiare, qui l'interlocutore è «d'inchiostro», ma non per questo meno concreto: con la sua «parola verticale» l'autrice cuce i propri versi a quelli di alcuni dei poeti amati (Celan, Dickinson) in un insolito, struggente dialogo.

Elisa Biagini è nata nel 1970 a Firenze, dove attualmente risiede dopo un lungo periodo di studio e di insegnamento negli Stati Uniti. Ha esordito giovanissima con la raccolta Questi nodi (Gazebo, 1993), cui ha fatto seguito Uova (Zona, 1999), libro bilingue con testi in italiano e in inglese. Nella Bianca einaudiana ha pubblicato L'ospite (2004), Nel bosco (2007) e, solo poche settimane fa, Da una crepa. Ha inoltre curato l'antologia Nuovi poeti americani (2006). Nel 2012 è stata invitata a rappresentare l'Italia al Poetry Parnassus di Londra. Una selezione delle sue poesie tradotte in inglese è uscita con il titolo The Guest in the Wood da Chelsea Editions nel 2012, ed è proprio grazie a questa raccolta che si è aggiudicata la settima edizione del Best Translated Book Award dell'Università di Rochester, insieme ai tre traduttori - Diana Thow, Sarah Stickney ed Eugene Ostashevsky - che si sono occupati del volume.
  

"PIANISSIMO" DI CAMILLO SBARBARO - ARCHIVIO DI STATO, GENOVA





"PIANISSIMO" DI CAMILLO SBARBARO
Cento anni (1914-2014)
mostra bio-bibliografica
Archivio di Stato
piazza Santa Naria in via Lata 7 - Genova
dal 10/4/2014 al 14/5/2014

La Fondazione Giorgio e Lilli Devoto organizza all'Archivio di Stato di Genova una mostra bio-bibliografica dedicata a Sbarbaro, che intende far trasparire, attraverso l'esposizione di rari volumi anche in prima edizione, l'ambiente culturale in cui prese vita la raccolta. È corredata di catalogo (S. Marco dei Giustiniani) con testi di Giorgio Devoto, Giuseppe Marcenaro, Beppe Manzitti e una recensione di Boine (1914). Fino al 14 maggio, lunedì, venerdì e sabato ore 10-13, da martedì a giovedì 10-17. Archivio di Stato Piazza Santa Maria in via Lata 7 sino al 14 maggio, ingresso libero.

Apertura straordinaria 1 maggio, 8,30-13,30.

martedì 29 aprile 2014

LUCIO FONTANA: RETROSPECTIVE - MUSEE D'ART MODERNE DE LA VILLE DE PARIS





LUCIO FONTANA
RETROSPECTIVE
Commissaires: Choghakate Kazarian et Sébastien Gokalp
Musée d'Art Moderne de la Ville de Paris
11 avenue du Président Wilson - Paris
25 avril – 24 août 2014

Le Musée d’Art moderne de la Ville de Paris présente l’une des plus importantes rétrospectives de Lucio Fontana (1899-1968). Considéré comme un des grands visionnaires du vingtième siècle, son œuvre a marqué plusieurs générations d’artistes, d’Yves Klein à aujourd’hui. Pour la première fois en France depuis 1987, plus de 200 sculptures, toiles, céramiques et environnements permettent d’offrir une vision globale de son parcours atypique et de ses changements de styles.
Le parcours chronologique de l'exposition couvre l'ensemble de sa production, de la fin des années 1920 à sa mort en 1968, à travers tous ses grands cycles : sculptures primitives et abstraites, dessins, céramiques polychromes, œuvres spatialistes, toiles perforées, œuvres informelles, environnements, Tagli (Fentes), Nature, Fine di Dio, Venezie, Metalli, Teatrini, etc, oscillant entre geste conceptuel épuré et profusion de matières et de couleurs jouant avec le décoratif.
L’exposition, réalisée avec la collaboration de la Fondazione Lucio Fontana, met en valeur la diversité de sa création, entre abstraction et figuration, quête métaphysique et incarnation, utopie et kitsch, fascination technologique et matières informes. Ses toiles fendues, devenues des icônes de l’art moderne, sont mises en regard d’œuvres moins connues, notamment ses sculptures des années trente et ses céramiques, la plupart présentées pour la première fois en France.

Né en 1899 à Rosario en Argentine de père italien, sculpteur de formation, il passera la majeure partie de sa vie à Milan. Exploitant toutes les possibilités de la sculpture polychrome (terre cuite, céramique, mosaïque) et collaborant avec des architectes, il est un des premiers artistes abstraits italiens dans les années 1930. Il passe la Seconde Guerre Mondiale en Argentine. De retour à Milan en 1947, il devient la figure de proue du mouvement spatialiste qu’il définit dans divers manifestes. Ce mouvement part de l’espace et de la lumière pour concevoir des œuvres en relation avec le monde environnant et la conquête spatiale. Il s’incarne dans ses sculptures en céramique, ses toiles trouées et ses environnements. En 1949, il réalise ses premiers Concetti spaziali (Concepts spatiaux), toiles perforées sur lesquelles il intervient avec divers matériaux et couleurs vives. Après une rétrospective à la Biennale de Venise en 1958, il commence sa série de toiles fendues, les Tagli et devient une figure de référence pour les artistes des années 1960.

Un catalogue de 300 pages largement illustré et édité par Paris Musées sera publié à cette occasion. Avec des textes de Fabrice Hergott, Jean Louis Schefer, Daniel Soutif, Anthony White, Luca Massimo Barbero, Paolo Campiglio, Marina Pugliese, Sébastien Gokalp, Choghakate Kazarian, et une anthologie de textes de Michel Tapié, Lawrence Alloway etc.

Image: Concetto spaziale, Attese,(Concept spatial, Attentes), 1966 © Fondazione Lucio Fontana, Milano / by SIAE / Adagp, Paris 2014.

TINA MODOTTI: FOTOGRAFIA, PASSIONE E RIVOLUZIONE - PALAZZO MADAMA, TORINO





TINA MODOTTI
FOTOGRAFIA, PASSIONE E RIVOLUZIONE
Palazzo Madama
piazza Castello - Torino
dal 30/4/2014 al 5/10/2014

A 90 anni dalla sua prima mostra, dal 1 maggio al 5 ottobre 2014, Palazzo Madama rende omaggio a Tina Modotti (1896-1942) la cui eccezionale vicenda umana, artistica e politica l’ha resa una delle fotografe più celebri al mondo e una delle personalità più eclettiche del secolo scorso. L’esposizione, che gode del pa- trocinio del Comune di Torino, è ospitata nella Corte Medievale di Palazzo Madama e nasce dalla collabora- zione tra la Fondazione Torino Musei, l’associazione culturale Cinemazero e la casa editrice Silvana Editoriale.
Sempre, quando le parole “arte” e “artistico” vengono applicate al mio lavoro fotografico, io mi sento in disaccordo… Mi considero una fotografa, niente di più. Se le mie foto si differenziano da ciò che viene fatto di solito in questo campo, è precisamente perché io cerco di produrre non arte, ma oneste foto- grafie, senza distorsioni o manipolazioni (Tina Modotti, Sulla fotografia)
La mostra copre tutto l’arco della vita di Tina, come fotografa, come musa e come attivista. Ricostruisce sia la sua straordinaria parabola artistica – che la vide prima attrice di teatro e di cinema in California e poi fotografa nel Messico post-rivoluzionario degli anni venti – sia la sua non comune vicenda umana. Un percorso teso a map- pare l’evoluzione della sua vicenda, dagli affetti familiari ai suoi amori; dai primi scatti, influenzati dal compagno Edward Weston, alle ultime, poche, misconosciute foto scattate a Berlino, quando ormai la fotografa ammetteva l’impossibilità di continuare la sua carriera con strumenti tecnici troppo moderni, che non consentivano il suo par- ticolare approccio, metodico e posato.
Un percorso di ricerca estetica e formale, che guida lo spettatore nel- l’evoluzione degli stili e delle tecniche della Modotti, passando dagli still life e dagli scatti figli dell’Estridentismo del primo periodo, per arrivare – senza strappi, ma progressivamente – ai ritratti delle donne di Tehuantepec, pas- sando attraverso le immagini più politiche e “rivoluzionarie”.
Una fotografia sempre calibrata e meditata, con bian- chi e neri pastosi ma estremamente vari nelle tonalità, frutto di lunghe riflessioni ed esperimenti. Nuclei definiti e coerenti che tracciano la linea di ricerca della fotografa, declinata in fasi e temi diversi: Stadio (Messico, 1925) e Serbatoio n. 1 (Messico, 1926) testimoniano l’attento lavoro per catturare i volumi, enfatizzati da tagli prospet- tici arditi e rigorosamente geometrici, a cui fa da contraltare l’ammorbidirsi delle linee delle nature morte come El Manito (Messico, 1924) o la celeberrima Calle (Messico 1924 ca), dove il contrasto tra luce e ombra dona una concretezza quasi carnale agli still life. Nei ritratti della stagione messicana l’indagine si concentra sul soggetto umano, con tagli inusuali, volti a marcare la dimensione emotiva, parallela al suo impegno politico, umano e so- ciale a fianco dei protagonisti, ben rappresentato da fotografie come Julio Antonio Mella sul letto di morte (Mes- sico, 1929) e Bambina che prende il latte (Messico, 1926) o dal famoso scatto della Marcia di campesinos (Messico, 1928). Fondamentale per completare la panoramica su questa figura è poi la serie di suoi ritratti fatti dal compagno Edward Weston, dove la forza dirompente della presenza fisica della Modotti ne dichiara anche la consapevolezza e l’aderenza totale a una precisa idea del “fare fotografia”, come testimoniano Tina che recita (Messico, 1924) e The White Iris (s.l., 1921), portando a una rara disinvoltura da una parte e dall’altra dell’o- biettivo.
Una Modotti che cerca soluzioni alle diverse sfide fotografiche che si pone negli anni e che trovano conferma anche nelle lettere, esposte in mostra, a Weston, maestro e amante con cui condivide un percorso artistico mai esausto. Un cammino che educa l’occhio dello spettatore contemporaneo, riportandolo alla misura calibrata e meditata che caratterizza tutta l’opera della Modotti, cogliendo la forza caratteristica della fotografia: il suo non voler esser a tutti i costi “arte”, ma il suo dover essere qualitativamente valida per poter raccontare il mondo e gli infiniti aspetti della vita.

VICTOR LAZAREV: STORIA DELLA PITTURA BIZANTINA - EINAUDI 2014

VICTOR LAZAREV
STORIA DELLA PITTURA BIZANTINA
Einaudi, 6/5/2014
collana "Grandi Opere"

Con questo volume Viktor Lazarev ci ha consegnato un'opera che ha modificato nel profondo i paradigmi di lettura della storia dell'arte bizantina, e ha influenzato ogni successiva ricerca in materia. Il termine "bizantino", applicato come generica etichetta alle opere più disparate, vedeva spesso sminuito e alterato il suo valore critico e storico: Lazarev ha ricostruito fin nei minimi dettagli la sorprendente vicenda creativa dell'arte di Bisanzio e delle sue province, tracciandone i caratteri precipui e inconfondibili, dall'epoca di Giustinano fino alla dissoluzione dell'impero. Un testo che attraversa quasi mille anni di storia e, analizzando le forme di diffusione della pittura bizantina (mosaici, dipinti, tavole, icone, affreschi e manoscritti), definisce con precisione il ruolo di Costantinopoli nella cultura medievale. 

JAYNIE ANDERSON: THE RESTAURATION OF RENAISSANCE PAINTING IN MID-NINETEENTH CENTURY MILAN - EDIFIR 20O14

JAYNIE ANDERSON
THE RESTAURATION OF RENAISSANCE PAINTING IN MID-NINETEENTH CENTURY MILAN
Giuseppe Molteni in correspondence with Giovanni Morelli
Edifir, 30/4/2014
collana "Storia e teoria del restauro"

Giuseppe Molteni e Giovanni Morelli hanno goduto di un'amicizia straordinaria, sulla base della loro comune passione per la pittura e il restauro. Il loro legame è documentato in queste lettere, pubblicate qui per la prima volta: una corrispondenza tra il restauratore più illustre del XIX secolo e l'uomo che ha inventato la connoisseurship. Lo studio di Molteni, come documentato in queste vivaci lettere, è stato un laboratorio per intenditori e direttori di musei, in cui i dipinti potevano essere studiati, analizzati, discussi, e restaurati, prima di essere spediti in altre parti d'Europa (di solito dopo aver subito un restauro costoso, talvolta necessario e qualche volta no). Molteni spesso sottopose i quadri a "restauri" piuttosto fantasiosi … Morelli capì quello che succedeva nello studio di Molteni, mentre rimane discutibile se i suoi clienti inglesi, come Sir Charles Eastlook, l’avessero capito oppure no. Molti dei capolavori italiani restaurati dal Molteni sono ora nella National Gallery di Londra, dove hanno contribuito a dibattiti controversi sul restauro. 

GIULIANO GALLETTA: MATERIALI PER UN ROMANZO VISIVO - PALAZZO DUCALE, GENOVA 30/4/2014





GIULIANO GALLETTA
MATERIALI PER UN ROMANZO VISIVO
presentazine del volume (edizioni MUCAS)
Palazzo Ducale - Sala del camino
mercoledì 30 aprile 2014, ore 17,45

Con l'autore intervengono Brunetto De Battè, Simone Regazzoni, Enrico Testa

Fin dai suoi esordi, alla fine degli anni Settanta, Giuliano Galletta persegue un suo progetto (meglio anti-progetto) di romanzo visivo. Tutto il suo percorso creativo, ormai più che trentennale, può essere quindi letto come unico, interminabile, "racconto ipotetico", messo in opera con gli strumenti comunicativi più diversi: performance, installazioni, video, collage, fotografia, scrittura; da una mostra all'altra, da un libro all'altro, Galletta rielabora in modo quasi ossessivo i suoi temi: la crisi del soggetto, i limiti del linguaggio, il rapporto fra memoria e coscienza, il ruolo sociale dell'artista.
Nel suo nuovo libro "Materiali per un romanzo visivo", Galletta propone uno spaccato, un esempio, del suo "metodo" di lavoro; estraendo dal suo personale museo (e archivio) del Caos oggetti eterogenei, reperti di auto-antropologia, siano essi vere proprie opere, testi, immagini, documenti ma anche resti incongrui di una sindrome accumulativa, resoconti di un'ipnosi oggettuale o di un'inquietante coazione a ripetere. Il lettore ha la possibilità di costruire intorno a libro un proprio percorso, scoprire come in un rebus l'impossibile intreccio del romanzesco. Come spiega l'artista, infatti. "il romanzesco si situa in quello spazio rosso che separa o unisce parole, cose, immagini. Uno spazio che diventa quindi agibile, centro dell'interminabile lavorìo del contingente. Come disse una volta Deleuze, il soggetto perde la sua trama a favore di un patchwork che prolifera all'infinito.

lunedì 28 aprile 2014

JÖRG IMMENDORFF - GALERIE MICHAEL WERNER, TREBBIN





JÖRG IMMENDORFF
Galerie Michael Werner
Märkisch Wilmersdorf, Alte Parkstraße 3c - Trebbin
07.04.2014 - 31.05.2014

Galerie Michael Werner is pleased to present its first exhibition of works by Jörg Immendorff (1945-2007) since the gallery moved to its new location in Märkisch Wilmersdorf. The exhibition focuses on the late work of the artist and features smalland large-format paintings and drawings made between 2000 and 2004.
Jörg Immendorff’s late work is characterized by an intense engagement with painting, an issue the artist discussed stylistically and through recurring motifs. Brushstrokes are clearly visible and sometimes end in the middle of the painting. Different figures and objects are steeped in — and connected with — a spotted ornament, void of any threedimensionality. Form and colour are the center of the artist’s attention.
Furthermore, Immendorff has placed brush, palette, and echoes of his former teacher Joseph Beuys between motifs of his initial period (such as the Lidl-baby). Nevertheless, the strong contour lines, once indicative of the work of Immendorff, have vanished. The baby is stylized to a voluminous mass which is contoured with a soft-edged, bright band. The figure seems to glow, to waft. Elements are situated into a nearly monochromatic background, or in a marshy landscape where people and airplanes sink or claws rise up.
These images do not tell of any historical events, “the narrative lametta” – as the artist deemed it during an interview in 2000 – has disappeared. Instead the images are reflecting the artist’s state of mind: black caterpillar-like cocoons, rooms shrouded in darkness, rambling briars almost curtaining the pictorial representation, dead tree stumps, people whose views are blocked by veils or by blindfolds.
Associations to physical constraints and anxiety are awakened by these images, but sometimes these connotations are refracted. The watercolour painting “Supracyclin” (2000) refers to a medicine that helped Immendorff who, by 2000, had already become seriously ill. Here, it is depicted in the form of a door whose crack brings a ray of light into the darkness.
“Last Self Portrait 4” (2000) shows the artist sitting in front of a window and looking hopefully into the light blue sky.

Already during his years of study, Jörg Immendorff struggled with the arts and the artist’s existence, a struggle oscillating between political activism and the art market. The artist’s late work reflects that conflict but without any narrative impetus. Immendorff’s attention is focused on “art as subsistence and survival equipment“, as he said in 2000.
Jörg Immendorff has been the subject of numerous major exhibitions worldwide, including Kunstmuseum Basel (1979), Museum für Moderne Kunst, Vienna (1991), Centre Georges Pompidou, Paris (1993), Kestner Gesellschaft, Hannover (2000), Staatliches Russisches Museum, St. Petersburg (2001), China Millennium Monument, Beijing (2002), Nationalgalerie der Staatlichen Museen zu Berlin (2005), Museum Kunst Palast, Düsseldorf (2007).

Image: Jörg Immendorff, Ohne Titel, 1999, öl auf leinwand, 120 x 120 cm.

BELLE PAROLE - GALLERIA CARIFANO





BELLE PAROLE
Poesia visiva e altre storie tra arte e letteratura
a cura di Valerio Dehò
Galleria Carifano, Palazzo Corbelli
via Arco d’Augusto 47 – Fano
dal 29/4/2014 al 28/6/2014

Alla Galleria Carifano, per iniziativa della Fondazione Gruppo Credito Valtellinese, dal 30 aprile al 28 giugno 2014 verrà presentata la grande mostra dedicata alla Poesia visiva, la corrente artistica sviluppatasi nei primi decenni della seconda metà del Novecento come ricerca di rottura degli schemi tra le arti che si era rafforzata negli anni tra le due guerre. La parola diventata immagine e in questo modo si viene a creare un’arte nuova e affascinante, che nel corso degli ultimi 50 anni ha raccolto un gran numero di estimatori e di operatori.
La mostra, curata insieme al catalogo che l’accompagna da Valerio Dehò, prende spunto dai principali gruppi italiani per allargare il discorso anche ad alcune personalità internazionali per documentare la diffusione mondiale di un fenomeno culturale che continua ad essere fonte di interesse e di ricerca.
Propone lavori di: Albani Paolo, Accame Vincenzo, Alviani Getullio, Astorri Marco, Banana Anna, Barone Vittore, Bartolomes Bartus, Baruchello Gianfranco, Battilana Marilla, Bentivoglio Mirella, Bertola Carla, Blaine Julien, Blank Irma, Bruscky Paulo, Cadamuro Alessandro, Carrega Ugo, Caruso Luciano, Cavellini Pier Achille, Cena Sergio, Cerroni Cadoresi Domenico, Chiari Giuseppe, Ciani Piermario, Cleveland Buster, Conti Carlo Marcello, Costa Corrado, Curcetti Antoni, Dadaland, De Chirico Jakob, Del Barco Pablo, Diotallevi Marcello, Fallico Antonio, Ferrando Bartolomé, Ferri Giò, Flores Aaron, Fontana Giovanni, Francia Claudio, Gallione Bill, Gini Gino, Giusti Francesco, Gottarelli Tonino, Gut Elisabetta, Hogstraten Harry, Kempton Karl, Kolar Jiri, Lora Totino Arrigo, Magalì Lara, Maniacco Tito, Marcucci Lucia, Martini Stelio Maria, Menetti Nanni, Miccini Eugenio, Minarelli Enzo, Morandini Luciano, Niccolai Giulia, Oberto Martino, Ori Luciano, Osti Maurizio, Ovan Nino, Pacus Stanislao, Patella Luca Maria, Pavanello Giancarlo, Perfetti Michele, Peruz Guido, Pignotti Lamberto, Rehfeldt Tom, Roffi Gian Paolo, Sarenco, Schödl Greta, Spatola Adriano, Strasser Heini, Ulrichs Timm, Vangelisti Paul, Verdi Franco, Vitacchio Alberto, Williams Emmett, Wurm Erwin, Zucchetti Angela Maria.

Si può dire che la Poesia visiva, in senso generale e come corrente specifica, sia nata nel 1963 a Firenze, con personaggi come Lamberto Pignotti, Eugenio Miccini, Mirella Bentivoglio, Michele Perfetti e altri. Quindi nel 2013 si celebrano i suoi cinquant’anni.
È stata un’avanguardia che ha partecipato alla sperimentalità di quegli anni e al tentativo di riformare la poesia in direzione della comunicazione. Il punto di partenza è stata la constatazione che serviva un “nuovo volgare”, una nuova lingua che sotto la spinta dei media potesse costituire un linguaggio aggiornato ma anche libero dal potere economico della pubblicità.
Da ciò ne derivano anche i contenuti politici del gruppo fiorentino in particolare, tanto che Piccini scrisse che con la loro espressione artistica volevano compiere una “guerriglia semiotica”, usare i segni logo-iconici per fare una nuova cultura di massa.
In genere è tutto il Novecento che si situa in questo alveo, tra parola e immagine lo scambio e la simbiosi sono stati continui.
Anche in questo caso si vogliono sottolineare gli aspetti della ricerca e dell’intermedialità. Le arti hanno teso a fondersi in una comunicazione globale soprattutto tra parola scritta e visualità da Apollinaire in avanti, quindi dagli anni Dieci del secolo scorso, si è cercato di superare le differenze per proporre una modalità artistica che potesse coinvolgere varie sensibilità.
La Poesia visiva ha avuto non solo un forte collegamento con la Poesia concreta degli anni Cinquanta, ma anche con la ricerca fonetica e non a caso si è parlato anche di Poesia sonora, cioè di una poesia legata alla performance, alla parola che travalica ogni tentativo di ridurla alla scrittura.
La mostra prende spunto dai principali gruppi italiani per allargare il discorso anche ad alcune personalità internazionali per documentare la diffusione mondiale di un fenomeno culturale che continua ad essere fonte d’interesse e di ricerca.
Una sezione verrà dedicata ai libri d’artista.

Immagine: Eugenio Miccini, Ontologia naturale, portfolio, cm 35x50, 1983, serigrafia

JACQUES RANCIÈRE: LE FIL PERDU LA FABRIQUE 2014





JACQUES RANCIÈRE
LE FIL PERDU
Essai sur la fiction moderne
La Fabrique (18/3/2014)
collection "La Fabrique"

« Il n y a pas de livre là-dedans » disait en 1869 un critique de L'Éducation sentimentale. Les fictions emblématiques de la modernité littéraire détruisent ce qui faisait depuis Aristote le principe même de la fiction : l'enchaînement des actions selon la nécessité ou la vraisemblance. Or cette rationalité causale qui s'opposait à la simple succession des choses exprimait elle-même l'excellence de la forme de vie d'une catégorie privilégiée d'humains. En récusant cette structure de rationalité, la fiction nouvelle témoignait d'un bouleversement qui mettait à bas la hiérarchie des formes de vie. Mais elle récusait aussi un modèle de l'action et une image de la pensée. À travers Flaubert, Conrad, Virginia Woolf, Keats, Baudelaire et Büchner, ce livre étudie les formes et paradoxes de cette révolution de l'écriture qui est aussi une révolution dans la pensée et remet en cause certaines interprétations de la modernité littéraire, comme la réification lukacsienne, l'effet de réel de Barthes ou l'analyse benjaminienne du « poète lyrique à l'apogée du capitalisme ».

LIGNES 43: LES POLITIQUES DE MAURICE BLANCHOT





LES POLITIQUES DE MAURICE BLANCHOT
Revue Lignes n°43
Paru le 14 mars 2014

Contributeurs: Martin Crowley, Michel Surya, Jean-Luc Nancy, Boyan Manchev, Mathilde Girard, David Amar, François Brémondy, David Uhrig

Toutes les politiques de Maurice Blanchot, d’avant-guerre comme d’après-guerre, d’extrême droite comme d’extrême gauche, enfin analysées dans le détail, sans en rien éluder, pour connaître et pour comprendre une trajectoire politique parmi les plus mouvementées, loin de l’image qu’on se fait de leur auteur. Un numéro exceptionnel.
Un important travail restait à faire sur Maurice Blanchot, et il revenait de le faire à ceux qui sont généralement regardés comme ses amis.
Quel travail ? celui qui consiste à mettre au jour, articuler et penser la totalité de sa trajectoire politique. La totalité : sans en rien éluder. Sans rien éluder essentiellement de ce que celui-ci a écrit et pensé (écriture et pensée qui constituèrent une action, et une action manifestement politique) durant les années trente, en tant que journaliste et agitateur de l’extrême droite française. C’est-à-dire ce que l’on connaît le moins de lui, méconnaissance qui n’a pas permis jusqu’ici d’avoir de cette œuvre une vue réellement d’ensemble.
Sujet délicat s’il en est, qui a été mal perçu les rares fois qu’il a été entrepris. Il n’y a pas lieu de s’en étonner. D’abord parce que le temps n’en était pas encore tout à fait venu (la France, même intellectuelle, est généralement réticente à considérer son passé) ; ensuite parce que ce travail a été le plus souvent parcellaire et personnel (ce qui ne retire rien à son mérite, mais dit simplement qu’il n’aura du coup pas été suffisant) ; enfin, parce qu’il n’est pas rare qu’il ait été malintentionné, c’est-à-dire qu’il ait été dû à des personnes qui ne manquaient pas d’autres raisons de ne pas aimer Blanchot.
Tenons donc que le moment est venu de l’entreprendre au fond ; nous sommes plusieurs du moins à l’avoir estimé et à décider de le faire ensemble (offrant donc autant d’angles que possible) et à le faire dans Lignes. Est-il utile de rappeler que c’est dans Lignes justement qu’ont paru, de son vivant et avec son accord, tous les textes politiques de Blanchot, après la guerre, soit, essentiellement, en 1958 et 1968. Qui ont contribué à faire de lui un penseur de la politique considérable, quand la très grande considération qu’on lui montrait jusque-là n’intéressait que sa littérature et sa pensée.
Travail sans concession aucune, déplaisant sans doute – qui n’élude ni n’excuse rien –, mais nécessaire. Qui établit, articule et pense. Établit les faits et les textes ; articule la succession de périodes si contradictoires (l’avant-guerre, l’après-guerre ; l’extrême droite, l’extrême gauche) ; et pense autant que possible la trajectoire que celles-ci dessinent. Trajectoire d’une pensée ainsi rendue visible, quand la trajectoire de l’existence de son auteur échappe, essentiellement se dérobe.

ANTONIO GNOLI, GENNARO SASSO: I CORROTTI E GLI INETTI - PALAZZO DUCALE, GENOVA 29/4/2014





ANTONIO GNOLI, GENNARO SASSO
I CORROTTI E GLI INETTI
Conversazioni su Machiavelli
presentazione del volume edito da Bompiani
Palazzo Ducale - Sala del Minor Consiglio
piazza matteotti 9 - Genova
martedì 29 aprile 2014, ore 17,45

Tra i grandi archetipi politici della cultura occidentale c’è Il Principe di Niccolò Machiavelli. Nel 500° anniversario di quest’opera, due interpreti d’eccezione, un giornalista e uno storico della filosofia, si confrontano sull’attualità di quel pensiero: tanto perturbante quanto popolare ed estremo. Nelle conversazioni incalzano le domande che l’attuale crisi politica ha reso ineludibili: il rapporto con l’etica, i confini dell’esercizio dell’autorità, l’errore e la responsabilità personale. Machiavelli indaga la precarietà di una società esposta alla decadenza, anticipando le inquietudini politiche che le filosofie del Novecento, soprattutto Nietzsche e Heidegger, hanno registrato con drammatica chiaroveggenza. La stessa breve storia d’Italia, dal Risorgimento al naufragio della prima repubblica, mostra la paradossale avventura di “un popolo che ha convissuto con il grottesco della politica senza prenderlo sul serio”, in perenne fuga dalle proprie responsabilità. Un’analisi originale, a tratti estrema, che attraverso cinque secoli di storia e filosofia politica ripensa l’attuale crisi dello Stato e le conseguenze sui destini dell’uomo contemporaneo.

Antonio Gnoli nato a Roma, dove vive. È giornalista di “Repubblica”. Presso Bompiani ha pubblicato La nostalgia dello spazio (con Bruce Chatwin, 2000), La luce dell’ateo (con Gianfranco Ferroni, 2009) e, con Franco Volpi, Il Dio degli Acidi. Conversazioni con Albert Hofmann (2003), L’ultimo sciamano. Conversazioni su Heidegger (2006), I filosofi e la vita (2010).

Gennaro Sasso storico della filosofia, studioso di Machiavelli e Croce, ha insegnato nelle università di Urbino e Roma La Sapienza. Socio dell’Accademia dei Lincei, dal 1986 è direttore dell’Istituto italiano per gli studi storici di Napoli. Tra le sue ultime pubblicazioni, Le due Italie di Giovanni Gentile (1998), Il principio e le cose (2005) e Storiografia e decadenza (2012).
  

domenica 27 aprile 2014

EL GRIEGO DE TOLEDO - ESPACIOS GRECO Y MUSEO DE SANTA CRUZ, TOLEDO





EL GRIEGO DE TOLEDO
Comisario: Fernando Marías
Espacios Greco y Museo de Santa Cruz
calle Cerventes3 - Toledo
del 14 de marzo al 14 de junio 2014

Aunque parezca sorprendente, nunca se ha realizado una exposición sobre el Greco en Toledo. En 1902 se celebró la primera muestra sobre el artista en el Museo del Prado y, desde entonces, la figura del pintor se ha dado a conocer a través de exposiciones en el mundo entero, pero nunca en Toledo, su ciudad.
El Museo de Santa Cruz es la sede, junto a los llamados Espacios Greco, de la mayor exposición jamás realizada de la obra del pintor: la Sacristía de la Catedral de Toledo, la Capilla de San José, el convento de Santo Domingo el Antiguo, La Iglesia de Santo Tomé y el Hospital Tavera. Estos espacios conservan los lienzos originales, lo que ofrece a la exposición un carácter único e irrepetible fuera de Toledo.

Obras de toda su carrera

Esta exposición parte de la actividad del Greco antes de llegar a España, de Candía y Venecia a Roma, con la mirada puesta en su primera formación como maestro pintor en Creta y su paulatina apropiación de los modos occidentales italianos, a la sombra de Tiziano, Tintoretto, Giorgio Giulio Clovio, Miguel Ángel y otros artistas italianos de lienzos o estampas.
Pone un importante énfasis en su labor como retratista, la única con la que obtuvo fama y el reconocimiento de sus clientes contemporáneos, incluso a pesar de su contraste con el tipo de retrato vigente en la España de Felipe II.
Se presenta al Greco como pintor de imágenes devocionales en España, vinculándose esta actividad con sus estrategias comerciales y su tendencia a la réplica seriada de sus composiciones, así como a la difusión final de las mismas a través de la estampa, medio que le permitía ampliar su oferta y diversificar sus clientes.
Además, en España desarrolló sus capacidades escenográficas evolucionando como artista, de pintor a inventor y pintor de retablos complejos y pluridisciplinares en los que diseñaba su arquitectura y sus esculturas, lo cual le exigió un nuevo aprendizaje, transformándolo en un artista plural.

DORA MAAR: NONOSTANTE PICASSO - MUSEO FORTUNY, VENEZIA





DORA MAAR
NONOSTANTE PICASSO
a cura di Victoria Combalia
Museo Fortuny
Campo San Beneto, San Marco 3780 - Venezia
dall’8 marzo al 14 luglio 2014

Henriette Theodora Markovitch, meglio nota come Dora Maar (Parigi, 1907-1997), nell’immaginario e nel ricordo dei posteri è stata soprattutto l’amante e la musa del grande Picasso: la donna di rara bellezza e dalla personalità enigmatica che aveva sedotto il massimo pittore del secolo e, abbandonata, era sprofondata nella pazzia, vivendo isolata dal mondo per i restanti cinquant’anni.“Sacrificata al Minotauro”, “Segregata con i suoi fantasmi ammuffiti”, “Dora, lacrime dipinte”: titolarono i giornali quando i suoi beni vennero messi all’asta, dopo la morte.
Ma Dora Maar non fu solo questo, fu anche e soprattutto una straordinaria artista e la mostra promossa dalla Fondazione Musei Civici di Venezia dall’8 marzo al 14 luglio – tra gli appuntamenti di Primavera a Palazzo Fortuny – prima esposizione dedicata in Italia a questa grande fotografa, su progetto di Daniela Ferretti e a cura di Victoria Combalía sua sensibile studiosa, vuole appunto rivelare il singolare talento di Dora Maar. Nonostante Picasso. Grazie ai prestiti ottenuti da importanti musei e collezioni private, la mostra – che espone oltre un centinaio di opere, con alcuni lavori inediti dell’artista di grande interesse – ripercorre la carriera e la personalità di Dora: una donna certamente complessa e tormentata come appare nei dipinti di Picasso, ma anche acuta, intelligente e politicamente impegnata. Una personalità poliedrica e dalle molte vite. Una grande fotografa.

UMANISTICA_DIGITALE - MONDADORI 2014





UMANISTICA_DIGITALE
testi di Anna Burdick, Johanna Drucker, Peter Lunenfeld, odd Presner, Jeff Schnapp
Mondadori, 8/4/2014
collana "Oscar saggi"

Cos'è, esattamente, l'Umanistica_digitale? I metodi informatici applicati alla ricerca storico-artistica e letteraria sono forse la più promettente tra le frontiere che stanno disegnando il nostro modo di concepire, trasmettere, conservare il sapere, e quindi la nostra stessa civiltà. Ma ancora non se ne sa molto. Questo libro apre uno spiraglio su un mondo finora conosciuto solo da pochi addetti ai lavori, offrendo un'ampia e aggiornata panoramica su metodologie e tecniche di analisi scarsamente familiari a chi si occupa di ricerca nei campi della letteratura, della storia, della filosofia, delle arti, ma indispensabili per traghettare il patrimonio di conoscenze e competenze tramandatoci da millenni verso il ventunesimo secolo e oltre. In un mondo in cui sempre più si sente parlare di e-book e digital learning, di tablet, e-reader e LIM, le parole dei più illustri studiosi del campo ci spiegano perché il binomio "informatica e umanesimo", per quanto in apparenza insolito, si riveli invece vincente per fare cultura, in ogni sua sfaccettatura.

ALFRED KUBIN: DISEGNATORE DI SOGNI - CASTELVECCHI 2013





ALFRED KUBIN
DISEGNATORE DI SOGNI
Castelvecchi, 18/11/2013
collana "Etcetera"

Maestro del disegno e autore de "L'altra parte", uno dei romanzi chiave del Novecento, Alfred Kubin ha saputo esplorare l'incerto confine tra le inquietudini del reale e il magmatico abisso dell'inconscio. Gli scritti che presentiamo in questa raccolta, composti tra il 1921 e il 1949 riguardano la creazione artistica e l'esperienza onirica, due temi che per Kubin non possono essere trattati separatamente; precisando, tuttavia, che per creazione artistica s'intende soprattutto la pratica intima e "povera" del disegno, mentre lo stato onirico sconfina nella veglia, divenendo attitudine dello sguardo e del sentire. La scrittura che ne scaturisce è divisa tra nitore e un'inafferrabile qualità allucinatoria, che avvolge i diversi argomenti in un unico mutevole paesaggio: dall'influenza dei sogni sull'arte alla mistica del disegno, dai misteriosi frammenti autobiografici alle anticipatrici analisi sull'arte dei folli. È certo che Kubin sia stato un cantore del declino della vecchia civiltà europea, così come un contemporaneo di Freud ed evocatore di paure e desideri rimossi, ma queste definizioni rendono giustizia solo in parte a un artista che si voleva senza tempo e, per questo, rimane oggi assolutamente moderno.

GOG: ROYAL PHILARMONINC ORCHESTRA - TEATRO CARLO FELICE, GENOVA 28/4/2014





GOG Giovine Orchestra Genovese
ROYAL PHILARMONINC ORCHESTRA
PINCHAS ZUKERMANN DIRETTORE E VIOLINO
Teatro Carlo Felice
Galleria Giuseppe Siri - Genova
lunedì 28 aprile 2014, ore 21,00

Dopo la pausa pasquale, riparte al Teatro Carlo Felice di Genova, la Stagione della Gog. Il ventiquattresimo concerto, lunedì 28 marzo alle ore 21.00, vede il ritorno dopo 16 anni di assenza della prestigiosa Royal Philharmonic Orchestra.
Fondata nel 1946 da Sir Thomas Beecham, l’orchestra nazionale britannica gode di oltre 65 anni di successi, distinguendosi per esibizioni di alto valore artistico e per una vasto repertorio musicale eseguito al fianco di artisti di altissimo livello. Alla guida della formazione britannica, nelle vesti anche di violinista solista, il direttore d’orchestra israeliano Pinchas Zukerman, universalmente considerato come un fenomeno musicale da più di quarant'anni, capace di ispirare gli artisti più giovani attraverso il suo intenso magnetismo e la sua coinvolgente passione.

Di seguito il programma del concerto.

Ludwig van Beethoven (Bonn, 1770 – Vienna, 1827)
Concerto in re maggiore per violino op. 61 (1806)
Allegro ma non troppo
Larghetto
Rondò (Allegro)
Allegretto

Johannes Brahms (Amburgo, 1833 – Vienna, 1897)
Quarta Sinfonia in mi minore op. 98 (1885)
Allegro ma non troppo
Andante moderato
Allegro giocoso
Allegro energico e passionato

MERET OPPENHEIM: RETROSPECTIVE - LAM, VILLENEUVE D'ASCQ





MERET OPPENHEIM
RETROSPECTIVE
commissaires: Heike Eipeldauer, Sophie Lévy
LAM - Lille Metropole Musée d'art moderne, d'art contemporain et d'art brut
1 allée du Musée - Villeneuve d’Ascq
14 février - 1 juin 2014

Meret Oppenheim (1913, Berlin - 1985, Paris) a marqué l’art du XXe siècle de manière aussi importante que secrète. alors qu’elle n’est âgée que d’une vingtaine d’années, son assemblage Le Déjeuner en fourrure (1936) la fit passer du statut de muse scandaleuse du surréalisme à celui d’artiste majeure du mouvement. en 2013, Meret Oppenheim aurait eu 100 ans. À cette occasion, le LaM accueille une rétrospective de près de 200 œuvres de cette artiste inclassable, qui n’a pas été montrée en France depuis 1984.

Née en 1913, Meret Oppenheim vit ses années d’enfance dans le milieu cultivé de ses grands-parents maternels entre Delémont dans le Jura suisse, Steinen en Allemagne et Bâle.
En 1932, elle part étudier l’art à Paris. Elle y rencontre Alberto Giacometti et Hans Arp qui l’introduisent dans le cercle surréaliste avec lequel elle expose à partir de 1933. C’est également à cette époque que Man Ray réalise une série de photographies d’elle dans l’atelier de Jean Marcoussis, dont une image sera publiée dans le n°5 de la revue Minotaure sous le titre d’Érotique voilée.
Lors d’une rencontre avec Picasso et Dora Maar au Café de Flore, elle porte l’un des bracelets recouverts de fourrure qu’elle a réalisés pour Elsa Schiaparelli. Picasso suggère alors que l’on recouvre tous les objets du quotidien de fourrure ; ce à quoi elle répond : « comme cette tasse par exemple. » Une fois réalisé, l’objet baptisé Le Déjeuner en fourrure par André Breton est inclus dans la célèbre Exposition d’objets surréalistes à la galerie Charles Ratton puis dans l’exposition Fantastic Art, Dada, Surrealism au MoMA en 1936 et acquis pour la collection.
De retour à Bâle en 1937, Meret Oppenheim vit une crise qui se poursuit jusqu’à son déménagement à Berne en 1954. Son association aux activités du groupe surréaliste s’étend jusqu’à sa participation en décembre 1959 à l’Exposition inteRnatiOnale du Surréalisme (EROS) à la galerie Cordier, où elle organise Le Festin de printemps sur le corps nu d’une jeune femme.
Tout au long de son parcours artistique, Meret Oppenheim a exploré le thème de l’indétermination des genres, faisant son miel aussi bien des mythes, rêves et jeux, que de la littérature de son temps et des écrits de Carl Gustav Jung. Varié et d’une indéniable originalité, son œuvre, constitué de peintures, sculptures, assemblages, poésies et objets de design, fait fi du choix d’une technique et ignore autant les classifications stylistiques que l’idée de progression linéaire.
Dans les années 1970, son sens de la liberté fit d’elle une icône du féminisme. Artiste surréaliste protéiforme, elle participa à la redéfinition des marges de l’art, inspirant de nombreux artistes, de Louise Bourgeois à Birgit Jürgenssen.
L’exposition, organisée par le Kunstforum de Vienne et le Martin-Gropius-Bau de Berlin, propose une approche thématique de l’œuvre de Meret Oppenheim à travers un parcours en huit sections :
• Autoportraits énigmatiques
• « Danser au-dessus des abîmes » : le jeu comme stratégie artistique
• Les rêves et l’inconscient
• En dialogue avec la nature
• Objets érotiques
• Sur les traces de l’invisible
• « La plus belle voyelle se vide » : les interférences entre l’image et le texte
• Métamorphoses
Afin de resituer l’œuvre d’avant-guerre de Meret Oppenheim dans le contexte qui l’a vu naître, ses œuvres seront également mises en regard de celles des artistes surréalistes dont elle fut la plus proche : Marcel Duchamp, Max Ernst et Man Ray.
Le catalogue, qui vient pallier une totale absence de publications en français sur Meret Oppenheim, reprend les thèmes de l’exposition et rassemble cinq essais de spécialistes ainsi que plusieurs textes de l’artiste.

Image: Meret Oppenheim, Gants (paire) / Handschuhe (Paar), 1985 (1942-45).
Daim de chèvre sérigraphié ; 150 ex. + 12 H.C. ; édition Parkett n° 4 ; 22 x 8,5 cm.
Courtesy Galerie Levy, Hambourg.
Photo : Dirk Masbaum. © Adagp Paris, 2014

EL LISSITZY: L'ESPERIENZA DELLA TOTALITÀ - MART ROVERETO





EL LISSITZY
L'ESPERIENZA DELLA TOTALITÀ
a cura di Oliva María Rubio
MART
corso Bettini 43 - Rovereto
dal 14/2/2014 al 8/6/2014

"Nella mia vita non sono stato parco con la mia energia. Adesso sono arrivato al limite, in cui so come bisogna creare quadri "belli", "forti", "dinamici". In me deve sorgere di nuovo un enigma. Non appartengo agli uccelli che cantano per cantare"
El Lissitzky

Pittore, designer, architetto, grafico, fotografo e soprattutto rivoluzionario: una vita al limite - anzi, consacrata al superamento dei limiti - quella di El Lissitzky (Pochinok, 1890 - Mosca, 1941), il geniale artista russo a cui il Mart di Rovereto dedica una grande mostra, a cura di Oliva María Rubio.
L'esposizione, che ha la sua prima sede a Rovereto, è coprodotta dal Mart, dal Museo Picasso di Malaga (dal 23 giugno al 24 settembre 2014) e dalla Fundació Catalunya - La Pedrera di Barcellona (20 ottobre 2014 – 18 gennaio 2015), in collaborazione con La Fábrica e presenta oltre 100 opere dell’artista russo provenienti da importanti istituzioni internazionali.
El Lissitzky era un creativo e un innovatore, nelle sue opere voleva fondere paesi e culture, arte e design, oriente e occidente. Per lui l’arte doveva essere un processo di ricerca in relazione con l’architettura, l’edilizia e il design.

La mostra vuole ripercorrere l’evoluzione dell’artista attraverso tutti i linguaggi utilizzati per dare concretezza a ciò che intendeva per arte nuova, collettiva e rivoluzionaria: dipinti, progetti tipografici, illustrazioni di libri e riviste, progetti architettonici, fotografie, fotomontaggi e fotogrammi come “Corridore nella città” del 1926 o l’iconico autoritratto “Il costruttore” del 1924.
Al Mart saranno inoltre presentati i “Proun”, opere concepite dall'artista non esclusivamente come dipinti, ma come “stazioni di transito dalla pittura all’architettura” e realizzate soprattutto durante la permanenza a Vitebsk (1919-1920). “Il Proun – scriveva El Lissitzky – inizia come una superficie piana, si trasforma in un modello dello spazio tridimensionale e prosegue con la costruzione di tutti gli oggetti del vivere quotidiano”.
El Lissitzky in linea con l’energia propulsiva delle avanguardie russe, riesce a tradurre, con il suo lavoro, l’anelito verso un’arte che sia “esperienza della totalità”.

In mostra è esposto il documentario "El Lissitzky. A Film of The Life" prodotto da Lissitzky Center, Novosibirsk e M.T. Abraham Foundation, Parigi
Una mostra in coproduzione con Museo Picasso Malaga.

LUCIANO MECACCI: LA GHIRLANDA FIORENTINA - ADELPHI 2014





LUCIANO MECACCI
LA GHIRLANDA FIORENTINA
e la morte di Giovanni Gentile
Adelphi, 16/4/2014
collana "L'oceano delle storie"

"Sono cose che ancora non si possono dire". Questa affermazione di Cesare Luporini, una delle teste pensanti del PCI nel secondo dopoguerra, risale a un'intervista radiofonica sull'affaire Gentile rilasciata nel 1989, a quasi cinquant'anni di distanza dai fatti. Bene, chi vive in Italia è abituato a delitti politici preparati, eseguiti e poi coperti in un'atmosfera acquitrinosa, dove nessuno per certo è innocente, ma un colpevole sicuro non esiste. Eppure, l'assassinio di Giovanni Gentile in quel freddo aprile del 1944 rimane un cold case diverso da tutti gli altri - che l'indagine di Luciano Mecacci, condotta anche su documenti inediti, riapre in modo clamoroso. Tutto, in questa ricostruzione, è perturbante. I moventi, molto meno limpidi - o molto più umani - di quanto fin qui si è tentato di far credere. La scena del delitto, cioè la Firenze cupa e claustrofobica occupata dalla divisione Hermann Goring. E naturalmente gli attori. Qualcuno ha discusso, deciso, agito: ma come, fino a che punto, perché? Le figure che appaiono sul palcoscenico sono numerose, e molto diverse fra loro. Oscuri gappisti. Feroci poliziotti. Informatori. Doppiogiochisti. E al centro di tutto, il meglio dell'intelligencija italiana di allora: Luporini, certo, ma anche Eugenio Garin, Antonio Banfi, Mario Manlio Rossi, Guido Calogero, Ranuccio Bianchi Bandinelli, Concetto Marchesi.

MAURIZIO LAZZARATO: MARCEL DUCHAMP E IL RIFIUTO DEL LAVORO - EDIZIONI TEMPORALE 2014





MAURIZIO LAZZARATO
MARCEL DUCHAMP E IL RIFIUTO DEL LAVORO
Edizioni Temporale, 04/2014

Nel tuo ultimo libro, scrivi: per Duchamp «il rifiuto del lavoro artistico significa rifiuto di produrre per il mercato». Ma al di fuori del mercato, esiste un metro per dare un riconoscimento materiale al lavoro immateriale?

Quella di Duchamp è senza dubbio un'esperienza molto particolare. Il mercato dell'arte come lo conosciamo oggi non si era ancora affermato, diciamo così. E lui aveva scelto di starne ai margini. A portarlo nel mercato furono le avanguardie degli anni '60, e fu Schwartz, un gallerista milanese, a compiere questa operazione. L'opera di Duchamp fino a quel momento non era passata per il mercato, era un'opera nascosta. Era poco conosciuto negli Stati Uniti, sconosciuto in Europa, ed è entrato nel mercato dell'arte solo in un secondo momento. Il ready made, per esempio, prima non era mai stato esposto. Erano cose sue, private. Solo una volta, era stato esposto il... pissoir, come si dice in italiano?

Pisciatoio.

Ecco. Quella di Duchamp è una situazione particolare. Oggi appare improponibile. Ma del resto lui stesso dice che il problema è essere al limite: tra lo stare dentro l'arte, dentro il mercato dell'arte, e lo starne fuori. In un'intervista lui stesso riconosce che se avesse abbandonato completamente l'arte, come hanno fatto molti artisti negli anni '60 e '70, che hanno lasciato il mondo dell'arte definitivamente, con una critica severa... questi sono stati completamente dimenticati. Duchamp resta al limite, in maniera qualche volta anche ambigua. Nello stesso tempo, però, il rifiuto del lavoro che applica, un rifiuto sia verso il lavoro in generale, sia verso il lavoro artistico, mi sembra molto interessante. Certo, ci sono delle condizioni materiali. Duchamp aveva una piccola rendita, era aiutato da alcuni ricchi borghesi, e gli ultimi anni della sua vita ha avuto un po' di denaro in tasca. Però prima ha vissuto... non gli interessava molto questo aspetto. Mi sembrava che questa sua caratteristica fosse interessante rispetto a quello che sta succedendo oggi, nel mondo del lavoro. Anche se, ripeto: il rifiuto del lavoro, una strategia del genere, oggi, in quanto tale, è difficilmente riproponibile.

(Intervista di Davide Gangale a Maurizio Lazzarato: www.doppiozero.com).


SMACK: FIERA DEL FMETO - PORTOANTICO, GENOVA 26-27/4/2014





SMACK
Fiera del fumetto
Magazzini del Cotone
Porto Antico - Genova 26-27 aprile 2014

Sabato 26 e domenica 27 aprile ritorna presso i padiglioni dei Magazzini del Cotone al Porto Antico Smack!, la fiera dedicata al fumetto, ai cosplay e ai giochi da tavolo. Giunta quest'anno alla sua quarta edizione, la kermesse che ruota intorno al mondo fantastico e colorato dei cartoon conta su oltre 60 espositori provenienti da tutta Italia. 

venerdì 25 aprile 2014

PIERRE SOULAGES - DOMINIQUE LEVY & GALERIE PERROTIN, NEW YORK





PIERRE SOULAGES
Dominique Lévy and Galerie Perrotin
909 Madison Avenue - New York City
24 April – 27 June 2014

Beginning April 24th, 2014, Dominique Lévy and Galerie Perrotin will jointly present Pierre Soulages, the first American exhibition in ten years devoted to the most significant and internationally recognized living artist of France.
The show will fill the historic landmark building at 909 Madison Avenue where both galleries reside, presenting a group of new large-scale paintings that reveal the rigor and atemporal power of a 94-year old master known as “the painter of black and light.”


Born in 1919, Soulages is among the few artists still at work from the explosive postwar period when New York City emerged as the center of the art world, the place where American innovation and European traditions collided and coalesced into a new dominant school of gestural painting. By juxtaposing Soulages’ revelatory recent paintings with a group of his important postwar works, Pierre Soulages will highlight profound interconnections between Europe and America in modern and contemporary art while challenging certainties on the subject.

On view through June 27th, Pierre Soulages introduces fourteen recent paintings from the artist’s ongoing Outrenoir series – metaphysically potent canvases with slashing black architectonics -- alongside seminal works created in the 1950s and 60s, all on loan from major museums and important private collections.
During the years following World War II, Soulages exhibited extensively in America, establishing friendships with New York peers Mark Rothko, Willem de Kooning, Robert Motherwell, and Helen Frankenthaler, among many others. His work thrived in the U.S. market, championed by James Johnson Sweeney, director of the Solomon R. Guggenheim Museum (previously curator at The Museum of Modern Art), and by legendary gallerist Sam Kootz.
Perhaps it was Soulages’ feeling of belonging to no particular city or country that aided his success: He has said his only real language “was that of modern art,” and his undiminished fascination with that language continues to shape Soulages’ paintings today, enabling him to transmit light with black.

Pierre Soulages is accompanied by a catalogue featuring an interview with the artist by Hans Ulrich Obrist, and essays by John Yau and Alain Badiou. The exhibition coincides with the opening in late May of the Musée Soulages in Rodez, France, the artist’s birthplace. The new museum complex will extend the public presence of Soulages’ art in the Aveyron area of the Midi-Pyrénées region of Southern France, where in 1994 he completed a celebrated cycle of stained glass windows at the 8th century Romanesque Abbey-Church of Sainte-Foy in Conques. Encompassing 104 unique compositions in translucent glass, Soulages’ windows at Stainte-Foy are today considered an art pilgrimage destination

LUCIA MARCUCCI: A FIOR DI PELLE - IL GABBIANO, LA SPEZIA





LUCIA MARCUCCI
A FIOR DI PELLE
Galleria Il Gabbiano
via Nino Ricciardi 15 - La Spezia
dal 26/4/2014 al 31/5/2014

Il Gabbiano preseta "A fior di pelle", mostra personale di Lucia Marcucci, esponente della Poesia Visiva italiana, membro del Gruppo ’70 e partecipe di talune esperienze del Gruppo ’63
La mostra si inserisce in una serie di manifestazioni dedicate ai protagonisti di quelle tendenze, come a Nanni Balestrini ed Eugenio Miccini, cui sono state dedicate mostre nel 2010 e nel 2011, senza dimenticare la rassegna "Scrittura visuale" allestita nel 2013, con opere di tutti i componenti storici, nella ricorrenza del cinquantenario.

"Alcune opere risultano estremamente cariche di ironia, altre hanno un contenuto simbolico e amaro, altre ancora gioiose e fascinose. Una mia fonte assai abbondante di utilizzo sono i cartelloni pubblicitari con i loro colori tesi a colpire l’occhio e a convincere della bontà reclamizzata: i miei lavori, nella loro finitezza, stravolgono i significati, i contenuti e le tentazioni - anch’esse rovesciate e contrastate - e denunciano, così sperando, la volgarità e la prepotenza della persuasione occulta. Cerco di smaliziare il consumatore, di favorirgli una chiave di lettura per una scelta critica, insomma la mia opera d’arte non è solo fine a se stessa ma si rivolge al pubblico in un tentativo etico. È una speranza (se nell’insieme, l’operato ha colto nel segno) che mi può confortare della fatica assidua, nella ricerca ostinata dell’utilità di tutta l’opera, per la dedizione totale che ho profuso all’arte in un costante percorso, talvolta anche pericoloso, che ho immesso nel mio, ormai lungo, cammino di vita".

Lucia Marcucci nasce a Firenze il 29 luglio 1933 dove tuttora vive e lavora. Ha fatto parte del Gruppo ’70 fin dalla fondazione (1963) con sue opere tecnologiche e di poesia visiva.
Ha tenuto diverse personali, ha partecipato a convegni e festivals del Gruppo ’63 e di altri gruppi artistici, operativi e di studio; ha pubblicato scritti saggistici e narrativi, è stata inclusa in antologie e mostre collettive nazionali e internazionali.
Fra le numerose rassegne cui è stata invitata si possono citare le Biennali del 1972, del 1978 e del 2009; la Quadriennale "Arte come Scrittura", 1986 Roma; "Continuità", Palazzo Strozzi, 2002 Firenze; "La Parola nell’Arte", Mart, 2007 Rovereto. Da ultimo numerose sue opere sono state esposte nella mostra "Visual Poetry, L’Avanguardia delle Neoavanguardie", a cura di Giosuè Allegrini e Lara Vinca Masini, Venezia-Pavia 2014.
La sua poetica consiste, attraverso la parola e il segno, nella rielaborazione letteraria e pittorica, ma soprattutto critica, dei mass media (immagini, slogans, linguaggi variamente persuasori e mistificatori del sistema sociale contemporaneo).

STEVEN NADLER: IL FILOSOFO, IL SACERDOTE, IL PITTORE - EINAUDI 2014





STEVEN NADLER
IL FILOSOFO, IL SACERDOTE, IL PITTORE
Un ritratto di Descartes
Einaudi, 1/4/2014
collana "La biblioteca"

Nel museo del Louvre è appeso il ritratto di un uomo di mezza età con baffi, lunghi capelli scuri e occhi dalle palpebre pronunciate, vestito alla maniera tipica della borghesia olandese, mantello nero e colletto inamidato. Da sempre, questa è l'immagine iconica di René Descartes. Per lungo tempo il dipinto è stato attribuito al maestro Frans Hals, finché il lavoro è stato declassato a copia di un originale. Ma allora dov'è la versione autentica? Chi ha dipinto la copia? E soprattutto: l'uomo ritratto è davvero Cartesio? Nella storia di questo piccolo dipinto si intersecano le vicende di un filosofo geniale, un prete cattolico e un pittore di talento, vicende che Steven Nadler ricostruisce per noi grazie a un'originale combinazione di racconto biografico, storia dell'arte e filosofia. Il suo libro traccia una mappa del mutevole contesto politico e religioso del secolo d'oro olandese, e insieme ci propone un'accessibilissima introduzione alle idee filosofiche e scientifiche di Cartesio.

RICCARDO FALCINELLI: CRITICA PORTATILE AL VISUAL DESIGN - EINAUDI 2014





RICCARDO FALCINELLI
CRITICA PORTATILE AL VISUAL DESIGN
Einaudi, 25/3/2014
collana "Stile libero extra"

Molte cose sembrano innocenti, e sono invece visual design.

Dürer era un visual designer come Steve Jobs? Perché Eva Longoria, di Desperate Housewives, apprezza Photoshop come regalo di Natale? Scopo del catalogo Ikea è informare o incantare? Walter Benjamin ha sbagliato previsioni? E il visual designer è un pericoloso rivoluzionario, un puro esperto di grafica o un progettista di futuro? Mentre scrive la nuova guida a un mestiere che ha cinquecento anni alle spalle, e tutto il futuro davanti, Falcinelli mette ogni lettore di fronte ai due nodi fondamentali di oggi: la consapevolezza e la responsabilità. Un manuale per chi non vuole limitarsi a riconoscere e usare le forme, ma capire chi davvero sta parlando. Quasi cinquant'anni dopo Il medium è il massaggio di McLuhan e Fiore, un racconto pieno di fascino e buonumore che aggiorna la mappa di un mondo sempre piú governato dalle immagini.

LORENZO PARISI: FLAGLOVERS - LIBRERIA CENTRO STORICO, GENOVA





LORENZO PARISI
FLAGLOVERS
a cura di Nicolò Bruzzone
Libreria Centro Storico
via San Pietro alla Porta 13R - Genova
dal 12/4/2014 al 12/5/2014

Lorenzo Parisi, artista e performer genovese, sabato 12 aprile inaugura nei locali della libreria Centro storico di Genova “Flaglovers”, la sua seconda mostra temporanea di opere digitali visitabile per un mese tutti i giorni tranne la domenica dalle 10 alle 19.30 in via San Pietro dalla Porta 13/r.
Nuovamente curata da Nicolò Bruzzone, la mostra presenta tre fotografie digitali e propone una riflessione su tre parole: flag (bandiera nazionale), lovers (amanti o innamorati) e glove (guanto), che fuse insieme compongono il titolo della mostra.

«Due delle tre fotografie – spiega il curatore – raffigurano una bandiera (quella dell'Italia e quella della Francia), mentre la terza è inventata dall’artista. La bandiera è il simbolo di una nazione in cui un popolo si riconosce e si sente rappresentato, ma può anche essere un simbolo da poter sfruttare in maniera opportunistica e ipocrita (“il patriottismo è l’ultimo rifugio della canaglia”, per citare Samuel Johnson). Le tre parole del titolo (flag, lovers, glove hanno risvolti precisi: gli innamorati, in quanto tali, non fanno distinzioni tra bandiere e razze e sono un esempio di purezza e libertà. L'opera, dunque, vuole suggerire un modo per uscire dai canoni tradizionali con cui siamo spesso costretti a rapportarci: la “bandiera inventata” dall’artista, in particolare, ha lo scopo di testimoniarci un paese ipotetico non soggiogato da alcuna ipocrisia e libero da restrizioni e da certi schemi imposti. Il – conclude il curatore – è il termine che si crea nel gioco di parole del titolo. È inoltre il materiale con cui vengono composte le bandiere nell’immagine fotografica. Il guanto in lattice ha poi un significato molto particolare per l’artista Paolo Lorenzo Parisi, tanto da farlo diventare il suo marchio di fabbrica».
«Dopo anni di utilizzo dei guanti di lattice in installazioni, sculture, quadri, culle e oggetti imbottiti – spiega Parisi – con questa nuova mostra essi appaiono non fisicamente ma virtualmente in fotografie digitali che, unite, vanno a formare bandiere nazionali. I guanti in lattice rappresentano per me l’oggetto più contemporaneo del mondo occidentale e dei paesi più ricchi: dalla nascita alla morte sono presenti nella nostra vita, simbolo anche del quotidiano usa e getta. Più ci allontaniamo dalla natura e dalla realtà, più questo oggetto si presenta come rimedio ai danni commessi e anche alle varie necessità reali. Molteplici sono gli usi che non sto ad elencare…basta osservare. Inoltre è un oggetto che mi affascina dal punto di vista estetico e che mi consente, nella sua duttilità, di creare varie installazioni sposandosi con vari oggetti e ambienti. Rappresenta per me l’anello di congiunzione tra visibile e mentale».

Nato a Genova nel 1956, vive e lavora a Genova. Da sempre interessato alla pittura e, in particolare, ai maestri del '900, negli anni '90 è particolarmente apprezzato e stimato dal critico d'arte Giuseppe Mortara, dalla scrittrice Milena Milani, che lo presenta in varie mostre collettive e personali in Italia e all'estero, e dalla gallerista Rosa Leonardi, esperta d'arte contemporanea.
La sua necessità d'espressione non si manifesta solo con la pittura ma anche nel campo dell'arte concettuale: così collabora con la Galleria Passo Blu di Federica Barcellona esponendo le sue installazioni in diverse manifestazioni a Genova, Milano, Barcellona. Successivamente collabora con le gallerie genovesi Artrè Gallery di Bruna Solinas, Il Cancello e, negli ultimi anni si è intensificato il rapporto con la Studio44 che lo rappresenta in Svizzera e con Immagine e colore con varie collettive e personali. Tra le sue personali più significative, "Ho rivisto Elvis" (Galleria d'arte contemporanea Il Cancello, Genova 2009) e "Doppiasclero" (Galleria Studio 44, Genova 2008), entrambe di carattere concettuale. Diverse opere di Parisi sono presenti in spazi espositivi in Italia e all'estero. Grande successo ha riscosso tra il 2011 e il 2012 la sua installazione “Torte contemporanee” in Svizzera, a Genova, a Londra e a Venezia. A maggio 2012 è stato ospite della galleria ArtWindow di Barcellona con l'installazione “Pappa boys”. Nel 2013 con l’artista cileno Maurizio Roman Melis ha presentato a “Genova Rolli Days” l’installazione “Aspettando la piena” suscitando l’interesse del blog di Le Monde culture. Il suo ultimo lavoro “Navigli Cross” è stato presentato a Milano nella galleria Silbernagl & Undergallery .

giovedì 24 aprile 2014

ISA GENZKEN: RETROSPECTIVE - MCA CHICAGO





ISA GENZKEN
RETROSPECTIVE
Museum of Contemporary Art Chicago
220 East Chicago Avenue - Chicago
12/4/2014 - 3/8/2014

Isa Genzken is one of the most important and influential sculptors of the past thirty years. Yet, although she had a solo show at Chicago’s Renaissance Society, in 1992, she has never had a large-scale retrospective in an American museum.

This exhibition of work by the Berlin-based German artist, organized jointly by MCA Chicago, the Museum of Modern Art in New York, and the Dallas Museum of Art, seeks to correct that oversight, introducing American audiences to the breadth of Genzken’s thirty-plus-year career. Her work has had a steady presence in the mainstream of American-European artistic discourse since she began exhibiting in the late 1970s, appearing regularly in solo shows in major galleries and museums as well as grand international group shows such as the Venice Biennale and documenta. Her early work was initially in dialogue with Minimalism but quickly spiraled out into ideas about hybridity and what has come to be known as the “post-medium” condition, a blurring of traditional distinctions between media such as painting, sculpture, and photography. Genzken’s way of working could be compared to the multiplicity of approaches found in the paintings of Gerhard Richter and Sigmar Polke or the related efforts of James Welling in photography, yet, unlike those artists, Genzken cannot be defined by a single medium or tradition and has made compelling and influential contributions in numerous fields. It is difficult to pinpoint any artist working in this period who has pursued such an intentionally varied path, and in recent years, a new generation of artists, curators, and art lovers has been inspired by her radical inventiveness. The past decade has been particularly productive for Genzken, who has taken her interest in found objects and collage and created several bodies of work that have redefined assemblage for a new era. These works, which range from smaller, diorama-like works to room-filling installations, incorporate photographs, kitschy souvenirs, pop culture cast-offs, cheap household products, and high-end design objects, obliterating any hierarchy of value between them as they are combined into powerfully evocative statements that are immediately recognizable as Genzken’s.
This exhibition encompasses Genzken’s work in all media, produced over the past four decades. Despite Genzken’s influence on an international array of sculptors working today, the breadth of her achievements—which include not only provocative assemblages but also paintings, photographs, collages, artist’s books, performances, films, and public sculptures—has remained obscure in the United States, and many of the works in this exhibition will be on view in Chicago for the first time. The exhibition and accompanying catalogue secure Genzken’s legacy as a transgenerational force in international contemporary art.
This exhibition is organized by James W. Alsdorf Chief Curator Michael Darling, Museum of Contemporary Art Chicago; former Chief Curator Sabine Breitwieser, Department of Media and Performance Art, and Curator Laura Hoptman, Department of Painting and Sculpture, the Museum of Modern Art (MoMA), New York; and Hoffman Family Senior Curator of Contemporary Art Jeffrey Grove, Dallas Museum of Art, with Curatorial Assistant Stephanie Weber, Department of Media and Performance Art, MoMA.
Isa Genzken: Retrospective is organized by the Museum of Contemporary Art Chicago, the Museum of Modern Art, New York, and the Dallas Museum of Art.

Image: Isa Genzken, Hospital (Ground Zero), 2008. Metal tray dolly, plastic flowers, ribbon, metal, mirror foil, spray-painted vase, synthetic polymer paint on fabric, shot glasses, fiberboard, and casters, 122 13/16 x 24 13/16 x 29 15/16 in. (312 x 63 x 76 cm). Collection Charles Asprey, London © Isa Genzken. Courtesy of the artist and Galerie Buchholz, Cologne/Berlin.