giovedì 31 ottobre 2013

BALÌ BULÉ - MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE, NAPOLI


BALÌ BULÉ
a cura di Maria Savarese
Museo Archeologico Nazionale di Napoli
Piazza Museo 19 - Napoli
dal 19/10/2013 al 6/1/2014

Il Museo Archeologico Nazionale di Napoli si apre ancora una volta all’arte contemporanea con una mostra in cui i linguaggi di oggi si accostano e confrontano audacemente e significativamente con quelli di ieri, come prevede l’ampio progetto da anni portato avanti dal Servizio Educativo della Soprintendenza di Napoli e Pompei nel MANN.
A cura di Maria Savarese e con il coordinamento tecnico-scientifico di Marco De Gemmis, Bali Bulé presenta, dal 20 ottobre 2013 al 6 gennaio 2014, i lavori di Ashley Bickerton, Luigi Ontani e Filippo Sciascia, che saranno allestiti nell’atrio del Museo e nelle sale della collezione Farnese.
La mostra si avvale del patrocinio della Regione Campania e del Comune di Napoli.
Il fil rouge che lega le opere, realizzate per questo evento, è la memoria inesauribile e ancora fertile dell’arte classica, il dialogo con la statuaria e la pittura greco-romane, il tema stimolante del mostruoso; ma è anche l’armonia del mondo antico che si incontra-scontra con la disarmonia contemporanea.
Bickerton, Ontani e Sciascia hanno scelto l’Oriente, in particolare l’Indonesia, come sede di vita e di ricerca artistica e hanno creato, in un’accezione del tutto personale, un discorso estetico che, oltre ad unire classicità e contemporaneità, è intriso di suggestioni tratte dalle culture dell’Oriente e dell’Occidente.
Filippo Sciascia e Ashley Bickerton vivono infatti da anni a Bali, e il lavoro di Luigi Ontani, presente sull’isola da tanto tempo, è da sempre permeato di segni e atmosfere appartenenti a quel mondo.
Ashley Bickerton presenta una scultura e due grandi pannelli di legno dipinto, personale tentativo di fondere perfettamente pittura, fotografia e scultura in una stessa opera e di porsi in una originale relazione con quanto di più fantastico può rintracciarsi nella mitologia greca.
Luigi Ontani, dalla cui scultura Bali Bulé la mostra trae il titolo, oltre a proporre una delle sue erme, torna, con una serie di maschere “balinesi” in legno dipinto, su un tema con cui nel 1974, proprio a Napoli nella galleria di Lucio Amelio, interpretando un Pulcinella contemporaneo, fu protagonista di uno straordinario tableau vivant notturno.
In una ventina di sculture in legno Filippo Sciascia riesce a fondere il suo spiccato interesse per la cultura classica greco-romana con la sua quotidiana frequentazione dell’arte indonesiana e balinese, producendo un’originalissima e felice sintesi di forme.

Il catalogo della mostra, edito da Giunti, sarà presentato venerdì 8 novembre alle ore 17.30 al Museo Archeologico Nazionale di Napoli. 

JAUME PLENSA - GALERIE LELONG, NEW YORK



JAUME PLENSA
Galerie Lelong
528 West 26th Street - New York
1/11/2013 - 14/12/2013

An immersive installation of new stainless steel sculptures, suspended cast paper heads, and recent drawings comprise Jaume Plensa’s solo exhibition, Talking Continents, at Galerie Lelong. These distinctive elements make a realized whole connected through the artist’s concept - formal language and dialogue - with the gallery’s physical space. As in all the artist’s works, the tension between the individual components - poetically imagined as islands or continents - and the overall installation encourages us to think about the ways in which we are linked as a collective humanity. Talking Continents demonstrates Plensa’s ability to create thought-provoking work that reimagines and represents the human figure with an original and innovative language. The artist will be present for the opening on Friday, November 1st from 6-8pm.
Letters from world alphabets literally form the connective elements in Talking Continents, the multi-part stainless steel installation in the main gallery. This series of suspended sculptures are hand-assembled from die-cut letters of nine international alphabets, the shapes of which the artist finds very beautiful. The letters work to form a more complex figure that is not a singular individual but rather a universal embodiment of humanity. Talking Continents creates a place where people are encouraged to meet, observe, and contemplate while engaging in a dialogue that inspires inward reflection and also a sense of global unity. The idea of continents and their interconnectedness has accompanied Plensa’s work from the beginning. In the darkened gallery space, each work is illuminated to create striking light and mysterious shadows.
Installed in a circular configuration in the small gallery are a series of cast paper heads onto which Plensa has “hand-tattooed” words. The use of diverse letters, signs, and language in his work shows the intricacy of different cultures and also how people can encounter one another and through a universal language learn acceptance and tolerance. When creating these works Plensa allows the idea to drive the materials, never constricting himself to one medium. His oeuvre continues to expand, while remaining committed to a lifetime idea. Plensa says, “I never stand out for technique, I stand out for ideas. Ideas make a work contemporary, not technique.”
2013 marks a series of events for the renowned artist. At the end of May Plensa presented a cast iron sculpture, Rui Rui, in Venice for the exhibition, Glasstress: White Light/White Heat, a collateral event of the 55th Biennale. In June eleven sculptures were installed throughout the public spaces of Bordeaux, France for the exhibition Jaume Plensa in Bordeaux and two cast iron heads, Marianna W and Chloe, were show in the UK. In 2014 recent works by the artist will be on view in Chicago to celebrate the 10th Anniversary of Millennium Park, home of Plensa’s famed Crown Fountain.

Jaume Plensa was born in Barcelona in 1955. The artist has presented major solo exhibitions at numerous museums, including Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía, Madrid; Baltic Centre for Contemporary Art, Gateshead, United Kingdom; Yorkshire Sculpture Park, West Bretton, United Kingdom; Galerie Nationale du Jeu de Paume, Paris; Kunsthalle Mannheim, Germany; Institut Valencia d’Art Moderne, Valencia; Fundació Joan Miró, Barcelona; Frederik Meijer Gardens and Sculpture Park, Grand Rapids, MI; The Nasher Sculpture Center, Dallas, TX; and Espoo Museum of Modern Art, Helsinki, Finland. In 2012 Plensa received the prestigious National Visual Arts Award of Spain. Plensa is also celebrated for his art within the public space. In 2012 and 2013 he installed sculptures in Calgary, Canada; Rio de Janerio, Brazil; and Bamberg, Germany. 

WITTGENSTEIN, UNA BIOGRAFIA PER IMMAGINI - CAROCCI 2013

WITTGENSTEIN
Una biografia per immagini
a cura di Michael Nedo
Carocci, 31/10/2013
collana "Le sfere"

Rampollo di una delle famiglie più in vista della Vienna fin-de-siècle, ingegnere aeronautico, volontario nella prima guerra mondiale, maestro di scuola elementare, giardiniere in un monastero, architetto, professore a Cambridge... genio. Quante vite si nascondono dietro lo sguardo leggermente beffardo con cui Ludwig Wittgenstein ci osserva dalla copertina di questo libro? Per rispondere a quest'interrogativo, Michael Nedo, che a Wittgenstein ha dedicato la propria esistenza, ha raccolto in questo volume foto, lettere, citazioni, taccuini, appunti, memorie di parenti e amici del filosofo austriaco, nel tentativo di rivelare la complessa interazione tra la vita e l'opera, l'ambiente culturale e quello familiare, siglando così il suo tributo a una delle figure più originali ed enigmatiche del Novecento. 

SLAVOJ ŽIŽEK: MENO DI NIENTE - PONTE ALLE GRAZIE 2013

SLAVOJ ŽIŽEK
MENO DI NIENTE
Hegel e l'ombra del materialismo dialettico
Ponte alle Grazie, 31/10/2013
collana "Saggi"

In questa sua opera, summa del suo pensiero filosofico, Zizek sostiene che non solo occorre tornare a Hegel, ma che la nostra stessa epoca è in grado di ripetere e superare persino i suoi trionfi, di rimediare ai suoi limiti con l'essere più hegeliana dello stesso Hegel. Questo approccio consente a Zizek non solo di diagnosticare la nostra condizione storica, ma di affrontare un dialogo critico con i filoni-chiave del pensiero contemporaneo: Heidegger, Badiou, il realismo speculativo, la fisica quantistica, le scienze cognitive. 

LA SCOMPARSA DI FRANCO SBORGI




FRANCO SBORGI
1944 - 2013

Con la scomparsa di Franco Sborgi, Genova perde la personalità che per decenni ha incarnato – in ambito accademico, ma non solo – l’impegno nello studio dell’arte contemporanea, secondo una linea che univa il contesto ligure al più ampio scenario internazionale, attraverso pubblicazioni, mostre e un dialogo continuo con gli artisti e gli altri operatori del settore. 

mercoledì 30 ottobre 2013

THE SURREALISTS - PHILADELPHIA MUSEUM OF ART



THE SURREALISTS
Works from the Collection
Philadelphia Museum of Art Perelman Building
Pennsylvania Avenue at 26th Street - Philadelphia
31/10/2013 - 2/3/2014

The Surrealists: Works from the Collection will provide a selection of exceptional works from the Philadelphia Museum of Art that represent one of the most influential art movements of the twentieth century. Surveying the period during which Surrealism flourished—from the mid-1920s to the late 1940s in Europe and the United States—this exhibition will begin by examining the movement’s Parisian origins and trace its development over time as its methods and goals were embraced by a broad international avant-garde. Reflecting a deep fascination with psychoanalysis and dreams as well as myth and fantasy, the work of the Surrealists explored the use of chance and spontaneity to access the unconscious, defined new ways of making art, and tested the boundaries of social acceptability.
The artists of the Surrealist movement experimented with a variety of approaches to obtain unexpected results by tapping into the subconscious mind. This is seen in Animal Caught in a Trap (1929), where André Masson used automatic drawing as a starting point for the development of an abstracted image. Joan Miró broke with established forms of painting by experimenting with collage, assemblage, the unlikely juxtaposition of images, and simplified forms and bold colors, as in Dog Barking at the Moon (1926). Jean Arp used torn and scattered ink in a series of drawings, each called Composition (1937), to play with the idea of chance as the foundation for a new aesthetic approach.
During the 1930s, Surrealism emerged as major force on the international scene and developed a political voice in the years leading up to the Spanish Civil War and World War II. Miró’s Person in the Presence of Nature (1935) suggests the mounting pressures within the artist’s home country, while Salvador Dalí’s Soft Construction with Boiled Beans (Premonition of Civil War), painted a year later, foreshadowed the horror of the conflicts to come. These fantastical scenes were the result of attempts to access the unconscious through psychoanalysis and the study of dreams, while providing commentary on real world tragedies.
With Europeans taking refuge in the United States during World War II, the center of the Surrealist movement shifted to New York. Julien Levy was one of the many art dealers who introduced Surrealism to collectors and new audiences in this country. The work of many of the artists he represented will be included in this exhibition, including photographs by Man Ray and Lee Miller. Max Ernst, a pioneer of Surrealism, was one of many European exiles who made a new life for themselves here, eventually marrying fellow artist Dorothea Tanning. Her masterpiece Birthday (1942) is an iconic self-portrait in an empty room with doors leading into an infinite recession of space. A similar confounding of reason is reflected in Kay Sage’s defined dreamscapes, such as Unicorns Came Down to the Sea (1948). The Surrealists’ fascination with automatic drawing evolved to take new forms over time, as reflected in the evocative space and crystalline shapes of Matta’s painting The Bachelors Twenty Years Later (1943), the title of which refers to Marcel Duchamp’s The Large Glass.
The exhibition will end with works from the International Surrealist Exhibition at the Galérie Maeght, Paris (1947), the first major showing of Surrealism in Europe after World War II. This section includes the work of Enrico Donati, one of the movement’s younger artists. His sculpture The Evil Eye (1947) is a recent acquisition. Set in acrylic glass, the eye’s copper wire roots are visible beneath the platform that is backed by a monkey head visible only in a series of mirrors mimicking the waxing and waning moon.
This exhibition contains more than seventy works from the collection by over forty artists. Important publications and documentary materials, including photographs of the Surrealists at work or leisure, exhibition catalogues, and the periodicals Minotaure, VVV, and View, are also included in the exhibition. Excerpts of the Surrealist manifestos will be broadcast in the gallery, offering visitors a multisensory experience of the movement, its ambitions, and its unique history.

Image: Giorgio de Chirico, The Poet and His Muse, c. 1925. Oil and tempera on canvas, 35 7/8 x 29 inches (91.1 x 73.7 cm). Philadelphia Museum of Art, The Louise and Walter Arensberg Collection, 1950. © Artists Rights Society (ARS), New York / SIAE, Rome 

ANTONIAZZO ROMANO, PICTOR URBIS - PALAZZO BARBERINI, ROMA



ANTONIAZZO ROMANO
PICTOR URBIS
Palazzo Barberini
via delle Quattro Fontane 13 - Roma
dal 31/10/2013 al 2/2/2014

Antonio Aquili detto Antoniazzo Romano (Roma 1435/40 – 1508), figura centrale del Rinascimento, fu attivo per quasi mezzo secolo fino al primo decennio del Cinquecento a Roma e nel territorio laziale. La mostra illustra il contesto in cui si sviluppa la vicenda artistica del maestro e le svolte fondamentali nella sua produzione. Il pittore era contemporaneo di Benozzo Gozzoli, di Piero della Francesca e di Domenico Ghirlandaio, sui quali si formò, e di Melozzo da Forlì, Piermatteo d’Amelia e il Perugino con cui condivise importanti commissioni. La ricca produzione di pale d’altare, cicli decorativi e quadri di devozione, era destinata a un pubblico composto in prevalenza di alti prelati della curia romana, comunità religiose ed esponenti dei ceti nobiliari. Opere di grande suggestione e di qualità altissima, i suoi dipinti uniscono le novità rinascimentali agli splendori dell’arte medievale, nella profusione degli ori e nella bellezza sacrale dei suoi personaggi, specie le sue straordinarie Madonne dalle sembianze modernamente affini alle tipologie femminili di quel periodo. 
Cinquanta le opere esposte - polittici, grandi pale, piccoli dipinti devozionali, tavole fondo oro, e un ciclo di affreschi staccati, insieme a opere di confronto e testimonianze documentarie - che offrono al pubblico un viaggio nel Rinascimento “quotidiano” di Antoniazzo e della sua nutrita bottega. La completezza del percorso espositivo è stata resa possibile dalla generosità di prestigiose istituzioni museali pubbliche e private (dai Musei Vaticani ai Musei nazionali del Bargello, di Capodimonte, e dell'Aquila, al Museo Poldi Pezzoli), di Musei civici (Rieti, Montefalco e Montefortino), di collezioni private (Umberto Veronesi e Fondazione Santarelli). Importanti prestiti provengono inoltre dalle maggiori chiese romane e laziali, di cui molte di proprietà del Fondo edifici culto del Ministero dell'Interno, e da complessi conventuali. La selezione di documenti concessi in prestito dall’Archivio di Stato di Roma, lettere autografe e contratti originali, libri confraternali e atti privati come il testamento e l’eredità di Antoniazzo Romano, offrono una lettura che consente di mettere in luce oltre l’artista, anche l’uomo e il suo impegno nella società del tempo. 
La pittura a Roma all'epoca dell'esordio di Antoniazzo è testimoniata oltre che da opere di maestritardogotici, anche dai nomi degli artisti riportati nello splendido codice miniato del 1478, contenente i primi statuti dei pittori romani redatti dallo stesso Antoniazzo in qualità di console della corporazione, ed esposto al pubblico per la prima volta grazie all’eccezionale prestito dell’Accademia di San Luca. Il percorso si sofferma sulla ricca produzione di immagini sacre, riprese dalle celebri icone medievali, aggiornate al gusto rinascimentale, che costruì il successo del pittore presso il pubblico romano. Tra le grandi pale d’altare presenti in mostra, emergono la splendida ancona di Montefalco, in origine nella chiesa romana di Santa Maria del Popolo e l’Annunciazione di Santa Maria sopra Minerva dipinta per l’anno giubilare del 1500, con la quale il pittore si congeda dalla città in prossimità della fine dei suoi giorni, che un fortunato, recente, ritrovamento documentario consente di collocare al 17 aprile 1508. La produzione della bottega romana di via della Cerasa (l’odierna piazza Rondanini) - dove operava la “turba di lavoranti” - è documentata attraverso dipinti che attestano la circolazione dei modelli del maestro tra gli allievi. Per la prima volta viene riunito l’importante complesso pittorico della Camera di Santa Caterina da Siena, che dal Seicento è diviso tra la chiesa della Minerva e il convento di Santa Caterina a Magnanapoli. La mostra si conclude illustrando la diffusione della cultura del maestro nell’Italia centrale attraverso la figura del figlio Marcantonio Aquili, erede e continuatore della maniera paterna, e di alcuni contemporanei: l’umbro Pancrazio Jacovetti, il veronese Cristoforo Scacco, attivo nel basso Lazio e in Campania, l’abruzzese Saturnino Gatti, e Cola dell’Amatrice con un dipinto realizzato quando ormai a Roma dominava l’arte di Raffaello. 

Per l'occasione, nell'ambito della sua attività istituzionale di tutela, la Soprintendenza ha curato la campagna di restauri delle principali opere di Antoniazzo esposte. La quasi totalità degli interventi conservativi è stata realizzata dai tecnici dei laboratori di restauro della Soprintendenza per il Patrimonio Storico Artistico e il Polo museale di Roma e della Soprintendenza per il Patrimonio Storico e Artistico del Lazio, diretta da Anna Imponente, coordinati dai funzionari storici dell'arte dei due istituti. 

A completare l'iniziativa, un itinerario cittadino, promosso in collaborazione con il Comune di Roma, accompagna il pubblico alla scoperta delle testimonianze della pittura di Antoniazzo e della sua scuola presenti in numerosi edifici storici di Roma. Imprenditore di una bottega operosissima e affollata, nell'arco di decenni Antoniazzo fu chiamato a decorare i luoghi sacri più importanti della città. Dalle basiliche dei Santi XII Apostoli, di Santa Croce in Gerusalemme, di San Giovanni in Laterano, al Pantheon, alle chiese gianicolensi di San Pietro in Montorio e San Onofrio, l'opera di Antoniazzo rappresenta il rinascimento romano. 

Il catalogo della mostra è edito da Silvana Editoriale.

JACQUES COPEAU, LOUIS JOUVET: CORRESPONDANCE (1911-1949) - GALLIMARD 2013



JACQUES COPEAU, LOUIS JOUVET
CORRESPONDANCE (1911-1949)
Édition d'Olivier Rony
Gallimard, 1-10-2013
Collection "Les Cahiers de la NRF"

Ce volume rassemble pour la première fois l’intégralité de la correspondance échangée entre deux hommes de théâtre hors du commun, Jacques Copeau (1879-1949) et Louis Jouvet (1887-1951), dont l’influence n’a pas cessé de nourrir les pratiques contemporaines.
Ce qui les unit d’abord, au-delà d’un compagnonnage exemplaire qui les verra côte à côte au Théâtre du Vieux-Colombier de 1913 à 1922, fut le rêve d’une fraternité artistique idéale, d’une utopie théâtrale. Que les circonstances, différends ou querelles d’amour-propre aient fait dégénérer cette mystique, personne ne le contestera. Mais des premiers spectacles de 1913 à l’aventure mouvementée des deux saisons américaines, en passant par la réalisation des dispositifs fixes des scènes new-yorkaises et parisiennes ou leurs échanges sur «la comédie nouvelle» et sur l’éducation originale du comédien des temps modernes, le dialogue entre Jacques Copeau et Louis Jouvet révèle la complicité émouvante qui les a liés, notamment pendant la Première Guerre mondiale.
Leurs lettres composent donc un récit unique, celui d’un don de chacun à l’autre, et cela même après le départ de Louis Jouvet du Vieux-Colombier. Jacques Copeau, alors retiré en Bourgogne à la recherche de formules dramatiques inédites, reste le «patron», auquel le cadet, devenu à son tour un des animateurs incontestés de la scène parisienne, rendra hommage jusqu’à sa mort, en octobre 1949. 

PASCAL FULACHER, DOMINIQUE MARNY: JEAN COCTEAU LE MAGNIFIQUE - GALLIMARD 2013



PASCAL FULACHER, DOMINIQUE MARNY
JEAN COCTEAU LE MAGNIFIQUE
Les miroirs d'un poète
Préface de Gérard Lhéritier
Coédition Gallimard/Musée des Lettres et Manuscrits
Gallimard, 24-10-2013
collection "Albums Beaux Livres"

Le miroir fait partie de la mythologie personnelle de Jean Cocteau. Surface lisse qui rappelle celle d'une eau dormante, il surprend, étonne, fascine autant qu'il réfléchit, rassure ou déclenche la crainte. Immobile, il renvoie à l'infini les mouvements de celui qui lui fait face ; mais il n'a pas de mémoire. Si l'on se penche sur sa symbolique, on note qu'il était appelé autrefois speculum. Les anciens l'utilisaient pour scruter le mouvement des constellations. Cocteau ne l'ignorait sans doute pas. Est-ce la raison pour laquelle l'étoile est, elle aussi, entrée dans sa mythologie? 

ARTE E TECNOLOGIA - PALAZZO ROSSO, GENOVA 31/10/2013




Festival della Scienza 2013
ARTE E TECNOLOGIA
Racconto di una partnership pubblico privata
Convegno
Palazzo Rosso
via Garibaldi 18 - Genova
giovedì 31 ottobre 2013, ore 11,30

Prosegue l'impegno di Fondazione Bracco a favore del Comune di Genova - Assessorato alla Cultura e Turismo - per la valorizzazione delle residenze nobiliari dei Musei di Strada Nuova di Genova. Il Progetto, che si avvale delle competenze di Montalbano Technology, e' nato per garantire un'adeguata conservazione delle opere d'arte esposte ai fattori ambientali, tramite le nuove tecnologie. La rete di sensori wireless creata per il monitoraggio ambientale delle opere, offre la possibilita' di dotare il Museo anche di una copertura WiFi: l'accesso a internet rappresenta una rivoluzione nell'esperienza museale che diviene attiva e partecipata. Il visitatore puo' essere guidato nella fruizione del patrimonio artistico, vivere le opere, vederne i particolari, ma anche diffonderle tramite i social networks. Al convegno intervengono: Piero Boccardo, Direttore Musei di Strada Nuova; Diana Bracco, Presidente Fondazione Bracco; Giuseppe Oriana, Presidente Montalbano Technology; Alfonso Fuggetta, Ordinario Politecnico di Milano e Amministratore Delegato Cefriel; Carla Sibilla, Assessore alla Cultura e Turismo che chiude e interviene anche per conto di Francesco Odone, Assessore allo Sviluppo Economico e Smart City. Nell'ambito del Festival della Scienza.  

martedì 29 ottobre 2013

YONA FRIEDMAN MUSEUM - FONDAZIONE ANTONIO RATTI, COMO



YONA FRIEDMAN MUSEUM
Fondazione Antonio Ratti - Villa Sucota
via per Cernobbio 19 - Como
dal 30/10/2013 al 30/10/2016

Yona Friedman Museum è un’architettura, un museo mobile e portatile, che resterà per tre anni nel parco di Villa Sucota, accanto all'edificio principale della Fondazione Antonio Ratti, creando al contempo un ideale prolungamento della struttura ed un nuovo, ulteriore sviluppo delle attività della FAR.
Il primo appuntamento con questo museo in progress sarà il 30 ottobre alle ore 17. L'inaugurazione di Yona Friedman Museum sarà anche l'occasione per presentare al pubblico tre volumi: il nuovo libro di Yona Friedman, How to exhibit?; l’ultimo libro d’artista prodotto da FAR, Liliana Moro, Moi; e l'esito del XIX CSAV, The collected work of H.C.
Dopo l'esperienza di Friedman come visiting professor del XIV CSAV nel 2008, l'architetto e Annie Ratti hanno avviato uno stimolante dialogo, ancora in corso, il cui primo risultato si concretizza nell’installazione del museo a Villa Sucota. Yona Friedman Museum - Le Musée du Quotidien è un'architettura aperta, interattiva e dinamica, pensata per essere utilizzata da diversi gruppi di persone e in differenti contesti. Nei prossimi tre anni, la struttura ospiterà ed ispirerà una serie di progetti e di attività che ruoteranno attorno al tema “Cosa significa 'esporre'?”. Seguendo la filosofia di Friedman, queste serie d’interazioni ed interventi artistici saranno realizzate trasformando la struttura, per forma e contenuto, a seconda delle necessità, conversazioni ed idee delle persone che prenderanno parte al progetto.
Yona Friedman Museum è la risposta ad una serie di conversazioni e collaborazioni tra numerosi partner: Lorenzo Benedetti (direttore del De Vleeshal, Middelburg), Jean-Baptiste Decavèle, Nico Dockx, Yona Friedman e Annie Ratti. E’ un work in progress artistico e architettonico, composto mediante ‘improvvisazione’ e applicando le Space-Chain Techniques di Yona Friedman. Il museo è stato realizzato da Jean-Baptiste Decavèle e Nico Dockx in collaborazione con due gruppi di studenti ed ex allievi della Royal Academy of Fine Arts di Anversa, Belgio, e dell'Accademia Aldo Galli di Como. I due gruppi hanno lavorato insieme per una settimana assemblando la struttura del museo mobile, un'Iconostase, composta di 500 anelli in acciaio, di 150 cm di diametro l'uno, collegati tra loro. Seguendo i principi base del museo mobile, gli anelli sono ora al loro terzo assemblaggio. Prima di arrivare a Como, costituivano gli elementi strutturali di Architecture without Building, una mostra a cura di Lorenzo Benedetti tenutasi al De Vleeshal; in seguito hanno viaggiato verso la Royal Academy of Fine Arts di Anversa su invito degli studenti e di Nico Dockx, per diventare Museum without Building. 

ULLA VON BRANDENBURG: INNEN IST NICHT AUSSEN SECESSION, WIEN



ULLA VON BRANDENBURG
INNEN IST NICHT AUSSEN
Curator: Annette Südbeck
Secession
Friedrichstraße 12 - Wien
19 September – 10 November 2013

In her films, drawings, and installations, German artist Ulla von Brandenburg explores how things are staged and made theatrical, the relationship between audience and actors, the rules of performance, and the overlap between reality and illusion. In her first solo exhibition in Austria, Innen ist nicht Außen [Inside Is Not Outside], Ulla von Brandenburg will show her new film Die Straße [The Street] as part of an installation which she created specially for Secession’s main gallery.
The black-and-white film Die Straße shows a man entering an unfamiliar village community where he is confronted with the rituals and conventions governing the villagers’ social interaction. In a single, uncut tracking shot, the camera, like a third person, follows the actors' performances, staged by von Brandenburg in an ephemeral Potemkin village made of white canvases in the open air.

“He enters another world and tries to understand the various goings-on that strike him as foreign. It’s as if he were time-traveling, although it’s not quite clear what sort of temporal context he has landed in, and there is no real development in the sequence of events.”
(Ulla von Brandenburg, interview with Nina Möntmann)

The stylized film set, the mysterious rituals that govern the performers’ interactions, and their alternating singing lends the film a particular poetry.
Die Straße represents a logical development in Ulla von Brandenburg's work. Her early black-and-white films feature seemingly motionless tableaux of people performing minimal actions; they explore ritualized behavioral patterns and the relationship between reality and illusion. One typical example is her film 8 from 2007, in which the camera moves through suites of rooms in a Baroque French castle, encountering individuals or groups of people who perform enigmatic gestures, laden with meaning. Her film Shadowplay (2012) also addresses the doubling inherent in acting and the tension between directed performance, identification with the role, and the performer's own identity. A woman and two men meet in a theater dressing room; they put on their costumes and their makeup, get into character and start dueling.
For her films Ulla von Brandenburg often develops presentations tailored specifically to the exhibition space, which establish a dense web of cultural and historical references. In the Secession the situation portrayed in the film of an entry into another world is doubled in the architectural space of the Hauptraum by the complex stage construction that the artist has installed as a sort of gateway to the film projection. The viewers enter this stage from behind and move across it, through a series of curtains and backdrops, on their way towards the auditorium, before reaching the film behind the final curtain. Ulla von Brandenburg uses these various theater curtains, platforms, and viewing levels to initiate a play with notions of onstage and offstage, outside and inside, that ultimately confront viewers with themselves and their own role. In his catalogue text René Zechlin describes this central feature of her works as follows:

“Ulla von Brandenburg's references to the theater repeatedly lead us back to the fundamental questions of our existence and society: Who are we? What roles do we play? What position are we given through our roles? In her work, too, it is impossible to leave the theater of life without questioning one's existence. In her film-based allegories and installations she allows the scenography and setting of the performance metaphorically to come to light. She gives us a view behind the scenes without compromising the allure of her own game.” (René Zechlin, catalogue text)

As is often the case in Ulla von Brandenburg’s work, the curtain is a means of marking the transition from the real world to the world of the theater, a mental space ruled by the imagination, dreams, and the unconscious, where space and time have no limits. In her installation in the Secession this is particularly emphasized by the final red-orange curtain. Its faded pattern corresponds with the ceiling grid of the exhibition space and thus points to the site-specificity of the work as well describing a further projection of light and shadow in the traces of the sun.
 

VALERIO OCHETTO: ADRIANO OLIVETTI - EDIZIONI DI COMUNITA' 2013

VALERIO OCHETTO
ADRIANO OLIVETTI
Biografia
Edizioni di Comunità, 10/10/2013

La vita di Adriano Olivetti raccontata dal giornalista televisivo Valerio Ochetto nella nuova edizione aggiornata della biografia ufficiale del grande imprenditore piemontese: un racconto agile e un ritratto a tutto tondo, dagli anni della formazione ai successi internazionali, dall’impegno antifascista e dalla fondazione del Movimento Comunità fino alla nascita dell’elettronica che portò il nome Olivetti all’avanguardia della tecnica mondiale. Ai tratti più intimi e familiari si affianca la ricostruzione del suo itinerario teorico che, partito dalla fabbrica, approda a un progetto di rinnovamento radicale della società. L’Italia che oggi lo paragona a Steve Jobs, allora non aveva ancora compreso l’originalità e la profondità della visione olivettiana, ma il fascino del genio e la lungimiranza del suo sguardo sono sopravvissuti e vengono evocati oggi come un’esperienza, insieme personale e collettiva, da cui ripartire. 

ERWIN SCHRÖDINGER - DEDALO 2013

JOHN GRIBBIN
ERWIN SCHRÖDINGER
La vita, gli amori e la rivoluzione quantistica
Dedalo, 18/9/2013
collana "La scienza nuova"

La vita di Erwin Schrödinger, premio Nobel per la Fisica nel 1933, autore del famoso esperimento mentale in cui un gatto - vivo e morto allo stesso tempo rivela la natura paradossale della meccanica quantistica, merita davvero di essere raccontata. Nel 1906, quando Schrödinger fece il suo ingresso all'università, Einstein aveva già pubblicato i suoi articoli rivoluzionari sulla relatività, e una nuova generazione di scienziati, fra i quali Werner Heisenberg, Paul Dirac e Niels Bohr, stava per fare il suo ingresso nella storia. 
In questa biografia, John Gribbin ci conduce nel cuore della rivoluzione quantistica. Con maestria e garbo, ci narra la storia della vita incredibilmente affascinante e singolare di Schrödinger, fisico geniale e impenitente seduttore, che si presentò all'Università di Oxford, per un colloquio, con la moglie e l'amante. Il racconto della vita di Schrödinger e della sua celebre equazione d'onda quantistica permetterà ai lettori di immergersi in uno dei periodi più fertili e creativi dell'intera storia della scienza. 

KATRIN SIGURDARDOTTIR: COME NASCE UNA GRANDE OPERA SITE SPECIFIC - MUSEO DI VILLA CROCE, GENOVA 30/10/2013



KATRIN SIGURDARDOTTIR
COME NASCE UNA GRANDE OPERA SITE SPECIFIC
Museo d'Arte contemporanea di Villa Croce
via Jacopo Ruffini 3 - Genova
mercoledì 30 ottobre 2013, ore 18,00

Ilaria Bonacossa, curatrice del Padiglione islandese alla Biennale di Venezia 2013, intervista l'autrice sulla genesi e la realizzazione dell'opera, tuttora visitabile a Palazzo Zenobio. 

lunedì 28 ottobre 2013

DAVID SMITH: THE FORGINGS - GAGOSIAN GALLERY, NEW YORK



DAVID SMITH
THE FORGINGS
Gagosian Gallery
980 Madison Avenue - New York
29/10/2013 - 21/12/2013

It is a drawing line really. I would never have done that if I hadn't been interested in drawing lines...
—David Smith

Gagosian New York is pleased to announce an exhibition of David Smith’s Forgings, the groundbreaking series of industrially forged steel sculptures that the artist produced in 1955 and 1956. This is the ninth exhibition of Smith’s work to be presented by Gagosian in collaboration with the Estate of David Smith. Focusing on a pivotal aspect of Smith’s celebrated achievement, this is the first time that all ten 1955 Forgings have been on view together since 1956.
Smith was a pioneer of sculptural welding technique, with which he created a diverse body of work ranging from pure abstraction to evocative figurative constructions. His expansive identity, specific embrace of the modern industrial context for his art, as well as his synthesis of Modernist European influences, contributed to the broad understanding of Smith’s works as the sculptural counterpoints to Abstract Expressionist painting, and to his recognition as one of the preeminent sculptors of the twentieth century. With a particularly American combination of straightforward industry and individual expression, Smith’s Forgings give form to a crucial moment in the history of sculpture. Such works bridge the intense humanism and poetics of Alberto Giacometti and Constantin Brancusi to the industrial clarity and grandeur of Donald Judd and Richard Serra.
Smith saw drawing as the most immediate artistic expression, and he continued to paint throughout his life. In his sculpture, he took a direct approach to materials. Aligned with the painters of his time, Smith prioritized the authenticity of gesture and the visual experience of the observer. With the Forgings, he clearly and directly distilled the shared concerns of sculpture and drawing. During his time as a visiting artist at the University of Indiana, with the use of a power forge operated by LeRoy Borton at an industrial factory in Bloomington, Smith translated the spontaneity of a brushed line drawing into sculptural form, manipulating thin steel bars to achieve expressive vertical abstractions. To create the Forgings, he cut, plugged, flattened, pinched and bent each steel bar, later polishing, rusting, painting, lacquering or waxing its surface, but never compromising its vertical simplicity. The Forgings were unprecedented as works created solely through an industrial machined process, but were perhaps even more radical as pre-Minimalist forms intended to provoke discrete responses in each viewer. Each Forging is inscribed IND, alluding to Indiana, its place of origin and of Smith’s birth.
Also on view is a series of egg-ink works on paper produced in 1954 and 1955, leading up to the Forgings. Selected from Smith’s diverse, lifelong engagement with drawing, each depicts a sequence of vertical or horizontal brushstrokes, extensions of his pivotal sculptural reimaginings of the gestural line.
“David Smith: The Forgings” is accompanied by a fully illustrated catalogue with an essay by Hal Foster.
The exhibition was prepared in close collaboration with the Estate of David Smith.

David Smith was born in 1906 in Decatur, Indiana, and died in a car accident near Bennington, Vermont in 1965. Major exhibitions of his sculptures, paintings, and drawings have been presented worldwide, including solo retrospectives at Museum of Modern Art, New York (1957); Los Angeles County Museum of Art (1965–66); Rijksmuseum Kröller-Müller, Otterlo (1966, traveled to Tate Gallery, London; Kunsthalle Basel; Stadische Kunstsammlung, Nuremberg; Kunsthalle Nürnberg; and Lehmbruck Museum, Duisburg, through 1967); Solomon R. Guggenheim Museum, New York (1969, traveled to Dallas Museum of Fine Arts; and Corcoran Gallery, Washington, D.C.); Whitney Museum of American Art, New York (1979–80, traveled to Serpentine Gallery, London; and Detroit Institute of Art, through 1981); Hirshhorn Museum and Sculpture Garden, Washington, D.C. (1982–83, traveled to San Antonio Museum of Art); National Gallery of Art, Washington, D.C. (1982–83); Sezon Museum of Art, Tokyo (1994, traveled to Shizuoka Prefectural Museum of Art; Museum of Modern Art, Shiga; and Kawamura Memorial Museum of Art, Chiba); IVAM, Valencia (1996, traveled to Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía, Madrid); Storm King Art Center, Mountainville, New York (1997–99); and Tel Aviv Museum of Art (1999–2000). A centennial retrospective organized by the Solomon R. Guggenheim Museum, New York (2006) traveled to Centre Georges Pompidou, Paris; and Tate Modern, London (through 2007). “David Smith: Cubes and Anarchy,” a survey including sculpture, painting, drawing and photography and focusing on Smith’s exploration of geometric abstraction, was organized by Los Angeles County Museum of Art (2011) and traveled to Whitney Museum of American Art, New York; and Wexner Center for the Arts, Columbus (through 2012).

Image: DAVID SMITH, Forging VII, Forging VIII, and Forging VI (all 1955), Bolton Landing Dock, Lake George, New York © The Estate of David Smith/Licensed by VAGA, New York 

RAIMUND GIRKE - GALLERIA PECCOLO, LIVORNO



RAIMUND GIRKE
Galleria Roberto Peccolo
piazza della Repubblica 12 - Livorno
dal 19/10/2013 al 15/11/2013

Fin dagli inizi della sua attività pittorica, durante la metà degli anni ' 50, Girke abbandona gli stilemi informali allora in auge per concentrarsi sull'astrattismo e sulla ricerca attorno al bianco e alle innumerevoli variazioni a cui questo colore può dar luogo. Nei suoi quadri costituiti da pochi colori e assolutamente privi di riferimenti figurativi domina un gesto pittorico, ad intreccio, simile alla trama di una maglia che si evolve nel decennio seguente verso una ulteriore riduzione della scala cromatica che lo avvicina quasi al monocromo.
Nella seconda metà degli anni '70 torna ad una pittura dalla gestualità più raffreddata dove il bianco diviene l'unico colore. Ora è la luce, che il quadro cattura che è chiamata a diventarne parte costituente e a definire toni e opacità delle varie stesure del bianco.
Questa fase della pittura di Girke sarà testimoniata a "Documenta 6 " alla quale l'artista prenderà parte nel 1977. Durante gli anni '80 e '90 Girke riveste ufficialmente un ruolo di primo piano nell'ambiente artistico tedesco. Nel corso di questo ventennio nel suo lavoro si osservano delle novità: il bianco comincia a mischiarsi a varie tonalità di grigio e di azzurro. L'elemento gestuale si rafforza portando le pennellate ad intrecciarsi nuovamente tra loro ma restano invariati il sostanziale rigore dell'insieme e l'esiguità della scelta cromatica. Alcune delle opere presenti in questa mostra sono state da lui realizzate durante un soggiorno di vacanza-lavoro trascorso tra il 1988-1989 nel Monferrato.
Le opere di Raimund Girke sono state esposte in numerosi musei e i suoi lavori sono presenti in diverse collezioni pubbliche e private d' Europa e degli Stati Uniti.
Nel catalogo, edito per l'occasione dalla Galleria Peccolo, sono riprodotte le opere in mostra; il saggio introduttivo è di Claudio Cerritelli. 

CAROLEE SCHNEEMANN: THEN AND NOW - ANALOGUES 2013



CAROLEE SCHNEEMANN
THEN AND NOW
Œuvres d’histoire
Edité par Annabelle Ténèze
Textes de Annabelle Ténèze, Emilie Bouvard, Stéphane Aquin ; entretien avec Carolee Schneemann
Analogues, octobre 2013

Une relecture de l'œuvre de l'artiste pionnière de la performance et de la vidéo, connue pour ses recherches sur le corps, la sexualité, le genre et la place sociale de la femme, sous l'angle de son engagement vis-à-vis des grands évènements de l'actualité et du renouvellement de l'œuvre d'histoire.
Publié à l'occasion de l'exposition éponyme au Musée départemental d'art contemporain de Rochechouart, d'octobre à décembre 2013.
Artiste majeure de l'art américain et international Carolee Schneemann (née en 1939 à Fox Chase, Pennsylvanie) a pris part dès le tournant des années 1960 à l'effervescente scène artistique new-yorkaise. Son œuvre de peintre et sa participation aux premiers happenings s'inscrivent dans la mouvance néo-dadaïste et Fluxus. En 1964, sa performance de groupe Meat Joy est jouée à l'American Center à Paris, puis au Kinetic Theater à New York : cette mise en scène orgiaque et dionysiaque où des danseurs dénudés dansent avec des objets, de la peinture mais aussi de la viande ou des poulets, est un moment crucial pour le body art et la libération du corps et des mœurs. Éclaireuse d'une première génération revendicatrice pour l'art des femmes, Carolee Schneemann a également été le témoin attentif et engagé de l'actualité et des conflits de son époque, dont son œuvre a rendu compte à de nombreuses reprises, de Viet Flakes, appropriation et détournement des images de la guerre du Vietnam, sur un fond sonore fait déjà de collages musicaux (1965) à Terminal Velocity (2001), étonnant montage photographique qui résonne comme une nouvelle forme de peinture d'histoire, avec lequel Carolee Schneemann redonne une dure humanité à un fait historique dans le cadrage resserré autour de la chute des corps du haut des tours du World Trade pendant l'attentat du 11 septembre 2001, en passant par ses œuvres réalisées autour de la guerre du Liban dans les années 1980. La question de la diffusion médiatique des images d'actualité, remises en perspective avec Terminal Velocity, est également au cœur de plusieurs installations vidéographiques récentes de l'artiste, comme More Wrong Things (2001) ou Precarious (2009), où le spectateur est immergé dans le flux des projections et de leurs miroitements. 

PIERRE LEGUILLON: DUBUFFET TYPOGRAPHE - SIC 2013



PIERRE LEGUILLON
DUBUFFET TYPOGRAPHE
SIC, octobre 2013
collection "Soft Alphabet"

Livre d'artiste avec lequel Pierre Leguillon interroge l'usage de la lettre dans l'œuvre de Jean Dubuffet, et rend hommage au génie typographique de Dubuffet qui, à travers les livres et les lithographies, parachève visuellement son entreprise de destruction du langage.

À la lumière de l'obsession actuelle pour l'auto-promotion, la pratique de Jean Dubuffet (1901-1985) peut être comprise comme anticipant sur celle d'artistes tels que Jeff Koons ou Damien Hirst, l'artiste-marchand de vin témoignant d'un souci professionnel pour la promotion, la documentation et l'archivage de ses activités. L'approche de Leguillon suit ici un chemin en apparence marginal mais qui met au final en lumière des aspects peu connus de l'œuvre de Dubuffet, en l'occurrence ce que l'on pourrait dénommer son « génie » typographique. En voyageant entre archives publiques et privées telles que la Fondation Dubuffet à Paris, la Bibliothèque Kandinsky au Centre Pompidou ou l'IMEC à Caen, Leguillon a collecté une variété d'ephemera tels que des invitations, affiches, catalogues, livres d'artistes, flyers, carnets, ou pochettes de disques ; ces images ayant ensuite été ré-agencées de telle manière à produire une sorte de manuel de typographie. Leguillon montre ainsi comment Dubuffet « inventa, sur un mode qui paraît relever de la simple improvisation, une nouvelle manière d'écrire et de composer le texte. Il rejette ainsi la standardisation qu'impose les modes de production de l'imprimerie, ou ceux de la dactylographie à laquelle il s'était lui-même formé. À travers les livres et les lithographies, il s'attaque plus méticuleusement encore à saboter l'écriture dans sa forme, à la morceler, la distordre, parachevant visuellement son entreprise de destruction du langage ».

Publié dans le cadre du projet de Pierre Leguillon présenté au Carnegie International 2013 dédié à Jean Dubuffet

ANTONIO CAMPOSTANO - PALAZZO ROSSO, GENOVA



ANTONIO CAMPOSTANO
Palazzo Rosso
via Garibaldi 18 - Genova
dal 29/10/2013 al 30/11/2013

Nel quadro di GenovaFotografia, in occasione della mostra "Scatti d'industria", i Musei di Strada Nuova Palazzo Rosso e il Museo di Storia Naturale Giacomo Doria presentano una selezione esemplificativa della grande varieta' di immagini dell'archivio del fotografo genovese. I soggetti delle fotografie in mostra a Palazzo Rosso - stampate e sviluppate da Campostano in un arco di tempo che va dal 1901, anno della prima immagine, al 1950, e presentate nelle loro cornici originali - testimoniano l'abilita' di ritrattista del fotografo, l'amore per Genova, la passione per la montagna, l'affezione per il Brasile, terra d'origine della moglie. Le fotografie esposte al Museo di Storia Naturale documentano invece gli interessi naturalistici del personaggio, con scatti dedicati agli animali, tra i quali rivestono particolare interesse quelli effettuati all'istituto Batantan di San Paolo, in Brasile. Antonio Campostano (Genova 1877 - 1965) non pratico' la fotografia per professione, ma per passione: faceva parte di quella vasta schiera di ricchi amatori, dotati di sensibilita' culturale e artistica, adeguate conoscenze tecniche, che contribuirono nei primi decenni del 900 alla diffusione della fotografia. Il suo ricco archivio e' oggi conservato presso l'Archivio della Fondazione Ansaldo, insieme all'eccezionale raccolta delle attrezzature fotografiche (apparecchi, obiettivi, ingranditori, banchi ottici) da lui usate in oltre 50 anni di attivita'. 

domenica 27 ottobre 2013

VIENNA BERLIN - BERELINISCHE GALERIE, BERLIN



VIENNA BERLIN
The Art of Two Cities. From Schiele to Grosz
Berlinische Galerie
Alte Jakobstraße 124-128 - Berlin
24 October 2013 - 27 January 2014

In their first major themed exhibition together, the Berlinische Galerie and the Österreichische Galerie Belvedere will show key works of modern art from Vienna and Berlin ranging from the Secessions via Expressionism to New Objectivity. Masterpieces from both collections will combine with lesser-known specimens to create a panoramic insight into the vibrant exchange between these two metropolitan hubs in the early 20th century.
Much is already known about the links between these two cities in the fields of literature, theatre and music, but the dialogue between Vienna and Berlin around classical modernism in art has rarely been explored. This themed exhibition of some 200 works seeks to redress the oversight. It opens with the formation of the Secessions, whose champions turned their backs on academic style to negotiate new positions between art nouveau and late impressionism. The dawn of modernism is reflected on both sides in a quest for new tools of expression, but while the Berlin Secessionists around Max Liebermann took a growing interest in everyday reality and made a theme of the urban experience, Viennese artists around Gustav Klimt and Koloman Moser sought their style in ornamental forms, often associated with the language of symbolism. Nevertheless, it is evident from the many exhibitions of the day that there was a constant flow of exchange and that they were well aware of each other’s work.
In the 1910s, as a new generation of Expressionists emerged in the form of artists like Ernst Ludwig Kirchner, the Danubian capital was gradually ousted from its leadership role in the fine arts by its recent but aspiring German counterpart. Young Austrian artists such as Oskar Kokoschka and Egon Schiele stepped out of Klimt’s shadow, presenting their avant-garde work to a more open-minded yet critical audience in Berlin. Art dealers and essayists such as Paul Cassirer, Herwarth Walden and Karl Kraus were equally at home in the art communities of both cities and built a close network of contacts, enabling many artists to settle in Berlin, especially after the Great War.
With the post-war decline of the Danubian monarchy and the death of important artists like Egon Schiele and Gustav Klimt, the Viennese art world faded from international view during the 1920s and 1930s. While Dada, Verism and New Objectivity rigorously confronted new political and social realities in Berlin, such engagements were now rare in the Austrian capital.
At the same time, Vienna witnessed quite independent phenomena, such as kineticism with its utopian visions and avant-garde idiom. There were also some specifically Austrian interpretations of New Objectivity, largely but unjustly ignored in the past. While they reflect links with Berlin and the work of an Otto Dix or George Grosz, they are influenced just as much by the Viennese tradition of psychological art.
When Friedrich Kiesler organised his “International Exhibition of New Theatre Technology” in 1924, the Austrian capital once again became a magnet for the avant-garde. Finally, tribute is paid to exhibition organiser and art historian Hans Tietze, a historic figure almost unknown in Germany, whose call for “lively art history” inspired the exhibition “Vienna Berlin: The Art of Two Cities”.

Artists (selected)
Hans Baluschek, Max Beckmann, Otto Dix, George Grosz, Carry Hauser, Raoul Hausmann, Hannah Höch, Ernst-Ludwig Kirchner, Erika Giovanna Klien, Gustav Klimt, Oskar Kokoschka, Broncia Koller-Pinell, Max Liebermann, Jeanne Mammen, Ludwig Meidner, Koloman Moser, Max Oppenheimer, Emil Orlik, Christian Schad, Egon Schiele, Max Slevogt.
 

ALESSANDRO VERDI - GALLERIA BLU, MILANO



ALESSANDRO VERDI
Galleria Blu
via Senato 18 - Milano
dal 28/10/2013 al 17/1/2014

Dopo la personale del 2008 (“Corpo senza Corpo”, con testo in catalogo di Stefano Crespi) torna alla Galleria Blu di Milano Alessandro Verdi, artista bergamasco fra i più interessanti della sua generazione. In mostra questa volta i suoi quaderni dipinti ed un’accurata selezione di opere recenti, in cui la macchia (una “macchia umana” possiamo definirla citando Roth) caratterizza ogni sua immagine.

La macchia umana di Philip Roth (edito in Italia da Einaudi) è forza oscura, pulsione animale, inevitabilità genetica che non accetta fantasie di redenzione, e come tale è intrinseca, inerente, qualificante, esistente senza il segno o meglio prima del segno. Anche le macchie umane di Alessandro Verdi all’inizio precedono il segno, macchie Rorschach profonde e essenziali, non meno ancestrali e primordiali dell’altra, che emergono dall’inconscio nel paesaggio incontaminato della tela, dove salgono, scendono, si sciolgono, si protendono, si dividono, si moltiplicano e soprattutto si evolvono, prima di accogliere con purezza il segno e saldarsi a esso in embrioni, blastule, corpi, membra, forme, sembianti o negazioni di sembianti. Come la macchia di Roth, sono fatali ma «senza tristezza», ché anzi a volte stillano ironia e grazia quando si sdoppiano e rispecchiano, simili a cellule nelle cellule della tela, e sempre trasudano feroce vitalità, anche quando si codificano entro i confini di quaderni sfaldati in rosso, ricompattati in nero o impastati nei mattoni di un’attesa, benché sofferta, civiltà.
Con Alessandro Verdi, la Galleria Blu prosegue dunque la sua esplorazione della sottile trama che lega pittura a poesia, parola a tipo, convenzione a trasgressione, funzione a comunicazione, concetto a materia, nell’eterno caleidoscopio del gioco espressivo.

Alessandro Verdi è nato nel 1960 a Bergamo dove ha compiuto gli studi presso l’Accademia di Belle Arti. Giovanni Testori, che lo incontra nel 1985, lo presenterà nel 1987 nella prima mostra personale alla Compagnia del Disegno di Milano. Tra i momenti del suo percorso si segnalano la mostra nel 1998 a Dachau in Germania (con testi in catalogo di Marco Vallora e Lieselotte Wacker); l’antologica alla Casa dei Carraresi di Treviso nel 1998, con una monografia nelle edizioni Electa a cura di Marco Goldin; l’esposizione alla Fondazione Mudima di Milano nel 2001 (con scritti di Philippe Daverio, Lorand Hegyi e Gianluca Ranzi); la mostra ad Anversa (Belgio) alla Mudimadrie Galerie Gianluca Ranzi nel 2007, con testo di Achille Bonito Oliva, il quale nel 2009 curerà anche: “Alessandro Verdi – Navigare l’incertezza”, evento collaterale della 53. Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia; la mostra nel 2011 alla Galleria Melesi di Lecco. Nel 2012 espone alla Fondazione Mudima di Milano ed alla Halle Am Wasser dell'Hamburger Bahnhof di Berlino, con presentazione in catalogo di Gianluca Ranzi e Fredrik Foert e video realizzato da Irene Di Maggio e Raffaele Tamburri.

Immagine: Navigare l'incertezza, cm 78 x 212 

CHARLOTTE POSENENSKE: MANIFESTO - DISTANZ 2013



CHARLOTTE POSENENSKE
MANIFESTO
edited by Bernhard Brunn
Distanz
(October 25, 2013)

This book, Burkhard Brunn's commentary on the manifesto Charlotte Posenenske wrote in 1968, will help build a deeper understanding of her art. It goes hand in hand with Renate Wiehager's "Charlotte Posenenske," which devotes particular attention to the artist's objects, and the volume "Charlotte Posenenske--Die fruhen Jahre," which includes an essay by Philipp Kaiser about the minimalist conceptual artist's paintings. The three volumes lay the foundation for further reflections by experts; Daniel Marzona, Jorg Daur, Astrid Wege, and Stefanie Brauer have contributed essays to this book. Brunn's own expertise derives from his collaboration with the artist and the many posthumous exhibitions he organized as the trustee of her estate. 

CATHERINE ZUROMSKIS: THE FACTORY - FUNDACION BANCO SANTANDER 2013



CATHERINE ZUROMSKIS
THE FACTORY
Fundacion Banco Santander
(October 28, 2013)

It is a fascinating look at the evolution and influence of Andy Warhol's unique artistic community, "The Factory". Of the many ways in which Andy Warhol (1928-1987) influenced contemporary art, perhaps the most significant was the creation of his collaborative space, "The Factory". Established in 1962, "The Factory" was a studio space that also served as a focal point for social and cultural interactions between Warhol and a host of assistants, friends, lovers, artists and curious onlookers. "The Factory" generated not only paintings, but also films, sculpture, multimedia performances, and printed materials ranging from memories to movie star magazines. In the process, "The Factory" emerged as a vital community and a space for experimentation both cultural and social. "The Factory" examines the critical role that photography played in both documenting and realizing the flamboyant bohemian culture of this community. It includes the work of numerous professional and amateur photographers, "Factory" insiders and passing voyeurs, as well as the photographs of Warhol himself. 

SCATTI D'INDUSTRIA - PALAZZO DUCALE, GENOVA



SCATTI D'INDUSTRIA
160 anni di immagini dalla Fototeca Ansaldo
Palazzo Ducale - Munizioniere
piazza Matteotti 9 - Genova
dal 28/10/2013 al 30/11/2013

La Fondazione Ansaldo presenta “Scatti di industria. 160 anni di immagini dalla Fototeca Ansaldo”. Una grande mostra, presso il Palazzo Ducale di Genova (sala Munizioniere), dal 29 ottobre al 30 novembre 2013, testimonia la lunga stagione del “saper fare” industriale italiano.
Centinaia di immagini provenienti dalla Fototeca della Fondazione Ansaldo (custode di oltre 400 mila fotografie industriali), documentano centosessant’anni di importanti capacità progettuali e costruttive.

Nella mostra si trovano fotografie multimedializzate, gigantografate o esposte in originale che, a partire dalla metà del secolo XIX, illustrano il lavoro nelle officine, nei cantieri e nei porti;
il treno, il primo e più vistoso prodotto della rivoluzione industriale, simbolo e fattore di sviluppo economico e sociale;
la grande meccanica delle caldaie, delle turbine, degli apparati motore;
la produzione navale con al centro i maestosi transatlantici;
l’epopea dell’acciaio e della ciclopica attività siderurgica;
le mastodontiche centrali e gli impianti per l’elettrificazione e la modernizzazione del Paese;
la produzione bellica con corazzate, cannoni, aerei e carri armati;
le colonie e le gite sociali dei lavoratori negli anni Cinquanta;
il “miracolo economico” degli anni ’60 con l’automobile, il tempo libero e la trasformazione urbanistica;
l’irrompere dell’informatica e dell’automazione.

E ancora immagini sulle più diverse manifestazioni politiche e sindacali o su eventi, come ad esempio la Resistenza, che hanno segnato la storia d’ Italia.

La mostra suggerisce molti argomenti e li estende con suggestioni multimediali quali lavagne touch screen, torce, postazioni interattive video, ma anche con l’antico laboratorio fotografico di Antonio Campostano. Un patrimonio documentale che esce quindi dalle sale studio della Fondazione per essere conosciuto da un pubblico vasto e diversificato. 

sabato 26 ottobre 2013

LE SURRÉALISME ET L'OBJET - CENTRE POMPIDOU, PARIS



LE SURRÉALISME ET L'OBJET
commissaire: Didier Ottinger
Centre Pompidou
Place Georges-Pompidou – Paris
27 octobre 2013 - 3 mars 2014

Un second chapitre de l’histoire du surréalisme s’ouvre en 1927 avec l’engagement de ses membres les plus actifs (André Breton, Louis Aragon, Paul Éluard, Pierre Unik, Benjamin Péret) dans les rangs du Parti communiste français. En brandissant la bannière du surréalisme, Breton et ses amis avaient affirmé le projet d’un dépassement, d’une réinvention du réel. En 1924, le Manifeste fondateur du mouvement en appelait au « modèle intérieur », à un mépris du monde sensible que symbolisaient les yeux clos du personnage du Cerveau de l’enfant (1914) de Giorgio De Chirico. Le rêve, les puissances de l’inconscient inspiraient un automatisme graphique et scripturaire, une poésie « à toute vitesse » vouée à déborder, à affoler le réel.
L’engagement des surréalistes aux côtés des jeunes communistes de la revue Clarté et leur découverte de la biographie de Lénine de Léon Trotski avaient amorcé, dès 1925, une prise de conscience politique qui devait conduire à leur adhésion au Parti communiste français. Ce rapprochement impliquait la prise en compte d’un matérialisme, d’un réalisme qui constitue le fondement théorique, philosophique du communisme. Pour répondre à ce virage réaliste, Breton invite à la fondation d’une « physique de la poésie ». L’idéologie communiste, qui impliquait le rejet de la fétichisation marchande de l’oeuvre d’art, la suspicion à l’égard d’un « génie artistique » qui entérinait la division sociale du travail, dotait bientôt d’une signification « révolutionnaire » l’iconoclasme que le surréalisme avait hérité de Dada. L’objet, sur lequel allaient se cristalliser les réflexions du surréalisme militant, devait s’imposer comme la réponse à ce nouveau contexte philosophique et politique. Dix ans avant la fondation du surréalisme, en 1914, Giorgio De Chirico et Marcel Duchamp inventent deux objets appelés à connaître une fortune durable dans l’imaginaire plastique du mouvement. De Chirico peint son premier mannequin ; au rayon bricolage du Bazar de l’hôtel de ville, Duchamp fait l’acquisition d’un Porte-bouteilles qui deviendra son premier « ready-made ». Le Manifeste de 1924 présentera le mannequin comme un des objets les plus propices à provoquer le « merveilleux » surréaliste. De La Poupée (1933-1934) de Hans Bellmer aux mannequins qui borderont la « rue » de l’« Exposition internationale du surréalisme » de 1938, les figures de cire ou de plastique ponctueront les manifestations du surréalisme. Le Dictionnaire abrégé du Surréalisme, de 1938, reconnaîtra, lui, la place fondatrice qui revient aux ready-made de Duchamp dans l’invention de l’objet surréaliste.
S’ils relèvent du ready-made en ce qu’ils « recyclent » les objets du quotidien, les premiers objets surréalistes procèdent aussi du collage, du jeu du cadavre exquis pratiqué par les surréalistes depuis 1925.
André Thirion relate les circonstances de leur invention : « Dalí et moi essayions de trouver des points d’ancrage à partir desquels chaque surréaliste pourrait exercer son talent vers une direction commune, dans le cadre d’une discipline acceptée par tous. Une de mes préoccupations était d’éviter un dérapage de l’intérêt que nous portions à la psychanalyse, aux rapports du conscient et de l’inconscient, vers des affirmations philosophiques que nos adversaires qualifieraient d’idéalistes et qui donneraient de la consistance aux accusations de freudisme. […] Dalí proposa d’entreprendre la fabrication d’objets à fonctionnement symbolique. » La Boule suspendue d’Alberto Giacometti, découverte par Salvador Dalí et André Breton en 1930 à la galerie Pierre, constitue le prototype de ces nouveaux objets. Le peintre catalan en généralise les principes : « Ces objets, qui se prêtent à un minimum de fonctionnement mécanique, sont basés sur les fantasmes et représentations susceptibles d’être provoqués par la réalisation d’actes inconscients. » Pendant quelques années (jusqu’à sa rupture avec le surréalisme en 1935), Giacometti produira plusieurs de ces objets manipulables et ludiques.
Au début des années 1930, un faisceau d’événements conduit Hans Bellmer à mettre en chantier une Poupée articulée qui actualise la figure du mannequin surréaliste. À l’hiver 1932, la mère de l’artiste lui expédie une caisse contenant les jouets de son enfance : « Parmi les rêveuses dépouilles qu’enfermait la boîte merveilleuse, il y avait des poupées aux membres disjoints mêlées à d’indicibles vestiges. » Alors que Bellmer se rapproche de George Grosz, le peintre des automates dadaïstes, il découvre un opéra d’Offenbach mettant en scène les contes d’E.T.A. Hoffmann (L’Homme au sable), dans lequel apparaît la poupée Olympia. Jalon essentiel de la mannequinerie surréaliste, La Poupée de Bellmer est investie de la dimension érotique qui, du mythe de Pygmalion et du récit libertin de Bibiena (La Poupée, 1747) aux modernes poupées de silicone, est associée à ces effigies féminines. Ces mannequins activent le sentiment éminemment surréaliste d’« étrange étrangeté », inspiré à Sigmund Freud par la poupée du conte d’Hoffmann et qu’il théorise dans son ouvrage de 1919 (Das Unheimliche).
« L’Exposition surréaliste d’objets », présentée à la galerie Ratton en mai 1936, est vouée à la quintessence d’un surréalisme qui démontre sa capacité à transfigurer, à transmuter les objets et, par eux, le réel lui-même. Loin de tout savoir-faire, de tout « génie artistique », c’est la puissance de désignation surréaliste qui constitue l’objet de l’exposition. Point d’orgue de la réflexion surréaliste appliquée à l’objet, elle se place à l’apogée d’une courbe retraçant un processus de conceptualisation, d’affirmation, d’un surréalisme rendu à sa pureté à la fois poétique et théorique. Dans les vitrines, sur les murs, nulle trace (ou presque) du savoir-faire, du talent valorisé par l’esthétique « bourgeoise ». Ready-made sortis momentanément de leur anonymat fonctionnel, ces objets défient toute spéculation, tout fétichisme (à l’instar du Ceci n’est pas un morceau de fromage de René Magritte qui, à l’issue de l’exposition, est démembré, restituant la cloche à fromage à son usage premier).
Dans le communiqué de presse qu’il prend soin de rédiger pour l’exposition, Breton établit la taxinomie des objets exposés : « objets naturels, minéraux (cristaux contenant de l’eau plusieurs fois millénaire), végétaux (plantes carnivores), animaux (tamanoir, oeuf d’oepyornix), des objets naturels interprétés (un singe en fougère) ou incorporés à des sculptures, des objets perturbés (c’est-à-dire modifiés par des agents naturels, incendies, tempêtes, etc.) […] plusieurs objets venus de l’atelier de Picasso, qui prennent place, historiquement, avec les célèbres ready-made et ready-made aidés de Marcel Duchamp, également exposés. Enfin les objets dits sauvages, les plus beaux fétiches et masques américains et océaniens. […] Les objets mathématiques, surprenantes concrétisations des plus délicats problèmes de géométrie dans l’espace, et les objets trouvés et objets trouvés interprétés, nous conduisent aux objets surréalistes proprement dits. »
Cette liste annonce celle des objets qui composeront le « mur » qu’André Breton assemblera dans son atelier de la rue Fontaine après la Seconde Guerre mondiale. Comme le fera le « mur », l’exposition de la galerie Ratton « surréalise » les anciennes chambres des merveilles (Wunderkammern) et autres cabinets de curiosité. Monuments d’un savoir préscientifique, ils apparaissent à Breton comme les vestiges d’un temps durant lequel intuition poétique et connaissance rationnelle cohabitaient encore (une compatibilité que Breton verra à nouveau éclore dans les théories de la physique quantique). Parmi les objets alignés dans les vitrines, les « objets mathématiques » (ces modernes scientifica), découverts par Max Ernst à l’Institut Henri Poincaré, possèdent un statut exemplaire. Ils donnent une forme visible à des équations mathématiques complexes, illustrant, au plus haut point, la vocation des objets surréalistes à fonder une « physique de la poésie », à ancrer les idées dans le réel. Ils éclairent la nature d’objets trouvés surréalistes, concrétions de rêves et de désirs.
La démystification de l’oeuvre d’art et le projet d’inscription du surréalisme dans le monde concret, auxquels répond l’invention de l’objet, s’expriment aussi par une conquête de l’espace réel, par la mise en scène des expositions surréalistes qui annonce l’art de l’« Installation ». Marcel Duchamp, intronisé « Générateur arbitre » de l’« Exposition internationale du surréalisme » organisée en 1938 à la galerie des Beaux-Arts, conçoit le « décor », la « scénographie » de l’exposition, pour laquelle chacun de ses participants est invité à « habiller » un des seize mannequins qui bordent la rue surréaliste. La présence d’un automate « descendant authentique de Frankenstein », annoncée pour le vernissage, justifie la remarque d’un critique qui compare l’exposition à un « train-fantôme ».
Les menaces que la Seconde Guerre mondiale fait peser sur les surréalistes les conduisent à l’exil. La rupture que marque la guerre est à l’origine d’une évolution de la réflexion surréaliste appliquée à l’objet, qui devient le matériau élémentaire d’assemblages dont la logique constructive s’apparente toujours à celle des Cadavres exquis. Aux États-Unis, Max Ernst conçoit des créatures anthropomorphes en assemblant les moulages de plâtre de ses objets domestiques (bols, assiettes…). La rencontre d’Alexander Calder avec Joan Miró, en 1932, l’avait conduit à élargir son vocabulaire formel à un biomorphisme inspiré du monde végétal et animal. L’ensemble de sculptures qu’il réalise en 1935-1936, en assemblant des pièces de bois polies, évoque les oeuvres de Jean Arp, les objets de Miró.
Pablo Picasso apparaît comme un des protagonistes majeurs de cette sculpture d’assemblage avec laquelle s’identifie bientôt la plastique surréaliste. Dès 1912, il avait introduit dans ses oeuvres des objets puisés dans son environnement quotidien comme Composition à la chaise cannée. Le Verre d’absinthe, qu’il avait conçu en 1914, intégrait une cuiller réelle. Ce recours aux objets quotidiens devient significatif de l’oeuvre qu’il développe au début des années 1930, alors qu’il se rapproche du surréalisme. Sa Tête de taureau (1942) résulte de l’assemblage d’une selle et d’un guidon de vélo. Quelques années plus tard, la Vénus du gaz (1945) n’est plus qu’un brûleur de cuisinière placé en position verticale.
L’exposition « Le Surréalisme en 1947 », inaugurée en juillet à la galerie Maeght, reste fidèle au principe de dépassement de l’art qui avait donné naissance à l’objet surréaliste. Dans la préface du catalogue, André Breton évoque les « oeuvres poétiques et plastiques récentes », qui « disposent sur les esprits d’un pouvoir qui excède en tous sens celui de l’oeuvre d’art ». En 1947, ce pouvoir renvoie à la capacité de ces créations de constituer le ferment d’une mythologie nouvelle. Au coeur de l’exposition est aménagée une salle rassemblant des « autels », consacrés à « un être, une catégorie d’êtres ou un objet susceptible d’être doué de vie mythique ». Production de l’esprit, ces « psycho-objets » apparaissent comme les avatars exotériques des ready-made de Duchamp (qui réalise, une fois encore, l’« installation » de l’exposition de 1947, en fournissant les principes généraux d’une scénographie que réalise l’architecte Frederick Kiesler).
La huitième « Exposition inteRnatiOnale du Surréalisme » (ÉROS), organisée en 1959 à la galerie Daniel Cordier, est consacrée à la puissance inspiratrice la plus profonde, la plus permanente du surréalisme. Duchamp, qui déclarait vouloir ajouter l’érotisme à la liste des « ismes » du 20e siècle, imagine une porte « vaginale », un décor animé et olfactif : « patchouli à l’entrée, gradation de la finesse jusqu’au fond des dernières salles ». L’exposition embrasse une vaste chronologie, de la Boule suspendue de Giacometti et La Poupée de Bellmer, au Bed (1955) de Robert Rauschenberg et aux Cibles de Jasper Johns. Dans la « Crypte du fétichisme », conçue par Mimi Parent, sont présentés, dans des casiers muraux, des « fétiches » qui viennent rappeler que l’objet surréaliste est consubstantiellement lié à l’érotisme (depuis les objets à fonctionnement symbolique associés par Dalí aux fantasmes érotiques). La critique, qui rapproche l’exposition ÉROS du musée Grévin ou de la boîte de nuit, témoigne de la réussite de Duchamp qui souhaitait que l’exposition défie les lois de « l’accrochage ». Dans une salle de l’exposition, un groupe de mannequins rappelle le « Festin cannibale » conçu par Meret Oppenheim, célébré le jour de son vernissage.
Répondant à l’appel d’André Breton pour la fondation d’« une physique de la poésie », Joan Miró avait délaissé momentanément la peinture pour entreprendre, en 1929, une série de Constructions dans lesquelles Jacques Dupin a vu une entreprise de « mise en question d’un outil plastique trop facilement dominé, après les plongées dans les eaux troubles, les eaux mères de l’inconscient et du rêve ». Ces oeuvres tenaient à la fois du « collage » et du « ready-made » : « Il ne récolte pas les choses comme un esthète pressé de jouer avec elles, de les bousculer, de les soumettre à son caprice, ni pour les intégrer à une vision de constructeur, non, il les transplante, telles quelles, il les accueille sur sa terre labourée, son aire de jeu. » Leur appliquant un anthropomorphisme joyeusement instable et précaire, Miró renoue grâce à elles avec la légèreté ludique des Cadavres exquis.
Ce qui s’expose dans l’art d’aujourd’hui sous les auspices de l’objet relève des principes dont se réclamait l’objet surréaliste. Le jeu des mots et les images qui caractérisent le ready-made inspirent l’oeuvre d’Ed Ruscha. L’« inquiétante étrangeté » des mannequins continue de fasciner Paul McCarthy. Les « jeux » de La Poupée de Hans Bellmer se prolongent avec les Sex Toys de Cindy Sherman. Ce sont encore les psycho-objets surréalistes que Heim Steinbach pose sur ses consoles contemporaines. Philippe Mayaux fait proliférer les moulages anatomiques (Objet-dard et autres) de Marcel Duchamp. Théo Mercier réinvente le Cadavre exquis dans la boutique des souvenirs pour touristes. La verve iconoclaste et libertaire du surréalisme innerve la boutique de farces et attrapes d’Arnaud Labelle-Rojoux. L’énigme d’Isidore Ducasse multiplie ses sortilèges dans la prolifération des colis postaux de Mark Dion.

Didier Ottinger

Image: Meret Oppenheim: «Ma Gouvernante» (My Nurse), 1936 (detail). Moderna Museet, Stockholm © Adagp, Paris 2013 

GIOSETTA FIORONI: ARGENTO - GALLERIA NAZIONALE D'ARTE MODERNA, ROMA



GIOSETTA FIORONI
L'ARGENTO
a cura di Claire Gilman
GNAM Galleria Nazionale d'arte Moderna
viale delle Belle Arti 131 - Roma
dal 25/10/2013 al 26/1/2014

Giosetta Fioroni. L’argento, organizzata in collaborazione con il Drawing Center di New York – dove si è tenuta dal 4 Aprile al 2 Giugno 2013 - a cura di Claire Gilman, racconta il percorso di Giosetta Fioroni dagli esordi agli anni settanta attraverso più di ottanta disegni, dipinti, film, modelli teatrali, illustrazioni.
Le carte e i disegni preparatori , le grandi tele, i volti, gli sguardi, i bambini, le figure, sono realizzati tra il 1960 e il 1975 con smalti colorati e con l'Argento, un colore che all’epoca evocava l’algida perfezione degli oggetti industriali e ancora oggi proietta attorno a sé un’aura misteriosa, siderale, che attiene alla femminilità. Spesso associato alle proprietà mobili del mercurio, detto “argento vivo”, l’argento identifica l’opera di Giosetta Fioroni, che sceglie di differenziarsi dal tutto nero di Burri o dal bianco totale di Twombly. 

Nelle sale espositive della Galleria nazionale d’arte moderna, insieme a l'Argento si potrà visitare una piccola esposizione dedicata ai lavori in ceramica che l'artista ha realizzato nei lunghi anni di frequentazione della Bottega Gatti di Faenza.
La mostra intitolata Faïence (titolo ideato dalla soprintendente Maria Vittoria Marini Clarelli) e curata da Angelandreina Rorro, comprende una serie di Teatrini e un ampio gruppo di figure – chiamate Vestiti dall’artista - ispirate a eroine di libri amati: Ottilia, Agatha, Daisy Miller, Lulù, Komako e molte altre insieme ai nuovi e ultimi Vestiti realizzati nel 2013, come Un Cappuccetto Rosso Metafisico.

Giosetta Fioroni (Roma, 1932) è una delle più importanti artiste contemporanee. Ha avuto all’Accademia di Belle Arti come professori Giuseppe Capogrossi e Toti Scialoja, maestri importanti per la sua formazione. Come importante è stata l’amicizia con Afro e con Burri. Mentre, centro e riferimento per quegli anni è stata la Galleria Tartaruga di Plinio De Martiis a Roma, insieme a Mario Schifano, Tano Festa e Franco Angeli.
Giosetta Fioroni si cimenta con il linguaggio Pop, nella scelta di icone contestuali alla realtà urbana e mediatica. Molti ritratti che l’artista imprime su tela o su carta sono ripresi da fotografie, da giornali, da riviste, in un prelievo consapevole e vengono valorizzati attraverso l’uso di alluminio, argento e smalti. Il colore è steso sempre in maniera non omogenea, lasciando intravedere ciò che è stato celato e conferendo eccezionale vitalità alla materia pittorica. 

La mostra di Roma sarà accompagnata da un libro d'artista edito da Maurizio Corraini (Mantova) a cui l’artista è legata da antica amicizia e con il quale ha esposto più volte realizzando molti libri d’artista, tra i quali: Marionettista, Guido Ceronetti nell'alchimia figurativa di Giosetta Fioroni, Dossier Vado, Vita con Petote, Lettere ad amici scrittori, artisti e poeti, Diario di un incontro.
Il volume che sostituisce il catalogo delle mostre di Roma, sarà un libro d’immagini accompagnate dalle parole di alcuni scrittori, una sorta di diario del percorso artistico e del lavoro di una vita. 

MARIO INFELISE: I LIBRI PROIBITI - LATERZA 2013



MARIO INFELISE
I LIBRI PROIBITI
Da Gutemberg all'Encyclopedie
(nuova edizione; ed. or. 1999)
Laterza, 17/10/2013
collana "Economica Laterza"

Dalla sua invenzione a caratteri mobili alla metà del Quattrocento, la stampa rimase complessivamente libera solo per alcuni decenni. Presto la rapidissima diffusione della Riforma protestante spinse le autorità ecclesiastiche a sperimentare forme stabili di controllo. La censura cattolica in pieno Cinquecento ebbe pesanti conseguenze sulla cultura, soprattutto italiana, in particolare sullo sviluppo del pensiero scientifico, sulla letteratura e sulla diffusione della lettura in volgare. Nel Seicento furono i vari Stati assoluti a intensificare la loro azione, mentre la maggiore laicizzazione della società suscitò importanti trasformazioni. Il pubblico dei lettori fu sempre meno disposto a seguire le prescrizioni grazie anche a un fervido mercato clandestino e mise sempre più a dura prova la capacità di proibire, sino a quando, negli ultimi decenni del Settecento, la libertà di opinione e di espressione divenne uno dei principi cardine della civiltà contemporanea. 

STEFANO JOSSA: UN PAESE SENZA EROI - LATERZA 2013




STEFANO JOSSA
UN PAESE SENZA EROI
L'Italia da Jacopo Ortis a Montalbano
Laterza, 17/10/2013
collana "Saggi Laterza" 

Gli eroi dei romanzi sono spesso diventati eroi nazionali, col compito di rappresentare la comunità tutta all’insegna di un leggendario passato unificante, com’è accaduto a Robin Hood o a d’Artagnan. In Italia, invece, i personaggi letterari si sono sottratti a ogni tentativo di uso iconico e mitizzazione popolare. 
Eppure tutta la letteratura italiana tra Otto e Novecento è attraversata dalla riflessione sull’eroe e l’eroismo in una prospettiva nazionale. Le candidature non sono certo mancate: da Jacopo Ortis ed Ettore Fieramosca fino al partigiano Johnny e al commissario Montalbano, passando per Pinocchio, Gian Burrasca e Metello. Persino Mattia Pascal e Zeno Cosini. Nessuno di loro, però, è approdato allo statuto di eroe patriottico: perché? Perché l’Italia ha una debole storia nazionale o perché i protagonisti letterari del nostro paese hanno saputo resistere a ogni tentazione simbolica? Più realistici e moderni di quello che si pensa di solito, i personaggi italiani si riveleranno dotati di anticorpi che li hanno preservati da ogni forma di sacralizzazione.