lunedì 22 luglio 2013

F4 - LA FORMA DELLA FOTOGRAFIA - CASA DEI CARRARESI, TREVISO



F4 - LA FORMA DELLA FOTOGRAFIA
a cura di Carlo Sala
Casa dei Carraresi
via Palestro 35 - Treviso
dal 14/6/2013 al 14/8/2013

Parte la terza edizione di F4 / un’idea di Fotografia, il festival promosso da Fondazione Francesco Fabbri con un ampio programma di esposizioni, workshop e incontri con l’autore a Casa dei Carraresi a Treviso. Ad aprire il festival saranno le esposizioni Sguardi sul tempo. Percorsi nella fotografia d’autore e Venezia / L’eredità dei precursori, mostra personale di Francesco Jodice.
La prima rassegna, curata da Carlo Sala, proporrà oltre duecento lavori dalle origini del mezzo fino ai nostri giorni provenienti dalla collezione privata di Dionisio Gavagnin, finora rimasta inedita al pubblico. La selezione qui proposta è un percorso volto a raffigurare i cambiamenti culturali e sociali della storia tramite l’occhio privilegiato della fotografia con opere tra gli altri di Henri Cartier Bresson, Robert Capa, Candida Höfer, Robert Mapplethorpe, Félix Nadar, Man Ray, Thomas Ruff e Sebastião Salgado.
Ad aprire la prima esposizione un intenso dialogo tra alcuni dei maestri delle fotografia che in momenti differenti hanno raffigurato la condizione sociale dell’uomo: i ritratti l’alta borghesia di Félix Nadar si confronta con la volontà classificatoria che emerge nei volti della gente comune del tedesco August Sander, ma anche con le immagini patinate uscite dalle riviste di moda di Robert Mapplethorpe e Irving Penn.
Il Novecento si apre con la carica dirompente e sovversiva della avanguardie storiche: l’inconscio surrealista è testimoniato dalle distorsioni di André Kertész, i graffiti di Brassaï, le bambole di Hans Bellmer o i celebri ritratti “solarizzati” di Man Ray; ma anche l’antiaccademismo del movimento Dada con i collage di Raoul Hausmann o le visioni razionali del Bauhaus.
A continuare questo ideale percorso un’ampia sezione è dedicata alla fotografia sociale e documentaria con alcuni dei grandi maestri europei e americani. Autori che hanno lavorato in contesti al limite, dalle scene del Bronx a New York di Weegee ai vari fronti di guerra come lo sbarco dei tanks in Cina raccontato da Robert Capa negli anni Trenta o la Cipro descritta da Donald McCullin.
La fotografia è anche specchio del proprio tempo che narra eventi epocali: ecco apparire gli scatti realizzati dalla NASA l’11 luglio 1969 per celebrare lo sbarco sulla luna; ma anche fatti che hanno segnato le coscienze collettive come l’attentato al presidente Ronald Reagan colto da Sebastião Salgado e le scene di mafia della palermitana Letizia Battaglia. Un nucleo di lavori che sanno anche tracciare i tratti identitari dei luoghi e delle genti che li popolano, dall’America di Walker Evans, all’Italia di Mario Giacomelli fino alla Francia narrata da Robert Doisneau e Henri Cartier-Bresson.
La fotografia italiana è documentata come un mosaico di varie esperienze, partendo da una delle immagini simbolo del dopoguerra, “Il Tuffatore” di Nino Migliori. Un’Italia dai tanti volti che alterna immagini rurali alla Dolce Vita colta dal “paparazzo” Tazio Secchiaroli. Ma anche la stagione della mutata coscienza del paesaggio con Luigi Ghirri, Gabriele Basilico, Vincenzo Castella, Guido Guidi, Franco Fontana e Walter Niedermayr.
Una parte cospicua della mostra racconta delle ricerche degli anni settanta, con un rinnovato impegno linguistico che per alcuni si traduce con l’uso delle immagini di archivio come per Franco Vaccari e Mario Cresci, con i celebri “Ritratti reali”. Ma anche l’uso del corpo come forma di emancipazione e scardinamento degli assetti sociali con Vito Acconci, gli azionisti viennesi Hermann Nitsch, Günter Brus, e Arnulf Rainer, l’intimità di Gina Pane, fino ai lavori di Cindy Sherman con uno dei celebri camuffamenti della serie “Murder Mystery”.
Le tensioni delle contemporaneità appaiono sotto una pluralità di declinazioni come le analisi rigorose degli autori della scuola di Düsseldorf con i lavori di Thomas Ruff e Candida Höfer; ma anche le tensioni grottesche di Joel Peter Witkin e la forza simbolica di Andres Serrano. A concludere, le prospettive più attuali sull’arte italiana, specchio di un ibridazione culturale e sociale, testimoniata tra gli altri dai lavori di Vanessa Beecroft, Stefano Cagol, Silvia Camporesi e Alessadra Tesi.
A concludere il percorso a Casa dei Carraresi è la mostra personale di Francesco Jodice. L’esposizione, presenta un corpus di lavori inediti legati al quarto film del ciclo Citytellers che l’autore sta realizzando proprio sulla città lagunare.
Francesco Jodice, ricognitore dei fenomeni sociali e urbanistici, non si è confrontato con l’aspetto esteriore della città, ma ha mosso la sua indagine da un peculiare interrogativo: perché oltre mille anni fa è stata edificata una città proprio in un luogo così ostile? L’autore non ha potuto non lasciarsi attrarre da questa impresa costruttiva e politica che sembra infrangere le normali logiche e cautele.
Le immagini che ne emergono parlano dell’essenza attuale della città attraverso i suoi caratteri archetipali negandone una iconicità strettamente contemporanea del presente. Con un giro di parole potrebbero essere definite un “film in costume”, per porre una analisi profonda senza alcun intento celebrativo o nostalgico.
Stupisce una fotografia sospesa tra realtà e finzione che mostra la facciata di un palazzo veneziano. E’ il ritratto di un modellino trovato al Museo Fortuny che diviene imponente e nella sua “pesante” monumentalità esalta la perizia di averlo costruito sopra una serie di palafitte in legno. Un atto di ingegno, ma anche una dimostrazione di potere e forza per un’impresa che appare quasi impossibile: riuscire dal nulla ad edificare una città che in alcuni secoli diverrà una delle più popolose d’Europa e uno dei centri culturali ed economici più floridi del continente.
Ogni immagine esposta costituisce una narrazione corale, quasi costituisse singolarmente uno storytelling complesso. Se dal punto di vista compositivo ha una apparente semplicità semiotica, dischiude in realtà una complessità narrativa che volutamente viene appena accennata. L’intento è di stimolare lo spettatore a rapportarsi con le opere quasi per completarne l’indagine. Il fruitore posto di fronte all’immagine e agli spunti che la accompagnano è quasi costretto ad assumere una presa di posizione e completarla così con le proprie risposte.
A concludere la rassegna i tre film precedenti del progetto Citytellers: Sao Paulo_Citytellers (2006), Aral_Citytellers, Dubai_Citytellers (2010). I tre lavori costituiscono un vero e proprio ciclo di indagine sulle città del presente sotto una lente geopolitica.

Immagine: Lucien Clergue, Bambini gitani, Anni Cinquanta. Collezione Dionisio Gavagnin