mercoledì 31 luglio 2013

GIOVANNI ANSELMO - IL CONVENTINO, MONTECICCARDO



Memoriale dal Convento
GIOVANNI ANSELMO
a cura di Lodovico Pratesi
Centro per l'arte contemporanea Il Conventino
via Conventino 3 - Monteciccardo
dal 30 giugno all'1 settembre 2013

Il progetto Memoriale dal Convento giunge al suo settimo appuntamento, dopo aver realizzato sei mostre personali di protagonisti italiani dell’arte contemporanea internazionale, chiamati a confrontarsi con gli spazi intimi e rarefatti del Conventino: Enzo Cucchi, Ettore Spalletti, Mario Merz, Giulio Paolini, Jannis Kounellis ed Eliseo Mattiacci.
Concepito appositamente per gli spazi di Monteccicardo, il progetto riunisce una serie di sculture realizzate da Giovanni Anselmo tra gli anni Sessanta ed oggi, ispirate al rapporto tra l’uomo e la natura, la percezione e il linguaggio e le relazioni poetiche e concettuali dei materiali. “Le mie opere sono in funzione dell’energia: non rappresentare la realtà ma presentarla” afferma l’artista “Noi esseri umani siamo fatti di organico e inorganico, e così le mie opere”.
Anselmo ha scelto di creare un percorso cronologico all’interno del Conventino, che si apre con l’opera Direzione, emblematica della poetica dell’artista, come una sorta di introduzione all’evoluzione del suo lavoro. Si prosegue con l’installazione Il Sentiero verso Oltremare seguita dalle opere a parete Tut to e Particolare del lato in alto della prima I di Infinito, per terminare con l’opera Senza Titolo, dedicata alla trasparenza e alle tensione tra materiali diversi.
Come in occasione delle precedenti edizioni e con il contributo della casa editrice Silvana Editoriale, verrà realizzato un catalogo a documentazione della mostra.

Giovanni Anselmo è nato a Borgofranco d'Ivrea nel 1934.
Dopo aver sperimentato da autodidatta la pittura e la grafica si è dedicato a ricerche concettuali, mettendo in luce l'energia insita nella materia attraverso accostamenti di materiali e oggetti di valenza contraria (tecnologici e naturali, pesanti e leggeri, organici e inorganici), in modo da ottenere la massima tensione dal gioco dialettico e dal contrasto fra i diversi elementi.
Ha partecipato a importanti mostre e rassegne (Arte povera, 1967, Genova, galleria La Bertesca; varie edizioni della Biennale di Venezia e di Documenta di Kassel; Biennale di San Paolo del 1994; Arte italiana. Il visibile e l'invisibile, 1998, Tokyo, Museum of contemporary art; Minimalia. Da Balla a…, 1998, Roma, Palazzo delle esposizioni; Arte povera in collezione, Castello di Rivoli, Museo d'arte contemporanea, 2000-01; On line: drawing through the twentieth century, New York, Museum of modern art 2010).
Le sue opere sono conservate nelle più importanti collezioni internazionali.
Nel 1990 ha ottenuto il premio internazionale alla Biennale di Venezia.

Giovanni Anselmo, Il Sentiero verso Oltremare, 1992-2013 – foto Michele Alberto Sereni 

GABRIEL OROZCO: THINKING IN CIRCLES - THE FRUITMARKET GALLERY, EDINBURGH




GABRIEL OROZCO
THINKING IN CIRCLES
The Fruitmarket Gallery
45 Market Street - Edinburgh
1/8/2013 - 18/10/2013

Gabriel Orozco (born Jalapa, Veracruz, 1962) is one of the foremost international artists of our age. Rising to prominence in the early 1990s, he has developed a consistently innovative practice, making work which not only captures the imagination but also powerfully engages with key material and conceptual issues of what it is to make art.
This new exhibition takes the 2005 painting The Eye of Go as its starting point, and looks at how the circular geometric motif of this painting – part of a way of thinking for Orozco, a way to organise ideas of structure, organisation and perspective – migrates onto other work, recurring in other paintings, sculptures and photographs. A highlight of the exhibition is a series of large geometric works on acetate, made in the mid 1990s, yet never before exhibited. Rather than surveying the whole range of Orozco’s practice, the exhibition seeks to cut a conceptual slice through it, to look deeply into the mechanics of the artist’s thinking and working process. Not only does the exhibition propose a different view of Orozco’s major contribution to changes in art in the 90s but it brings to the fore the urgent problem of art’s ‘makeability’ now. 

ROBERTO DULIO: UN RITRATTO MONDANO - JOHAN & LEVI 2013



ROBERTO DULIO
UN RITRATTO MONDANO
Fotografie di Ghitta Carell
Johan & Levi, 27/6/2013
collana "Il punto"

Il volume ricostruisce le vicende biografiche e artistiche della fotografa Ghitta Carell (1899-1972), ebrea d’origine ungherese, che nel 1924 si trasferisce in Italia, dove in breve tempo sarà annoverata tra i più celebri ritrattisti. Con determinazione la Carell entra in contatto con l’aristocrazia, l’élite intellettuale e la classe politica italiane. Fotografa Maria José di Savoia e la famiglia reale; ritrae Margherita Sarfatti, critica d’arte e teorizzatrice del Novecento; realizza alcuni noti scatti di Benito Mussolini, con i quali consacra la propria notorietà e veicola una delle più ricorrenti – ancora oggi – immagini del Duce. Nel 1938 si scontra col dramma dell’antisemitismo e poi del conflitto bellico, mentre il dopoguerra la vede in lento declino.
La sua biografia, umana e artistica, si pone in maniera del tutto trasversale rispetto alle canoniche narrazioni della modernità. La sua attività di fotografa appare molto più raffinata e complessa di quanto le riduttive e banali etichette di “fotografa del potere”, piuttosto che “dell’anima” – cui spesso viene ricondotta – possano rivelare. Il lavoro di Ghitta Carell leviga una sintesi espressiva che salda, in accattivante dialettica, le tensioni e i contrasti tra avanguardie e tradizione che segnano il dibattito artistico dell’epoca fascista. Nell’acrobatica miscela figurativa della fotografa lievitano suggestioni desunte da contesti remoti, a volte antitetici, come la ritrattistica rinascimentale e barocca e il gusto glamour delle fotografie che consacrano il divismo degli attori d’oltreoceano. Il suo lavoro attende il risarcimento critico che l’alto livello della sua arte merita senza dubbio.

Roberto Dulio (1971) insegna Storia dell’architettura al Politecnico di Milano, si occupa della cultura architettonica moderna e contemporanea e dei suoi rapporti con l’arte e la fotografia. Tra i suoi libri: Giovanni Michelucci 1891-1990 (2006) e Introduzione a Bruno Zevi (2008).  

SILVIA MAZZUCCHELLI: OLTRE LO SPECCHIO - JOHAN & LEVI 2013



SILVIA MAZZUCCHELLI
OLTRE LO SPECCHIO
Claude Cahun e la pulsione fotografica
Johan & Levi, 27/6/2013
collana "Il punto"

Claude Cahun, artista, fotografa e scrittrice, vive nella Francia della prima metà del Novecento e nelle sue opere tratta principalmente i temi dell’omosessualità e delle sue origini ebraiche in un contesto sociale fortemente antisemita.
Il volume affronta per la prima volta il tema della pulsione iconoclasta di Claude Cahun, la sua tensione allo scardinamento e distruzione dei riferimenti culturali e sociali, che sta alla base di tutte le opere, letterarie e fotografiche, dell’artista.
Il percorso dell’autrice parte dalle origini ebraiche, intellettuali e alto-borghesi dell’artista per affrontare la negazione/distruzione da parte della Cahun del proprio nome di famiglia, abbandonato a favore della sua identità artistica. Il discorso si sposta successivamente sul processo di ricostruzione di una nuova identità incentrata sul rapporto omosessuale con Suzanne Malherbe (in arte Marcel Moore) e sui ritratti/autoritratti fotografici scattati dalla stessa Malherbe, nei quali, attraverso il travestimento, la Cahun procede a continue cancellazioni e reinvenzioni di sé.
Il lavoro sull’immagine e sull’identità risulta particolarmente significativo in un’artista di origini ebraiche, il cui riferimento culturale è un contesto aniconico e non figurativo.

Silvia Mazzucchelli è assegnista di ricerca in Critica letteraria e letterature comparate all’Università degli Studi di Bergamo. Ha pubblicato un saggio dal titolo Claude Cahun e Suzanne Malherbe: l’immaginario di un sodalizio (Sestante, 2012). Ha collaborato con le riviste Alfabeta2 e Nuova prosa e scrive per la rivista e casa editrice www.doppiozero.com. 

MARINA ROMITI: PAOLO POLI E LELE LUZZATI - MASCHIETTO 2013



MARINA ROMITI
PAOLO POLI E LELE LUZZATI
Il Novecento è il secolo nostro
Maschietto, 19/11/2012

Il libro racconta, presenta e dà voce a uno dei più amati protagonisti delle scene teatrali italiane ed europee degli ultimi 50 anni: Paolo Poli. L’autrice, la storica dell'arte Marina Romiti, alterna il racconto del lavoro e della vita del grande uomo di teatro con brani di conversazioni con Poli stesso, collocando il libro a metà strada tra la monografia artistica e l’intervista. Più che di intervista, in realtà, si tratta di un copione teatrale: i dialoghi riportati sono dei veri teatrini dove Poli si esibisce, si svela, si diverte e ci fa divertire, saltando da argomenti alti a battute facete. Filo conduttore di tutto il libro è la storia dell’arte, grande passione dell’attore (allievo di Roberto Longhi), e soprattutto il lungo rapporto artistico con lo scenografo e illustratore Lele Luzzati, scomparso nel 2007. Il libro, rilegato, in ampio formato e interamente a colori, è corredato da un apparato di fotografie di scena (spesso inedite) degli spettacoli di Poli con le scenografie di Luzzati che si rifanno a grandi opere del Novecento. Sono presentati inoltre bozzetti e manifesti realizzati da Luzzati per Poli, e venticinque sue illustrazioni tratte dalle serie dedicate a Pinocchio, alle poesie di Gozzano e ai Segni Zodiacali. Il volume uscirà a fine novembre 2012 e accompagnerà la tournée del nuovo spettacolo di Paolo Poli, Aquiloni. Firma la prefazione la giornalista Natalia Aspesi. 

JOAN JONAS - GALLERIA ALESSANDRA BONOMO, ROMA



JOAN JONAS
Galleria Alessandra Bonomo
Via del Gesù 62 - Roma
dal 27 maggio al 9 ottobre 2013

In questa personale, l’artista americana presenta i suoi ultimi disegni, immagini raffiguranti pesci e altri animali con inchiostro blu giapponese, immagini speculari di diversi colori e altri disegni ottenuti con l’uso del ghiaccio.
In occasione della mostra, l’artista trasformerà gli spazi della galleria con i suoi walldrawings, l’installazione dei disegni, le strutture metalliche luminose e i video.
Nata a New York, studente presso la Columbia University, fa parte dell’avanguardia artistica degli anni ‘70 con artisti quali Andy Warhol, Bruce Nauman, Lawrence Weiner e altri.
Nel suo percorso ha sperimentato linguaggi diversi fino ad approdare ad un’idea di arte come processo esplorando le infinite potenzialità dello spazio e del suono.
In seguito introduce il video nelle sue performance che, profondamente legate alle tematiche femministe, riesaminano il ruolo della donna in una dimensione universale.
La grande produzione dell’artista comprende performance, disegni, fotografie, video e oggetti; dagli anni Ottanta, introdurrà nel suo lavoro riferimenti alla mitologia e agli archetipi dalle saghe medievali e dai poeti islandesi in particolare, integrando il suo interesse per i miti e le fiabe a quello per gli studi antropologici dello storico e teorico dell’arte Aby Warburg.

Joan Jonas vive a lavora a New York e insegna al Massachusetts Institute of Technology (MIT). Tra le sue ultime mostre: Documenta(13) a Kassel nel 2012 con il progetto Reanimation (In a Meadow), Live your question now, presso il Mackintosh Museum, Glasgow; Off the Wall Part 1: Thirty Performative Actions, Whitney Museum of American Art, New York (2011). Performance 7: Mirage by Joan Jonas, Museum of Modern Art, New York, (2009). 

ELLEN GALLAGHER: DON'T AXE ME - NEW MUSEUM, NEW YORK



ELLEN GALLAGHER
DON'T AXE ME
organized by Gary Carrion-Murayari
New Museum
235 Bowery - New York
19 June – 15 September 2013

Opening this summer, the New Museum will present the first major New York museum exhibition of the work of Ellen Gallagher.
Spanning the past twenty years, “Don’t Axe Me” will provide one of the first opportunities to thoroughly examine the complex formal and thematic concerns of one of the most significant artists to emerge since the mid-1990s. The title of the exhibition, “Don’t Axe Me,” evokes her radical approach to image, text, and surface—drawing equally from modernism, mass culture, and social history. This focused survey at the New Museum will run concurrently with Gallagher’s exhibition at the Tate Modern, London (May 2013).
The exhibition traces the transformations, excavations, and accumulations of Gallagher’s practice through a number of her iconic paintings, drawings, prints, and film installations. A major new series of paintings will be presented alongside some of the artist’s most celebrated works. These include several of her early paintings, comprised of intricate drawings rendered on penmanship paper and collaged onto the surface of the canvas, as well as a selection of works on paper using watercolor, ink, cut paper, and other diverse materials. “Don’t Axe Me” will also feature the first New York presentation of Osedax (2010; made in collaboration with Edgar Cleijne)—an immersive environment consisting of 16mm film and painted slide projections inspired by a species of undersea worm that buries into the bones of whale carcasses.
The exhibition highlights the humor, historical depth, psychological complexity, and formal inventiveness inherent in Gallagher’s rich oeuvre.

Ellen Gallagher was born in 1965 in Providence, Rhode Island. She attended Oberlin College; SEA (Sea Education Association), Woods Hole, MA; Studio 70, Fort Thomas, KY; School of the Museum of Fine Arts, Boston; and Skowhegan School of Art, ME. Gallagher has had solo exhibitions and projects at a number of international institutions including the Institute of Contemporary Art, Boston (2001), Des Moines Art Center (2001), the Drawing Center, New York (2002), the Whitney Museum of American Art (2005), the Freud Museum, London (2005), Tate Liverpool (2007), and South London Gallery (2009). She has participated in a number of major group exhibitions including the 1995 and 2010 Whitney Biennials, SITE Santa Fe’s Fifth International Biennial (2004), and “La Triennale” at the Palais de Tokyo (2012). Gallagher lives and works in Rotterdam, the Netherlands, and New York. 

MARIA ANTONIETTA BREDA: IL TEMPIO DELLA NOTTE - OLSCHKI 2013

MARIA ANTONIETTA BREDA
IL TEMPIO DELLA NOTTE
Architettura ipogea nei giardini paesaggistici
Olschki, 2012
collana "Giardini e paesaggio"

Proposito dell’autrice è di far conoscere due Templi della Notte realizzati nei primi decenni dell’Ottocento, ancora oggi esistenti in Lombardia, e di indagare e svelare i caratteri di questa affascinante architettura del giardino paesaggistico europeo.
Il primo Tempio, già noto ai cultori della materia ma mai studiato, fu costruito dentro una delle grotte artificiali del parco paesaggistico del Conte Ambrogio Uboldo a Cernusco sul Naviglio, il secondo, sconosciuto e scoperto per caso, fu realizzato trasformando una ghiacciaia e costruendo attorno ad essa una grotta artificiale nel parco paesaggistico di Villa Batthyany presso Gorla.
I due ipogei sono stati esplorati, rilevati e studiati adottando tecniche speleologiche e rifacendosi al metodo proposto dall’Archeologia del sottosuolo.
Il libro riporta i risultati derivanti dalla ricerca sul campo e dallo studio di documenti d’archivio e della letteratura.
Completano l’opera scritti e incisioni d’epoca relativi alla costruzione delle grotte artificiali e al Tempio della Notte di Scönau a cui guardano i due casi lombardi.

Maria Antonietta Breda, classe 1960, è ricercatrice e docente di Storia dell’Architettura presso il Politecnico di Milano. Ha dedicato e dedica la sua attività di ricerca ai temi della conoscenza e valorizzazione del patrimonio architettonico, in particolare di giardini storici, di paesaggio e di architetture sotterranee antiche e moderne. Con l’Associazione Speleologia Cavità Artificiali Milano ha tenuto seminari sulle Cavità Artificiali presso università italiane e partecipato a congressi nazionali e internazionali. Ha condotto ricerche a Bolsena, Colico, Milano, San Cosimato, Triora. è co-responsabile della collana Hypogean Archaeology dei British Archeological Reports di Oxford, diretta dalla Federazione Nazionale Cavità Artificiali.  

GIACOMO LORENZINI - CRISTINA NALI: IL PINO DOMESTICO - OLSCHKI 2013

GIACOMO LORENZINI - CRISTINA NALI
IL PINO DOMESTICO
Elementi storici e botanici di una preziosa realtà del paesaggio mediterraneo
Olschki, 2013
collana "Giardini e paesaggio"

Il pino domestico ci parla di una lunga storia mediterranea, ci ricorda un passato glorioso sulle terre e sui mari, ci collega con antiche civiltà; è frequente presenza nella letteratura, nelle arti decorative, nei miti, nella quotidianità.
È pianta capace di vivere nelle condizioni più ingrate, simbolo di ‘toscanità’, secondo solo, forse, al cipresso.
Occuparsi di questa specie multifunzionale significa interagire con un universo che comprende aspetti paesaggistici, ma anche economici e produttivi, implica confrontarsi con il passato dei nostri luoghi, con le loro consuetudini, con la loro tradizione alimentare.
Le condizioni dei nostri boschi sono però profondamente mutate: fattori di ordine economico, sociale, ambientale e biologico hanno sconvolto gli antichi equilibri e oggi è difficile continuare a pensare alle pinete nei termini ai quali eravamo abituati alcuni decenni fa: i conti economici non tornano e si rischiano fenomeni di abbandono, peraltro già in atto.
Si intravedono dunque nuovi ruoli per la pineta, non più come fonte di ricchezza, ma, soprattutto, di arricchimento ambientale e paesaggistico.

Giacomo Lorenzini è docente di Patologia forestale urbana all’Università di Pisa, ove ha presieduto corsi di studio sulla gestione del verde urbano e del paesaggio e ha diretto il Centro Interdipartimentale di Ricerche Agro-ambientali; da tempo si occupa prevalentemente delle interazioni tra piante e inquinanti dell’aria.

Cristina Nali è docente di Valutazione della stabilità degli alberi e diagnostica per immagini e Difesa delle piante medicinali all’Università di Pisa. La sua attività scientifica coinvolge vari aspetti della Patologia vegetale con particolare riguardo alle interazioni tra piante e stress abiotici.  

DIALOGHI FRA L'UOMO E LA TERRA: OMAGGIO AD ANTONIA CAMPI - TORRE DEI DOGANIERI, SESTRI LEVANTE



DIALOGHI FRA L'UOMO E LA TERRA
OMAGGIO AD ANTONIA CAMPI
Torre dei Doganieri - Sestri Levante
dal 31 luglio al 1 settembre 2013

La mostra presenta gli esiti delle collaborazioni di Antonia Campi in questi ultimi 3 anni: tre nuove collezioni a “quattro” o “sei” mani realizzate con i ceramisti Alfredo Gioventù e Daniela Mangini a Sestri levante, con Antonella Ravagli e con lo studio Elica di Pastore&Bovina a Faenza grazie ad una intuizione di Anty Pansera.
Le tre collezioni, presentate per la prima volta nel novembre 2011 presso il Midec, Museo Internazionale del Design Ceramico di Laveno in occasione dei 90 anni di Antonia Campi, sono state inserite successivamente in prestigiose mostre sul lavoro della designer: “Geometrie Impossibili” presso la Galleria del Credito Valtellinese a Sondrio ed il Museo Diocesano di Milano, “Dialoghi” presso lo Studio Battaglia in occasione della manifestazione internazionale Argillà 2012 a Faenza, “Antonia Campi, l’estro armonico” a Siena e presso il museo di Montelupo Fiorentino a cura dell’associazione L’Arte dei Vasai della Nobile Contrada del Nicchio.
L’incontro con Antonia Campi ed Anty Pansera: “Passo a Sei” dialogo sul ruolo della donna, ed in particolare di Antonia Campi, nel design e nella produzione ceramica industriale ed artigianale nel ’900 e presentazione delle nuove collezioni in mostra.
Con la presenza di Carlo Pizzichini per l’Arte dei Vasai della Nobile Contrada del Nicchio, Sergio Noberini curatore del Museo Luzzati, Antonella Ravagli e Alfredo Gioventù.

Antonia Campi. Artista e scultrice per formazione, è approdata al design attraverso la Società Ceramica Italiana di Laveno, dove era entrata come operaia nel 1947 e di cui divenne direttore artistico negli anni sessanta. Nella manifattura all’epoca diretta da Guido Andlovitz, “Neto” Campi era entrata, giovanissima, dopo aver frequentato i corsi dell’Accademia di Brera, dove si è diplomata in scultura con Francesco Messina. Prima donna dirigente in Italia, succeduta nel 1962 a Andlovitz nella direzione della Sci, dal 1971 dirige il Centro Artistico unificato della SCI e della Richard – Ginori e in seguito il Centro Design della Pozzi – Ginori. In questo ruolo assume il compito di seguire l’intera produzione dell’azienda, dai servizi da tè e caffè, vasi, piatti, soprammobili ai sanitari e alla rubinetteria. Nel 2011 è stata insignita del Compasso d’Oro alla carriera per il progetto di utensili ancora oggi esposti al MoMa di New York. Con lei, anche il bagno diventa uno spazio da vivere e non solo da utilizzare. Ecco i sanitari che sembrano creature dei boschi, che vivono di colori e forme nuove, che abbandonano quell’asettico e alla fine noioso rigore che li imbalsamava da sempre. Poi l’attenzione ai colori, con le celebri creazioni in bianco e blu dove i due toni divengono fantasmagoria di geometrie. Un’inesauribile forza creativa e la necessità di soddisfare anche le esigenze produttive e le richieste commerciali dell’azienda, istanze cui la designer è sempre stata molto sensibile e che spiegano come alcune forme modernissime, proposte con smalti e accostamenti accesi e insoliti, siano anche presentate con decori di aspetto più convenzionale e “rassicurante”, più facilmente accettabile da un pubblico borghese di gusto tradizionale. A novant’anni, Neto continua a sfornare opere bellissime, di giorno in giorno sempre più personali, ad indicare una creatività sempre più libera, ariosa, felice. Non più legata alla produzione di oggetti d’uso, progettazione che l’ha coinvolta lungo tutta la carriera professionale, oggi l’artista è libera da ogni vincolo e necessità. 

lunedì 29 luglio 2013

TIZIANO: VENEZIA E IL PAPA BORGIA - PALAZZO COSMO, PIEVE DI CADORE



TIZIANO
VENEZIA E IL PAPA BORGIA
A cura di Bernard Aikema
Palazzo Cosmo
via Arsenale 15 - Pieve di Cadore
dal 28/6/2013 al 6/10/2013

La si potrebbe definire una mostra dossier, una mostra indagine, una potente lente di ingrandimento attraverso la quale il pubblico potrà penetrare nei diversi aspetti storici, stilistici, compositivi, iconografici di un’opera chiave degli inizi della carriera di Tiziano.
Un modo affascinante e insolito di cogliere i significati e i processi creativi che stanno “dietro” e “dentro” un capolavoro. La mostra “Tiziano, Venezia e il papa Borgia”, che la Fondazione Centro Studi Tiziano e Cadore promuove dal 29 giugno al 6 ottobre in occasione dei suoi primi dieci anni d’attività, insieme al paese natale del grande artista Pieve di Cadore e alla Magnifica Comunità del Cadore - curata da Bernard Aikema e organizzata da Villaggio Globale International - vuole esser il racconto, assolutamente inedito, di quella notissima e fondamentale opera, conservata al Museum voor Schone Kunsten di Anversa, in cui Tiziano dipinge “Il vescovo Jacopo Pesaro e papa Alessandro VI davanti a San Pietro”. Un’opera che ora si conosce meglio, grazie alla recente pulitura e alle preliminari indagini e che – dopo tanti tentativi compiuti negli anni passati – è prestata in Italia per la prima volta solo in occasione degli eventi tizianeschi di questa stagione. Ogni capolavoro del Maestro è un caso a sé, ha una sua storia, dei suoi riferimenti iconografici, degli obiettivi programmatici; condensa memorie, esplora nuove vie, rivela maturazioni e pensieri in divenire, manifesta gusti, tendenze, volontà ma anche relazioni, incontri, dinamiche politiche e commerciali. E’ il segno di un’epoca e del percorso artistico intrapreso. La tela commissionata da Jacopo Pesaro al giovane Vecellio non è da meno e la mostra offre l’occasione, attraverso una decina di opere di puntuale riferimento e di confronto - dipinti, disegni e silografie, gemme e armature, documenti preziosi – non solo di riconsiderare lo stile e la datazione del quadro di Anversa, oggetto spesso di travisamenti e di svariate ipotesi, ma anche di esaminare più da vicino gli avvenimenti che ne circondarono la commissione. Molti particolari sono stati trascurati o male interpretati mentre il suo oggetto preciso e le cerimonie che lo hanno ispirato non sono stati analizzati a fondo. Se dunque l’opera in passato era stata considerata addirittura come la più antica realizzata da Tiziano e si era anche ipotizzato che il quadro fosse stato dipinto in diverse fasi o, magari, iniziato da Bellini e ultimato da Tiziano - considerata la presunta discrepanza qualitativa tra la figura di San Pietro e quella degli altri due personaggi - gli esami eseguiti hanno dimostrato che la tela è stata prodotta in un’unica soluzione ed è paragonabile, sotto il profilo tecnico e dei materiali, alle opere di Tiziano del 1510 – 1514 circa: eseguita su una fitta tela ad armatura semplice, con il supporto coperto da un sottile strato di gesso sul quale Tiziano ha abbozzato la composizione con il carboncino. Le apparenti differenze nella resa non sarebbero per altro dovute a una molteplicità di mani o di fasi esecutive ma ad uno stato di conservazione piuttosto altalenante: se il volto di Jacopo è ben conservato quello di San Pietro è piuttosto abraso.
Risulta per altro evidente la maggiore evoluzione rispetto al grande telero della “Fuga in Egitto dell’Ermitage, recentemente esposto a Venezia, e soprattutto sarà di grande suggestione notare in mostra le affinità con un’altra straordinaria opera di Tiziano, esposta a confronto, come “Tobiolo e l’Angelo”, eseguito per la famiglia Bembo già in Santa Caterina a Venezia (ora alla Gallerie dell’Accademia), che ripropone una analoga ripartizione chiaro - scuro. Le suggestioni e i rimandi offerti dall’esposizione sono del resto molteplici.
Jacopo Pesaro commissiona a Tiziano l’opera per celebrare e ricordare la sua “vana” vittoria sui Turchi a capo delle galere pontificie, avvenuta nel 1502 con la conquista dell’isola di San Maura. Probabilmente lo decide alcuni anni dopo l’evento e in ogni modo il quadro non è un ex voto commissionato per mantenere una promessa, non ha una funzione ufficiale né è destinato a rimanere in uno spazio pubblico, come sarà invece per la famosa “Pala Pesaro” richiesta sempre a Tiziano nel 1519 (e ultimata nel 1526) per l’altare della Chiesa dei Frari. Il fatto è che, genialmente, Tiziano fonde insieme immagini della tradizione veneziana tratte dalla monete e dai teleri votivi con lo scopo di proiettare Jacopo in un ruolo al di sopra della sua effettiva posizione nella società veneziana, richiamandosi all’iconografia dogale. La presenza in mostra del dipinto di Vincenzo Catena “Madonna col Bambino e i Santi Marco e Giovanni Battista, e il doge Leonardo Loredan” commissionato da Loredan come immagine votiva da donare per Palazzo Ducale - opera probabilmente nota sia a Tiziano che a Pesaro - esplicita questi riferimenti, pur nell’arretratezza psicologica dei personaggi di Catena.
D’altra parte la grandezza di Tiziano e la ragione della dicotomia visiva tra la rigidità arcaica del Santo e l’atteggiamento più naturalistico di Jacopo e del papa sta proprio nel voler fondere una sequenza narrativa – la benedizione dello stendardo militare dei Pesaro effettivamente avvenuta – con la tradizionale iconografia devozionale. Nel quadro di Anversa metà dello sfondo è occupato dalla galere papali che non sono impegnate nella battaglia ma sono in partenza. Non si commemora la vittoria ma la benedizione messa in risalto dal drappo d’onore che esalta il rosso vivo della tunica di San Pietro, bilanciando l’espandersi dei voluminosi panneggi delle vesti dei due supplicanti che presentano il vessillo. L’attenzione del visitatore della mostra - che potrà davvero leggere a trecentosessanta gradi il capolavoro della fase giovanile di Tiziano, grazie anche a un apparato multimediale di notevole forza esplicativa ed emotiva - viene indirizzata anche su altri particolari non meno significativi grazie alle opere scelte come riferimenti testuali o di suggestione. Basti pensare all’elmo posto a fianco di Pesaro e reso magistralmente da Tiziano, che sta a sottolineare la posizione di commissario della flotta papale di Jacopo: si tratta di una “celata” dalla lunga gronda posteriore, analoga a quella esposta in mostra, diffusa in tutta l’Italia settentrionale tra la fine del XV secolo e l’inizio del XVI . Straordinario poi quel podio marmoreo a più livelli su cui troneggia San Pietro, un bassorilievo che è un’invenzione all’antica, per chiarire e commentare il tema principale del dipinto (si allude alla vittoria di Santa Maura nel più ampio contesto del trionfo della Chiesa sul Paganesimo) laddove Tiziano rende monumentali le proprie figure infondendovi la tridimensionalità dei sarcofagi antichi.
“La gamma monocromatica applicata con pennellate fluide e granulose imita la superficie del marmo corroso dal tempo - scrive la Brown - senza però copiare nessuna opera nota”. Probabilmente la passione per l’antico era condivisa con Pesaro che era stato maestro di cerimonie presso Domenico Grimani, vescovo di Pafo prima di lui, il quale possedeva una collezione antiquaria romana straordinaria, ma anche cammei, corniole gemme intagliate d’ogni tipo. Il fregio di Tiziano dimostra che egli conosceva bene le immagini di satiri e menadi che apparivano sulle gemme così come la Venere victrix seminuda e vista di spalle con un cumolo di armature ai suoi piedi: la bellissima “gemma” del I e II secolo d.C., esposta insieme al “cammeo con scena di Baccanale”, ne è un chiaro riferimento così come lo possono essere le menadi semi drappeggiate e viste da tergo che appaiono su un antico “altare cilindrico” romano ben noto nel Veneto a metà del Quattrocento, proveniente probabilmente da una località vicino a Padova dato che due delle menadi danzanti erano state copiate anche da Bellini. D’altra parte, qualunque sia il riferimento cui guarda Tiziano, la graziosa giovane che il Maestro dipinge con il braccio sinistro alzato viene riproposta sotto le spoglie della Sibilla Eritrea in una notevole silografia di Tiziano, il “Trionfo di Cristo”, prestata dal Museo di Bassano del Grappa. La tela di Anversa probabilmente era un oggetto squisitamente privato collocato nel palazzo di famiglia a differenza della grandiosa pala dei Frari nessun autore o documento cinquecentesco accenna mai alla commissione . Il primissimo ricordo del quadro è un rapido schizzo nel “Taccuino italiano” di Antony van Dyck che nel 1622 aveva trascorso due mesi a Venezia per studio e per trovare opere pittoriche da esportare in Inghilterra. Tra i luoghi che aveva visitato e dove aveva visto le “cose di Tiziano” figura l’abitazione di Daniel Nys un collezionista e mercante fiammingo che potrebbe aver trattato la vendita del quadro a Carlo I d’Inghilterra non molto tempo dopo. Non si conoscono i motivi della vendita, forse una diretta conseguenza dei progetti della famiglia Pesaro di costruire un magnifico nuovo palazzo sul Canal Grande. In ogni modo nel 1639 la tela risultava appesa nelle stanze private del re d’Inghilterra nel palazzo di Whitehall. Dopo la decapitazione del sovrano nel 1649, le proprietà personali furono vendute per saldarne i debiti colossali. Messo all’asta a Somerset House, c’è chi ritiene che il dipinto di Tiziano sia stato acquistato dal capo vetraio delle residen- ze del sovrano, quindi entrato nelle collezioni del duca di Medina di Risecco e ammiraglio di Castiglia. Verrà acquistato a Parigi da Guglielmo I d’Olanda e donato nel 1823 al Museo d’Anversa. La mostra sarà accompagnata da un volume edito da Fondazione Fratelli Alinari a cura di Bernard Aikema che, come l’esposizione, vuole essere un intenso racconto che integra saggi e note sulle opere e sulle loro relazioni con il fondamentale dipinto di Anversa. Autori dei testi: Beverly L. Brown, Hélène Dubois, Arie Wallert, Peter Laudemann, Paola Artoni , Sandra Rossi, Thomas Dalla Costa e Carlo Corsato.  

GIANNI PETTENA: FORGIVEN BY NATURE - UTAH MUSEUM OF CONTEMPORARY ART, SALT LAKE CITY


GIANNI PETTENA
FORGIVEN BY NATURE
Utah Museum of Contemporary Art
20 S West Temple - Salt Lake City
5/7/2013 - 21/9/2013

The Radical Architecture Movement ushered in a new wave of imagining the role of the architect and the possibilities of the built environment. Responding to the ever-systematizing structures of Modernist Architecture, the Radical Architecture Movement denoted a critique that included utopian and often dystopian possibilities. From the beginning, Gianni Pettena’s practice aimed to better understand how architecture ultimately succumbs to the powers of nature, and he developed strategies that embraced such forces.
In 1972, Pettena was invited by Bob Bliss to teach at the University of Utah. While in Salt Lake City, Pettena encountered a landscape that represented the application of philosophies he was developing, which is evident in his most iconic work produced—The Salt Lake Trilogy (1972)—a series that includes Clay House, Tumbleweeds Catcher and Siege (A Red Line).

Gianni Pettena: Forgiven by Nature looks at how the artist has established his particular style of engaging with the landscape through tensions between man and nature. Early film, documentation, spatial interventions, photographs, drawings, and archival materials make up the presentation at UMOCA.
Pettena has also produced several on-site installations including Human Wall and Human Space, as well as a new version of The Absence of Bodies (Laundry) (1969/2013). In the context of the Utah Biennial, his iconic Tumbleweeds Catcher sits as the centerpiece of the exhibition.

Image courtesy of the artist and Galleria Enrico Fornello, Milan 


KATHARINE CONLEY: SURREALIST GHOSTLINESS - UNIVERSITY OF NEBRASKA PRESS 2013



KATHARINE CONLEY
SURREALIST GHOSTLINESS
University of Nebraska Press
(July 1, 2013)

In this study of surrealism and ghostliness, Katharine Conley provides a new, unifying theory of surrealist art and thought based on history and the paradigm of puns and anamorphosis. In Surrealist Ghostliness, Conley discusses surrealism as a movement haunted by the experience of World War I and the repressed ghost of spiritualism. From the perspective of surrealist automatism, this double haunting produced a unifying paradigm of textual and visual puns that both pervades surrealist thought and art and commemorates the surrealists response to the Freudian unconscious. Extending the gothic imagination inherited from the eighteenth century, the surrealists inaugurated the psychological century with an exploration of ghostliness through doubles, puns, and anamorphosis, revealing through visual activation the underlying coexistence of realities as opposed as life and death.
Surrealist Ghostliness explores examples of surrealist ghostliness in film, photography, painting, sculpture, and installation art from the 1920s through the 1990s by artists from Europe and North America from the center to the periphery of the surrealist movement. Works by Man Ray, Claude Cahun, Brassaï and Salvador Dalí, Lee Miller, Dorothea Tanning, Francesca Woodman, Pierre Alechinsky, and Susan Hiller illuminate the surrealist ghostliness that pervades the twentieth-century arts and compellingly unifies the century s most influential yet disparate avant-garde movement.

Katharine Conley is dean of the Faculty of Arts and Sciences at the College of William & Mary and a professor of French and francophone studies and the Edward Tuck Professor of French and Comparative Literature, Emerita at Dartmouth College. The recipient of numerous awards and fellowships, she is the author of several books, including Robert Desnos, Surrealism, and the Marvelous in Everyday Life (Nebraska, 2003) and Automatic Woman: The Representation of Woman in Surrealism (Nebraska, 1996). 

MATTHEW ISRAEL: KILL FOR PEACE - UNIVERSITY F TEXAS PRESS 2013



MATTHEW ISRAEL
KILL FOR PEACE
American Artists Against the Vietnam War
University of Texas Press
(July 15, 2013)

The Vietnam War (1964–1975) divided American society like no other war of the twentieth century, and some of the most memorable American art and art-related activism of the last fifty years protested U.S. involvement. At a time when Pop Art, Minimalism, and Conceptual Art dominated the American art world, individual artists and art collectives played a significant role in antiwar protest and inspired subsequent generations of artists. This significant story of engagement, which has never been covered in a book-length survey before, is the subject of Kill for Peace.
Writing for both general and academic audiences, Matthew Israel recounts the major moments in the Vietnam War and the antiwar movement and describes artists’ individual and collective responses to them. He discusses major artists such as Leon Golub, Edward Kienholz, Martha Rosler, Peter Saul, Nancy Spero, and Robert Morris; artists’ groups including the Art Workers’ Coalition (AWC) and the Artists Protest Committee (APC); and iconic works of collective protest art such as AWC’s Q. And Babies? A. And Babies and APC’s The Artists Tower of Protest. Israel also formulates a typology of antiwar engagement, identifying and naming artists’ approaches to protest. These approaches range from extra-aesthetic actions—advertisements, strikes, walk-outs, and petitions without a visual aspect—to advance memorials, which were war memorials purposefully created before the war’s end that criticized both the war and the form and content of traditional war memorials.

Matthew Israel is an art historian and is currently Director of The Art Genome Project at Artsy (Artsy.net). 

STANLEY KUBRICK: FEAR AND DESIRE / PAURA E DESIDERIO - CINEMA CORALLE, GENOVA 29-31/7/2013



STANLEY KUBRICK
FEAR AND DESIRE / PAURA E DESIDERIO
Cinema Corallo
piazza Innocenzo IV - Genova
dal 29 al 31 luglio 2013

Paura e desiderio, l'esordio al cinema di Kubrick arriva finalmente in Italia dal 29 al 31 luglio. Uscito nel 1953 il film fu bocciato e ripudiato dallo stesso Kubrick e anni dopo scoraggiò qualsiasi forma di revival. L'esordio di un mestro del cinema arriva nel nostro paese in circa 90 copie restaurato dalla Library of Congress di Washington.

Quattro soldati di un indeterminato esercito, si ritrovano in una località indeterminata dietro le linee di un indefinito nemico, essendo stato abbattuto il loro aereo. Trovandosi in una foresta, decidono di costruire una zattera per cercare di riguadagnare le proprie linee discendendo il fiume. Nella foresta hanno uno scontro facilmente vittorioso con una pattuglia nemica. Incontrano poi una ragazza, che legano a un albero temendo di esserne traditi. Uno dei quattro, rimasto solo con lei, la uccide mentre tenta di sfuggire ai tentativi di violenza. Gli altri decidono di dare un senso alla loro azione uccidendo un generale nemico di cui hanno per caso localizzato il comando. Uno inscena un'azione diversiva, gli altri due attaccano; ma prima di sparare si accorgono con stupore, guardando con il binocolo che il generale e il suo aiutante hanno i loro stessi volti. Sparano. Quello che si avvicina per dare il colpo di grazia al generale, guardando il volto del morto nota che, come da uno specchio, il suo stesso volto lo sta osservando con la sua stessa espressione. Infine, casualmente, la pattuglia si riunisce; freddi, pensosi, i due protagonisti dell'azione aspettano sulla sponda del fiume la zattera con i compagni che si avvicinano. 

domenica 28 luglio 2013

ALBERT OEHLEN: MALEREI - MUMOK, WIEN



ALBERT OEHLEN
MALEREI
Curator Achim Hochdörfer
MUMOK
Museumquartier - Wien
8 June - 20 October 2013

Albert Oehlen is not only one of the most influential, but also one of the most controversial of contemporary painters. His project of bringing painting up to date consists not least in positioning this good old medium against its critics and supporters alike. He aims to bring painting into conflict on several fronts at the same time—with its own history, with its clichés, and with the ubiquitous power of the pictorial languages of advertising and pop. Oehlen wishes to restore complexity to a medium that has been declared defunct, not by dodging all the attacks and polemic to which tradition is subjected, but by making the picture itself the locus of lively debate on these issues.
This exhibition is a first, not only in Austria, with its overview of Oehlen’s work from the early 1980s to the present, and key works from different stages in the painter’s career. With more than 80 paintings, collages, computer printouts, drawings, and an installation, mumok is showing the most comprehensive presentation of Albert Oehlen’s highly diverse work to date. This exhibition will make it possible to consider a confrontational comparison of different groups within Oehlen’s oeuvre, which are all engaged in a permanent “dispute of ideas” (Albert Oehlen). This show also includes the first presentation of a new series of paintings, which represents an accumulation of Oehlen’s creative work to date. 

JACOPO MAZZONELLI: OBTAINING THE HISTORY - DEANESI GALLERY, ROVERETO



JACOPO MAZZONELLI
OBTAINING THE HISTORY
a cura di Denis Isaia
Paolo Maria Deanesi Gallery
via San Giovanni Bosco 9 - Rovereto
dal 6/6/2013 al 14/9/2013

Il nucleo interpretativo del lavoro di Jacopo Mazzonelli per Obtaining the History evita accuratamente un approccio didascalico alla Storia, evitando epiche e relative epifanie consolatorie e confrontandosi con un profilo più propriamente speculativo, filosofico. Per ottenere questi risultati “geografici” tende a trasfigurare i piani di senso, li spinge in un vuoto psicologico dove prova a prendere per mano i punti fondanti della questione.
Il lavoro procede per argomentazioni, tensioni e correzioni di pulsioni. La prima tensione nell’ordine dell’argomentazione è storica: quando incontra la Storia il mondo finisce. Obtaining the History è anche il titolo di un’opera: una architettura labirintica composta con le pagine di un vecchio album di fotografie. I volti contenuti, svaniti, forse mai inclusi sono chiunque. Come in una macchina magica pre-cinematografica l’opera avvolge dentro di se un gruppo infinitamente replicabile di memorie. È essa stessa una tautologia autarchica della memoria. Ciò che costruisce è una sorta di caleidoscopio psicologico, un cordone ombelicale che struttura per empatia la materia del ricordo. La riproduzione trova scopo e genesi nella misurazione del tempo e dello spazio.
La seconda pulsione nell’ordine dell’argomentazione è razionale e tratta l’invincibilità della misura. La forza di questa è la sua banalità oggettiva: un metro è un metro, un minuto è un minuto. 8601, Studio per autoritratto ed Autoritratto trasformano la misurazione in un luogo rimosso: sono un muro di gomma penetrabile solo con il fioretto del trauma. La storia prima di essere un fattore fisico è un fattore psichico, è insistenza, cancellazione. Fino a quando il progetto riproduttivo, esaltante come niente altro al mondo, assume le forme della sua fine.
Demographics è la terza argomentazione: l’inquietudine è statistica. Ed è la conferma del Grande Progetto (riproduttivo). Esso funziona perché l’ombra protegge il volto di chi guarda ma non di chi viene guardato e lo spettacolo a cui siamo invitati prevede sempre un’ustione. Stanca di tanto ardire, la materia ha sempre la meglio: la quarta argomentazione è il riposo. Essa nasce da un capovolgimento. Come in una tavola imbandita per una nuova festa Taxa recupera da un vecchio dizionario di medicina i volti che illustrano le razze. La composizione di nuove famiglie salvate dalla storia sono una parentesi di umanità, un respiro di intimità raffigurata. Un movimento pacificatorio, quasi – qui si – consolatorio, che restituisce senso al Progetto la cui terribile grandezza (misura) ora non appare.
La quinta argomentazione è una nota sulla perfezione. Da buona scolare è moderna, metafisica, leggera, quadrata: ha sostanza, luce ma non ha corpo. Toronto al suo interno contiene una storia mozzata. Le gambe dal Canada si sono fermate nelle quattordici teche che conservano il loro Movimento (necessariamente l’unico in forza della sua estrazione-astrazione), una griglia che inchioda la storia su se stessa. È un sapore, è bene ripeterlo, geografico. C’è un peso reale, un Atlante chiamato Europa. E dunque lo svelamento contraddice e nega il piacere dell’apparizione. Come in un’analisi ferrea esso va necessariamente riportato alla sostanza della Storia. Lì dove continua a battere.

Jacopo Mazzonelli nasce a Trento nel 1983. Si diploma in pianoforte e in musica contemporanea presso l’Accademia Internazionale TEMA di Milano. Parallelamente agli studi musicali comincia a realizzare sculture e installazioni attraverso cui indaga spesso l’elemento sonoro (musica e rumore, ritmo e silenzio) pur non includendolo necessariamente come evento uditivo nell’opera. Ha tenuto mostre personali in Italia e all’estero (Federico Bianchi Contemporary Art, Milano – Paolo Maria Deanesi Gallery, Rovereto – Fondazione Galleria Civica di Trento – Palazzo Incontri, Roma – CIAC / Centro Internazionale per l’Arte Contemporanea Castello Colonna di Genazzano – Festival TINA B., Praga – DOCVA, Milano – MART / Museo di arte moderna e contemporanea, Rovereto – L‘Ozio, Amsterdam – Galleria Studio 44, Genova – Teatro dal Verme, Milano – Neon>Campobase, Bologna). Le sue opere sono già incluse in importanti collezioni, tra cui AGI Collection – Verona, Caldic Collection – Rotterdam, Unicredit Art Collection – MART, VAF – Stiftung Collection – MART, Rovereto, Collezione Fondazione Francesco Fabbri – Treviso).  

IL GUIZZO E LA GRIGLIA. ANTONIO MACCHI CASSIA DESIGNER - ALLEMANDI 2013

IL GUIZZO E LA GRIGLIA
ANTONIO MACCHI CASSIA DESIGNER
Allemandi, 13/3/2013

Antonio Macchi Cassia ha attraversato la stagione del design italiano fra gli anni settanta e oggi partecipando da protagonista all'avventura Olivetti e poi come libero professionista. Interpretando il suo lavoro come una professione ancorata ai processi produttivi, ma anche come un esercizio intellettuale alla ricerca della qualità e della prestazione efficace, si è concentrato soprattutto sui prodotti e sui servizi per la nostra vita quotidiana e collettiva. Gli autori costruiscono attorno alla personalità di Macchi Cassia non la solita galleria di prodotti, ma un'interpretazione da cui emergono le mosse teoriche implicite in ogni progetto che non sia pura routine. Testi e dialoghi con l'autore sui temi prevalenti del suo lavoro accompagnano i progetti più significativi e illustrano una metodologia tanto pragmatica quanto ingegnosamente brillante, equidistante dai bollori del creativismo, come dai rigori del formalismo. Dopo decenni di ribalta per designer alla moda, questo libro racconta la carriera di un progettista fuori dagli schemi. Scritto per tutti, il volume è dedicato soprattutto a chi del design conosce l'esistenza, ma ignora la sostanza.  

STORIE DI CASE. ABITARE NELL'ITALIA DEL BOOM - DONZELLI 2013

STORIE DI CASE
ABITARE NELL'ITALIA DEL BOOM
Donzelli, 24/7/2013
collana "Saggi. Natura e artefatto"

Le storie raccolte in questo libro raccontano un paesaggio ordinario: quello degli edifici residenziali collettivi costruiti nelle grandi città italiane nei decenni di espansione successivi alla seconda guerra mondiale. Case che hanno rappresentato per molte famiglie la possibilità di raggiungere il traguardo della proprietà di un alloggio o di accedere a una dimensione abitativa autonoma. Oltre venti ricercatori di diversa formazione ricostruiscono nel dettaglio la storia di altrettanti edifici o complessi situati a Milano, Roma e Torino. Al centro dell'attenzione sono da un lato i modelli progettuali, dall'altro i cambiamenti della popolazione: in una parola, i molti modi in cui una pluralità di soggetti e di culture ha contribuito a dar forma a un paesaggio residenziale e a modificarlo nel corso del tempo. Basato su un incrocio sistematico tra fonti differenziate e su una contaminazione tra approcci e domande provenienti da vari ambiti disciplinari il volume propone uno sguardo inedito su aspetti fondamentali della storia delle grandi città italiane che sono finora rimasti sullo sfondo di molte ricerche. Dietro il loro apparente anonimato, gli edifici studiati in queste pagine sono stati al centro di piccole scelte quotidiane come di grandi strategie individuali e collettive: varcare la loro soglia significa esplorare un importante patrimonio di esperienze, memorie e narrazioni. 

RICCARDO MISELLI: GENOVA A/R - LETTERA 22 2013



RICCARDO MISELLI
GENOVA A/R
Una città-laboratorio per la residenza collettiva
Lettera 22, 15/1/2013

Studiare e formarsi come Architetto a Genova rappresenta un'esperienza unica, legata alla qualità dello spazio. Chi pratica e studia l'Architettura nel capoluogo ligure, necessariamente immagina il costruire come un esercizio tridimensionale sullo spazio, sulla sezione, sul percorso, sulla sovrapposizione. Nascosta nella sua reale superbia, la città è un testo di architettura narrativa senza tempo, talvolta senza abitanti, se non nei suoi quartieri più popolari, con il centro Storico in testa. Il lavoro di Riccardo Miselli, dei suoi collaboratori, i contributi presentati in questo testo, appartengono appieno, e testimoniano con forza e disciplina, tutti questi aspetti, contraddetti, sovrapposti, sradicati e profondamente appartenenti, fatti di altrove, di spazi, di odori, di linguaggi molteplici. Del resto, proprio i berberi ci ricordano che il Mediterraneo è il "Mare bianco in mezzo alle terre"; così, questo libro testimonia uno degli esercizi più sentimentali, personali e progettuali che si possa fare a Genova: guardare verso l'alto, negli stretti vicoli, e non disegnare il profilo degli edifici, ma la forma del cielo che ne risulta. 

sabato 27 luglio 2013

AFRO - GALERIE JEAN-FRANcOIS CAZEAU, PARIS



AFRO
Galerie Jean-François Cazeau
8 rue Sainte-Anastase - Paris
25/4/2013 - 31/7/2013

La Galleria Jean-François Cazeau ha il piacere di annunciarVi la sua esposizione dedicata ad uno tra gli artisti italiani tra i più importanti del Ventesimo secolo, Afro Basaldella, detto Afro (1912 - 1976), che si terrà a partire da 26 aprile fino al 31 luglio 2013.
L’esposizione, che raccoglie 40 opere su carta e su tela eseguite tra il 1947 ed il 1975, riflette le tappe essenziali della carriera dell’artista e rivelerà la Glorificazione gioiosa della luce e della vita caratteristica del suo lavoro – secondo la definizione che ne aveva dato James J. Sweeney, ex direttore del Museo Guggenheim di New York durante gli anni Cinquanta e forte sostenitore dell’ artista. Nato il 4 marzo 1912 a Udine, vicino a Venezia, Afro Basaldella partecipa alle attività della sua famiglia rivolte verso l’arte – il padre e lo zio sono stimati decoratori e i suoi fratelli Mirko e Dino, diventeranno celebri scultori. Egli studia a Firenze, Venezia e Roma, e ottiene il diploma nel 1931. Egli espose a 20 anni le sue prime tele presso la Galleria Il Milione di Milano. Nel 1937, Afro si reca a Parigi e ha la rivelazione del cubismo. L’influenza di Pablo Picasso e di Georges Braque determinerà la sua evoluzione verso l’astrattismo. Si stabilisce a Roma nel 1938 e aderisce nel 1947 al Fronte Nuovo della Arti.
Una svolta decisiva per la sua carriera avviene quando partecipa nel 1949 all’esposizione XX Century Italian Art al prestigioso Moma di New York e, nel 1950, effettua il suo primo soggiorno americano. Afro è a tutti gli effetti fortemente segnato dalla scoperta di Arshile Gorky e dell’ Action Painting di Franz Kline, Cy Twombly e Williem de Kooning.
Ad una meditazione sul cubismo e sulla metafisica di De Chirico, succede un’ interpretazione più diluita dello spazio, che non è altro che lo spessore della memoria (Afro). La geometria rigorosa e i contorni segnati lasciano spazio a linee calligrafiche e a sfondi colorati più ampi. Privata di forma riconoscibile, l’immagine si dematerializza poco a poco. I colori diventano più intensi ed il caos generato da pennellate vivaci e da linee intervallate crea un nuovo spazio emotivo – una pittura che tende a evocare dei sentimenti e a creare degli oggetti fisici attraverso l’uso dello spirito (Ragghianti), dove il colore, “veneziano” per intima vocazione, tiene più il tono che il timbro, e si distende, fluido, sulla superficie della tela.
Nel 1952, Afro aderisce al Gruppo degli Otto assieme a Birolli, Corpora, Moreni, Morlotti, Santomaso, Turcato e Vedova. Sostenuti dal critico Lionello Venturi, gli Otto espongono alla Biennale di Venezia.
Afro ottiene fama internazionale lavorando con successo con gallerie, istituzioni e università. Nel 1955, partecipa all’esposizione The New Decade, organizzata dal Museum of Modern Art di New York e, nel 1956, si vede conferire il premio di miglior pittore italiano alla Biennale di Venezia. Nel 1958, è invitato a partecipare, assieme a Pablo Picasso, Hans Arp, Alexander Calder e Joan Miro, alla decorazione murale dell’Unesco a Parigi. Egli esegue il suo capolavoro Il giardino della speranza, immensa tela in cui le forme e i colori si estendono su un’ampia linea orizzontale.
Nel 1969, gli è dedicata un’importante esposizione retrospettiva di più di duecento opere presso la Kunsthalle di Darmstadt. Colpito da una grave malattia nel 1971, Afro indirizza la propria ricerca verso l’incisione e alla tecnica dell’arazzo. Nel 1973 si stabilisce a Zurigo, dove muore tre anni più tardi.

Immagine: Afro nel suo studio a Udine davanti all’opera Il Castello nero, 1964 -65. Fotografia di Italo Zannier  

ALDO MONDINO - STUDIO ORKANDO, PIETRASANTA



ALDO MONDINO
a cura di Paola Bortolotti
Studio Orlando
via Stagio Stagi 12 - Pietrasanta
dal 6/7/2013 al 15/8/2013

La Galleria Susanna Orlando, nata nel 1976 nel cuore di Forte dei Marmi, apre un nuovo luogo nel centro storico di Pietrasanta in Via Stagio Stagi che verrà inaugurato con l’opening della personale dedicata ad Aldo Mondino, curata da Paola Bortolotti dal titolo: “Calembours Toujours”.
Dopo la personale “La danse des jarres” presentata da Alberto Fiz nel 1997 e la collettiva “Dalla A alla M” curata da Chiara Guidi nel 2005 in omaggio al maestro, a distanza di otto anni dalla sua scomparsa, la Galleria, presenta una serie scelta di carte dipinte, dal 1986 al 2005. Arte e viaggi e “giochi di Parole”, sono stati la linfa del magico connubio artistico, solido e longevo, tra l’artista e la Galleria Susanna Orlando.
La mostra si propone di raccontare, di far rivivere le suggestioni e le atmosfere respirate da Mondino durante i viaggi e i lunghi soggiorni in Oriente.
L’artista esprime il suo universo poetico approcciandosi alle sperimentazioni concettuali degli anni’60 per poi giungere progressivamente ad una ricerca pittorica più marcata. Questo iter si svilupperà potenziando sempre più la vena anticonformista e antiaccademica della sua creatività. Mondino non abbandonerà mai la sua sfida ai luoghi comuni e la predilezione per soggetti arditi che stupiscano ed allo stesso tempo ingannino lo spettatore, coerente con il forte e continuo eclettismo nella scelta dei soggetti e delle tecniche.
Le sue opere, lontane dalla banalità, ricche di pungente ironia, ci tendono tuttora trabocchetti, tanta è la divergenza tra titolo scherzoso e contenuto colto:“Calembours Toujours”- giochi di parole, i suoi meravigliosi giochi di parole, da sempre e per sempre.
In “Mustafapascià”, appartenente alla serie “Tappeti stesi”, il maestro “nomade” appende ciò che abitualmente sta sotto i nostri piedi e gioca ironizzando sulla nostalgia e sulla ricerca dell’Oriente così come nell’ultima serie “Orchidologist” del 2004-2005, dedicata ai cercatori di orchidee britannici. Queste sono solo due anteprime delle opere che saranno presentate in mostra.
Il progetto nasce in cooperazione con l’Archivio Aldo Mondino e testimonia il rapporto di collaborazione artistica ultraventennale tra la Galleria Susanna Orlando e il maestro torinese.
Pertanto, la scelta di far coincidere l’inaugurazione della mostra e del nuovo spazio pietrasantino, ha la valenza simbolica della continuità oltre che della sinergia tra la galleria-madre di Forte dei Marmi e la nuova, appena nata.

Aldo Mondino è nato a Torino nel 1938, dove è morto nel 2005. Dopo la parentesi di formazione a Parigi presso l’Atelier di William Heyter e l'Ecole du Louvre, rientrato in Italia nel 1960, inizia la sua attività espositiva in numerose gallerie italiane. L'incontro con Gian Enzo Sperone, allora direttore della Galleria IlPunto a Torino, risulta fondamentale per la sua carriera artistica e l’apertura alla scena internazionale.
Tra le principali mostre si ricordano le due partecipazioni alle Biennali di Venezia del 1976 e del 1993( curata da Achille Bonito Oliva e vinta dall’artista).
Le sue opere appartengono alle collezioni permanenti dei più importanti Musei nazionali ed internazionali ed a numerose collezioni private. 

MÉLUSINE 33: L'AUTOREPRÉSENTATION FEMININE - L'AGE D'HOMME 2013



MÉLUSINE 33
L'AUTOREPRÉSENTATION FEMININE
L'age d'homme, 01/2013

Pour sa trente-troisième apparition, Mélusine change de maquette. Elle s’offre un cahier d’illustrations et se compose principalement de trois dossiers. Le premier, partant du constat que les artistes femmes se distinguent de leurs compagnons du même groupe surréaliste par la place primordiale qu’elles accordent à l’autoportrait, est consacré à l’analyse approfondie du miroir narcissique que constituent leurs textes et œuvres d’art. À la recherche des réponses au sujet de leur obsession représentative, on y creuse leurs origines, leur situation sociale, leur rôle équivoque et ambigu en tant que surréalistes. Un deuxième dossier rend hommage à Leonora Carrington, au lendemain de sa mort survenue à Mexico le 25 mai 2011, en évoquant la femme et l’artiste qu’elle était. Un troisième ensemble, s’appuyant sur les interventions d’un récent colloque tenu à Lyon, rappelle, plus que sa personnalité détachée, l’œuvre de Stanislas Rodanski, ouvrant à perte de vue des perspectives inactuelles, en avant, outre-terre.
Un récit, inaperçu, de Joyce Mansour, ouvre la dernière section qui regroupe exceptionnellement les rubriques habituelles : « Variété », « Documents » et « Réflexions critiques ».  

MARIE-AUDE BARONIAN: MÉMOIRE ET IMAGE - L'AGE D''HOMME 2013



MARIE-AUDE BARONIAN
MÉMOIRE ET IMAGE
Regards sur la catasytrophe arménienne
L'age d'homme, 04/2013

« Qui se souvient encore de l’extermination des Arméniens?» Cette phrase d’Adolf Hitler (1944) résume à elle seule toute la problématique historique et mémorielle du génocide arménien : une mémoire qui cherche désespérément à s’ancrer et qui se heurte toujours à un oubli forcé. Si les images (photographiques, filmiques, télévisuelles et numériques) sont censées faciliter le processus de la mémoire, comment comprendre celles qui n’ont pas circulé de manière à construire et soutenir la Mémoire? Qu’en est-il au juste de la traduction et des représentations visuelles de la Catastrophe?
Ce livre propose ainsi des pistes pour approcher la Catastrophe à travers, entre autres, des œuvres de cinéastes et d’artistes arméniens contemporains de la diaspora tels qu’Atom Egoyan, Gariné Torossian ou Mekhitar Garabedian. Il s’agira de montrer comment la fabrication des images, fragiles mais nécessaires, déplace et replace autrement l’héritage de la disparition.

  Marie-Aude Baronian est docteur en philosophie et en études cinématographiques. Elle enseigne l’esthétique filmique, la culture visuelle et la philosophie de l’image à la Faculté des sciences humaines de l’Université d’Amsterdam. Elle est l’auteur de nombreux textes sur notamment les questions de l’archive, de la mémoire et de la diaspora dans le cinéma et les arts visuels. Ses publications les plus récentes incluent Cinéma et Mémoire. Sur Atom Egoyan (Éditions de l’Académie royale de Belgique, 2013) et bientôt La Caméra à la nuque. Penser l’image filmique avec Emmanuel Lévinas (Oxford, Peter Lang, 2014). Parallèlement, elle poursuit des recherches sur le costume et la mode dans la philosophie et le cinéma.  

SCOMPARSA DI GIANNI BRUNETTI


SCOMPARSA DI GIANNI BRUNETTI

É scomaprso ieri a Genova, Gianni Brunetti.
Lo ricordiamo con uno dei testi pubblicati nel catalogo delle personali tenute fra l'autunno 2012 e l'inverno 2013 presso la Galleria Artré di Genova.

TRA IL LUCIDO E L’OPACO
Nel tracciare – in uno scritto ormai remoto – le coordinate dello spazio in cui si collocava allora (come in realtà ancor oggi si colloca) il suo lavoro, Gianni Brunetti si richiamava metaforicamente all’estensione piana del foglio, ad una pagina dalle facce fra loro dissimili: lucida la prima, nella quale si riflette la teoria; opaca la seconda, dove si realizza la pratica. Uno spazio in cui la contiguità e l’opposizione tra fronte e retro, tra concetto, tecnica e materia, instaura un processo comunicativo: “un comunicare fra me e me”, come annota l’artista, o più precisamente “fra me e altri possibili me”, strutturato sulle interferenze dei linguaggi mentali e visivi, aperto alla fuga delle interpretazioni.
Dopo le esperienze pittoriche condotte nell’arco degli anni ’60, nel decennio successivo il confronto con la fotografia – caratteristico di quel periodo – gli schiude nuove possibilità d’indagine che si concentrano sulle “relazioni interne al materiale”. Rapidamente passa dallo scandaglio di scenari urbani scomposti entro inquadrature impercettibilmente sfalsate condotto nella serie Album Torino (1974) all’estrazione dall’immagine “pre-formata” (come accade nel ciclo Su Finalmarina, del 1976, sviluppato a partire da un gruppo di vecchie cartoline e vicino negli esiti, per alcuni aspetti, alla dimensione della Narrative Art), di frammenti progressivamente ingranditi, sino a smarrire nel reiterato blow-up la loro identificabilità ed a sfaldarsi in un’ambigua astrazione, prossima in certa misura alla parvenza del segno pittorico.
Così, con un finito movimento circolare, i dettagli da principio pressoché invisibili si convertono, attraverso fasi di crescente ampliamento, in figure ove la traccia originaria si smarrisce sgranandosi in un chiaroscuro indefinito, secondo un processo che attraverso la soppressione del referente revoca l’intelleggibilità del significato senza per questo incidere sulla forza comunicativa dell’immagine: “il segno – come annota in altra sede l’autore – è disancorato dalla cosa, è cosa a se stante che rimanda unicamente all’attività della mente”.
Il riferimento geografico, già presente nelle sequenze accennate, si fa più palese nei frammenti di mappe (Rilevazioni) esposti al Mercato del Sale nel 1978: qui Brunetti “raffredda” il brano estratto e ingrandito mediante una rappresentazione esclusivamente grafica, incentrata “non sulle qualità del materiale ma sul suo perimetro”, per approdare quindi, nel grande pannello dei Liguri ad un’evocazione del territorio affidata alla sola elencazione, in rigoroso ordine alfabetico, dei toponimi regionali.
È in questa fase che l’artista mette a fuoco la sua personale concezione dell’arte (“non specchio, non confronto né invenzione, ma assunzione dei segni con cui il mondo è già raffigurato”), scandendola in una serie di considerazioni riprese nel ciclo Scritture e figure (1979), giustapposte, con un effetto di singolare straniamento, alle immagini ancora una volta “pre-formate” di “persone raffigurate nella cartolina della piazza principale della città”.
Se in questa prima fase “l’opera vista come racconto” manifesta una tendenza alla semplificazione, quasi – nelle parole di Brunetti – “un processo di azzeramento”, con Pi Liu Li (1981) si registra una svolta verso un’articolazione di matura complessità. I temi narrativi (una partita a biliardo, un corteggiamento, un balletto d’amore) si moltiplicano e si intrecciano, come pure i linguaggi: scritture lineari, diagrammi, illustrazioni didattiche, note riprodotte da antichi corali si alternano, in un viluppo di analogie e di scarti sottili che coinvolge gli ambiti letterari e musicali, le sfere del gioco e della scienza. Qui le traiettorie e i rimbalzi delle biglie sul piano del biliardo rinviano alla rifrazione della luce e compare il quadrato magico, ascritto da Dürer fra i contrassegni della Melanconia e impiegato da Thomas Mann, via Adorno, come emblema della musica dodecafonica o, nelle parole attribuite ad Adrian Leverkühn, come espressione dell’“antichissimo desiderio di ordinare tutto ciò che suona e di risolvere l’essenza magica della musica in raziocinio umano”.
È attorno al quadrato magico che - a distanza di un ventennio, dopo una parentesi dedicata alla produzione ceramica - prende avvio la seconda fase dell’attività dell’artista, con una sorta di nuovo apprendistato svolto attraverso una serie di Quaderni stilati “come scritture musicali in attesa di trovare strumenti adeguati”, dove le serie numeriche incrociate e reversibili che li compongono acquisiscono una inedita componente cromatica; e con i Mattoni, moduli cubici in ceramica dai riflessi metallici, in cui sono invece impressi a punzone nella materia.
In questo laboratorio la pagina cartacea viene progressivamente soppiantata dalla lamina metallica; al segno grafico si sostituisce l’incisione con gli acidi, in un procedimento scrittorio che si attua nella trasformazione lenta, interminata della materia corrosa. Prende gradualmente forma un nuovo progetto, le Riflessioni dell’artista da vecchio, tuttora in atto, nel quale Brunetti ritma in serie di quattro elementi un tracciato che si snoda dall’individualità dell’autore, connotata mediante la firma, tra i fondamentali della pratica artistica indagati da Kandinsky (punto-linea-superficie), le forme elementari (quadrato-numero-cerchio-figura) e complesse (spirale-danza, costellazione, catalogo), i modi di congiunzione e di azzeramento. In un sistema sapientemente architettato, un vero “sistema di sistemi”, dove i materiali - dal rame allo stagno - e i colori acidi o caldi si alternano nelle diverse stazioni, ciascuna percorsa da un proprio orizzonte, l’artista ricapitola la propria esperienza in una dimensione ad un tempo metalinguistica e sensoriale. “Il mio paesaggio – scrive – è ciò che l’uomo ha prodotto sia come pensiero, sia come manufatto, cioè il linguaggio carico di tutta la sua storia”. Così la lastra incisa è ad un tempo la tavoletta solcata dalla scrittura cuneiforme e una piastra di circuiti elettronici; il metallo, specchio e scudo di Achille: così ancora il cerchio, diviene pittura zen e danza di Arianna; il rosso, affresco pompeiano e una plastica deformata di Burri. In ultimo la stella di Klee (ripresa da Dieser stern lehrt beugen, 1940) si affaccia come emblema dello spirito e del destino. “Non si può fare a meno di tutta questa pienezza, pena un’estetizzante superficialità”, postilla Brunetti. “E tutto questo – sancisce – per tutte le infinite cose”.
-- Sandro Ricaldone 


KATHARINA SIEVERDING - MUSEUM SCHLOSS MOYLAND, BEDBURG-HAU



KATHARINA SIEVERDING
Museum Schloss Moyland
Am Schloss 4 - Bedburg-Hau
27/7/2013 al 24/11/2013

Katharina Sieverding is one of the most prominent artistic personalities in contemporary art internationally. The medium of her art practice is experimental photography and its multimedia transformations.
Katharina Sieverding has developed an exhibition especially for the Museum Schloss Moyland, composed of various multimedia projections and photographic works creating a comprehensive installation. The heart of the exhibition is devoted to the most recent work DIE SONNE UM MITTERNACHT SCHAUEN (LOOKING AT THE SUN AT MIDNIGHT). For this piece, Katharina Sieverding is continually downloading about 100,000 visual information data from NASA during the period from May 2010 until June 2013 and artistically condensing these to form a dynamic picture of the surface of the sun.
The term WORLDLINE, drawn from relativity theory, characterizes the core of her art practice, which has as its focus central questions about human existence. A critical engagement with scientific and rational thought, as well as its reinterpretations in a mythical idiom, plays equally important roles. With her vision of an extension of the physical space-time dimension into mental space Katharina Sieverding reveals her debt to Joseph Beuys, whose Master student she was in the 1960s.
The exhibition is supported by the Kunststiftung NRW, Düsseldorf, and RWE, Essen.

Image: Katharina Sieverding, "Looking at the Sun at Midnight," Sdo / Nasa, 2011, Testcuts Ii, 2010. Photo: Klaus Mettig. © Katharina Sieverding/VG Bild-Kunst, Bonn 2013. 

LA SCRITTURA - ROCCA UBALDINESCA, SASSOCORVARO



LA SCRITTURA
Mostra e convegno internazionale di manoscritti e arte antica
a cura di Eernesto Paleani
Rocca Ubaldinesca - Sassocorvaro
13 luglio-29 settembre 2013

Dal 13 luglio al 29 settembre 2013 negli splendidi spazi della Rocca Ubaldinesca a Sassocorvaro (Pu) sarà esposta la mostra “La scrittura”. L'esposizione, organizzata da Ernesto Paleani Editore in collaborazione con la Pro Loco, il Comune e la Biblioteca di Sassocorvaro (Fondo Battelli), e con l’Archivio di Stato di Pesaro, proporrà al pubblico un centinaio di importanti documenti e manoscritti antichi in varie lingue: arabo, turco, ebraico yemenita, copto, giapponese, sanscrito, tibetano, latino, greco, antico irlandese, albanese e mongolo. La rilevanza scientifica dell'evento è data anche dal fatto che in quest'occasione sarà presentato, per la prima volta, un corposo nucleo di documenti inediti dell’Archivio di Stato di Pesaro su Sassocorvaro, alcuni dei quali contenenti interessanti scoperte compiute dallo studioso ed editore Ernesto Paleani. La rassegna si chiude con i manoscritti del Fondo Battelli custoditi nell’Archivio comunale di Sassocorvaro. Ad inaugurare l'evento sarà, sabato 13 luglio alle ore 9,30, l'omonimo convegno che si terrà in Rocca presso il Teatro.

La mostra, curata da Ernesto Paleani con la collaborazione di Daniela Renzi, Emanuele Fabbri, Fabio Fraternali, Roberto Brugnettini, Giorgio Marinelli e Gildardo Rengucci, è realizzata grazie all'intervento di vari studiosi e specialisti: per l'Ogam irlandese la dott.ssa Elena Percivaldi (storica medievista), per l'epigrafia paleocristiana la dott.ssa Maria Teresa Paleani (archeologa del Pontificio Istituto di Archeologia cristiana), per la toponomastica locale il dott. Ernesto Paleani (archivista, storico della archeologia e della cartografia), Salvatore Fiori (storico), Roberto Bernacchia (archivista e storico) per un manoscritto inedito templare in latino con sigillo inedito templare (collezione privata), Marco Meccarelli per la scrittura cinese, Shri Rajanji per il sanscrito. 

PIERRE GRAS: STORIA DEI PORTI - ODOYA 2013



PIERRE GRASS
STORIA DEI PORTI
Declino e rinascita delle città portuali 1940-2010
Odoya, 2013
collana "Odoya Library"

In questa aggiornatissima sintesi basata su un lavoro di ricerca svolto su più di cinquanta porti a livello mondiale, Pierre Grass analizza la storia e le trasformazioni dei grandi porti europei, americani e orientali a partire dal 1940, con una debita premessa su come la loro creazione abbia permesso in passato lo sviluppo delle più potenti e influenti civiltà industriali e commerciali: da Venezia a Siviglia, passando per Genova e Anversa. In seguito alle devastazioni della Seconda guerra mondiale, la ricostruzione tese da una parte a fare tabula rasa del passato per ricostruire su basi nuove (pensiamo al fortunato caso di Rotterdam), dall'altra a ricostruire conservando la memoria (e spesso anche i difetti strutturali). Con la crisi dell'acciaio e del carbone, molti porti europei cedettero alla spietata concorrenza di nuove potenze come Hong Kong e Singapore, spesso voltando le spalle al mare. In uno scenario di economia globalizzata, la nuova forza di una realtà portuale dipende tanto dalla considerazioni di questioni ambientali quanto dalla capacità di cooperare con il suo hinterland e con i porti più lontani, in una combinazione di approccio globale e locale. All'alba del XXI secolo, la tendenza di investitori, architetti e costruttori sembra essere la riscoperta del potenziale di questi waterfronts spesso caduti nell'oblio, con l'obiettivo di una rinascita sotto l'impulso di progetti di ammodernamento e rivalutazione urbana che riporteranno questi scenari a "incantare il mondo".  

PAOLO PEDOTE: GOSSIP - ODOYA 2013



PAOLO PEDOTE
GOSSIP
Dalla Mesopotamia a Dagospia
Odoya, 2013
collana "Odoya Library"

Con una rigorosa analisi del sapere "informale", Paolo Pedote ci propone un percorsodivulgativo che, attraverso una nutrita carrellata storica di personaggi celebri e curiosi aneddoti, fa emergere una brillante riflessione sugli aspetti antropologici, sociali e filosofici di questa forma di comunicazione praticata fin dalla notte dei tempi. Condannato come vizio dalla Bibbia e utilizzato per incastrare Gesù davanti al Tempio, nella cultura romana il gossip entra in letteratura attraverso i "canti trionfali" sull'omosessuale Cesare e le pagine di Svetonio e Tacito sulle turpitudini nell'Impero. Nel Medioevo, il vescovo Liutprando da Cremona è il primo corvo del Vaticano a cantare omicidi, orge e stupri. La calunnia si fa strumento per eliminare i porporati scomodi e prova nei processi dell'Inquisizione contro le streghe. Tra i pettegoli illustri troviamo Dante e Boccaccio, Machiavelli e l'Aretino. La prima "analisi sociologica" del chiacchiericcio risale a Carlo Goldoni e alle sue commedie di sarte, portinaie e usurai. Ma è con la nascita del giornalismo che il gossip trova la sua forma letteraria, dalle pagine della Gazzetta Veneta a quelle di Vanity Fair. E a costruire il mito tutto italiano del "paparazzo" nei bar di Vittorio Veneto sono Fellini e Flaiano. Negli anni Novanta il gossip si fa infine fermo-immagine sulla nostra società. Dall'incidente di Lady Diana alle fellatio presidenziali di Monica Lewinsky, la notizia è ormai "gogna mediatica". Con Berlusconi, Ruby e Marrazzo... 

GIULIANO GALLETTA: NON VGLIO ESSERE ME STESSO - PALAZZO TAGLIAFERRO, ANDORA 27/7/2013



Sguardi laterali
GIULIANO GALLETTA
NON VOGLIO ESSERE ME STESSO
presentazione del volume edito da Il Canneto (2012)
Palazzo Tagliaferro
Largo Milano 4 - Andora
sabato 27 luglio 2013, ore 21,00

Giuliano Galletta artista, giornalista e scrittore, con al suo attivo mostre in gallerie e musei italiani e stranieri, è il protagonista del secondo appuntamento con la rassegna “Sguardi Laterali Incontri con gli autori su temi inconsueti”, in programma sabato 27 luglio a Palazzo Tagliaferro (ore 20.30, ingresso libero) a cura di Whitelabs e Comune di Andora. I critici d’arte Viana Conti e Sandro Ricaldone presenteranno il suo libro “Non voglio essere me stesso” (Il Canneto Editore). Come sempre le parole scritte saranno accompagnate ed interpretate attraverso musica e parole.
Alla presentazione del libro seguirà il concerto Mirlitonnades: 37 piccoli duetti per flauto e voce ritmica sulle omonime poesie di Samuel Beckett con Fabio De Rosa, flauto e Massimo Pastorelli, voce ritmica. Una composizione dedicata proprio a Giuliano Galletta, in omaggio alla sua lunga familiarità con l’opera di Beckett.
“Non voglio essere me stesso” è una sorta di percorso nell’opera dell’artista a partire dal 1978 fino ad oggi. Un mix di saggio critico, autopresentazione e dichiarazione di poetica in cui Galletta ripercorre alcuni dei temi fondamentali del suo lavoro. Fra le sue mostre più recenti di Galletta, artista conosciuto e stimato, citiamo “Il museo del caos” e “Hotel de l’avenir”. Ha scritto diversi volumi tra i quali il romanzo visivo “Tous jours” (Il Sileno, 1978), la raccolta di poesie “Un impossibile giorno”, (Il Sileno, 1990), “Il televisore. Dal totem casalingo alla realtà virtuale” (Gribaudo, 1995), “Sanguineti/Novecento. Conversazioni sulla cultura del XX secolo” (il melangolo, 2005), “Il mondo non è una pesca” (Socialmente, 2010). “Il museo del caos” (Il Canneto editore, 2010). 

venerdì 26 luglio 2013

SHILPA GUPTA - MAAP, BRISBANE



SHILPA GUPTA
MAAP - Media Art Asia Pacific
111 Constance Street, Fortitude Valley - Brisbane
dal 26/7/2013 al 30/8/2013

Indian conceptual artist Shilpa Gupta presents four major works at MAAP Space in a solo presentation of video, sculpture and installation work. Launching her career in 1997, with a strong focus on media and interactive art, Gupta’s work has come to be internationally regarded for its commentary on the intertwining of the political and the personal across a vast range of contemporary issues.
Gupta is interested in human perception and how information, visible or invisible, is transmitted and internalized in everyday life. Constantly drawn to how objects are defined and how places, people, experiences are identified, Gupta explores zones where these definitions are played out, be it borderlines, labels or ideas of censorship and security. Though overtly political, Gupta avoids sensationalism by parsing her subject matter through personal and private experience. Indeed, her work engages the viewer with intimacy, dialogue and emotional intensity; direct but never didactic.
The artist’s recent work encompasses a wide range of materials including photographs, video, interactive media, sculptural objects, websites and audio. Contemporary technologies play an important role in Gupta’s practice, and her work demonstrates a willful command over both media and message.
For example, her interactive sound installation ‘Speaking Wall’ (2009-2010), activated by motion sensor, plays to the authoritative nature of the medium. The artist’s direct instructions to the viewer (move back/move forward) are spliced with a poetic monologue on borders: both in the geopolitical sense, and with respect to the delineation of space defined by the installation. The sense of distance, surveillance and bureaucracy imposed by the electronic display is embraced and then displaced by the artist’s contrasting use of instructional and conversational tone.
The two video works in the exhibition, ‘Untitled’ (2012) and ‘One Hundred Hand Drawn Maps of India’ (2007-2012), are similarly sensitive in their use of space and medium. Both are very intimate in scale, drawing the viewer in close (or in the case of ‘Untitled’, crouched to the ground to meet the plane of the video) for the best vantage point. ‘One Hundred Hand Drawn Maps of India’, a sparsely animated collection of drawings of the Indian map, draws us into the complexities of man-made borders. The final work in the exhibition, a cloth wall-hanging embroidered with machine-sewn stars titled ‘Stars on Flags of the World’ (2011- 2012), speaks to ideas of geographies, imagined communities and nationhood. In her choice of form for this particular work the artist flouts any perceived allegiance to digital media and instead heeds the material conventions of her subject matter, the flag.
Over the past decade Shilpa Gupta has exhibited in numerous internationally significant exhibitions such as in the Daimler Contemporary, Berlin; Mori Art Museum, Tokyo; New Museum, New York; Yvon Lambert, Paris; Solomon R Guggenheim Museum, New York; Centre Pompidou, Paris; and has produced commissioned work for Tate Online, London. There is no question that Gupta’s practice is international resonant, or that her work has a “singular ability to touch its viewers”.