giovedì 28 febbraio 2013

SOULAGES XXI SECOLO - VILLA MEDICI, ROMA



SOULAGES XXI SECOLO
Accademia di Francia - Villa Medici
viale Trinità dei Monti 1 - Roma
dall'1/3/2013 al 16/6/2013

L'Accademia di Francia a Roma - Villa Medici presenta dal 2 marzo al 16 giugno 2013 la mostra Soulages XXI secolo. Prima importante retrospettiva in Italia dedicata al più grande pittore francese vivente, mette in mostra un’ampia selezione di dipinti su tela e su carta creati a partire dal 2000.
La mostra dal titolo Soulages XXI secolo, realizzata dall’Accademia di Francia a Roma - Villa Medici con il Musée des Beaux-Arts di Lione, evidenzia come questo maestro, ritenuto il maggior rappresentante dell'astrattismo francese e riconosciuto internazionalmente dalla fine degli anni ’40 in poi, sia oggi un artista pienamente "contemporaneo". A più di 92 anni, infatti, egli continua ad indagare in profondità le possibilità della pittura astratta, esplorandone le nuove vie con una concezione dell'arte meticolosa che lo ha forgiato sin dall'inizio della sua attività.
Dalle pitture a catrame su vetro datate 1948 - una delle quali sarà presente in mostra come riferimento storico - Soulages dimostra che la pittura, ancor più del colore, può essere il modo per valorizzare luce e spazio.
Non a caso negli anni '50 ha mantenuto un dialogo fecondo e amichevole con artisti come Mark Rothko e Lucio Fontana. A partire dal periodo degli outrenoirs iniziato nel 1979 (oltreneri, ovvero l'idea di utilizzare il nero per rivelare e organizzare la luce), Soulages presenta ogni sfumatura di colore e tutta la luce attraverso le sole risorse del nero, diffuse su tutta la tela, ma diversificate dagli effetti della superficie. Tra il 1999 e il 2000, dopo alcuni anni di interruzione, riprende a dipingere su tela, adottando una nuova tecnica caratterizzata dall’apertura alle sperimentazioni più svariate. Nella volontà di affermare quello che fino allora esisteva solo marginalmente, crea una serie di opere su cui lavorerà per dieci anni: dipinti con presenze di bianco, sovrapposizioni di superfici lisce e in rilievo, dipinti con segni isolati e moltiplicati, pitture con collage, pitture basate sulle diverse tonalità di nero. L'opera di Soulages è presente nelle mostre e nelle collezioni dei più importanti musei del mondo e il suo lavoro lo ha consacrato come il più grande artista francese contemporaneo. È del 2009 l'importante retrospettiva che gli ha dedicato il Centre Pompidou di Parigi esposta poi al Museo Ciudad de Mexico e al Martin Gropius Bau di Berlino (2010).

La mostra Soulages XXI secolo, in programma a Villa Medici dal 2 marzo al 16 giugno 2013, si concentra sugli sviluppi più recenti del suo lavoro presentando una grande raccolta di opere selezionate, insieme all'artista, dai due commissari Éric de Chassey, direttore dell’Accademia di Francia a Roma - Villa Medici e Sylvie Ramond, conservatrice responsabile del patrimonio artistico, e direttore del Musée des Beaux-Arts di Lione.
Scrive Éric De Chassey nel testo del catalogo: Si è presa l’abitudine di considerare Pierre Soulages come uno degli ultimi “grandi artisti classici”. È vero che la sua pittura è occasionalmente caratterizzata dall’equilibrio, dall’armonia e da una forma di perfezione che producono in colui che la guarda un sentimento di serenità e di pienezza, sentimento che è la cifra del classicismo, se non di un certo atticismo. [...] Prosegue: Né il classicismo né il legame a una certa tradizione sono stati in Soulages un obiettivo deliberatamente perseguito, ma sono il risultato, da una parte, del fatto che la sua opera si sviluppa ormai da decenni e che dunque ha finito per sembrarci storica e, dall’altra, di momenti di risoluzione che, a ben guardare, sono soltanto momenti provvisori, subito disfatti e rilanciati. Questo perché Pierre Soulages è un artista modernista. Lo era all’inizio del suo lavoro, nell’immediato dopoguerra, quando il modernismo era il progetto dominante nel mondo dell’arte. Lo è ancora oggi, quando molti sostengono che obbediamo alla “condizione postmoderna”. E conclude così: La pittura recente di Pierre Soulages non si è addormentata nel riposo della padronanza, ma continua a frequentare i territori della sperimentazione. Nulla vi è guadagnato una volta per tutte. Ogni pittura è una nuova esperienza. Ogni esperienza di ogni quadro, soprattutto, è un’esperienza ogni volta nuova. […] Se si pensa che l’arte intrattenga con la realtà una relazione di modellizzazione, che l’arte astratta non prenda a modello la realtà esterna ma, al contrario, che modellizzi come in precipitato i nostri rapporti col mondo, che ne proponga e ne configuri delle nuove disposizioni che possiamo in seguito trasportare nella nostra vita di tutti i giorni, c’è veramente bisogno di dire fino a che punto l’arte di Pierre Soulages continui oggi a esserci necessaria?

Pierre Soulages, nasce nel 1919, a Rodez nell'Aveyron, regione del Sud della Francia e inizia a dipingere molto giovane.
A 18 anni si reca a Parigi dove viene affascinato dal mondo dell'arte di quel periodo e soprattutto da artisti come Pablo Picasso e Paul Cézanne. A seguire frequenta a Montpellier l'École National Superior des Beaux-Arts dove conosce anche l'artista Sonia Delaunay.
Subito dopo la guerra a partire dal 1946 è già un artista noto, infatti dopo essersi stabilito nell'allora periferia parigina, in Rue Schoelcher, dove ha il suo atelier, si fa conoscere e apprezzare grazie alle sue tele - cupe e con una forte vocazione all'astrattismo - in cui il nero è dominante.
Nel 1947 i suoi quadri sono esposti al pubblico per la prima volta nel Salon des Surindépendants. Tra il 1948 e il 1950 espone con successo a Parigi, a Londra, a New York e a Washington, come a Rio de Janeiro, essendo il più giovane di un gruppo di artisti composto dai primi maestri dell'arte astratta.
A partire dal 1960 iniziano le sue prime importanti mostre retrospettive nei musei di Hannover, Essen e Zurigo e ancora proseguono negli anni a seguire importanti mostre al Centre Pompidou (Paris - New York). È del 1979 la sua creazione di una prima pittura interamente fondata sul ricoprimento integrale della tela con il nero, che riflette, "trasmuta" la luce a seconda dello stato della superficie. Questo lavoro inaugura il periodo che l'artista definirà nel 1990 dell'outrenoir, e che non si tratta di un semplice fenomeno ottico, ma di una complessa ricerca d'arte. A seguire importanti commissioni come quella delle 104 vetrate della Chiesa Abbaziale di Conques, nell'Aveyron, e ancora proseguono le mostre in tutta Europa, pubblicazioni e retrospettive che accreditano sempre di più il lavoro e l'opera del grande artista. Nel 1979 al Centre Pompidou l'importante retrospettiva Soulages, peintures récentes, curata da Alfred Pacquement e Pierre Encrevé che raccoglie più di 500.000 visitatori.

Oggi Soulages XXI secolo, mostra realizzata dall’Accademia di Francia a Roma - Villa Medici con il Musée des Beaux-Arts di Lione, in programma a Villa Medici dal 2 marzo al 16 giugno 2013.
Soulages XXI secolo rappresenta la più importante retrospettiva in Italia dedicata all'artista, che mette in mostra un’ampia selezione di dipinti su tela e su carta creati a partire dal 2000.

Immagine: Encre sur papier 76x75 cm, 2003 - Photo Georges Poncet  

CONCRETE, PHOTOGRAPHY AND ARCHITECTURE - FOTOMUSEUM WINTERTHUR



CONCRETE
Photography and Architecture
Fotomuseum Winterthur
Gruzenstrasse 44+45 - Winterthur
1/3/2013 - 20/5/2013

Architectures and cities are both volumes and images alike. We experience them directly, physically and sensually, as well as through pictures. Pictures speak a language of their own. They offer a discourse that is quite unlike the physical experience of architecture. They transform volume into surface; distil matter into forms and signs – rarely, if ever, leaving it as it is. That is probably why so many architects try to get involved in determining the image of their buildings. Concrete – Photography and Architecture seeks to approach the singular and complex relationship between architecture and photography in light-hearted, narrative and dialectical ways. The exhibition explores issues of history and ideology, as well as the specifics of form and material, in the photographic image.
The visual appeal of destroyed or dilapidated buildings is also addressed, as are their powerful demonstrations of power and exclusivity, fragility and beauty. To what extent does photography influence not only the way architecture is perceived, but also the way it is designed? How does an image bring architecture to life, and at what point does it become uncanny? How do settlements develop into cities? Or, in sociological terms: how do work and life interconnect differently in, say, Zurich and Winterthur, as opposed to, say, Calcutta? And how do skyscrapers and living spaces translate into the flat, two-dimensional world of photography?
Concrete – Photography and Architecture is not, however, chronologically arranged. Instead, it is based on compelling positions, counterpositions and thematic fields that connect various concrete, fundamental and historical aspects. Alongside everyday buildings and prestigious architecture, structured by horizontal and vertical axes, alongside homes and houses, utopian fantasies, design and reality, an important aspect of the exhibition is the compelling appeal of architectural decay due to the passage of time, through both natural and deliberate destruction. It is almost as though photography were providing a moral reminder even such magnificence and presence, whether hewn in stone or cast in concrete, has its weaknesses too.
Architecture has always been an important platform for the frequently heated discussion of ideas and views, zeitgeist and weltanschauung, everyday life and aesthetics. Architecture is the bold materialisation of private and public visions, functionality and avant-garde art alike. It is, as Slavoj Žižek puts it, ideology in stone. Photography and architecture both play an undisputed role in our everyday lives. They confront us on a daily basis, often without our even noticing, and they influence how we think, act and live in subliminal and lasting ways. Concrete – Photography and Architecture provides visual answers to the question of what it is that makes up the intimate yet complex relationship between architecture and photography, architect and photographer.
The exhibition presents more than 400 photographs and groups of works from the 19th, 20th and 21st centuries, including William Henry Fox Talbot, Domenico Bresolin and Charles Marville as well as Germaine Krull, Lucia Moholy and Julius Shulman, and spanning an arc to contemporary works by Georg Aerni, Iwan Baan, Luisa Lambri and Hiroshi Sugimoto. Projects such as the long-term observations of Schlieren photography or Wolfgang Scheppe‘s Migropolis show how the art of photography is playing an increasingly important role as an instrument of research and knowledge. Curator: Thomas Seelig. Research Assistant: Daniela Janser.
The exhibition is accompanied by a lavishly illustrated book published by Scheidegger & Spiess, with some 300 colour and black-and-white pictures, essays by Jochen Becker, Johannes Binotto, Verena Huber Nievergelt, Michael Jakob, Nicoletta Leonardi, Lorenzo Rocha, Caspar Schärer, Aveek Sen and Urs Stahel as well as a conversation with Annette Gigon, Meret Ernst and Armin Linke. 

RONALD DWORKIN: GIUSTIZIA PER I RICCI - FELTRINELLI 2013

RONALD DWORKIN
GIUSTIZIA PER I RICCI
Feltrinelli, 6/2/2013
collana "Campi del sapere"

Giustizia per i ricci difende un'antica tesi filosofica quella dell'unità del valore. Il titolo del libro si riferisce a un verso del poeta greco Archiloco, reso celebre da Isaiah Berlin, secondo cui le volpi sanno molte cose, mentre i ricci ne sanno solo una, ma grande. In questo molto esauriente volume Ronald Dworkin sostiene che il valore in tutte le sue forme è appunto una grande cosa: che cosa sia la verità, che senso abbia la vita, che cosa prescriva la moralità e che cosa richieda la giustizia sono solo diversi aspetti della stessa più ampia questione. Lo argomenta sviluppando originali teorie su una varietà di tematiche: lo scetticismo morale, l'interpretazione letteraria, artistica e storica, la libera volontà, la teoria morale degli antichi, l'essere buoni e vivere una buona vita, la libertà, l'eguaglianza e la legge, tra le altre cose. Quello che pensiamo riguardo a ciascuno di questi temi deve poter reggere a un'argomentazione che risulti convincente per gli altri, deve giustificarsi attraverso gli altri. La minaccia a tale unità viene principalmente dallo scetticismo. Il procedimento interpretativo consente di far discendere da un principio morale la giustificazione di un altro principio morale, superando le contraddizioni tra valori in un sistema in cui i valori si tengono l'un l'altro, si interpretano alla luce degli altri. Giustizia per i ricci tira le fila dei suoi studi nel campo della filosofia morale e politica. 

BORIS GROYS: INTRODUZIONE ALL'ANTIFILOSOFIA - MIMESIS 2013

BORIS GROYS
INTRODUZIONE ALL'ANTIFILOSOFIA
Mimesis, 20/2/2013
collana "Il caffé dei filosofi£"

In questo straordinario inedito Groys affronta la filosofia stessa come atto del pensiero, creando un corto circuito virtuoso con l’azione creatrice dell’arte. La filosofia tradizionale promette di soddisfare il desiderio di conoscenza. Ma quale realtà ha oggi il legame tra filosofia e conoscenza? Che cosa motiva davvero un progetto filosofico? L’Antifilosofia non va contro questo o quel particolare pensiero, ma contro il progetto filosofico in quanto tale. Questo progetto è interpretato come perdita di vera vitalità e come prodotto di una società ingiusta. Alla domanda perché l’ uomo di questo tempo desidera ancora la filosofia non si può più rispondere con la teoria. Groys lancia piuttosto un appello scaturito dalla vita concreta e con un comando rivolto a se stessi: vivi pericolosamente! Cambia il mondo! E allora, così, tu potrai conoscere. In questo libro Groys esplora le domande filosofiche cruciali trovando risposte inaspettate attraverso un’ ampia varietà di filosofi da Benjamin, Derrida a Heidegger, Kierkegaard e Nietzsche. Fare per conoscere, il suo motto più efficace. 

L'ITALIA LETTERARIA ATTRAVERSO LE SUE RIVISTE - BANCA D'ITALIA, GENOVA




L'ITALIA LETTERARIA ATTRAVERSO LE SUE RIVISTE
1930-1970
Banca d'Italia
via Dante 3 - Genova
1/3/2013 - 15/3/2013

Venerdì 1 marzo 2013 alle ore 16.00 presso la Sala Congressi della Banca d’Italia avrà luogo l’inaugurazione e la presentazione della mostra L’Italia letteraria attraverso le sue riviste. 1930-1970-Biblioteca Universitaria di Genova con Succursale mare per la VI edizione della Rassegna.
Esposizione a cura di Laura Accerboni dei primi numeri di riviste di poesia possedute dalla Biblioteca Universitaria di Genova e dalla Fondazione Mario Novaro. Da un’idea di Luciano Neri
L’esposizione avrà luogo nel caveau storico da venerdì 1 a venerdì 15 marzo 2013
Orario: da lunedì a venerdì 10 - 12
Le visite avverranno previa prenotazione all’indirizzo Genova.segreteria@bancaditalia.it o telefonando ai numeri 010 5491204/220

Incontri di approfondimento

Venerdì 8 marzo
Scritture e Riviste - VI edizione della Rassegna Succursale mare
Le riviste degli anni ’50 e ’60

Venerdì 22 marzo
Scritture e Riviste - VI edizione della Rassegna Succursale mare
Le riviste degli anni ’30 e ’40

Gli incontri si svolgeranno alle 17.30 presso la Biblioteca Universitaria di Genova – Via Balbi, 3 

mercoledì 27 febbraio 2013

FAIL BETTER - HAMBURGER KUNSTHALLE



FAIL BETTER
Moving Images
curated by Brigitte Kölle
assistant: Jonas Beyer
Hamburger Kunsthalle
Glockengiesserwall - Hamburg
28/2/2013 - 11/8/2013 

The American sociologist Richard Sennett once described failure as the great modern taboo. Success, career advancement, performance and profit maximisation are increasingly important in today's society, leaving little room for failure, defeat, loss, disenchantment or disillusionment. But is failure only a matter of being defeated, reaching the end of the line? Or can an apparent failure not also lead to something else – something new, different or unexpected? Within the realm of art, failure has always been closely linked to the creative process. "Try again / fail again / fail better" is how Samuel Beckett described it. 
The Irish writer made repeated and lengthy visits to the Hamburger Kunsthalle when he visited Germany around 75 years ago; now, in line with his maxim, the Kunsthalle is mounting an exhibition of moving images – video installations and films from the 60ies till today – which explore failure from many different angles and present playful, passionate, tragic, amusing, mournful and surprising approaches to the concept of 'failing to succeed'. 

Participating artists:
Marina Abramović, Vito Acconci, Bas Jan Ader, Francis Alÿs, John Baldessari, Guy Ben-Ner, Tacita Dean, Rineke Dijkstra, Tracey Emin, Jeanne Faust, Fischli & Weiss, Ceal Floyer, Annika Kahrs, Steve McQueen, Bruce Nauman, Christoph Schlingensief, Gillian Wearing. 

Image: Bas Jan Ader (1942 – 1975), Fall 2, Amsterdam 1970 (Dokumentation), 16 mm Filmproduktion, schwarz-weiß, ohne Ton © Mary Sue Ader-Andersen / Bas Jan Ader Estate at the Patrick Painter Gallery

ANDREA NACCIARRITI: AND THE SHIP SAILS ON - FONDAZIONE PESCHERIA, PESARO



ANDREA NACCIARRITI
AND THE SHIP SAILS ON
a cura di Ludovico Pratesi
Fondazione Pescheria - Centro Arti Visive
Corso XI Settembre 184 - Pesaro
dal 16/2/2013 al 7/4/2013



Il 16 febbraio 2013 alle ore 18.30 presso la Fondazione Pescheria di Pesaro si inaugura And the Ship Sails On, la mostra personale dell’artista marchigiano Andrea Nacciarriti (Ostra Vetere, Ancona, 1976) a cura di Ludovico Pratesi. 
Il progetto è ispirato a una serie di vicende di cronaca relative alle navi che scaricano rifiuti tossici nel Mediterraneo, ed è frutto di una ricerca che l’artista conduce da diversi anni. 
“Sono decine le navi mercantili, affondate o naufragate misteriosamente durante gli ultimi trent'anni nel mare Mediterraneo: dalla Aso andata a picco nel 1979 vicino Locri in Calabria, alla Rigel affondata al largo di Reggio Calabria nel 1987, alla Marco Polo inabissata nel Canale di Sicilia nel 1993, oltre a decine di incidenti avvenuti in anni più recenti, le navi sarebbero state usate per sbarazzarsi di tonnellate di rifiuti tossici, chimici e radioattivi“ spiega Nacciarriti, che è stato ispirato ad occuparsi di questo spinoso argomento dopo la lettura del libro di Riccardo Bocca “Le navi della vergogna”, che svela inquietanti connessioni tra il traffico di rifiuti tossici, le organizzazioni criminali internazionali e l’aumento di tumori e altre gravi malattie nelle zone dove le navi vengono fatte affondare o si sono incidentalmente spiaggiate. 
La mostra segna un percorso di indagine tra il Loggiato, che ospita immagini relative alla nave Jolly Rosso, e il Suffragio, in una costante tensione tra cronaca, informazione e interpretazione, attraverso opere di carattere installativo, realizzate con materiali diversi, che vanno dall’acqua al marmo, dai frammenti audio al video. 
“Non è mia intenzione fare una cronaca d'approfondimento giornalistica, oltre all’esigenza etica di presentare una storia viscida, pericolosa, di intrecci tra criminalità organizzata e istituzioni italiane e internazionali” spiega Nacciarriti, che svela trame criminali che coinvolgono la Romania, l’Italia, la Libia e la Somalia pressocchè ignorate dalla stampa ufficiale. 
La mostra è accompagnata da un catalogo edito da Silvana Editoriale, con testi di Ludovico Pratesi e Riccardo Bocca, una conversazione informale con Gianfranco Posa, Presidente del Comitato Civico Natale De Grazia, oltre ad un’intervista con l’artista di Ludovico Pratesi. 

Andrea Nacciarriti nasce a Ostra Vetere, in provincia di Ancona, nel 1976. Studia all’Accademia di Belle Arti di Bologna. Nel 2010 vince il Premio Terna03 nella sezione Gigawat e nel 2011 il Premio Celeste. Ha partecipato a mostre collettive alla Galleria d’Arte Moderna di Monfalcone, al MAN di Nuoro, al PAC di Milano, al Macro di Roma, alla Fondazione Casoli di Fabriano e alla Maison Rouge di Parigi.

CAMILLA MIGLIO: LA TERRA DEL MORSO - QUODLIBET 2013



CAMILLA MIGLIO
LA TERRA DEL MORSO
L'Italia ctonia di Ingeborg Bachmann
Quodlibet, 6/2/2013
collana "Quodlibet Studio. Lettere"

Ingeborg Bachmann (1926-1973), poetessa, scrittrice, traduttrice, ma anche filosofa e acuta critica della letteratura e della cultura, trascorse in Italia quasi metà della sua breve vita, tra Ischia, Napoli e Roma. Il volume, nell’analizzare la sua produzione poetica di argomento “italiano”, inserisce la scrittrice austriaca nel clima culturale del nostro Paese negli anni ’50 e ’60. Rintraccia nella sua scrittura i segni di un’Italia ctonia, sismica, popolata di animali pericolosi e mordaci oppure di esseri mobili, anfibi, capaci di vivere in molti regni. Una terra scossa da boati sotterranei di terremoti e vulcani, e pure dal canto di creature inquietanti, fragili e oltreumane, sublimi eppure sempre esposte allo scherno altrui: come per esempio Maria Callas, Gaspara Stampa, e tutte le eroine dell’Opera. Chi s’incammina per quel meridione delineato da Bachmann si espone al “morso”, allo choc che attraverso un dolore acuto, inizia a un modo-altro del vedere e del sentire. In questo senso la ricerca di Bachmann – nel mettere in scena voci, danze, situazioni della ritualità meridionale, eventi popolari collettivi – si affianca agli studi antropologici di Ernesto de Martino; mentre la sua attenzione per le figure emblematiche, come Maria Callas, la rivela compagna di strada e precorritrice di Pier Paolo Pasolini.

Camilla Miglio insegna Letteratura tedesca e traduzione all’Università “Sapienza” di Roma. Tra le sue ricerche, studi su Herder, Novalis, Goethe, Brentano, Rilke, Benn, Bachmann, Kafka, e la cura di due volumi di Teoria e storia della traduzione (L’Orientale 2006 e 2007). Su Paul Celan ha pubblicato Celan e Valéry. Poesia, traduzione di una distanza (ESI 1997), per Quodlibet nel 2005 Vita a fronte. Saggio su Paul Celan e ha curato, con Irene Fantappiè, L’opera e la vita. Paul Celan e gli studi comparatistici (L’Orientale 2008). Ha tradotto autori tedeschi del Romanticismo e del Novecento, tra cui volumi di Brentano e dei Fratelli Grimm, Liebenskind, Kafka, Enzensberger, Waterhouse, Draesner, Grünbein, Seiler, Kermani, Stolterfoht. 

PAVEL FLORENSKIJ: STUPORE E DIALETTICA - QUODLIBET 2013



PAVEL FLORENSKIJ
STUPORE E DIALETTICA
Quodlibet, 13/2/2013
collana "Bis"

Questo scritto, finora inedito in italiano, potrebbe fungere da guida e da incentivo per chiunque, in quest’epoca di disorientamento del pensiero, si accinga a intraprendere lo studio della filosofia. La domanda di fondo investe le strategie che l’uomo, nel corso della storia, ha messo a punto per «spiegarsi» la realtà. E tale domanda è sollevata a ragion veduta: Florenskij è – caso quasi unico – un pensatore in grado di rievocare la figura dell’intellettuale rinascimentale capace di padroneggiare gli ambiti più svariati della conoscenza. Egli fu fisico, matematico, ingegnere elettrotecnico, ma anche filosofo e teologo, teorico dell’arte e linguista. Ma in tutto questo egli non indulge a sincretismi o tenere conciliazioni; raramente si può assistere a una presa di posizione così severa nei confronti delle pretese verità delle scienze, a un uso di argomenti tanto sottili da anticipare molti temi centrali dell’epistemologia novecentesca. Persino il «discorso comune» (con la sua «ricchezza disordinata» e la sua «vita caotica») pare avere, rispetto al «vuoto ordinato e la morte» delle scienze, maggiori speranze di attingere al vero.
Tuttavia, solo la filosofia si rivela in grado di tener dietro al ritmo temporale della vita, in virtù del suo metodo, la dialettica, che la radica nella mutevolezza dei fatti con tale forza da non poterne mai venire disarcionata. Un radicamento mobile consentito dall’altro elemento fondamentale del pensiero filosofico, quell’«acuto sentimento di apertura al novum» che è lo stupore. Ecco la fonte più autentica della filosofia, di cui testimoniano Platone e Goethe, il principe Amleto e Dostoevskij, ma anche Cartesio, l’abate Condillac e Kant, Novalis e Schelling, la prima tradizione apostolica e la grande mistica russa. Fino a giungere all’apostolo Tommaso, figura esemplare della filosofia, che meglio incarna quel senso originario dello stupore che conduce l’essere umano alle soglie della conoscenza integrale, delle verità ultime della vita e della morte, sull’orlo dell’invisibile mistero.

Pavel Aleksandrovič Florenskij (1882-1937) è oggi riscoperto e considerato uno dei maggiori pensatori del XX secolo, dotato di una sorprendente competenza nei diversi ambiti dello scibile. Nel 1933 egli venne accusato dal regime sovietico di attività controrivoluzionaria, quindi arrestato e condannato a dieci anni di lavori forzati, prima nel campo di Skovorodino, poi alle isole Solovkij. Dopo cinque anni di gulag, a seguito di una sentenza speciale della trojka, Florenskij fu condannato alla pena suprema e fucilato l’8 dicembre 1937 a Levašovo, nei pressi di Leningrado.
Tra le sue opere più rilevanti apparse in traduzione italiana ricordiamo in particolare: Le porte regali, Adelphi, Milano 1977; Lo spazio e il tempo nell’arte, Adelphi, Milano 1995; «Non dimenticatemi». Lettere dal gulag, Mondadori, Milano 2000; Ai miei figli. Memorie di giorni passati, Mondadori, Milano 2003; La mistica e l’anima russa, San Paolo, Milano 2006; Il simbolo e la forma. Scritti di filosofia della scienza, Bollati Boringhieri, Torino 2007; Il concetto di Chiesa nella Sacra Scrittura, San Paolo, Milano 2008; La colonna e il fondamento della verità, San Paolo, Milano 2010. 

MARCO LOCCI DIPINGE IL NUVOLARIO DI FOSCO MARAINI - GALLERIA IL VICOLO, GENOVA



MARCO LOCCI
dipinge Il nuvolario di Fosco Maraini
Gallerie Il Vicolo
salita Pollaiuoli 37R - Genova
dal 21/2/2013 al 16/3/2013

La galleria d’arte IL VICOLO presenta l’esposizione personale Marco Locci dipinge Il nuvolario di Fosco Maraini, realizzata in occasione della mostra Miramondo. Fosco Maraini. Sessant’anni di fotografia, che si terrà a Palazzo Ducale dal 22 febbraio.
L’artista Marco Locci si confronta in questa occasione con il testo del 1956 di Fosco Maraini “Il nuvolario” - sorta di catalogazione lirica e immaginaria delle nuvole - con una serie di una trentina di opere sul tema. 

martedì 26 febbraio 2013

LAST WORKS - SCHIRN KUNSTHALLE, FRANKFURT



LAST WORKS
From Manet to Kippenberger
curated by Esther Schlicht
Schirn Kunsthalle
Romerberg - Frankfurt
27/2/2013 - 2/6/2013

From February 27 to June 2, 2013, the Schirn Kunsthalle Frankfurt presents a lavish thematic show titled “Last Works. From Manet to Kippenberger” which comprises about one hundred exhibits. Outstanding works and groups of works dating from the late nineteenth century to the present strikingly demonstrate the final intensification or even surprising turn within an artist’s oeuvre. The exhibition centers on works by fourteen artists such as Claude Monet and Henri Matisse, who produced a late work that has received acclaim in the meantime, or Martin Kippenberger and Bas Jan Ader, who, when they died young, left us an almost unknown “late work.” Thematically framed confrontations in seven consecutive rooms assemble works by artists from Willem de Kooning, Alexej von Jawlensky, Georgia O’Keeffe, and Andy Warhol to Francis Picabia or Ad Reinhardt and, in doing so, offer sometimes surprising views of the selected artists’ oeuvres.
“The subject of ‘late works’ has only rarely been in the focus of exhibitions to date,” says Max Hollein, Director of the Schirn. “Presenting a large number of emblematic late works – including spectacular loans by such artists as Monet and Warhol – our choice guarantees surprising and atmospheric dialogues and will certainly be an early highlight of the exhibition year 2013.” “Presenting groups of related works, the show deliberately concentrates on a number of selected positions. It is not devoted to late works in the classical sense, but rather centers on such aspects as “a new beginning in old age, “variation and repetition,” or “the last picture” in order to elucidate as many facets as possible by confronting two artists at a time. We found it important to establish such dialogues to open up the thematic field beyond the individual oeuvre despite the uniqueness of each artist’s personal end,” Esther Schlicht, the curator of the exhibition, emphasizes.
Art history has discussed the concept of the “late work” almost exclusively in regard to an extant so-called late or mature style. The Schirn’s group exhibition, however, highlights the specific nature of how an individual oeuvre comes to a close. Many of the shown works are characterized by an increase in intensity, a radicalization, or a reorientation resulting from physical restrictions. Yet the facets of the presented artists’ final phases of production also speak of a newly won freedom, of enhanced creativity, and of a return to the very beginnings of a career and span to an extended play with aspects of chance, repetition, and, finally, an explicit aesthetic inquiry into the issue of the “last work.”.
The presentation at the Schirn is not chronologically structured. Its thematically oriented confrontations are rather aimed at opening up a fascinating, sometimes unexpected dialogue between two artists: Édouard Manet’s flower still lifes, for example, on which the artist worked in 1882/83 until only a few weeks before his early death, and Claude Monet’s famous water lily pictures appear to be related to each other only at a quick first glance. Manet’s rare flower paintings, a concentrated selection of which will be on display in the exhibition, were not conceived as a coherent group of works and have been hardly read as a series to this day. The fresh, positive-minded paintings are private testimony to the premature discontinuation of an extraordinary production. The late water lily pictures Monet worked on from about 1914 onward mark a turn to the public and a clear change in style toward a radical painterly dissolution. The then seventy-year-old painter’s final great challenge was criticized by the contemporary public and only later recognized as the visionary completion of a unique creative path. It is exactly the contrast between the two positions from which the confrontation of the two artists’ last paintings dedicated to flower motifs derives its astonishing appeal: expansion and an almost complete abstraction meet with extreme concentration and portrait-like intimacy.
The context shared by Henri Matisse’s and Willem de Kooning’s works juxtaposed in the show may be described as that of an increased eagerness to experiment in later years. Whereas Matisse, due to illness, came to rely on the papiers découpés technique in the 1940s, de Kooning, one of the most important representatives of Abstract Expressionism, reinvented himself as a painter, so to speak, in the 1980s. The two artists’ late works, which are legend today, mark a clear caesura, a late awakening, a new beginning. Initially strongly disputed and even critically judged within the artist’s own circle, Matisse’s cut-outs are celebrated as the final culmination of his production today. De Kooning’s late works numbered among the achievements most strongly contested by critics and art historians for a long time, not least because the artist, who suffered from Alzheimer’s in his last creative years, was regarded as a case of diminished responsibility. The exhibition confronts some of de Kooning’s extremely reduced, abstract, almost drawing-like paintings from 1985 to 1987 with a selection of examples from Matisse’s famous artist’s book Jazz.
The last creative phase of Alexej von Jawlensky, who was born in 1864, shows an increase in productivity in the awareness of the approaching end of life. Nearly paralyzed, the Russian artist, exerting himself to the utmost, produced about one thousand small-format pictures between 1934 and 1937 – works known to us under the name Meditations. In the Schirn, a condensed selection of these oil paintings meets with a singular work by the experimental US filmmaker Stan Brakhage. For his last film, Chinese Series, Brakhage scratched sign-like forms into a black filmstrip with his fingernails shortly before his death in 2003 after he had softened its emulsion with saliva. Already weakened by his long illness, the filmmaker could engage in these elementary activities in a lying position. Like Jawlensky’s Meditations, Chinese Series strikes us through its existential urgency and has proved to be a visionary forerunner of new ideas in the field of art.
Both Georgia O’Keeffe and Walker Evans showed themselves open to astonishing subjects and new languages of forms in their last phases of production. Their late works presented in the Schirn rank among the artists’ still less known works. The eighty-year-old Georgia O’Keeffe’s pictures of skies and clouds mirror her new experience of flying in the 1960s, adding a fascinating dimension to the oeuvre of the artist who would lose her sight soon after. Seen against the background of his canonized oeuvre, the works of the then almost seventy-year-old Evans produced after the photographer had purchased a new type of Polaroid camera in 1973 are a special surprise. Within only a few months, Evans took several thousand instant color photographs that radiate an impressive freshness and spontaneity which testify to an almost youthful eagerness to experiment.
Visitors of the Schirn exhibition will find last works by Giorgio de Chirico and Andy Warhol assembled next to each other under the title “Variation and Repetition.” A selection of pictures from the Italian artist’s very last creative years stands for his still contested late oeuvre. In a kind of soliloquy, de Chirico returned to subjects of his early years in the late 1960s and 1970s, modifying and recombining them in seemingly endless variations. In doing so, he sometimes arrived at absurdly magnificent solutions. The technique of repetition, which was something that was per se central to Andy Warhol’s production, also informed his “last pictures,” the cycle The Last Supper. One of the monumental (more than eight meters wide) pictures from this substantial group of works from 1986 based on Leonardo da Vinci’s The Last Supper will be shown for the first time in Europe again after fifteen years. That exactly the icon of Christ taking leave in the company of his followers would become Warhol’s provocative legacy is, however, rather due to an irony of history, as it were.
The German painter Martin Kippenberger seems to have dedicated himself to his impending inescapable end in his last works. After the shock of being diagnosed with cancer, the then forty- three-year old artist created the sad and pathetic as well as playful series of pictures titled “Jacqueline. The paintings Pablo couldn’t paint anymore.” By supposedly carrying on Pablo Picasso’s work, Kippenberger tried to overcome the notion of his unpreventable death and dared to anticipate his own afterlife in a way. Kippenberger’s pictures will be juxtaposed with a little known group of works from the last creative years of the French artist Francis Picabia. The minimalism and intentionally “bad” painting of his so-called dot pictures were regarded as a straightforward provocation when the works were presented in Paris in 1949 for the first time. Picabia, with this radical group of works taking up the thread of his Dadaist beginnings, once more raised the fundamental issue about the death or survival of painting as a final statement toward the end of his life against the background of the postwar years’ informal painting.
Almost like no other, the Dutch conceptual and performance artist Bas Jan Ader incorporates the tragic dimension of a fatal end. He planned to cross the Atlantic in a one-man sailing boat in 1975 as the second part of his work “In Search of the Miraculous.” Though the wreck of the pocket cruiser was recovered in April 1976, there was no trace of Ader. This voyage of no return made the artist a mythical hero and triggered a questionable discussion about the meaning of his failure, which was interpreted as an artistic act by part of the art world. The auspices under which the American artist and art theorist Ad Reinhardt created his veritably absolute “last work” were completely different. He dedicated himself exclusively to his so-called Black Paintings during his last six creative years from 1960 to 1966. He tried to reach the rock bottom of painting, a point beyond all contents and intentions, with these mysterious black squares. These paintings mark not only the end of Reinhardt’s own production as an artist, but also the apsis of a profound aesthetic investigation into the issue of the “last picture.”

ARTISTS: Bas Jan Ader, Stan Brakhage, Giorgio de Chirico, Walker Evans, Alexej von Jawlensky, Georgia O’Keeffe, Martin Kippenberger, Willem de Kooning, Édouard Manet, Henri Matisse, Claude Monet, Francis Picabia, Ad Reinhardt, and Andy Warhol

CATALOG: Last Works. From Manet to Kippenberger. Edited by Esther Schlicht and Max Hollein. With a preface by Max Hollein, essays by Hannes Böhringer, Nicholas Cullinan, Henning Engelke, Stéphan Guégan, Carolyn Kastner, Carolin Köchling, Ulf Küster, Johannes Meinhardt, Eva Meyer-Hermann, Sylvie Patry, Gerd Roos, Jeff L. Rosenheim, Esther Schlicht, and Hervé Vanel, as well as the last interview with Andy Warhol, conducted by Paul Taylor. German, 160 pages, c. 160 color illustrations, 29 × 24 cm, graphic design: Heimann und Schwantes, Berlin; Hirmer Verlag, Munich 2013, ISBN 978-3-7774-2039-4, 26,80 € (Schirn), c. 39,90 € (trade edition).

Image: Claude Monet Nymphéas, 1914-1917 © Fondation Beyeler, Riehen/Basel 

FOTO DI GRUPPO - MACRO, ROMA



FOTO DI GRUPPO
Galleria Pieroni, Zerynthia, RAM: 1970-2013
a cura di Stefano Chiodi
MACRO - Museo d’Arte Contemporanea Roma
Project Room 1 – via Nizza 138 - Roma
dal 27/2/2013 al 5/5/2013

Il Museo prosegue l’esplorazione del panorama artistico romano degli ultimi decenni e presenta la mostra Foto di gruppo. Galleria Pieroni, Zerynthia, RAM: 1970-2013, che ricostruisce criticamente l’intero arco dell’attività di una delle presenze più originali e significative nel panorama dell’arte più recente: la Galleria Pieroni e le sue successive metamorfosi negli spazi e nelle iniziative di Zerynthia e RAM radioartemobile.
Dal 1970 a oggi, l’attività di Mario Pieroni e Dora Stiefelmeier rappresenta un punto di riferimento per la comunità artistica italiana e internazionale, e l’esposizione, attraverso una selezione di opere significative di più di 50 artisti contemporanei e decine di documenti perlopiù inediti, intende documentare la passione, l’apertura culturale e lo spirito di condivisione che hanno da sempre caratterizzato le iniziative dei suoi animatori. 

HEIMO SCHWILK: ERNST JÜNGER - EFFATA 2013

HEIMO SCHWILK
ERNST JÜNGER
Una vita lunga un secolo
Effata, 20/2/2013
collana "Il piacere di leggere"

Ernst Jünger (1895-1998) può essere definito il “diarista del XX secolo”: filosofo, romanziere, saggista, figura eminente della cultura tedesca del Novecento, ha coniato uno stile inconfondibile, aggressivo e sfavillante, che sembra far parlare lo spirito del mondo. Non soltanto nelle sue opere, ma anche nella vita ha incarnato i passaggi e le cesure della storia tedesca. Nella giovinezza acceso nazionalista, al fronte nella Prima guerra mondiale, fu critico del nazismo e divenne al termine della sua lunga esistenza un convinto europeista. La prima biografia di Jünger edita in Italia fa ricorso a documenti di prima mano, offrendo un ritratto completo di quest’uomo affascinante e discusso.

Il vero scrittore, come la vera ricchezza, si riconosce non dai tesori di cui è in possesso, ma dalla sua capacità di rendere preziose le cose che tocca. Egli è pertanto simile a una luce che, invisibile, riscalda e rende visibile il mondo.

Heimo Schwilk è autore di numerosi libri di politica e letteratura; si occupa da decenni della vita e dell’opera di Jünger.
Di recente ha pubblicato una biografia di Hermann Hesse. Vive e lavora a Berlino. 

GIULIO FERRONI: GLI ULTIMI POETI - IL SAGGIATORE 2013

GIULIO FERRONI

GLI ULTIMI POETI
Giovanni Giudici e Andrea Zanzotto
Il Saggiatore, 21/2/2013
collana "Biblioteca delle silerchie" 

Giovanni Giudici e Andrea Zanzotto: due grandi poeti, due amici, due uomini comuni. Uniti dalla passione per l'arte, hanno condotto una vita lontano da ogni ostentazione intellettuale, dimostrando che la letteratura più vera resiste entro la più semplice, disponibile e amichevole umanità. Questo libro vuole essere un omaggio alla grandezza dei due letterati - scomparsi l'anno scorso - e a un linguaggio poetico caratterizzato dalla capacità di toccare i nodi più difficili del pensiero e della cultura con un'immediatezza comunicativa fuori dal comune

RIDARE SENSO ALLE PAROLE - PALAZZO DUCALE, GENOVA



RIDARE SENSO ALLE PAROLE
Palazzo Ducale - Sala del Maggior Consiglio
piazza Matteotti 9 - Genova
dal 27/32/2013 al 28/3/2013

Enzo Bianchi, priore di Bose, cura un ciclo di incontri che sollecitano una profonda riflessione sul nostro linguaggio con l'obiettivo di ridare forza e senso a quelle parole che sono a rischio di progressivo svuotamento di significato.
Eppure è proprio dal ripensare termini come responsabilità, gratuità, compassione, bene comune che possono nascere modelli di convivenza più civili e che possono prendere forma un tessuto comunitario più forte e una nuova dimensione di etica individuale e collettiva.

Programma:

27 febbraio 2013, ore 17.45
Compassione
Enzo Bianchi
Priore di Bose

8 marzo 2013, ore 17.45
Responsabilità
Gherardo Colombo
consigliere Rai

14 marzo 2013, ore 17.45
Gratuità
Roberto Mancini
Docente di Filosofia teoretica, Università di Macerata

28 marzo 2013, ore 17.45
Bene comune
Salvatore Natoli
Docente di Filosofia teoretica, Università di Milano Bicocca

ingresso libero, tutti alle ore 17.45 

lunedì 25 febbraio 2013

URS LÜTHI - OPERE SCELTE, TORINO



URS LÜTHI
Opere scelte
via Matteo Pescatore 11/d - Torino
dal 26/2/2013 al 5/4/2013

La galleria Opere Scelte inaugura, martedì 26 febbraio alle ore 18.00, la mostra personale dell'artista europeo fra i più rappresentativi dell'arte Concettuale e della Body Art: Urs Lüthi.
Auto-ironico e provocatorio con una precisa ricerca formale ed estetica che lo porta al pieno possesso di diversi mezzi espressi, senza dimenticare i più tradizionali, come la pittura.
I temi trattati, dall'eccentrico e allo stesso tempo malinconico artista svizzero, implicano sempre la sfera personale e, attraverso le sue numerose autorappresentazioni, palesano una sottile e intensa ambiguità, lasciando spazio a interpretazioni diverse. L'“io”, il doppio, la sessualità, l'ambivalenza sono riflessioni sulla condizione dell'uomo contemporaneo, sulle sue fragilità e i suoi stereotipi.
In mostra, presso la galleria Opere Scelte, la prima sala è dedicata a opere fotografiche, mentre la seconda accoglie opere pittoriche e grafiche, meno conosciute, dove Lüthi risulta più sentimentale, nostalgico e visionario. La narrazione è rivolta a un mondo ideale.
Desiderio, bellezza e felicità si intrecciano alla difficoltà dell'esistenza per l'artista che elimina i confini tra l'arte e la vita stessa.
Con l’esposizione di Urs Lüthi, la Galleria continua nel percorso artistico che, attraverso momenti degli ultimi tre decenni dell’arte contemporanea, è incentrato sull’orientamento che l’artista può dare al mezzo espressivo. 

JOHN ROBB: MANCHESTER 1977-1996 - ODOYA 2013

JOHN ROBB
MANCHESTER 1977-1996
La scena musicale nella voce dei suoi protagonisti
Odoya, 21/2/2013
collana "Musica"

Dalla furia del punk allo stridore del Britpop, Manchester è stata il cuore dell'innovazione musicale. La rivoluzione cominciò quando i Buzzcocks ingaggiarono i Sex Pistols per due concerti alla Lesser Free Trade Hall nel 1976. L'etichetta musicale della città, la Factory, diede alla luce i Joy Division/New Order e gli Happy Mondays. Ci sono stati il genio cerebrale degli Smiths, e poi la rivalità tra Stone Roses e Oasis, a farla da padrone sulle principali testate musicali di tutto il mondo. La Hacienda, il locale della Factory, divenne celebre per tutti gli anni Ottanta come fucina dell'importante scena di Manchester, contraddistinta da uno stile e un sound unici. Dalle ceneri ancora fumanti di Manchester sorsero poi, negli anni Novanta, gli Oasis, enfants terribiles del Britpop. Ora, attraverso decine di interviste ai più orgogliosi figli di MaDchester, da Morrissey a lan Brown, John Robb raccoglie le testimonianze dei musicisti più loquaci, che ci raccontano senza filtri la storia della scena musicale che li ha portati a godere di un successo mondiale. 

FRANCESCO BOMMARTINI: RISERVA INDIPENDENTE - ARCANA 2013

FRANCESCO BOMMARTINI
RISERVA INDIPENDENTE
La scena musicale italiana negli anni zero
Arcana, 13/2/2013

La nuova musica italiana rima con scena indipendente. La analizza in questo libro Francesco Bommartini che, tramite approfondimenti e interviste, definisce la spina dorsale del movimento, mettendone a fuoco tutti i risvolti. Gli artisti indipendenti sono sempre più riconoscibili, anche dal grande pubblico, e non solo perché negli ultimi anni vengono invitati a suonare al concerto del Primo Maggio o al Festival di Sanremo. La loro proposta musicale ha assunto uno spessore e una maturità tali da competere con qualsiasi nome del circo mainstream, i loro tour attraversano la penisola senza soluzione di continuità, articoli e interviste compaiono sui media non più soltanto di settore. Se ne sono accorti in tanti, comprese le major discografiche, ma sopratutto un pubblico appassionato e sempre più numeroso. Il volume raccoglie le visioni, le considerazioni e gli aneddoti de Il Teatro Degli Orrori, Tre Allegri Ragazzi Morti, I Ministri, Dente, Verdena, Calibro 35, Perturbazione, Zen Circus, …A Toys Orchestra, Paolo Benvegnù, Lo Stato Sociale, Il Pan Del Diavolo, I Cani, Uochi Toki, Bud Spencer Blues Explosion, Lombroso, Sick Tamburo, Marco Parente, ma c’è pure spazio per altri artisti, per le etichette e le booking agency, per i videomaker e i giornalisti musicali. Completa l’analisi Giordano Sangiorgi, presidente del Mei (Meeting delle Etichette Indipendenti).  

LIAM GILLICK: CREATIVE DISRUPTIONS IN THE AGE OF SOFT REVOLUTIONS - COLUMBIA UNIVERSITY, NEW YORK



LIAM GILLICK
CREATIVE DISRUPTIONS IN THE AGE OF SOFT REVOLUTIONS
Columbia University
Morningside Campus - Miller Theater
2960 Broadway at 116th Street
26/2/2013 - 7/3/2013

Selected as the 38th Bampton Lectures in America Series speaker, artist and Visual Arts faculty Liam Gillick presents a series of four lectures examining a particular genealogy of the modern period that offers a revised understanding of the origins of contemporary art and its analysis. The series is co-presented by the Institute for Religion, Culture and Public Life and the School of the Arts. 

"1820 Erasmus and Upheaval": Tuesday, February 26. The first lecture addresses the immediate aftermath of the French and American revolutions, which led to new models of work, life and social organization. 

"1948 Skinner and Counter Revolution": Thursday, February 28. The second lecture examines conspiracy, behavioralism, post-war restructuring and the delusions around applied modernism, revealing the various counter measures, both intentional and structural, that shaped the post-war sense of self. 

"1963 Herman Kahn and Projection": Tuesday, March 5. For the third lecture, 1963 is the pivot for a consideration of projection, both social and political. The rise of insurgency and the consolidation of the scenario as a tool of political and financial control is combined with new models of the presented self within developing subcultures.

"1974 Volvo and the Mise-en-Scene": Thursday, March 7. The final lecture, rooted in 1974, explores the mise-en-scene as a model for social and cultural organization. Continued shifts in technology and the rise of Neo-Liberalism are countered by new identifications and subjectivities.  

GIOVANNA CALVENZI: LE CINQUE VITE DI LISETTA CARMI - BRUNO MONDADORI 2013



GIOVANNA CALVENZI
LE CINQUE VITE DI LISETTA CARMI
Bruno Mondadori, 21/2/2013
collana "Testi e pretesti"

Per diciannove anni della sua intensa vita, dal 1960 al 1979, Lisetta Carmi è stata una grande fotogiornalista. Prima e dopo altre vite, tra musica e spiritualità. In fotografia è stata autodidatta, curiosa e intraprendente, ha viaggiato in Italia e nel mondo per “dare voce a chi non ne ha”, sempre dalla parte di chi soffre, di chi lotta, di chi si oppone alle ingiustizie. La sua è una fotografia che rifiuta gli esercizi di stile e che cerca sempre il contatto diretto con le persone e con gli avvenimenti. 

domenica 24 febbraio 2013

ARTE IN GIAPPONE 1868-1945 - GALLERIA NAZIONALE D'ARTE MODERNA, ROMA



ARTE IN GIAPPONE 1868-1945
a cura di Masaaki Ozaki, Ryuichi Matsubara, Stefania Frezzotti
Galleria Nazionale d'Arte Moderna GNAM
viale delle Belle Arti - Roma
I mostra 25 febbraio - 1 aprile
II mostra 4 aprile - 5 maggio

In occasione del cinquantesimo anniversario della nascita dell’Istituto Giapponese di Cultura in Roma, The Japan Foundation, Galleria nazionale d’arte moderna, The National Museum of Modern Art di Kyoto, in collaborazione con The National Museum of Modern Art di Tokyo e con l’Ambasciata del Giappone in Italia organizzano, per la prima volta in Italia, un’ampia mostra dedicata all’arte giapponese del Novecento, un periodo ancora poco esplorato di intense trasformazioni che va dalla restaurazione dell’Imperatore Meiji nel 1868 alla fine della seconda guerra mondiale. In quest’arco di tempo, dopo oltre due secoli di feudalesimo e di quasi completo isolamento, il Giappone si confronta con un rapido processo di modernizzazione tecnica, economica, sociale, secondo modelli occidentali, mentre i primi influssi diretti dell’arte europea penetrano in schemi secolari consolidati. A questo profondo rinnovamento, repentino e radicale, si contrappone già negli ultimi decenni del XIX secolo un movimento di rinascita dell’arte tradizionale, di consapevole ritorno ad una visione estetica in cui si riconosce l’identità, l’antica civiltà del popolo giapponese. Alla pittura nihonga (la pittura in “stile giapponese”, in opposizione alla pittura yōga in “stile occidentale”) e alle arti applicate è dedicata la mostra della Galleria nazionale d’arte moderna, nelle cui sale è presentata una selezione di alto livello qualitativo di opere che reinterpretano lo spirito della tradizione: dai kakemono, i tipici dipinti su rotoli verticali di carta o di seta, ai magnifici paraventi che decoravano gli interni delle case giapponesi; e inoltre lacche, ceramiche, tessuti, kimono, vasi, intagli in legno, capolavori di una lunga e raffinata tradizione artigianale che tanto aveva influito sulla moda europea del giapponismo. Altrettanto tipici i soggetti affrontati: raffigurazioni di animali e immagini femminili, fiori, rami d’albero, paesaggi, evocazioni dei cambiamenti anche minimi della natura e del trascorrere delle stagioni, espressione di un sentimento di consonanza poetica.
Tra gli artisti del periodo Meiji (1868-1912), agli albori della rivoluzione del nihonga, sono presenti Kawanabe Kyōsai, Kanō Hōgai, Hashimoto Gahō, Shimomura Kanzan, Kawai Gyokudō, Mori Kansai, Kishi Chikudō, Kōno Bairei, Tomioka Tessai. Il periodo Taishō (1912-1926), il momento della piena fioritura artistica, è rappresentato da Yokoyama Taikan, Hishida Shunsō, Yamamoto Shunkyo, Hirafuku Hyakusui, Takeuchi Seihō, Kaburaki Kiyokata, Fukuda Heihachirō, Kosugi Hōan, Hashimoto Kansetsu, Ogawa Usen. La maturazione del nihonga moderno, fra Taishō e Shōwa (1926-1989), comprende opere di Matsuoka Eikyū, Maeda Seison, Uemura Shōen, Yasuda Yukihiko, Kobayashi Kokei, Imamura Shikō, Hayami Gyoshū, Murakami Kagaku, Tsuchida Bakusen, Tomita Keisen. Il 26 febbraio si terrà un simposio internazionale presso l’Istituto Giapponese di Cultura in Roma, via Gramsci 74, in cui verrà affrontato il tema delle reciproche influenze tra arte orientale e arte occidentale.
Per esigenze conservative, dovute alla particolare delicatezza dei materiali, la mostra è distinta in due diverse fasi espositive, con sostituzione quasi totale dei dipinti e parziale delle opere d’arte applicata, secondo il seguente calendario:

I mostra 25 febbraio - 1 aprile
II mostra 4 aprile - 5 maggio 

MARGARET BOURKE-WHITE - GROPIUS BAU, BERLIN



MARGARET BOURKE-WHITE
curated by Oliva Maria Rubio
Gropius Bau
Niederkichnerstrasse 7 - Berlin
17/1/2013 al 14/4/2013

In the male-dominated world of American photography Margaret Bourke-White (1904-1971) was a media star. Her portrait in flying gear setting off on a bombing raid, smiling and holding a camera in her left hand, was a favourite pin-up of the forces. Margaret Bourke-White always had to fight to get on. She wouldn’t let closed doors keep her out. The cover photo of the first ever issue of Life for November 1936 was by her, and to keep things simple she wrote the story behind it as well.
The exhibition presenting the work of the photographer consists of 154 photographs, letters and periodicals. The focus is on the pictures she took in the 1930s and 40s in the former Soviet Union, former Czechoslovakia, Germany, the UK and Italy. Also shown are such typical Bourke-White photographs as those she did for Eastern Airlines and the Chrysler Corporation. In the documentation section some of her word-picture sequences for the photo magazines Fortune and Life are on view as well as extracts from her correspondence with personalities from the worlds of politics and culture, such as Winston Churchill and Georgia O’Keeffe.
Her pictures testify to her “unquenchable desire to be present when history is being made”, as she herself put it. Bourke-White wanted to be the “eyes of the age”. For Life magazine, then one of the best known and most ambitious ventures in photojournalism, she travelled around the whole world.

Her career began in 1927 in Cleveland, where she photographed the city’s steel mills. She travelled to the USSR when the first five-year plan was being implemented, and documented the droughts of 1934 in the USA, the German invasion of the Soviet Union in 1941, and the Allied bombing of Germany. In summer 1945 she was commissioned by Life magazine to make a photographic record of the destroyed German cities. Bourke-White was present at the liberation of the Buchenwald concentration camp and the Leipzig-Mockau forced labour camp. Her photo “The Living Dead of Buchenwald” went round the world.
Her pictures often graced the covers of Fortune and Life, for which she worked for many years. Sometimes she made the headlines herself, as when on 22 January 1943 Life magazine published her report on an air raid on the El Aouina airfield in Tunis – the Germans’ main air base for supplying their troops in North Africa from Sicily – under the title “Life’s Bourke-White Goes Bombing”. Her pictures stand for an era.

Margaret Bourke-White: Russischer Arbeiter auf dem Generatorengehäuse des Dnjeprostroj-Wasserkraftwerks, Sowjetunion Saporischschja (heute Ukraine). ca. 1930
Margaret Bourke White / Masters by Getty Images
© Time & Life / Getty Images 

ED RUSCHA. VARIOUS SMALL BOOKS - THE MIT PRESS 2013



VARIOUS SMALL BOOKS
Referencing Various Small Books by Ed Ruscha
edited and compiled by Jeff Brouws, Wendy Burton, and Hermann Zschiegner
with text by Phil Taylor and an essay by Mark Rawlinson
The MIT Press
January 2013

In the 1960s and 1970s, the artist Ed Ruscha created a series of small photo-conceptual artist’s books, among them Twentysix Gas Stations, Various Small Fires, Every Building on the Sunset Strip, Thirtyfour Parking Lots, Real Estate Opportunities, and A Few Palm Trees. Featuring mundane subjects photographed prosaically, with idiosyncratically deadpan titles, these “small books” were sought after, collected, and loved by Ruscha’s fans and fellow artists. Over the past thirty years, close to 100 other small books that appropriated or paid homage to Ruscha’s have appeared throughout the world. This book collects ninety-one of these projects, showcasing the cover and sample layouts from each along with a description of the work. It also includes selections from Ruscha’s books and an appendix listing all known Ruscha book tributes.
These small books revisit, imitate, honor, and parody Ruscha in form, content, and title. Some rephotograph his subjects: Thirtyfour Parking Lots, Forty Years Later. Some offer a humorous variation: Various Unbaked Cookies (which concludes, as did Ruscha’s Various Small Fires, with a glass of milk), Twentynine Palms (twenty-nine photographs of palm-readers’ signs). Some say something different: None of the Buildings on Sunset Strip. Some reach for a connection with Ruscha himself: 17 Parked Cars in Various Parking Lots Along Pacific Coast Highway Between My House and Ed Ruscha’s.
With his books, Ruscha expanded the artist’s field of permissible subjects, approaches, and methods. With VARIOUS SMALL BOOKS, various artists pay tribute to Ed Ruscha and extend the legacy of his books.

Jeff Brouws is a photographer whose work is in many private and public collections, including Harvard’s Fogg Museum, the Los Angeles County Museum of Art, Princeton University Art Museum, and the Whitney Museum of Modern Art. His homages to Ruscha include Twentysix Abandoned Gas Stations.
Wendy Burton is a photographer whose work is in such collections as the San Francisco Museum of Art, the Santa Barbara Museum of Art, and the University of Louisville Photographic Archive. Her homage to Ruscha is Various Small Nests.
Hermann Zschiegner is a principal in the award-winning New York–based design agency TWO-N, a member of the ABC Artists’ Book Cooperative, and the author of Thirtyfour Parking Lots on Google Earth. 

ILLUSIONS IN MOTION - THE MIT PRESS 2013



ILLUSIONS IN MOTION
Media Archaeology of the Moving Panorama and Related Spectacles
By Erkki Huhtamo
The MIT Press
January 2013

Beginning in the late eighteenth century, huge circular panoramas presented their audiences with resplendent representations that ranged from historic battles to exotic locations. Such panoramas were immersive but static. There were other panoramas that moved—hundreds, and probably thousands of them. Their history has been largely forgotten. In Illusions in Motion, Erkki Huhtamo excavates this neglected early manifestation of media culture in the making. The moving panorama was a long painting that unscrolled behind a “window” by means of a mechanical cranking system, accompanied by a lecture, music, and sometimes sound and light effects. Showmen exhibited such panoramas in venues that ranged from opera houses to church halls, creating a market for mediated realities in both city and country.
In the first history of this phenomenon, Huhtamo analyzes the moving panorama in all its complexity, investigating its relationship to other media and its role in the culture of its time. In his telling, the panorama becomes a window for observing media in operation. Huhtamo explores such topics as cultural forms that anticipated the moving panorama; theatrical panoramas; the diorama; the "panoramania" of the 1850s and the career of Albert Smith, the most successful showman of that era; competition with magic lantern shows; the final flowering of the panorama in the late nineteenth century; and the panorama's afterlife as a topos, traced through its evocation in literature, journalism, science, philosophy, and propaganda.

Erkki Huhtamo, media historian and pioneering media archaeologist, is Professor in the Department of Design Media Arts at the University of California, Los Angeles. He is the coeditor of Media Archaeology: Approaches, Applications, and Implications.  

GIOVANNI FILORAMO: SETTE ANTICHE E NUOVE - PALAZZO DUCALE, GENOVA 25/2/2013



Autorità sacra: il potere delle religioni
GIOVANNI FILORAMO
SETTE ANTICHE E NUOVE
Palazzo Ducale - Sala del Maggior Consiglio
piazza Matteotti 9 - Genova
lunedì 25 febbraio 2013, ore 17,45

Giovanni Filoramo, storico delle religioni.
Dopo aver insegnato Storia delle religioni alll`Università di Torino dal 1975 al 1990 e Storia del Cristianesimo" all`Università dell`Aquila, dal 1993 tiene la cattedra di Storia del Cristianesimo dell`Università di Torino, in cui dal 2000 presiede il "Centro di Scienze delle religioni".
Nel 2000 è stato Direttore di ricerca invitato presso la "Ecole Pratique des Hautes Etudes", "Section des sciences religieuses", di Parigi.
Dirige, per le case editrici Laterza e Dell'Orso, tre collane di "Scienze religiose".
Oltre a numerosi studi monografici sullo gnosticismo e sul cristianesimo antico e contemporaneo, ha curato manuali di Storia delle religioni (1998) e di Storia del cristianesimo (1997), un Dizionatio delle religioni (Einaudi 1993), un dizionario del Cristianesimo (UTET 2006) e una imponente Storia delle religioni (Laterza, 1994-1997).
Tra le sue opere recenti, ricordiamo:
Millenarismo e New age, Bari, Dedalo, 1999.
Religione e modernità: il caso del fondamentalismo, Bologna, CLUEB, 2000.
Che cos`e la religione: temi, metodi, problemi, Torino, Einaudi, 2004.
Veggenti profeti gnostici: identità e conflitti nel cristianesimo antico, Brescia, Morcelliana, 2005.
La Chiesa e le sfide della modernità, Roma-Bari, Laterza, 2007.
Il sacro e il potere : il caso cristiano, Torino, Einaudi, 2009.
Tante religioni un solo mondo (con Flavio Pajer), Torino, SEI, 2010.
La Croce e il potere : i cristiani da martiri a persecutori, Roma-Bari, Laterza, 2011.
Di che Dio sei? (con Flavio Pajer), Torino, SEI, 2011. 

sabato 23 febbraio 2013

MATTIA PRETI: DELLA FEDE E UMANITÀ - MUSEO CIVICO, TAVERNA



MATTIA PRETI
DELLA FEDE E UMANITÀ
Museo Civico
Palazzo San Domenico - Taverna
dal 24/2/2013 al 7/7/2013

In occasione del ricorrere del quarto centenario dalla nascita del grande maestro calabrese Mattia Preti, il Museo Civico di Taverna ed Il Museo Nazionale di Belle Arti di Heritage Malta sono lieti di annunciare la mostra internazionale “Mattia Preti – Della Fede e Umanità”, a cura di Giuseppe Valentino, Direttore del Museo Civico di Taverna, e Sandro Debono, Senior Curator del Museo Nazionale di Belle Arti, Malta.
Ideata per rendere omaggio all’artista nei suoi due principali luoghi di appartenenza geografica: Taverna, città natale di Preti nel cuore della Sila Piccola, e Malta, isola in cui il maestro lavorò attivamente per quasi quarant’anni e dove morì nel 1699, la mostra include oltre cinquanta opere provenienti da importanti musei italiani e stranieri come la Galleria degli Uffizi, il Museo Nacional del Prado ed il Musée du Louvre.
L’esposizione ripercorre l’itinerario artistico pretiano non in un’ottica cronologica, bensì alla luce dei temi della fede e umanità per mettere in evidenza le tante diverse e complesse sfaccettature della figura di Mattia Preti, inclusi alcuni aspetti inediti: non soltanto l’artista, che esordì precocemente come aiuto di bottega del fratello Gregorio a Roma, ma anche il Cavaliere dell’Ordine di San Giovanni a Malta, il pittore dell’Ordine, ed, infine, un uomo di grande fervore religioso.
L’esposizione ricostruisce i contesti storici e culturali in cui Mattia Preti si trovò ad operare e, oltre a presentare un confronto inedito con il maestro del Rinascimento Nordico Albrecht Dürer, offre interessanti spunti di paragone con alcuni grandi maestri dai quali il Cavalier Calabrese venne influenzato, Battistello Caracciolo e Guercino, insieme alla possibilità, prima d’ora mai concessa al pubblico, di entrare direttamente all’interno del processo creativo e compositivo pretiano. Insieme ad alcuni disegni e bozzetti preparatori dell’artista verranno infatti presentati per la prima volta ai visitatori gli esiti di importanti indagini diagnostiche condotte dal Laboratorio di Restauro, Conservazione e Ricerca del Museo Civico di Taverna, da Heritage Malta e dall’Opificio delle Pietre Dure di Firenze su alcune tele di Preti, studi che hanno messo in luce l’esistenza di evidenti pentimenti da parte dell’artista.
In una speciale sezione didattica della mostra, mediante la suggestiva ricostruzione di un cantiere di lavoro, gigantografie e materiali d’uso, saranno approfondite le principali tecniche messe magistralmente in opera da Mattia Preti durante tutto l’arco della sua eccezionale parabola vitale e creativa; fra tutte la particolare esecuzione pittorica ad olio su pietra maltese ed un grande affresco della Chiesa di S. Andrea della Valle in Roma.
In occasione della mostra verrà pubblicato un catalogo redatto in versione sia Italiana che Inglese edito da Abramo Editore, un Atlante Pretiano, ed il libro Mattia Preti – Oltre L’Autoritratto, a cura di Sandro Debono e Giuseppe Valentino, dedicato all’approfondimento del tema dell’autoritratto nell’opera di Preti, elemento fondamentale per meglio comprendere la complessa figura del Cavaliere Calabrese.

altre sedi:
Palazzo del Presidente, Malta
Piazza San Giorgio, La Valletta 

JOHANNES ITTEN & PAUL KLEE: COSMOS OF COLOR - KUNSTMUSEUM BERN



JOHANNES ITTEN & PAUL KLEE
COSMOS OF COLOR
Kunstmuseum Bern
Hodlerstrasse 8-12 - Bern
28/11/2012 - 1 /4/2013

Johannes Itten and Paul Klee stand out in the history of 20th century art for their significant contributions to color theory. Both artists developed their ideas on color over decades of reflection and work, and applied them throughout their art. The exhibition at the Museum of Fine Arts Bern is the first to showcase Itten and Klee together as an artistic duo.
On the basis of prominent key works, the exhibition investigates the artistic confrontation between Johannes Itten and Paul Klee on the subject of color. The show explores related aspects such as color and esoteric notions, aura and harmony of color, color and abstraction, color and nature, and color division.
For the very first time we will be able to demonstrate that not only Klee influenced Itten, but also that Itten inspired Klee, and that both artists drew from a mutual source. Additionally the exhibition will explore color theory and how it was represented in the notes and diaries of both artists. The lives and careers of both Swiss artists converged at many points. For example, Paul Klee’s father was the first to inspire Itten in his artistic pursuits.
Conversely, Klee’s appointment to work at the Bauhaus in Weimar was chiefly supported by Itten. Well-nigh simultaneously in 1914/1915, both artists began their lifelong investigation and study of color theory as well as the structures inherent in the universe of color. In the case of Klee it was during a trip to Tunis, while Itten's interest was sparked off by Adolf Hölzel’s color theory in Stuttgart. Over many years, both artists took an interest in each other's art and also exchanged artworks.
The Kunstmuseum Bern, as home to the Johannes Itten Foundation, has key works of this artist in its care as well as works of Paul Klee – like the painting Ad Parnassum, which can rightly be considered as his artistic legacy on color. The fact that the show will also be shown in the Martin- Gropius-Bau in Berlin testifies to how great the interest is in this fascinating exhibition topic.

Image: Paul Klee, Legende vom Nil, 1937. Pastell auf Baumwolle, auf Kleisterfarbe, auf Jute, auf Keilrahmen, 69 x 61 cm. Hermann und Margrit Rupf-Stiftung, Kunstmuseum Bern  

ALESSANDRO FERSEN: ARTE E VITA - LE MANI MICROARTS 2013

ALESSANDRO FERSEN
ARTE E VITA
Taccuini e diari inediti
Le Mani Microarts, 21/2/2013
collana "La parola salvata"

"Taccuini e diari inediti" propone un itinerario, quasi una biografia intellettuale, attraverso il pensiero del suo autore. Fersen, a partire dagli anni Trenta, appunta metodicamente quelle riflessioni sui temi filosofici e antropologici che avranno poi uno sviluppo nelle opere teoriche. Quelle stesse riflessioni intorno alle quali porterà avanti la sua infaticabile ricerca come autore, regista teatrale e direttore dello Studio di arti sceniche dove per anni conduce la sperimentazione sulla tecnica del mnemodramma. Emerge, da queste pagine, il profilo di un protagonista della ricerca teatrale del Novecento che riesce ad affiancare una approfondita riflessione filosofica a una attività artistica originale e innovativa. Dagli studi sulla Grecia di Eraclito alle riflessioni sulla necessità di un nuovo teatro, il percorso è di straordinaria coerenza, ricco di suggestioni e in grado di porre questioni e prospettive sempre attuali e di profonda urgenza. Questo libro rappresenta l'occasione per dare una visione d'insieme al lavoro di un artista tanto complesso quanto sempre più spesso racchiuso nelle logiche riduttive di interpretazioni specialistiche. Gli estratti pubblicati sono stati selezionati dai curatori tra migliaia di pagine manoscritte. Il risultato è il fondamento del pensiero di Fersen, una traccia per seguire con passione il suo percorso artistico e filosofico. 

LUCIA MOHOLY, TRA FOTOGRAFIA E VITA - SILVANA 2013

LUCIA MOHOLY
(1894-1989)
Tra fotografia e vita
Silvana, 18/02/2013

Fotografa, scrittrice e intellettuale, Lucia Moholy (nata Lucia Schulz, Karolinenthal, Praga, 1894 - Zollikon, Zurigo, 1989) è una figura centrale nella storia della fotografia del Novecento, nonostante la sua opera sia stata a lungo messa in ombra dalla fama del marito, il celebre artista László Moholy-Nagy. Nella sua produzione fotografica, parte integrante dell'avanguardia tedesca della Neue Sachlichkeit (Nuova Oggettività), spicca l'eccezionale documentazione da lei realizzata sull'esperienza del Bauhaus: le immagini della scuola, i ritratti dei maestri, gli oggetti e gli arredi, sono considerate delle vere e proprie icone della cultura del moderno. Attraverso i saggi accolti in questo volume - il più completo in lingua italiana dedicato alla fotografa - è possibile comprendere e delineare la complessità della sua personalità artistica, al fine di restituirle il dovuto ruolo all'interno della storia della cultura del XX secolo. Il volume è completato da apparati biobibliografici. 

SADHYO NIEDERBERGER: A PIEDI, SULLE MANI E ALTRE PICCOLE STORIE - PALAZZO LOMELLINO, GENOVA 21-24/2/2013




SADHYO NIEDERBERGER
A PIEDI, SULLE MANI E ALTRE PICCOLE STORIE
Palazzo Lomellino - Appartamento Strozzi
via Garibaldi 7 - Genova
dal 21 al 24 febbraio 2013

Oggi, domenica 24 febbraio (con orario dalle 12 alle 18), ultimo giorno della mostra “A piedi, sulle mani e altre storie piccole” dell’artista svizzera Sadhyo Niederberger, allestita al termine di un periodo di residenza a Genova.
L’artista svizzera utilizza il procedimento fisico del frottage, attraverso un’impegnativa modalità performativa che, in realtà, diventa essa stessa la protagonista della sua pratica artistica e di cui i fogli “impressionati” non sono che il documento, la traccia rimanente di un impegno spazio-temporale molto preciso sulla superficie di calpestìo pubblica dello spazio urbano della città di Genova, sia all’interno che all’esterno dei suoi edifici, nelle piazze e nelle vie della città storica.  

MAX ERNST - ALBERTINA, VIENNA



MAX ERNST
curators: Werner Spies and Julia Drost
Albertina
Albertinaplatz 1 - Wien
23/1/2013 - 5/5/201

“Before he descends, a diver never knows what he will bring back up.”
-- Max Ernst

The Albertina will devote an exhibition - his first retrospective in Austria - to Max Ernst, the great pictorial inventor. Presenting a selection of 180 paintings, collages, and sculptures, as well as relevant examples of illustrated books and documents, the exhibition will assemble works related to all of the artist’s periods, discoveries, and techniques, thereby introducing his life and œuvre within a both biographic and historical context. 
Together with Matisse, Picasso, Beckmann, Kandinsky, and Warhol, Max Ernst no doubt numbers among the leading figures of 20th-century art history. An early protagonist of Dadaism, a pioneer of Surrealism, and the inventor of such sophisticated techniques as collage, frottage, grattage, decalcomania, and oscillation, he withdraws his work from catchy definition. His inventiveness when it comes to handling pictorial and inspirational techniques, the breaks between his countless work phases, and his switching back and forth between themes cause irritation. Yet what remains a constant is his consistence in terms of contradiction. 
Max Ernst was a restless personality who always strove for freedom. Torn between the realization of his personal aims in life and the social and political obstacles during a turbulent period, he nevertheless always looked ahead: a “flight into the future”. A misunderstood and revolting artist, he had moved from Cologne to Paris in 1922, where he joined the circle of the Surrealists; he was detained as hostile alien twice, attempted to get away, and was released thanks to lucky “coincidences”. In 1941 he escaped into American exile. 
Remembrance, discovery, recycling, and collage were the combined motor that drove him in his work. Under these aspects, the exhibition positions Max Ernst’s œuvre between references to the past, contemporary political events, and a prophetic and visionary perspective of the future. He who attested to himself a “virginity complex” in the face of empty canvases went always in search of means that would allow him to augment the hallucinatory capacities of his mind, so that visions would arise automatically in order to “rid him of his blindness”. 

HOKUSAI - PALAZZO SANTA CHIARA, ROMA



HOKUSAI
a cura di Carla Mazzoni
Palazzo Santa Chiara
piazza di Santa Chiara 14 - Roma
dal 23/2/2013 al 23/3/2013

La vitalità di quest'artista, il “vecchio pazzo per la pittura” come lui stesso si definiva, nasce dalla sua necessità incontenibile di “fare Arte” spingendosi in ogni possibile direzione. Fertile di invenzioni tematiche, tecniche e stilistiche, innovativo nel colore, abilissimo nel disegno si espresse con un tratto essenziale, raggiungendo la massima espressività con il minimo dei mezzi. 
Ne furono affascinati gli Impressionisti francesi e numerosi pittori. E' l'unico caso in cui un artista orientale ha influenzato e influito sull' evoluzione dell' Arte europea. Nelle sue Opere non c'è ricerca di facili effetti. Rappresentando la realtà non approdò ad un naturalismo scontato, forse la sua realtà si spingeva oltre il mondo fenomenico per rappresentare un'unicità armonica tra noi e il sovrumano. 
Nelle Vedute del Fuji (1834-35) non c'è illustrazione, Hokusai coglie attimi di vita e li rende eterni. 
L'Opera Manga (1814-1878), ottocento fogli, nata come svelamento di suoi personali metodi e tecniche - Hokusai integrò tecniche giapponesi, cinesi e occidentali - ci rivela tutta la potenza creatrice di questo genio capace di stupirci ancora oggi.