mercoledì 30 novembre 2011

FRAMES AND DOCUMENTS: CONCEPTUALIST PRACTICES

FRAMES AND DOCUMENTS
Conceptualist Practices
curated by Jesús Fuenmayor and Philippe Pirotte
Cisneros Fontanals Art Foundation - CIFO
1018 North Miami Avenue - Miami
30/11/2011 - 4/3/2012

Artists: Vito Acconci, Bernd and Hilla Becher, Luis Camnitzer, Joseph Kosuth, David Lamelas, Ed Ruscha, Marina Ambramovic, Lothar Baumgarten, Juan Downey, Eugenio Espinoza, Anna Maria Maiolino, Gordon Matta Clark, Ana Mendieta, John Smith, Francesca Woodman, Ricardo Brey, Sophie Calle, Eugenio Dittborn, Louise Lawler, Claudio Perna, Allan McCollum

Frames and Documents: Conceptualist Practices. Selections from the Ella Fontanals-Cisneros Collection includes over 60 pieces by 41 artists from different generations and latitudes, who share a common experience of promoting and transforming conceptualist practices, which have resulted in becoming an ever-present and driving force in contemporary art today.
The exhibition overlaps geographically and chronologically, highlighting the artist's journey as historian both through an institutional critique (Frames) and through their capacity to question the ways in which we relate to memory (Documents). Because it is a selection of notable works from the Ella Fontanals-Cisneros Collection, rather than following the historical canons that have dominated the study of conceptualist practices or focusing on a particular origin or time of production, the diverse set of works in this exhibition offer a route to understanding the de-decentralized and discontinuous nature that actually defines Conceptual Art.
The works included in the exhibition highlight three distinct instances within the trajectory of conceptual art between the 1960's and the late 1980's. One group of artists included in the exhibition are those associated with the birth of conceptualism: Vito Acconci, Bernd and Hilla Becher, Luis Camnitzer, Joseph Kosuth, David Lamelas and Ed Ruscha, for instance. Another group consists of artists like Marina Ambramović, Lothar Baumgarten, Juan Downey, Eugenio Espinoza, Anna Maria Maiolino, Gordon Matta-Clark, Ana Mendieta, John Smith and Francesca Woodman who, mainly working in the seventies, participated in the dissemination of conceptualist practices across geographical and cultural boundaries. The third group of artists seen in Frames and Documents are those that worked in the 1980s such as Ricardo Brey, Sophie Calle, Eugenio Dittborn, Louise Lawler, Claudio Perna, and Allan McCollum, among others.

Jesús Fuenmayor
Jesús Fuenmayor is a curator based in Caracas, Venezuela. Fuenmayor has been the Director of Periférico Caracas / Arte Contemporáneo, a contemporary art space since 2005, where he has organized more than 30 exhibitions. This year, he has been the advisor for "Ciudad Sensorial", a program of urban interventions by artists which he founded for the Sucre Municipality in Caracas. He has also been a member of CIFO's Honorary Advisory Committee since 2009. He was an advisor to Museo Jacobo Borges, Caracas, 1992-1995; associate curator at Espacio 204, Caracas, 1995-1997 and held a post as a curator for the Museo Alejandro Otero, Caracas, in 2004.

Philippe Pirotte
Philippe Pirotte works as a curator and art critic based in Antwerp, Belgium since 1996. He is the founding Director of the contemporary art center Objectif_ Exhibitions and acted as Artistic and Managing Director of the Kunsthalle Bern, Switzerland from 2005 until 2011. He is also Senior Advisor at the Rijksakademie in Amsterdam.

JERZY GROTOWSKI E IL SUO LABORATORIO


ZBIGNIEW OSINSKI
JERZY GROTOWSKI E IL SUO LABORATORIO
Dagli spettacoli all'arte come veicolo
presentazione del volume edito da Bulzoni
Istituto Polacco di Roma
Via Vittoria Colonna 1 - Roma
mercoledì 30 settembre 2011, h. 18,00

Mercoledi' 30 novembre alle ore 18.00 presso l'Istituto Polacco di Roma avra' luogo la presentazione del volume di Zbigniew Osinski: 'Jerzy Grotowski e il suo laboratorio. Dagli spettacoli a L'arte come veicolo' a cura di Marina Fabbri, prefazione di Eugenio Barba, postfazione di Franco Ruffini, Bulzoni Editore 2011. Nel corso della serata a Marina Fabbri verra' conferita l'onorificenza Gloria Artis del Ministro della Cultura e del Patrimonio Nazionale polacco.

martedì 29 novembre 2011

FABBRICHE D'ITALIA

ROBERTO PARISI
FABBRICHE D'ITALIA
L'architettura industriale dall'Unità alla fine del Secolo breve
Franco Angeli, 2011 collana "Storia dell'architettura e della città"

Raramente la fabbrica dello storico dell'architettura coincide con quella dello storico dell'industria e con non poche resistenze i rispettivi racconti interagiscono con lo spazio storico delle macchine, dei processi produttivi, della vita dei lavoratori e degli imprenditori, come del loro ambiente di appartenenza, naturale e antropico. Tuttavia, oggi, alcune delle questioni che pone il mercato globale del lavoro e che appaiono così profondamente "nuove" e "diverse" rispetto al passato invitano a guardare alla storia delle fabbriche d'Italia con un'ottica multidisciplinare e con un approccio più disincantato, sollecitando una lettura del Secolo breve a partire da una porzione significativa di quel "lungo Ottocento" delineato da Eric Hobsbawm.
Questo libro propone l'architettura della fabbrica come una possibile chiave di lettura della storia dell'Italia industriale. Uomini e luoghi di un comparto non secondario dell'industria edilizia italiana sono indagati per frammenti, ma in una prospettiva di lungo periodo, nel tentativo di porre domande condivisibili e di misurarsi criticamente su temi troppo spesso consumati generando ambigue confusioni: la storia dell'ambiente con l'ambientalismo ideologico; la supremazia imprenditoriale legittimata dall'esistenza di una "massa critica" con l'oligopolio di un'élite di "affaristi"; il mecenatismo imprenditoriale e l'arte intesa come libera espressione creativa con le strategie di persuasione al consenso e al consumo praticate attraverso l'estetica industriale e il design del paesaggio; lo scontro dialettico e costruttivo tra professionalità tecniche e manageriali, necessario per mediare istanze di benessere sociale e modelli competitivi di sviluppo produttivo, con la sua riduzione a conflitti d'interesse tra pubblico e privato.

Roberto Parisi, storico dell'architettura, insegna Storia della città e Storia del patrimonio industriale presso l'Università degli Studi del Molise. Vicepresidente dell'Aipai (Associazione italiana per il patrimonio archeologico industriale), è direttore scientifico della rivista "Patrimonio Industriale". Da oltre due decenni dedica una parte della propria attività di ricerca alla storia dell'architettura di carattere produttivo e alle dinamiche di trasformazione della città e del territorio indotte dai processi di industrializzazione, con particolare riguardo al Mezzogiorno d'Italia. Su questi temi ha pubblicato L'Impresa del Fucino. Architettura delle acque e trasformazione ambientale nell'età dell'industrializzazione, Athena, Napoli 1996 (con A. Pica); Lo spazio della produzione. Napoli: la periferia orientale, Athena, Napoli 1998; Luigi Giura (1795-1864). Ingegnere e architetto dell'Ottocento, Electa, Napoli 2003; Percorsi del patrimonio industriale in Italia, Crace, Perugia 2008 (con M. Ramello); Paesaggi del lavoro in Molise , Aracne, Roma 2009.

L'ITALIA DEL VITTORIOSO


GIORGIO VECCHIO
L'ITALIA DEL VITTORIOSO
AVE, 2011

Il settimanale per ragazzi "Il Vittorioso" è una testata rimasta nel cuore e nella memoria di centinaia e centinaia di migliaia di italiani: le sue pagine hanno contribuito a divertire, informare e formare intere generazioni di ragazzi cresciuti nel nostro Paese tra gli anni Trenta e gli anni Sessanta. Un successo enorme, un vero e proprio fenomeno editoriale legato ai nomi dei migliori disegnatori dell'epoca: tra tutti, Benito Jacovitti, matita storica per eccellenza del «Vitt», come il giornale veniva chiamato affettuosamente dai suoi giovani lettori. Al "Vittorioso" l'Editrice AVE - che ne ha promosso e curato la pubblicazione quando era la casa editrice della Gioventù italiana dell'Azione cattolica (Giac) - dedica questo volume nel quale trovano spazio un approfondito saggio sulla vicenda del settimanale, la ripubblicazione integrale di otto storie a fumetti fra le più belle apparse negli oltre trent'anni di vita della testata e la riproduzione di una trentina di copertine. Una storia italiana fra cultura, vita ecclesiale, avvenimenti civili e politici, per raccontare l'Italia con una visuale diversa e originale.

LA PIU' VUOTA DELLE IMMAGINI

LA PIÙ VUOTA DELLE IMMAGINI
Figure della morte nella cultura contemporanea
Tavola rotonda
Facoltà di Architettura, Aula Benvenuto
Stradone Sant’Agostino 37, Genova
Mercoledì 30 novembre 2011, ore 10-18

A fronte di una presenza così intangibile – eppure certissima – qual è la morte, non esistono parole e immagini che possano riecheggiare nel suo silenzio o riflettersi nel suo specchio buio. Ciò nonostante, la forza del pensiero e l’esuberanza dell’arte hanno cercato da sempre di raffigurare – con le forme, i colori, i suoni e le parole che esse hanno a disposizione – la «più vuota delle immagini». Così, intorno a quel nucleo vuoto, si stagliano, con l’energia vitale che promana dalla creazione artistica, figure di bellezza che cantano la vita e l’inesausto interrogarsi dell’uomo. Saranno questi i temi di quattro incontri curati da Giorgio Pigafetta.
Il 30 novembre la serie si apre con una tavola rotonda sul tema “Architettura: il duplice sguardo su vita e morte”. A essa parteciperanno filosofi, architetti progettisti, storici e storici dell’architettura: Hans-Dieter Bahr, Marco Biraghi, Luca Borzani, Gianni Braghieri, Brunetto De Batté, Giovanni Galli, Cettina Lenza, Antonio Monestiroli, Stefano Musso, Margherita Petranzan, Paolo Zermani.

lunedì 28 novembre 2011

CENTRE POMPIDOU - DANSER SA VIE

DANSER SA VIE
Le corps recadré
Centre Pompidou - Paris
du 23 novembre 2011 au 2 avril 2012

Au Centre Pompidou, l’exposition ‘Danser sa vie’ retrace les relations fructueuses entre les arts visuels et la danse, de 1900 à aujourd’hui. Et place le corps en mouvement au cœur des révolutions artistiques. Trois chorégraphes - François Chaignaud, Maria La Ribot et Myriam Gourfink, invités à se produire dans le cadre de la manifestation, commentent pour Evene une œuvre de leur choix.
La ferveur sensuelle de Nijinski, Matisse qui célèbre l’extase du corps nu et libéré, la danseuse Mary Wigman muse d’Emil Nolde… Les témoignages du lien quasi fusionnel entre art et danse sont nombreux. On citerait encore Kandinsky influençant le théoricien Laban, les rapports d’Andy Warhol avec Merce Cunningham…« Je n’ai fait que danser ma vie », écrivait la pionnière de la danse moderne, Isadora Duncan, dans sa célèbre autobiographie ‘Ma vie’ (1928). Le Centre Pompidou lui emprunte l’expression pour une exposition sur cette entente plus que cordiale entre ces deux arts. Un parcours non pas chronologique mais thématique (« La danse comme expression de soi », « Danse et abstraction », « Danse et performance », etc) avec 450 œuvres, tous médiums confondus, montrant comment le corps décloisonne les pratiques artistiques et entre dans la modernité avec pour seul mot-clé : la joie de vivre. Pour nous guider, focus de trois chorégraphes qui, dans cette filiation, poursuivent aujourd'hui l’exploration du corps et de ses limites et dont les pièces seront présentées dans la programmation des spectacles vivants du Centre Pompidou.

ATELIER VAN LIESHOUT - NEW TRIBAL LABYRINTH


ATELIER VAN LIESHOUT
NEW TRIBAL LABYRINTH
Giò Marconi
Via Tadino 15 - Milano
dal 29/11/2011 al 14/1/2012

Fondato nel 1995 e diretto dall’artista Joep van Lieshout (1963, Ravenstein), Atelier van Lieshout (AVL) è attivo a livello internazionale nel campo dell’arte contemporanea, del design e dell’architettura.
Negli ultimi anni la produzione di van Lieshout si è orientata verso la scultura, utilizzando materiali di natura diversa quali plastica, gommapiuma, fibra di vetro, legno, acciaio e bronzo.
Van Lieshout ha lavorato sui temi ricorrenti dell’organizzazione del lavoro, delle strutture di potere e dell’autarchia, con implicito riferimento a una nuova organizzazione tribale.
Le opere in mostra si offrono come riflessione sulla complessa e avanzata società di oggi, in cui il consumo esagerato in proporzione al quantitativo limitato delle materie prime gioca un ruolo cruciale: una volta esaurite le scorte assisteremo ad un inasprimento delle relazioni tra gli uomini e ad un incremento dell’istinto di sopravvivenza.
Questi radicali cambiamenti saranno un bene o un male, porteranno alla violenza o a una società migliore?
Secondo Joep van Lieshout si prospetta una nuova organizzazione tribale, in cui gruppi di persone inizieranno ad autorganizzarsi in tribù invece che in nazionalità.
In occasione di New Tribal Labyrinth Atelier van Lieshout presenterà negli spazi del piano terra e nel cortile esterno della galleria 14 nuovi lavori.

Atelier van Lieshout nasce nel 1995 su iniziativa di Joep van Lieshout.
L'attività espositiva del collettivo vanta importanti partecipazioni internazionali: opere di AVL sono esposte al PS1 e al MOMA di New York, allo Stichting Museum di Rotterdam, allo Stedelijk Museum di Amsterdam, alla Kunstverein di Düsseldorf, al MACBA di Barcellona, al Centro per le Arti Contemporanee Luigi Pecci di Prato e in altri spazi pubblici e privati in tutto il mondo.
Nel 2001 prende vita negli spazi del porto di Rotterdam AVL-Ville, una vera e propria città-stato in cui si fondono gli ideali di AVL.
Nel corso degli ultimi anni i lavori di AVL sono stati ospitati da: La Biennale di Venezia (2003), Sprengel Museum di Hannover (2004), Museum für Angewandte Kunst, Vienna (2005), Kröller-Müller Museum, Otterlo (2005), Stedelijk Museum, Amsterdam (2005, 2008), Central del Arte, Guadalajara Mexico (2006), Shangai Biennale, Shangai (2006), 10ma Mostra Internazionale di Architettura, Venezia (2006), MACRO, Roma (2007), Museum Folkwang, Essen (2008), Onderzeebotenloods/ Museum Boijmans, Rotterdam (2010), Musée National d'Art Moderne Centre Pompidou, Paris (2011).

WILLIAM C. AGEE - AMERICAN VANGUARDS


WILLIAM C. AGEE
AMERICAN VANGUARDS
Graham, Davis, Gorky, de Kooning, and Their Circle, 1927-1942
Yale University Press
nov. 28,2011

The enigmatic and charismatic John Graham (1886–1961) was an important influence on his fellow New York artists in the 1920s through 1940s. Graham and his circle, which included Stuart Davis, Arshile Gorky, and Willem de Kooning, helped redefine ideas of what painting and sculpture could be. They, along with others in Graham's orbit, such as Jackson Pollock and David Smith, played a critical role in developing and defining American modernism. American Vanguards showcases about eighty-seven works of art from this vital period that demonstrate the interconnections, common sources, and shared stimuli among the members of Graham's circle.
Three essays by notable scholars investigate the complex relationships among Graham and his New York artist-colleagues during this formative period. William C. Agee positions Graham and his circle within the movement of New Classicism, which drew upon classical and Renaissance examples in an attempt to overcome the devastation of World War I. Irving Sandler focuses on the social, political, and intellectual dynamics among Davis, Gorky, Graham, and de Kooning in the mid-1930s. Karen Wilkin discusses the circumstances that brought these artists together, their common commitment to modernism, and the fascinating artistic cross-fertilization evident in their work. This critical reconsideration sheds new light on the New York School, Abstract Expressionism, and the vitality of American modernism between the two world wars.

William C. Agee is Evelyn Kranes Kossak Professor of Art History at Hunter College. Irving Sandler and Karen Wilkin are distinguished independent curators, scholars, and critics.

MASON KLEIN - THE RADICAL CAMERA


MASON KLEIN
THE RADICAL CAMERA
New York's Photo League, 1936-1951
Yale University Press
nov. 14, 2011

Artists in the Photo League, active from 1936 to 1951, were known for capturing sharply revealing, compelling moments from everyday life. Their focus centered on New York City and its vibrant streets—a newsboy at work, a brass band on a bustling corner, a crowded beach at Coney Island. Though beautiful, the images harbor strong social commentary on issues of class, child labor, and opportunity. The Radical Camera explores the fascinating blend of aesthetics and social activism at the heart of the Photo League, tracing the group's left-leaning roots and idealism to the worker-photography movement in Europe. Influenced by mentors Lewis Hine, Berenice Abbott, and Paul Strand, artists in the Photo League worked within a unique complex comprising a school, a darkroom, a gallery, and a salon, in which photography was discussed as both a means for social change and an art form. The influence of the Photo League artists on modern photography was enormous, ushering in the New York School.
Presenting 150 works of the members of the Photo League alongside complementary essays that offer new interpretations of the League's work, ideas, and pedagogy, this beautifully illustrated book features artists including Margaret Bourke-White, Sid Grossman, Morris Engel, Lisette Model, Ruth Orkin, Walter Rosenblum, Aaron Siskind, W. Eugene Smith, and Weegee, among many others.

Mason Klein is curator at The Jewish Museum, New York. He is the author of Modigliani: Beyond the Myth and Alias Man Ray. Catherine Evans is the William and Sarah Ross Soter Curator of Photography at the Columbus Museum of Art.

LE NEVI DEL KILIMANGIARO - ANTEPRIMA CON ROBERT GUEDIGUIAN


LE NEVI DEL KILIMANGIARO
film di ROBERT GUÉDIGUIAN
proiezione in anteprima
Sala Sivori
sal. Santa Caterina 12 - Genova
martedì 29 novembre 2011, h. 20,30

Martedì 29 Novembre alle ore 20.30 avrà luogo al cinema Sivori in Salita Santa Caterina 12 l’anteprima del film Le nevi del Kilimangiaro alla presenza del regista Robert Guédiguian e dell’attrice Ariane Ascaride.
Il film si ispira al poema di Victor Hugo ‘Les pauvres gens’. Nonostante la recente perdita del lavoro, Michel vive felicemente, circondato dall’affetto degli amici, dei figli e dei nipoti, insieme alla moglie Claire con la quale ha condiviso trent’anni di matrimonio e di impegno politico. Le loro coscienze sono immacolate tanto quanto la loro visione della vita. Questa armonia viene spezzata il giorno in cui due sconosciuti armati entrano nella loro casa derubandoli dei loro risparmi e lasciandoli sotto shock.
Le nevi del Kilimangiaro è stato presentato nella sezione Un certain Regard al Festival di Cannes 2011.

Robert Guédiguian
Figlio di immigrati (il padre è armeno, la madre tedesca), Robert Guédiguian trascorre la giovinezza in un quartiere operaio di Marsiglia. Laureatosi a Parigi, incontra il regista R. Féret che lo instrada verso la regia. Esordisce con Dernier été (L'ultima estate, 1980), cui segue Rouge Midi (Mezzogiorno rosso, 1983) che racconta dall'interno la storia di una famiglia operaia. Tutta la sua filmografia si configura come una sorta di epopea del proletariato: girati sempre con gli stessi attori, ambientati nel microcosmo del quartiere natio, i suoi film privilegiano l'aspetto politico all'interno di storie di gente comune. Dopo avere rischiato l'invisibilità, gira Marius e Jeannette (1995), poetica storia d'amore ambientata nel variopinto mondo della Marsiglia degli emarginati, che mette d'accordo pubblico e critica; nel 1999 realizza La ville est tranquille. L'ironico e simpatico A l'attaque! (2001), strutturato in forma metanarrativa, con due sceneggiatori che cercano gli ingredienti «giusti» per un film da premio, conferma la sua volontà di farsi cantore del proletariato. Passa quindi dal sociale al privato in Marie-Jo e i suoi due amori (2002) e abbandona temporaneamente il proletariato marsigliese per raccontare gli ultimi mesi di vita del presidente Mitterrand (interpretato da M. Bouquet) in Le passeggiate al Campo di Marte(2004).

Ariane Ascaride
Nata a Marsiglia il 10 ottobre 1954.
Nel 1998, ha vinto il César come Miglior Attrice per il suo ruolo in Marius e Jeannette di Robert Guédiguian, premio per il quale è stata nominata in altre due diverse occasioni: per Marie-Jo e i suoi due amori e per Le ricamatrici di Éléonore Faucher.
Ha inoltre vinto il premio come Miglior Attrice al Valladolid International Film Festival per La Ville est tranquille sempre di Robert Guédiguian.
Nel 2006, ha vinto il premio come Miglior Attrice al Festival Internazionale del Film di Roma, per il ruolo in Le Voyage en Arménie.

domenica 27 novembre 2011

FOCUS SU EUGENIO BATTISTI - GALLERIA EMBRICE


FOCUS SU EUGENIO BATTISTI
Galleria Embrice
via delle Sette Chiese, 78 - Roma
dal 28 novembre al 2 dicembre 2011

La Galleria Embrice di Roma dedica cinque incontri a tema a Eugenio Battisti. Tutti i giorni, da lunedì 28 novembre a venerdì 2 dicembre 2011, dalle 16.45 alle 19.45.
Il programma prevede: 28 novembre: Antonio Piva (Omaggio A Eugenio Battisti). 29 novembre: Marco Dezzi Bardeschi (Eugenio Battisti fra arte e architettura). 30 novembre: Simonetta Lux (L’irruzione del contemporaneo nella cultura). 1° dicembre: Eugenia Battisti (Le nuove frontiere storiografiche). 2 dicembre: Aldo Castellano (Alle origini dell’archeologia industriale).

«Storico delle idee, poligrafo, eccezionale maestro» (Marco Dezzi), Eugenio Battisti (1924-1989) contribuisce con illustri studiosi italiani della sua generazione all’allargamento degli interessi culturali e scientifici ben oltre i confini nazionali.
Anche se gli inizi sono nell’ambito teatrale della natia Torino, le sue prime monografie riguardano il Medioevo, Giotto (1960), Cimabue (1963), contemporaneamente a interventi in giornali e grandi serie editoriali, e a un breve insegnamento a Roma e Genova. Solo negli USA gli viene assegnato, nel 1965, un ruolo istituzionale di professore dell’arte e dell’architettura alla Penn State University, con una speciale Cattedra di Evan Pough Professor, che finalmente gli consente di mettere a frutto tutte le qualità di ricercatore. «Bisogna essere vari, inventivi, curiosi, anche capricciosi», scriveva autobiograficamente.
«Con un desiderio vorace di non lasciarsi sfuggire nulla del proprio tempo» (Umberto Eco), dà vita a due cenacoli che pubblicano “Marcatre” (1963) e “Psicon” (1976), mentre lavora su Piero della Francesca (1971), Filippo Brunelleschi (1976), Correggio (1981). Il suo rapporto col Rinascimento è testimoniato dalle edizioni del suo Antirinascimento (Feltrinelli, 1962; Garzanti 1989; Nino Aragno 2005) e da Rinascimento e Barocco (Einaudi, 1960). La sua personalità non poteva non proiettarlo verso l’Utopia, della quale avvia l’indagine sulle tracce realizzate di quella europea, paternalistica, della città operaia di San Leucio, fino alle comunità utopiche in USA.
Ed è in occasione della pubblicazione degli atti del terzo Convegno internazionale in suo onore, tenutosi a Milano nel 2009, (il primo, sempre a Milano, 1991, il secondo a Roma,1992), che amici e collaboratori illustri presentano a Roma, presso la Galleria Embrice, alcuni dei suoi temi principali, sui quali è continua l’attività editoriale (La macchina arrugginita, 2001. Iconologia e ecologia del giardino e del paesaggio, 2004. Arte, teatro e società, L’azione scenica e cinesica, 2008. Michelangelo: fortuna di un mito nella critica letteraria e artistica, 2011) grazie al continuo lavoro di Giuseppa Battisti Saccaro.

«Entrare nelle vaste stanze della ricerca,» diceva, «è come andare all’appuntamento con una fidanzata: non si può mandare un altro.» Affrontava così l’immane fatica del rigore, rispetto ad uno sconfinato campo di ricerca.

Carlo Severati

RESISTING THE PRESENT - MUSEO AMPARO, PUEBLA

RESISTING THE PRESENT
Mexico 2000 / 2012
Curaduría: Angeline Scherf y Ángeles Alonso Espinosa
Museo Amparo
2 Sur 708, Centro Histórico - Puebla
15 de octubre - 15 de enero, 2012

Artistas: Natalia Almada, Edgardo Aragón, Marcela Armas, Erick Beltrán, Diego Berruecos, Iñaki Bonillas, Mariana Castillo Deball, Minerva Cuevas, Amat Escalante, Arturo Hernández Alcázar, Jonathan Hernández, Bayrol Jiménez, Adriana Lara, Gonzalo Lebrija, Ilán Lieberman, Juan Pablo Macías, Jorge Méndez Blake, Nicolás Pereda, Carlos Reygadas, Jorge Satorre, Pablo Sigg, Tercerunquinto, Héctor Zamora y Alejandro Jodorowsky

“Todo acto de resistencia no es necesariamente una obra de arte aunque de cierta forma lo sea. Toda obra de arte no es necesariamente un acto de resistencia y por lo tanto de alguna manera lo es”
-- Gilles Deleuze

La exposición Resisting the Present: Mexico 2000 / 2012 propone una mirada sobre la joven escena artística mexicana. Activa desde los años 2000, ésta ha logrado consolidar una nueva propuesta estética y discursiva en donde la reformulación del arte en su interacción con la vida, en un espacio social activo, es la apuesta esencial. Los artistas de esta muestra privilegian un compromiso cabal con la actualidad. Sus obras más significativas cuestionan directamente las condiciones políticas y sociales en las que viven.
La presentación de 24 artistas, nacidos en su mayoría después de 1975, con técnicas diversas (instalaciones, videos, diseño, fotografía y cine) muestra la conciencia aguda que tienen de las circunstancias actuales y cómo, más que nunca, el arte vive y funciona como un revelador de estados de emergencia, y solicita la participación de todos. La presencia de cuatro cineastas en el proyecto enfatiza el hecho de que es también la última década la que ha sido testigo de la emergencia de un cine culto, lúcido y crítico en México. Estas obras se mostrarán en un ciclo de cine paralelo en la Capilla del Arte UDLAP.
A través de estrategias diferentes que pueden tomar la forma de ficciones, de activismo poético, de la utilización y reinterpretación de símbolos, las obras de estos artistas traducen visualmente las tensiones y múltiples paradojas que atraviesan hoy en día las sociedades sumisas a los problemas de la globalización.
La exposición es producto de una investigación compartida entre el Musée d'Art moderne de la Ville de Paris y el Museo Amparo. Es por esto que es también la ocasión de evocar algunos de los lazos que se han tejido entre México y Francia a través de figuras singulares, poetas e intelectuales (Man Ray, Jean Genet, Robert Desnos, André Breton, Roger Caillois…) cuya presencia se manifiesta en la obra de algunos artistas (Iñaki Bonillas, Mariana Castillo Deball, Erick Beltrán, Jonathan Hernández, Jorge Satorre, Pablo Sigg).

DAVIDE PONZINI E MICHELE NASTASI - STARCHITECTURE


STARCHITECTURE
Scene, attori e spettacoli nelle città contemporanee
a cura di Davide Ponzini e Michele Nastasi
Allemandi, 28/9/2011

Architetti e progettisti di fama internazionale sono spesso chiamati al centro della scena pubblica, non solo per progettare manufatti esteticamente apprezzabili, ma anche per dirigere programmi di rigenerazione urbana o ridefinire l'immagine di intere città. La retorica del « Bilbao effect» si è diffusa in tutto il mondo, portando apparentemente le città a competere nel collezionare architetture e progetti spettacolari, in molti casi con scarsa attenzione per l'ambiente urbano, per la dimensione e le funzioni svolte dalla città nel proprio contesto e nel mercato globale. Nonostante queste forme di intervento stiano trasformando sensibilmente il paesaggio urbano contemporaneo, l'attenzione per questi processi decisionali e localizzativi è oggi limitata e qualche spiegazione risulta fuorviante. Gli autori propongono un'interpretazione critica dell'architettura spettacolare e delle sue molteplici implicazioni urbane. Sulla base dell'analisi di progetti ed edifici spettacolari a Bilbao, Abu Dhabi, Parigi, New York e nel Vitra Campus e di un corpo fotografico originale, questo libro evidenzia come la star architecture assuma una notevole varietà territoriale, che dipende da condizioni locali e talvolta contingenti. Spiega come simboli e icone che accompagnano gli spettacoli architettonici e urbani siano utilizzati dai policy maker per costruire il consenso politico e aumentare l'esposizioni mediatica, ma anche per celare interessi economici parziali, inducendo effetti potenzialmente perversi o paradossali. Il ruolo e l'autonomia degli architetti e degli urbanisti appaiono certamente più deboli nell'epoca postmoderna, ciononostante gli autori mostrano come essi possano incidere criticamente sulle scelte di sviluppo della città e sulla progettazione di architetture ed elementi significativi dei paesaggi urbani contemporanei.

NINO SOLDANO: VITA DA GALLERISTA


NINO SOLDANO
VITA DA GALLERISTA
a cura di Marco Meneguzzo
Silvana, 24/11/2011

Nell’ambito della ricognizione che le Fabbriche Chiaramontane di Agrigento vanno conducendo sull’arte siciliana e sul sistema correlato alla conoscenza e diffusione dell’arte, viene edito il presente volume dedicato all’attività del gallerista Nino Soldano, nativo di Sciacca e attivo a Milano negli anni Settanta e Ottanta. Nella sua galleria sono passati gli artisti che in quegli anni rappresentavano la novità dell’arte: prima gli artisti legati al clima della contestazione, poi quelli raccolti sotto la definizione di “pittura analitica”, per cui la galleria di Nino Soldano è stata un centro di riferimento. Col cosiddetto ritorno alla pittura, Soldano si è poi occupato della nouvelle vague figurativa, senza però mai dimenticare le sue origini. Di questo attaccamento alla terra d’origine sono testimonianza le numerose rassegne di artisti siciliani, la donazione del primo nucleo del Museo di Gibellina e la realizzazione di numerose stagioni teatrali nell’isola. Il catalogo, con un testo del curatore, è suddiviso in quattro sezioni che seguono idealmente gli artisti e la linea di pensiero che ha caratterizzato la sua attività: “La protesta”, “L’analisi”, “La Sicilia”, “Fuori schema”.

MARIO RACITI - GALLERIA RAFANELLI


MARIO RACITI
Galleria Rafanelli
Via Giordano Bruno 52 - Genova
sino al 16/12/2011

Mario Raciti è nato a Milano nel 1934. Dopo la laurea in Legge e un paio d’anni trascorsi nello studio di un avvocato, decise di appendere la toga e dedicarsi completamente alla pittura. Che, assieme a poesia e musica, era stata sua inseparabile compagna di viaggio nel periodo giovanile.
Non si trattava certamente di una decisione facile. Tant’è. Ma il tempo gli avrebbe dato ragione.
A trent’ anni, la sua prima personale. E da allora Raciti è rimasto fedele alla sua vocazione. Poesia e musica si sono ammantate di vapori grigi, bianchi, neri, rosa, verdi: tutti colori, però, appena accennati, sussurrati quasi, suggeriti. Mai una strombazzatura, un urlo, un fracasso sulle sue pagine malinconiche. Tutto era leggero, impalpabile, velato. Musica in sordina, con lunghe parentesi di silenzio.
In fondo, tutto ciò rispecchiava la natura dell’uomo, la sua discrezione, le pause. La conferma era arrivata, nel 1986, alla Biennale di Venezia e alla Quadriennale di Roma. E, nel 1989, a Milano, in quella straordinaria esposizione di 45 opere al Padiglione d’ arte contemporanea di via Palestro.
Sotto sotto s’avvertiva una certa predisposizione ad un tipo di narrativa analitica, ad uno scandaglio capace, al tempo stesso, di evocare un dialogo natura-colori.
È quanto avviene anche in questa rassegna genovese, in cui sono esposti una trentina di lavori recenti (I fiori del profondo). Misteri, mitologie (Persefone, figlia di Demetra, che coglie fiori, rapita da Ade), presenze-assenze, sirene.
Se si dovesse fare un raffronto con uno scrittore, il primo nome che verrebbe in mente è quello di Leonardo Sciascia. Immaginate l’ incontro fra i due e il lungo dialogo di silenzi. «Piacere»; «piacere» e zitti su una panchina per un paio d’ ore. Dentro di loro, però, covava il crepitio dell’invenzione, della genialità. Tra prosa e colore.
La pittura di Mario Raciti è proprio così. Nelle sue immagini frammentarie, nelle suggestioni e in quel senso di indefinito e di indefinibile che comunicano allo spettatore, s’ avverte un fortissimo lirismo, una sorta di riverbero musicale in cui qualcuno ha visto la proiezione d’un Friedrich. Ed ecco che visioni, immagini, fantasmi e il gioco della luce ambivalente, evocano altre voci e ne captano il respiro; alla ricerca dell’anima «nel chiarore del mattino» o «nelle trasgressioni della notte».
Raciti scruta dentro di sé. E che cosa vede? Al proposito, in una conversazione con Guido Strazza, di un decennio fa, poi riprodotta in una monografia, l’artista lombardo spiegava: «Se guardiamo dentro di noi, nei nostri sogni, non vediamo che antinomie, diversificazioni, strati. L’orizzonte si apre nel profondo su tante prospettive. Ed ecco perché una mia immagine non è solo "quella cosa lì": è una bara, ma anche un fantasma bianco, un sommergibile, una capigliatura, un segno, un colore. Il centro, oggi, non esiste. Ma che cosa fare se il petto si gonfia e hai voglia comunque di "cantare un bel canto"? Gettare fondamenta per una cattedrale senza altari. Attorno ad essa domani nascerà una nuova città. In quella cattedrale, secondo Rilke, ci sarà un dio. E se tutto ciò non avvenisse, canteremo con Falstaff che "tutto il mondo è burla"».

Sebastiano Grasso

Archivio storico Corriere.it

sabato 26 novembre 2011

VIDEO MEDIUM INTERMEDIUM

VIDEO MEDIUM INTERMEDIUM
Video d'artista dalle collezioni ASAC - Archivio Storico delle Arti Contemporanee
a cura di Bice Curiger
Ca' Giustinian
S. Marco, 1364/a - Venezia
dal 27 /11/2011 al 31/12/2011

Dopo il successo della mostra sui suoi manifesti storici (Ca’ Giustinian, 25 febbraio - 20 maggio 2011), la Biennale, con il suo archivio, offre per la visione del pubblico e la consultazione degli studiosi e appassionati della storia dell’Istituzione una selezione di video d’artista realizzati tra 1969 e il 1977, oltre che fotografie e altri documenti appartenenti ai Fondi dell’ASAC disposti in mostra secondo una selezione operata da Bice Curiger.
Per la prima volta, dopo un’anteprima dei lavori digitalizzati presentati alla 52. Esposizione Internazionale d’Arte nel 2007, e a 24 anni dalla storica rassegna Gli Art/tapes dell’ASAC tenutasi a Ca’ Corner della Regina nel novembre 1977, sarà visibile al pubblico un ricco patrimonio che documenta la nascente videoarte in Europa all’inizio degli anni Settanta. Si tratta di un fenomeno transnazionale che si intreccia ai contemporanei movimenti d’avanguardia come Body Art, Land Art, Performance Art, Lettrismo e Minimalismo, e che anche in Italia ha avuto interessanti risvolti fino ad ora non sufficientemente valorizzati.
La Biennale di Venezia ha avviato un ampio programma di ricostruzione filologica e di restauro di 165 video con la conservazione delle matrici nel formato originale U-matic e Open e la riproduzione dei contenuti in formato digitale (DVD). Il recupero è stato condotto dalla Biennale avvalendosi della collaborazione di un gruppo di ricercatori dell’Università di Udine. Una buona parte di questi lavori provengono da art/tapes/22, celebre galleria d’arte fiorentina diretta da Maria Gloria Bicocchi tra il 1973 e il 1976.
Il titolo VIDEO MEDIUM INTERMEDIUM indica come il mezzo video abbia riunito artisti provenienti da ambiti diversi (Land Art, Antitelevisione, Arte concettuale, Performance Art) e gettato le basi per la formazione di una nuova comunità internazionale.

I video presentati in mostra sono stati raccolti da Bice Curiger attorno ad alcuni nuclei tematici:
Videogalleria di Gerry Schum (filmati realizzati da Schum con esponenti della Land Art e di altre tendenze artistiche come De Maria, Long, Smithson e Oppenheim presentati alla Biennale del 1972)
Fluxus e Happening Art (gli esponenti di Fluxus come Beuys e Kaprow sono attratti dall’idea di un’arte totale in cui si combinano musica, danza, poesia, teatro e performance)
Esperimenti elettronici (artisti come Mellnik e i Vasulka usano vari procedimenti tecnici per manipolare il segnale elettronico)
Performance Art (la performance art si sviluppa grazie al lavoro di artisti concettuali che utilizzano il proprio corpo come mezzo espressivo tra cui Abramovich, Boltanski, Forti e Horn)
Linguistica e tautologie (Baldessari, Graham e Nannucci usano il video come un mezzo di riflessione sul linguaggio visivo e verbale)
Autoriflessioni (artisti come Acconci, Douglas e Rainer rivolgono la videocamera su se stessi e indagano l’identità e il rapporto uomo e società)
Estensione della ricerca artistica attraverso il video (grazie alla diffusione di nuove tecnologie video artisti come Boetti, Levine, Lüthi e Pozzi scoprono un nuovo strumento in grado di allargare il campo della sperimentazione)

L’allestimento
Nel Portego al piano terra di Ca’ Giustinian saranno allestiti i monitor per la visione dei video scelti tra i nuclei tematici individuati da Bice Curiger, oltre a fotografie ed altri documenti d’archivio. Nelle due salette laterali verrà organizzata rispettivamente la consultazione di una videolibrary ed una programmazione giornaliera per la visione più comoda dei video selezionati. La Sala delle Colonne ospiterà una serie di incontri dedicati ai protagonisti di quegli anni e alle problematiche attuali legate alla diffusione e conservazione di questi materiali.

Ca’ Giustinian si afferma così sempre più come la sede delle attività permanenti della Biennale e punto di riferimento per gli studenti, i giovani e il vasto pubblico di appassionati e addetti ai lavori di Venezia e del territorio circostante.

GEORGE KUCHAR: PAGAN RHAPSODIES


GEORGE KUCHAR
PAGAN RHAPSODIES
MoMA PS1
22-25 Jackson Avenue - Long Island City, NY
November 20, 2011 — January 15, 2012

MoMA PS1 pays tribute to George Kuchar (1942–2011), one of the most prolific and influential American filmmakers of the last half-century, with a new exhibition of his film, photography, painting, and comic illustration. Organized by MoMA PS1 Curator Peter Eleey and initiated with the artist prior to his death in September, George Kuchar: Pagan Rhapsodies includes more than thirty of Kuchar's films, celebrating the prolific and exuberant practice of this visionary who found high drama in low culture and the vulgarities of everyday life.
"Making movies is a magical enterprise," Kuchar said, "exorcising a lot of personal devils and charting your own perversities." He began his film career as a teenager, making no-budget 8mm flicks with his twin brother, Mike, in their Bronx apartment before being introduced to the underground scene in New York in the early 1960s. The Kuchars' family members and friends starred in their early films, which employed make-shift props, costumes, and lighting in energetic homages to the big-studio productions the brothers consumed at local movie theaters. Though he moved to San Francisco in 1971 to teach, Kuchar continued over the next four decades to actively involve those around him in his filmmaking, setting up a studio with his students and making diaries of visits with friends. An early adopter of video, he pioneered the low-fi, handheld aesthetic now ubiquitous on the Internet, tirelessly and inventively mashing up styles and conventions while "grinding out pictures for the nonexistent masses."
The man who plainly noted that "making movies can be a pretty offensive and humiliating endeavor" was also frank about his ambition to be a "plop in the bowl" rather than a "flash in the pan." Though an expert cinephile, Kuchar's purview was far broader than film history and craft, and more prosaic. Whether celebrating Hollywood clichés from the back lot of his campus studio or contemplating the lurid, romantic violence of a tornado from a motel room in Oklahoma, life was Kuchar's primary subject. He documented his own in intimate, often physical, detail, and incorporated everyone and everything around him, including his pets. Kuchar and his generous approach to his art offer instruction for life as well as film. "It is important not to be well prepared," he advised students. "Never have auditions… always mix styles in reckless abandon… makeup should be used to full advantage."

M. LAURA TOMEA GAVAZZOLI - MANUALE DI MUSEOGRAFIA


MARIA LAURA TOMEA GAVAZZOLI
MANUALE DI MUSEOLOGIA
Rizzoli, 23/11/2011

Negli ultimi anni il dibattito sui musei, sulle loro funzioni, sul loro status giuridico e sui modi di gestione si è fatto sempre più serrato ed è aumentata l'attenzione del pubblico nei confronti di queste istituzioni, percepite ora come organizzazioni dinamiche, in grado di fornire sempre nuove prospettive culturali e di svilupparsi con la società. Parallelamente si sono moltiplicati i corsi di specializzazione in Museologia e molte università hanno creato corsi di laurea pertinenti ai beni culturali, che prevedono specifici insegnamenti in Museologia e Museografia. In questo quadro generale il manuale, alla sua seconda edizione, si conferma sia come punto di riferimento per chi segue gli studi sul patrimonio culturale e la sua gestione, sia come strumento pratico per coloro che nelle professioni si trovano a governare i meccanismi di funzionamento di queste complesse strutture culturali, sia, infine, come testo informativo per i numerosi volontari e appassionati. Il testo presenta tutto lo spettro delle attività di un museo - dalla cura delle collezioni alle politiche di acquisizione, dalle tecniche espositive alla progettazione e svolgimento dei servizi culturali, dall'organizzazione del personale all'amministrazione - in un'ottica italiana che deriva dalla lunga esperienza dell'autrice come direttore di museo e che tiene conto della specificità culturale e normativa del nostro Paese.

JORN UTZON - IDEE DI ARCHITETTURA


JORN UTZON
IDEE DI ARCHITETTURA
Scritti e conversazioni
Marinotti, 17/11/2011
collana "Il pensiero dell'arte"

Il libro raccoglie sette scritti di Jørn Ulzon, nome di primo piano nell'architettura del Novecento, nei quali ci propone un punto di vista chiaro e profondo sulla natura dell'architettura, sul suo specifico campo di azione e sugli obiettivi che dovrebbe porsi. Scritti in un periodo di oltre cinquant'anni, questi sette saggi possono apparire di numero esiguo, come pure poche sono le architetture costruite da Utzon nel corso della sua carriera (tra le opere più famose vi è certamente l'Opera House di Sidney). Testi e architetture limitati nel numero, ma ricchi di contenuti, meditati, semplici e densi al contempo, sempre alla ricerca dei significati ultimi e delle verità elementari, contrari ad ogni inutile sofisma. Il libro esprime una visione del tutto personale dell'architettura che intende essere vicina non tanto alla ristretta cerchia di coloro che la "producono", quanto a tutti gli altri, cioè ai veri fruitori degli spazi che dalle matite degli architetti nascono. I saggi sono scritti con un linguaggio semplice, colloquiale, non dogmatico, ironicamente schietto e apparentemente ingenuo, proprio per esprimere la volontà di chiarezza e di immediatezza da parte dell’autore. Costruttore di fama, Utzon si dimostra in questi saggi anche autore intenso e appassionato, capace di parlare con la voce dell'esperienza e di vedere con gli occhi di un bambino.

DONNE DONNE DONNE - FONDAZIONE REMOTTI

DONNE, DONNE, DONNE
a cura di Francesca Pasini
Fondazione Remotti
via Castagneto 52 - Camogli
dal 26 novembre 2011 al 18 marzo 2012

Da sabato 26 novembre a domenica 18 marzo presso la Fondazione Pier Luigi e Natalina Remotti di Camogli (via Castagneto 42) appuntamento con la mostra Donne Donne Donne, l'esposizione che raccoglie opere di una trentina di artiste della Collezione.
La scelta delle opere dalla collezione Remotti abbina il tema del corpo a interpretazioni dei luoghi che raccontano lo sguardo delle donne e la loro guadagnata presenza nella storia dell'arte contemporanea. Si percepisce un discorso forte sull'identità femminile, particolarmente attuale oggi, in cui il corpo viene utilizzato come status symbol del potere politico, economico, mediatico.
Le donne artiste lo avevano previsto, capito e raccontato in tantissime forme di cui si intende dare qui testimonianza: si passa così dalla grande protagonista della body art Gina Pane, Cicatrices de l'action (le corps pressenti, Psychè) (1974-75), a Marina Abramovic Lips of Thomas, anche questa una foto proveniente dalla performance del 1975-1997, in cui l'artista ha inciso sul proprio ventre una stella a cinque punte. Mentre Nan Goldin ritrae una donna in posa erotica e sfacciata che affronta di petto lo spettro e il sogno della prostituzione, Vanessa Beecroft è presente con un'immagine del 1997 tratta da una delle sue prime performance, quando, per creare la mobile fisionomia delle sue sculture viventi, sceglieva come modelle amiche o ragazze che conosceva appena. Shirin Neshat, con una delle sue Donne di Allah (1996), si fotografa tutta velata mentre tiene per mano il suo bambino nudo, su cui ha tracciato decori tipici dell'iconografia islamica. Elizabeth Aro, in un video del 1998 molto ironico, mostra una ragazza nuda che immagina come indossare il proprio vestito da sposa. Mentre la giovanissima e notissima Nathalie Djurberg con la video animazione The Secret Handshake (2006), ci porta dentro un dissacrante incontro sessuale tra un uomo adulto e una giovanetta. Marjetica Potrc rappresenta, in un disegno colorato, La Grande Città di Medellin (2007), come un albero dalle molte radici la cui chioma è formata da una donna nuda che danza. Kimsooja avvolgerà le pareti del pianterreno con la sequenza di grandi foto del Teatro La Fenice di Venezia, dove nel 2006 aveva presentato il video To breathe. Di Monica Bonvicini viene presentata una nuova versione di Not fot you, una scultura presentata in altre forme in molti musei internazionali, tra i quali nel 2007 il Museion di Bolzano.
Immagini e problemi dell'incontro sessuale che oggi sono alla ribalta della cronaca quotidiana e che queste artiste hanno fatto irrompere nell'arte non per moralizzare o giudicare, ma per segnalare la complessità della vita, che ha sempre alla sua origine la dimensione sessuata. Sono visioni molto differenti dall'amore pacificato del romanticismo, o dalle icone della storia in cui la donna era sempre una trasfigurazione allegorica. È stato un profondo cambiamento che ha allargato la cultura e i sentimenti e che, come un fiume carsico, continua a produrre figure che raccontano le case, le città, gli oggetti, la vita.
In mostra vi saranno anche Marzia Migliora, Paola Pivi, Sylvie Fleury, Katharina Fritsch, Florence Henri, Candida Höfer, Hannah Starkey, Laurie Simmons, Christine Erhard, Janieta Eyre, Chantal Joffe, Dacia Manto, Tracey Emin, Annette Messager, Anna Gaskell, Raffaella Nappo, Paola Mattioli, Ann Lislegaard, Moira Ricci, Silvia Levenson, Liliana Porter, Traslochi Emotivi.

venerdì 25 novembre 2011

BERND & HILLA BECHER : MINES AND MILLS - INDUSTRIAL LANDSCAPES

BERND AND HILLA BECHER
MINES AND MILLS - INDUSTRIAL LANDSCAPES
Curator Thomas Seelig
Fotomuseum Winterthur
Gruzenstrasse 44-45 - Winterthur
dal 25/11/2011 al 12/2/2012

For more than forty years, the photographer couple Bernd und Hilla Becher (*1931-2007/*1934) worked on creating an inventory of industrial architecture. Warehouses, shaft towers, gas tanks, blast furnaces as well as half-timbered houses are among the subjects they photographed throughout Germany, England, France, Central Europe, and the USA. Calling these buildings “anonymous sculptures,” they refer to the artistic quality of the constructions, which played no role for the buildings’ largely unknown builders and users. Their photographs attempt to draw attention to these hidden sculptural qualities and to document them historically as a building tradition in decline.
Bernd and Hilla Becher have always held particular interest for the industrial architecture in the Ruhr region. The exhibition Mines and Mills – Industrial Landscapes systematically examines this aspect of their work for the first time. Even today, names such as the Concordia and Hannibal collieries or Gutehoffnungshütte stand for the industrial history of the Ruhr region. Instead of concentrating on individual buildings, the exhibition approaches the mining facilities as a whole and in the context of their urban or natural surroundings. This typology, which the Bechers described as “industrial landscape,” compares the Ruhr region with similar complexes elsewhere in Europe and the USA.
As with their typological multiple and serial views of buildings, Bernd and Hilla Becher strive for a comparative perspective in their industrial landscapes. Demonstrating great photographic restraint in their approach and in the name of a “New Objectivity” dedicated solely to the object, they stand in a long tradition of proponents of the documentary gaze that includes Eugène Atget, Karl Blossfeldt, Walker Evans, Albert Renger-Patzsch and August Sander. Their influence on the history of photography extends from the establishment of the “Düsseldorf School” into the present. “The main aim of our work is to show that the forms of our time are technical forms, although they did not develop from formal considerations. Just as medieval thought is manifested in the gothic cathedral, our era is revealed in technical buildings and apparatuses,” stated Bernd and Hilla Becher in a conversation from 2005.
The industrial landscapes can be read from historical and social perspectives, to an even greater extent than the familiar photographs of simple building typologies. Next to the monumental, industrial buildings one often sees residential constructions, gardens, and allotment gardens, which convey how intertwined the organization of life and work was at the time and how deeply rooted people were in this city-like structure. Photographed at waist-height, the broad, open views of the horizontally composed photographs have an aesthetic that is almost atypical of the Bechers. However, the images adhere to a systematic approach also employed in this exhibition, to the archival thinking of the artist couple.
The exhibition curated by Heinz Liesbrock was organized by the Josef Albers Museum Quadrat in Bottrop and presented there in 2010. The exhibition at Fotomuseum Winterthur is curated by Thomas Seelig.
The accompanying publication Bernd & Hilla Becher – Bergwerke und Hütten with a text by Heinz Liesbrock has been published by Schirmer/Mosel Publishers in Munich.

ALDO TAGLIAFERRO - L'IMMAGINE TROVATA

ALDO TAGLIAFERRO
L'IMMAGINE TROVATA
Museo MAGA
Gallarate, via De Magri 1 - Gallarate
dal 26/11/2011 al 29/1/2012

La mostra "Aldo Tagliaferro. L’immagine trovata", nasce dalla volontà dell’Archivio Tagliaferro di concedere in comodato d’uso gratuito al MAGA, un numero di opere dell’artista in modo da far conoscere e rendere fruibile il lavoro di uno dei principali artisti concettuali italiani.
Le opere che andranno ad arricchire la collezione permanente del museo saranno inserite in un percorso rivolto a presentare la ricerca dell’artista attraverso le opere più significative dal 1970 al 2000.
Centro della riflessione e punto di partenza del progetto è Analisi del feticismo e le sue componenti, n. 1, 1977, opera esposta alla quarta mostra L’arte sperimentale dei nuovi mezzi espressivi e comunicativi del X Premio Nazionale di Pittura Città di Gallarate nel 1977 ed entrata a far parte della collezione del museo nello stesso anno, per donazione del Premio Gallarate.
Il sottotitolo della mostra L’immagine trovata è un rimando stretto al titolo del progetto complessivo, “Analisi del feticismo” da un’immagine trovata, di cui l’opera fa parte.
Il percorso della mostra ha inizio proprio da questa immagine “trovata” dall’artista su un muro in Waterlooplein ad Amseterdam e, successivamente, con una nuova soluzione formale, “trovata” dal pubblico. Infatti, come scrive Tagliaferro nel 1976 “questo lavoro è un’analisi sulle possibilità molteplici di lettura di un’immagine quando questa viene isolata dalla sua funzione specifica e si sviluppa in tre momenti: l’individuazione del “segnale” che sussiste oggettivamente, l’interpretazione soggettiva, l’evidenziazione e il coinvolgimento attraverso la soluzione formale”.
Il fulcro della mostra è quindi posto sulle molteplici possibilità di lettura di un’immagine e sulla sua interpretazione soggettiva da parte del pubblico, per questo, il contesto si apre con le due opere più importanti del 1970, Verifica di una mostra e Analisi di un ruolo operativo, che segnano un superamento della Mec art cui l’artista aveva aderito.
Il passaggio da una particolare attenzione all’obiettività del mezzo fotografico e alla spersonalizzazione del ruolo dell’artista, a uno sguardo sul coinvolgimento critico del pubblico avviene proprio nel 1970, quando Tagliaferro inizia a concentrarsi sulle reazioni e sui comportamenti del pubblico, definendo una nuova funzione dell’arte e spostando l’analisi proprio su quei meccanismi linguistici che attivano l’esperienza e la riflessione personale.
Il mezzo, la macchina fotografica, e il metodo, quasi scientifico dell’analisi e della verifica, vengono utilizzati per indagare temi universali, ma per questo vissuti da ciascuno in modo del tutto soggettivo, quali la morte, il tempo, la memoria, l’io…
Tagliaferro attua un rovesciamento che porta ognuno di noi a essere provocato dall’immagine e quindi ad avere verso di essa un pensiero critico, facendo diventare noi i veri protagonisti della mostra.
Nelle sale espositive e sul catalogo le opere sono affiancate ai testi che l’artista ha scritto, a volte, a più riprese, mentre realizzava i progetti. Le riflessioni metodologiche e gli statement del lavoro, redatti, esclusivamente a macchina da scrivere, con uno stile analitico e rigoroso, testimoniano la lucidità del processo creativo di Tagliaferro e ci fanno entrare a pieno nel suo modus operandi, rivelandoci il suo acuto e mai banale pensiero.
Le opere esposte provengono in gran parte dall’Archivio Aldo Tagliaferro e da gallerie e collezionisti privati che ringraziamo per la collaborazione.

Giulia Formenti

FABRIZIO MONTANARI - TERRITORI CREATIVI


FABRIZIO MONTANARI
TERRITORI CREATIVI
L'organizzazione delle politiche a supporto della cretivita
EGEA, 08/2011
Collana "BEA"

Il termine creatività è utilizzato non solo in relazione alle attività artistiche e culturali, ma anche allo sviluppo economico di aziende e di aree geografiche. Se, dunque, alla creatività è attribuita una grande importanza sia per il valore economico e sociale prodotto dalle industrie creative sia per gli effetti di spill over generati nei confronti di settori economici più tradizionali, diventa critico riflettere sulle modalità con cui le organizzazioni e gli enti pubblici possono sfruttarne appieno il potenziale. Questo libro cerca di contribuire a questa riflessione sia analizzando le modalità più efficaci per innalzare la soglia di creatività di un territorio, sia mostrando come una visione interdisciplinare possa fare emergere nuove prospettive di studio e di azione. L’obiettivo è quello di fornire un utile strumento per quanti si avvicinano al tema sia come accademici sia come pubblici amministratori. Coerentemente, ogni capitolo presenta sia un inquadramento teorico che fa il punto della situazione sulla letteratura scientifica esistente sia alcuni casi pratici utili per coloro che vorranno replicare nel loro territorio buone strade già praticate.

ANTONELLA CARÙ, SEVERINO SALVEMINI - MANAGEMENT DELLE ISTITUZIONI ARTISTICHE E CULTURALI

ANTONELLA CARÙ - SEVERINO SALVEMINI
MANAGEMENT DELLE ISTITUZIONI ARTISTICHE E CULTURALI
Egea, 03/2011
collana "ALFAOMEGA"

Le istituzioni artistiche e culturali costituiscono una realtà estremamente eterogenea e articolata, che pone numerose sfide sia in termini di gestione sia in termini di policy. Il volume affronta il ruolo delle scienze manageriali all’interno di queste istituzioni, approfondendo quegli aspetti della gestione che si mostrano peculiari. Punto di avvio del libro è la conoscenza della specificità delle istituzioni artistiche e culturali e la consapevolezza della necessità di proporre approcci gestionali strutturati, nel rispetto della missione istituzionale. Il volume si concentra sugli elementi chiave della gestione di istituzioni nate per creare e diffondere cultura: il problema dell’accesso al contenuto culturale da parte del pubblico, il problema della relazione fra artisti e manager, il problema della governance in presenza di istituzioni che offrono public goods, sono i temi centrali attorno ai quali si sviluppa il percorso di approfondimento e la proposta di un modello innovativo. Il libro si rivolge a studenti e a chi già opera a vario livello nelle strutture organizzative di istituzioni artistiche e culturali.

LUISO STURLA - ALFABETI DEL PAESAGGIO

giovedì 24 novembre 2011

GEORGES DE LA TOUR A MILANO

GEORGES DE LA TOUR A MILANO
a cura di Valeria Merlini e Daniela Storti
Palazzo Marino
piazza della Scala - Milano
dal 25/11/2011 all'8/1/2012

Per la prima volta in Italia L’Adorazione dei pastori di Georges de La Tour accompagna uno dei più celebri capolavori del pittore lorenese, il San Giuseppe falegname nella ormai tradizionale mostra di Palazzo Marino organizzata da Eni con la collaborazione del Comune di Milano e del museo del Louvre. Le due straordinarie opere di uno degli artisti più affascinanti della pittura del Seicento, noto a molti come il “Caravaggio francese”, saranno esposte a Milano, con ingresso libero, nella Sala Alessi di Palazzo Marino dal 26 novembre 2011 all’8 gennaio 2012.
La mostra, organizzata anche quest’anno grazie al partenariato tra Eni e il museo del Louvre, che mette a disposizione dell’evento importanti opere, è curata da Valeria Merlini e Daniela Storti e propone al grande pubblico, che con passione segue da qualche anno l’appuntamento milanese, uno degli artisti più suggestivi e misteriosi che la Francia del Seicento abbia generato. Anche se il suo nome risulta forse meno noto al grande pubblico di quello di alcune “star” della pittura antica, nel trovarsi di fronte a queste due opere si ha l’immediata sensazione di averle da sempre conosciute, proprio grazie alla loro capacità di penetrare profondamente nella sensibilità dell’osservatore.
Pochissime sono le notizie che i documenti ci forniscono sulla vita del pittore lorenese, la cui formazione rimane avvolta nel mistero come gran parte della sua esistenza. Resta ancora un’ipotesi l’idea di un suo viaggio in Italia durante il quale si sarebbe misurato con l’opera del grande Caravaggio, al quale si è sempre fatto riferimento nell’analisi critica del suo lavoro. L’Adorazione dei pastori è entrata a far parte delle collezioni del Louvre nel 1926, grazie al lavoro indefesso di Hermann Voss, che dedicò la sua vita al recupero dell’identità di Georges de La Tour, scovando come un segugio le sue opere, disperse in musei e collezioni a causa di un’infinita serie di errate attribuzioni.
Il tema dell’adorazione dei pastori in versione notturna si diffonde partendo dall’Italia nei primi del Seicento, grazie alla rivisitazione che i pittori bolognesi come Carracci fecero della grande lezione caravaggesca; ma, nella magica atmosfera che si respira nei dipinti di Georges de La Tour, nell’intimo e raccolto sentire domestico della scena, la tradizione stilistica franco-fiamminga gioca un ruolo assai importante.
Anche nel forse più conosciuto dipinto del San Giuseppe falegname il calore della luce diffusa dalla candela sorretta da Gesù bambino, che amorevolmente osserva il volto del padre al lavoro, immerge nell’atmosfera notturna un tema caro alla tradizione della pittura nordica del tempo. Nell’immagine, il commovente rapporto padre-figlio fornisce anche uno spunto per alcune osservazioni di carattere iconografico intorno alla devozione per il Santo, per il Bambino e per la Croce richiamata dal legno su cui Giuseppe è chinato, alla maniera di molti testi religiosi del tempo. Anche dal punto di vista tecnico l’opera rappresenta forse l’espressione più alta del corpus dei dipinti a “lume di candela” eseguiti da La Tour; la luce celata all’occhio dell’osservatore dalla trasparente mano del Bambino, si diffonde sul suo giovane volto che si trasforma nella vera fonte luminosa dell’intima e familiare scena, che diventa trascendente. Il pubblico potrà ammirare questi due dipinti di eccezionale interesse, in un allestimento a loro dedicato, razionale nella distribuzione degli spazi e ricercato nella scelta dei materiali.
Il progetto di Elisabetta Greci nasce, infatti, da una serie di spunti concettuali ed estetici che rimandano a gran parte dell’iconografia classica sulla Natività, all’architettura nordica familiare al Maestro, alla semplicità e “all’umile naturalità” consona ad entrambi i soggetti dei due capolavori. Si è quindi scelta una “architettura” scultorea, lineare ma suggestiva per dimensioni ed effetti, attraverso l’impiego di materiali naturali e tradizionali. L’ambiente dell’esposizione è composto da una grande parete a onda, intonacata con calce ed argilla e da una pavimentazione in legno vecchio – un organismo “sospeso” all’interno della Sala Alessi – costituito da superfici concettualmente “povere” che consentono di arricchire l’atmosfera del luogo con giochi di luce.
La visione e la percezione delle opere, come tradizione collocate all’interno di apposite teche che ne permettono la fruizione ravvicinata della loro storia e del contesto culturale che le ha generate, viene supportata da diversi video e favo- rita dalla presenza in sala di storici dell’arte e tecnici restauratori che seguono, come di consueto, i visitatori, rispondendo alle domande e alle curiosità in modo personale, secondo le esigenze di ciascuno di loro. All’interno della sala video, il pubblico potrà cogliere l’opportunità di approfondire alcuni aspetti della misteriosa storia del grande pittore lorenese per secoli caduto nell’oblio e tornato negli ultimi anni al centro di nuovi importanti studi critici.
Fornendo uno spettro variegato di punti di vista, utili ad arricchire la percezione della cultura dell’epoca, di cui questi due dipinti sono un’emanazione, grazie anche all’ausilio dei saggi scientifici presenti sul catalogo edito da Skira, l’esposizione vuole incoraggiare un confronto vivo e umano tra gli storici dell’arte presenti in sala e il pubblico, che segue con grande attenzione l’appuntamento natalizio con Palazzo Marino giunto quest’anno al quarto anno. Una particolare attenzione va, in questa edizione, alle scuole, alle quali Eni dedica un progetto di laboratori didattici e la preparazione di diversi learning objects e materiali di vari formati (video, testi, immagini) utili agli insegnanti per lezioni da tenersi in classe e utilizzabili attraverso il sito www.eniscuola.net. Inoltre, come già sperimentato lo scorso anno, si terranno, sempre ad ingresso libero, alcuni incontri nella nuova sala conferenze di Palazzo Marino, che affronteranno il tema del rapporto padre-figlio, argomento fortemente stimolato dalla suggestione suscitata allo sguardo tra san Giuseppe e Gesù bambino, nel quadro esposto in mostra.

KENDELL GEERS - HELLRAISER

KENDELL GEERS HELLRAISER
HELLRAISER
Galeria ADN
Enric Granados 49 - Barcelona
25 de Noviembre – 14 de Enero de 2012

ADN Galería inaugura el 25 de noviembre Hellraiser, la primera exposición personal de Kendell Geers en la galeria, comisariada por Pierre-Olivier Rollin, director del B.P.S.22 de Charleroi, y ADN Galeria.
La obra de Geers formula un discurso crítico y desacralizante atípico en el panorama artístico actual. Eje central de su trabajo, la noción de poder se declina en representaciones que convocan directa o metafóricamente temas como la violencia, la religión, la moral, el sexo, la disciplina y el miedo. Geers socava el sistema de valores fijados por nuestra sociedad occidental, apuntando sin piedad a aspectos que permanecen en la sombra: luchas de poder, racismo, coacciones, injusticias, explotación de los más débiles, falso puritanismo.
Sin adoptar el tono moralista y bien pensante que caracteriza al arte que se reivindica “político”, Geers prefiere actuar como un “terrorealista” (según un término creado por él) que exhibe lo real de manera impúdica, sin los filtros ideológicos, morales o religiosos que suelen alterarlo. No duda en recurrir a formas y expresiones que provocan por su violencia, su carácter autoritario o sexista, ni en desmontar los ideales de pureza racial, ideológica, religiosa. Basadas en motivos visuales recurrentes y en materiales humildes (cristales clavados en soportes variados, estatuas envueltas en cintas utilizadas por la policía para circundar los lugares de crímenes, pintura o tinta negra derramada, materiales de construcción), las obras del artista intervienen como señales desestabilizadoras en un sistema cuya legitimidad se basa en la omisión tácita de sus disfunciones.
Dice Pierre Olivier Rollin, comisario de la exposición: “En esta exposición, el artista articulará algunas obras realizadas en los últimos años junto a sus últimas producciones: dibujos, esculturas, pinturas, superficies esculturales, instalaciones, murales. La exposición recoge las preocupaciones recurrentes del artista desde sus comienzos: la conjunción de las posiciones extremas, la transformación de las imágenes y de los objetos, la reinterpretación política del ready-made, del minimalismo o del arte conceptual, el desajuste de los sentidos, las aporías del lenguaje. Reagrupadas en un amplio “cluster hanging”, las obras de varias épocas, sobre soportes distintos y con formas de expresión diversificadas, compondrán una amplia instalación que multiplica los niveles de comprensión entre ellas. La profunda coherencia, así como las ramificaciones de la obra, surgen a través de las múltiples posibilidades de interpretación, deliberadamente sugeridas por la disposición de las obras.”
La serie de obras expuestas en ADN sorprende por su eficacia comunicativa: son sencillas y determinadas, bien estructuradas y visualmente atractivas. La dimensión estética de la obra actúa como contrapeso de un contenido altamente provocador o violento, recordándonos irónicamente que la violencia también es “glamurosa” y genera fascinación y adicción. El titulo de la exposición, Hellraiser, traducible como “el que levanta o despierta el infierno” juega justamente con esta visión dual de una figura deseable precisamente por potente y peligrosa. Un gran mural declina el conocido motivo “LOVE” de Robert Indiana hasta rendirlo irreconocible, entre letras y formas abstractas o tribales que parecen a veces cuchillas de afeitar estilizadas.
La misma sensación de amenaza latente emana de una instalación compuesta de ladrillos en suspensión. Varias esculturas en bronce declinan motivos familiares en el registro de Geers: iconos religiosos, políticos o populares como el famoso “Manneken Pis” belga, variaciones sobre estatuas africanas, y objetos cotidianos con huellas digitales o moldes del cuerpo del artista. El artista expone también dibujos pornográficos que juegan con la condición voyerística del espectador que se verá reflejado en el soporte de las obras, así como una serie de intervenciones sobre imágenes apropiadas de revistas.
En estas obras se privilegia el humor negro, la obscenidad tranquila, el uso frio de lo blasfemo, la provocación sonriente y mordaz. El lenguaje mismo, componente importante en la obra de Kendell Geers, tiene doble cara: las formulas enigmáticas que aparecen en sus dibujos o pintadas en las paredes esconden palabras y conceptos genéricos, muchas veces reapropiaciones de discursos artísticos o políticos conocidos. Geers maltrata y transforma el lenguaje, consciente que se trata de un medio ambivalente, susceptible así mismo de manipular al público. Frente a la obras, el espectador no tiene otra elección que reflexionar sobre su propia adhesión a ese guión fantasmagórico, su grado de complicidad y de disfrute.
A pesar de su tonalidad iconoclasta, la expresión de Geers es raramente unívoca, ya que el artista mantiene una ambigüedad sobre su propio posicionamiento. Asimismo, la biografía del artista y su mitología personal encarnan esta ambivalencia; de su identidad de blanco nacido y criado en Sudáfrica, en desacuerdo con el régimen del Apartheid, hasta su decisión de adoptar 1968 como fecha de nacimiento simbólica, Geers explota en parte su propia historia y se construye un personaje ficticio, mientras los discursos críticos instrumentalizan estos datos para erigirlo, a su vez, en otro icono subversivo.

YVES BONNEFOY - L'HEURE PRESENTE


YVES BONNEFOY
L'HEURE PRESENTE
Mercure de France, 29/9/2011

L’heure présente est le recueil des poèmes et des principales proses poétiques écrits par Yves Bonnefoy depuis la publication de La longue chaîne de l’ancre en 2008. Les proses sont pour remuer le sol de la conscience qu’on prend du monde, où restent vives des impressions et des intuitions que la pensée diurne réprime, les poèmes tentent d’employer les mots ainsi rénovés pour mieux poser les problèmes de l’être, et du non-être, du sens et du non-sens, comme ils assaillent notre époque, « l’heure présente ». Poèmes qui sont des questions, ou même se laissent pénétrer par des fragments de réponse. Parmi eux le plus important est celui qui donne son titre au volume. L’auteur y reconnaît ses inquiétudes et ses espérances.

YVES BONNEFOY - SOUS LE SIGNE DE BAUDELAIRE


YVES BONNEFOY
SOUS LE SIGNE DE BAUDELAIRE
Gallimard, 24/11/2011
collection "Bibliothèque des idées"

Tout à la fois un hommage à Baudelaire, un dialogue avec lui et une lecture de son oeuvre, ce rassemblement chronologique de quinze essais d'Yves Bonnefoy sur Baudelaire s'échelonne sur plus de cinquante années, au cours desquelles Baudelaire n'a cessé de l'accompagner.
A Baudelaire il doit, écrit-il, "d'avoir pu garder foi en la poésie". Car "aucun, sauf Rimbaud", ne montre aussi fortement que l'espérance "peut survivre aux pires embûches de la conscience de soi. Aucun pour descendre avec tant de modestie exigeante des hauteurs intimidantes de l'intuition poétique, où pourtant il ne cesse de revenir, vers la condition ordinaire", "aucun", enfin, "pour encourager plus efficacement ceux qui croient en la poésie à ne pas décider trop tôt qu'ils sont indignes de son attente".
Ainsi, "les grands poètes sont ceux qui nous aident" "à nous diriger vers nous-mêmes". Et "c'est même cette recherche de soi qu'ils attendent de nous, avec l'offre que nous partagions leurs soucis, leurs espoirs, leurs illusions, et le désir de nous guider, tant soit peu, vers là où nous découvrirons qu'il nous faut aller. Le voeu de la poésie, c'est de rénover l'être au inonde, ce qui demande d'entrée de jeu l'alliance du poète et de ceux qui les lisent sérieusement".

CARLO FORMENTI - FELICI E SFRUTTATI

CARLO FORMENTI
FELICI E SFRUTTATI
Capitalismo digitale ed eclissi del lavoro
presentazione dl volume (edito da EGEA)
Palazzo Ducale - Sala di letture e conversazioni scientifiche
piazza matteotti 9 - Genova
venerdì 25 novembre 2011, h. 17,30

Venerdì 25 novembre, alle ore 17.30, presso a Palazzo Ducale (Sala della Società di letture e conversazioni scientifiche) è in programma la presentazione del volume Felici e sfruttati. Capitalismo digitale ed eclissi del lavoro (Egea Edizioni, 164 pp, 18 Eu) di Carlo Formenti.
Oltre all'autore, partecipano Carola Frediani e Giuliano Galletta.
L'iniziativa è organizzata dall’associazione culturale Il museo del caos.

La scheda del libro
Molti guru giurano che il capitalismo sta per lasciare il campo a un nuovo modo di produrre, a una società in cui mezzi di produzione e chance di arricchimento saranno ampiamente ridistribuiti, mentre le vecchie gerarchie lasceranno il campo ai network orizzontali di produttori-consumatori.
Ma se osserviamo la realtà vediamo un altro panorama: crollo dei redditi e dei livelli occupazionali di classi medie e lavoratori della conoscenza, concentrazioni monopolistiche, inasprimento delle leggi sulla proprietà intellettuale, balcanizzazione del Web - ridotto a un arcipelago di riserve di caccia aziendali.
L’autore presenta una tesi radicale: Internet non ha ammorbidito il capitalismo; ne ha al contrario esaltato la capacità di cavalcare l’innovazione per sfruttare la creatività e il lavoro umani. Per i (falsi) profeti della rivoluzione digitale l’obiettivo è allevare una generazione di lavoratori della conoscenza flessibili, disciplinati e convinti di vivere nel migliore dei mondi possibili. Felici e sfruttati.

L'autore
Carlo Formenti, è giornalista del Corriere della Sera, docente di Storia e tecnica dei nuovi media presso la Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università di Lecce, studia da tempo le implicazioni economiche, sociali e politiche delle tecnologie digitali. È autore di libri di successo, tra cui Fine del valore d’uso (Feltrinelli 1980), Piccole apocalissi (Cortina 1991), Incantati dalla Rete (Cortina 2000), Mercanti di futuro (Einaudi 2002) e Cybersoviet. Utopie postdemocratiche e nuovi media (Cortina Raffaello, 2008).

mercoledì 23 novembre 2011

LES MARQUES AVEUGLES


LES MARQUES AVEUGLES
commissariat de Katya García-Antón et Emilie Bujès
Centre d'Art Contemporain
Rue des Vieux-Grenadiers 10 - Geneve
25.11.2011 – 22.01.2012

Une image fixe de l’aéroport d’Orly, et cette phrase presque aussi emblématique que le film : « Ceci est l’histoire d’un homme marqué par une image d’enfance » ; ainsi s’ouvre « La Jetée » (1962) de Chris Marker. L’exposition intitulée LES MARQUES AVEUGLES prend pour point de départ cette œuvre, devenue classique, pour une réflexion contemporaine sur le temps et la mémoire, et plus spécifiquement la relation entre image et empreinte, trace, traumatisme, dans un rapport étroit à la photographie.

Avec : Rosa Barba, Pavel Büchler, Hollis Frampton, Louise Hervé et Chloé Maillet, Robert-Jan Lacombe, Chris Marker, Katja Mater, Wendelien van Oldenborgh, Margaret Salmon, Hito Steyerl, Gitte Villesen, Akram Zaatari. Projections: Chantal Akerman, James Benning, Brent Green, Isidore Isou, William E. Jones.

Il est possible que l’acte de se souvenir soit indissociable de la mise en scène, du cadrage et du dispositif même de la photographie. « On photographie les objets pour les chasser de son esprit » (Kafka) ; la photographie pourrait se substituer à la mémoire, devenir en quelque sorte une archive du souvenir. Mais peut-être le cœur de la problématique repose-t-il à fortiori sur la question du cadrage. La photographie sans doute cristallise un fragment de réel – même si ce « réel » peut à tout moment être remis en question par la nature du support photographique qui forcément n’est qu’un leurre –; ce fragment cependant ne semble pas plus signifiant que les éléments se situant hors de son cadre, qui s’étant dérobés à l’image, s’adressent à l’imagination. De quelle façon cette dialectique entre présent et absent, tangible et immatériel, peut-elle être envisagée, alors même qu’elle s’adosse à un paradoxe ?
Comme pour le traumatisme – évènement brutal inscrit dans l’inconscient, qui ne peut être identifié qu’à postériori comme souvenir, trace – ce qui n’est pas visible dans la photographie est néanmoins présent et essentiel. Ce paradoxe est par ailleurs également fondamental au medium filmique, qui non seulement illustre de façon emblématique cette présence/absence dans le dispositif de la projection et de l’écran – faisant office de cache –, mais aussi dans son fonctionnement même, la simulation du mouvement découlant de la différence entre les images. Il est question de ce que l’on voit, mais à plus forte raison encore, tel un portrait en creux, de ce qui n’est pas donné à voir, ce que l’on perçoit. Absence, disparition, inconscient, sont autant de stratégies et mécanismes mis en place dans les œuvres présentées dans LES MARQUES AVEUGLES.
Ces œuvres principalement filmiques développent toutes un rapport plus ou moins direct et étroit à la photographie. Ce lien, intrinsèque ou exacerbé, ajoute naturellement la question du montage à celles de la photographie et de la mémoire. Outre l’interruption, la répétition semble être dans ce contexte l’élément charnière de ce mécanisme : la répétition, restaurant la possibilité de ce qui a été, rend en effet cet objet par là-même et de façon paradoxale à nouveau possible (Agamben). La mémoire dispose du pouvoir de rétablir les différentes potentialités d’un passé.
Le projet propose un parcours conceptuel et formel à travers ces lignes de réflexion, qui se développent dans l’exposition, une performance au mois de janvier, et une série de projections aux cinémas du Grütli, permettant non seulement d’élargir le spectre du type d’œuvres présentées, mais également leur format et réception.

LIGURIA BRUT!

LIGURIA BRUT!
Galleria Rizomi Art brut
Corso Vittorio Emanuele II, 28 (cortile interno) - Torino
dal 24/11/2011 al 14/1/2012

Marcello Cammi, Davide Raggio, Mario Andreoli e Vittorio Rullo: RIZOMI_art brut espone le opere di quattro artisti liguri, tutti autodidatti, tutti autonomi, tutti radicali del gesto creativo e allargandosi alla scultura celebra con loro una terra.
LIGURIA BRUT! pensata molto prima degli eventi dello scorso 25 ottobre espone opere che già segno di strenua e indefessa forza diventano più che mai segno di resistenza. La stessa di chi nei secoli ha lottato contro il mare e la montagna per guadagnare la propria parte di terra.
La pioggia battente della fine di ottobre non ha mai scoraggiato l’ex ferroviere Mario Andreoli che, da cinquant’anni, prima del Natale e prima della Pasqua, scala per decine di volte la propria collina per allestire il più originale dei paesaggi sacri. Decine di telai tagliati a mano e impalcati su pesanti basamenti si contornano delle luci che dai piedi del paese di Manarola e dalle colline che la circondano appaiono come cammelli, pecore, pellegrini, palme, per circondare la sacra famiglia o le tre croci sulla cima del colle da dove tutto è iniziato. Né l’incuria del personale del manicomio di Quarto, prima e dopo il fondamentale incontro con Claudio Costa, ha mai distratto Davide Mansueto Raggio dal raccogliere radici e arbusti per creare Furie e Pinocchi fissati sul cartone, o dallo sbriciolare mattoni e argilla, dallo stendere l’impasto finale con le dite per ricavare silouette elegantissime ad un tempo ieratiche e vivissime. Un amore per l’objet trouvé che oggi sopravvive nonostante anni di abbandono nei magazzini delle istituzioni. Come oggi così nel 1998 in Liguria i fiumi straripavano: eppure non è stata la forza del rio Sasso a trascinare in mare il giardino di Marcello Cammi ma soprattutto i tronchi e i rifiuti che sono stati trascinati dalla corrente. Così se ne sono andate decine di statue di cemento che, nel giardino concessogli dal Demanio, davano forma agli incubi, ai ricordi, alle suggestioni e alle visioni di una vita semplice. Il resto lo fecero le ruspe del comune di Bordighera che dopo l’ultima alluvione del 2006 “pulirono” definitivamente l’alveo del fiume. Una storia diversa quella di Vittorio Rullo, che tre, quattro volte alla settimana da molti anni è ospite del laboratorio del maestro ceramista Tortarolo. Usa la sua terra, usa il suo forno ma riesce in qualcosa di assolutamente unico: modellare la materia come un’estensione del proprio pensiero. Silenzioso, concentrato, protetto: un’altra storia ligure.




CINEMA E TECNOLOGIA


MARIO GEROSA (a cura di)
CINEMA E TECNOLOGIA
La rivoluzione digitale: dagli attori alla nuova stagione del 3D
Le Mani, 20/10/2011
collana "Cinema. Saggi"

Una delle grandi novità dovute all’utilizzo delle tecnologie digitali è il ritorno in grande stile del 3D, sancito da “Avatar” di James Cameron, ma ci sono tante altre innovazioni, dalla Facial Motion Capture alle Simulcam, dal Retargeting alla Virtual Camera, nomi ancora poco noti, seppur legati alle tecnologie avanzate utilizzate nei grandi successi di oggi, che qui verranno spiegati in modo chiaro, con una serie di esempi. In questo libro si documentano i nuovi aspetti del cinema che incontra la tecnologia, attraverso i contributi di alcuni dei maggior esperti della materia. Le contaminazioni tra il linguaggio del cinema e quello dei videogames, le scenografie digitali e i paesaggi virtuali come nuovi modelli di scenografie, gli attori virtuali, ma anche i mondi virtuali, dove si realizzano film, alcuni dei quali girati da registi professionisti, che utilizzano la tecnica del machinima.

GENOVA SENZA PAROLE


STEFANIK
GENOVA SENZA PAROLE
Sala Dogana, Palazzo Ducale
piazza Matteotti 9 - Genova
dal 18/11/2011 al 4/12/2011

Le immagini di Genova, nel lavoro a quattro mani di Stefano Fioresi e Nicolò Paoli, sottoscritte dalla sigla Stefanik sono come imbarcazioni sospese tra una deriva e un approdo. Città di emigranti e immigrati, Genova non cessa di raccontare la storia di protagonisti e di anonimi, di sassi, spiagge, mareggiate, di grandi navigatori e di corsari: una storia intessuta di avventura e di paura, di conquiste e di canti.
Paoli e Fioresi ne hanno fatto la base della loro poetica per il progetto Dogana. Giovani idee in transito. Insieme, decidono di proporla al pubblico, mettendo in scena, da una parte, l’esito di un processo compositivo duale, agile e complesso al tempo stesso, ma integrato attraverso le fasi dell’elaborazione digitale della fotografia, dell’intervento pittorico diretto, del collage di elementi oggettuali e cartacei, del bianco e nero e del colore, e dall’altra il work in progress del pubblico, invitato a rifarlo in diretta, assecondando le proprie pulsioni creative (o decostruttive?) su grandi riproduzioni cartacee della città.
Il soggetto è Genova, ripresa nei suoi pubblici segreti, come campo di riflessione, rivisitazione, affioramento e rimessa in distanza della memoria. Dimenticare per riconoscere, per riconoscersi tra la gente, o in disparte a guardare, a ripensare, a collocare imprese e microstorie, mondanità e intimità, nella prospettiva del ricordo. Nei due momenti, espositivo e performativo, vengono riportate alla visibilità, in un acceso arcobaleno cromatico, al limite di un Kitsch visitato da oggetti e soggetti di sapore NeoPop, sensazioni nascoste, stratificate dal tempo, pronte però a risvegliarsi davanti allo sguardo di chi le ha vissute o le vive quotidianamente.
L'evento fa parte di "Dogana. Giovani idee in transito". Nella Sala Dogana a Palazzo Ducale a Genova nasce un centro interdisciplinare dedicato alla creatività per dare spazio alle idee giovani.
La Sala Dogana è realizzata grazie al contributo dell’Accordo di Programma Quadro, sottoscritto tra la Regione Liguria e il Dipartimento della Gioventù.

martedì 22 novembre 2011

OMAGGIO A LORENZO LOTTO



OMAGGIO A LORENZO LOTTO
a cura di Matteo Ceriana
Gallerie dell'Accademisa
Campo della Carità 1050 (Dorsoduro) - Venezia
dal 23/11/2011 al 26/2/2012

Si inaugura a Venezia il 23 novembre la mostra Omaggio a Lorenzo Lotto. I dipinti dell'Hermitage alle Gallerie dell'Accademia che nasce dall’eccezionale prestito concesso dal museo di San Pietroburgo alle gallerie veneziane di due dipinti raramente – o mai - prima visti in Italia: il Doppio ritratto di coniugi e la Madonna col Bambino ed angeli.
La mostra, promossa dalla Soprintendenza Speciale per il Polo Museale Veneziano, offre un percorso ricco e composito che pone in dialogo le due opere, rispettivamente del primo e dell’ultimo periodo, con altri dipinti lotteschi provenienti da musei europei e dalla collezione delle Gallerie dell'Accademia. L’itinerario della mostra, curata Matteo Ceriana, comprende inoltre dipinti e sculture coeve derivate da opere del maestro veneziano e documenti che contribuiscono a crearne il contesto storico artistico.
Il Doppio ritratto di coniugi, eseguito verso la fine del soggiorno bergamasco del pittore, rappresenta una coppia di patrizi locali della cerchia dei committenti dell’artista; intorno a questo capolavoro sono raccolte due opere della prima attività lottesca, la Giuditta Aldobrandini di BNL Gruppo BNP Paribas e la predella della Pala di San Bartolomeo a Bergamo.
La piccola Madonna col Bambino ed angeli è invece un’opera più tarda, rielaborazione del maggiore esemplare di Osimo, rubato all’inizio del secolo passato e mai più ritrovato. Il suo stile controcorrente rispetto a quello eroico del Tiziano, che caratterizza l’ultima fase artistica del Lotto, viene posto accanto a quello arcaicizzante dello straordinario “Vesperbild” (compianto sul Cristo morto) della Pinacoteca di Brera. Dell’ultimo soggiorno veneziano è testimonianza lo straordinario Cristo in Gloria del Kunsthistorisches Museum di Vienna: viene qui presentato assieme a una versione precedente proveniente dalla Collezione d’Arco di Mantova e messo per la prima volta a diretto confronto con le tre versioni bronzee che ne ricavò il Sansovino, giunte dalla Basilica di San Marco, dal museo del Bargello di Firenze e dai Musei Statali di Berlino.
Tra i dipinti lotteschi delle Gallerie veneziane si trova la Natività con Domenico Tassi, recentemente restaurata, che testimonia una straordinaria invenzione che Lotto ripeté in forme diverse in altri dipinti, come in quello autografo della Pinacoteca nazionale di Siena presente in mostra assieme a una bella copia, forse coeva, conservata agli Uffizi e mai prima esposta.
Tra i ritratti, è presente il celebre giovane malinconico di casa Rovero, accompagnato dal ritratto eseguito negli stessi anni del domenicano dei SS. Giovanni e Paolo, dei Musei Civici di Treviso, e da quello proveniente dal Castello Sforzesco di Milano, simile dal punto di vista compositivo ed emotivo. Altri punti forti dell’esposizione sono il ritratto del Vescovo Negri, eccezionale capolavoro proveniente dal Monastero delle Paludi a Spalato e il giovane Gentiluomo in nero, restaurato per l’occasione e mai presentato al pubblico dopo la mostra veneziana del 1953.
Emozionante, tra i documenti, la possibilità di leggere l’originale testamento autografo che il Lotto lasciò all’Ospedaletto, la confraternita veneziana della quale era membro, esposto per la prima volta in questa occasione.
Catalogo a cura di Matteo Ceriana e Roberta Battaglia, Marsilio Editori.